da MURILO MARCONDES DE MOURA*
Commento al libro di Davi Arrigucci Jr.
"È tutta la vita che gioco". Il noto verso di Drummond, presente in una poesia che celebra la conquista della sua maturità creativa, mi è venuto in mente dopo aver letto questo libro di Davi Arrigucci Jr. Non solo è l'ultima di un critico di recitazione già affermato (quasi quarant'anni ci separano dal suo primo libro, lo scorpione intrappolato), e uno dei più notevoli tra noi, ma per aver composto con i precedenti, compresi i due libri di narrativa, una sorta di mitologia personale, almeno un'unità flagrante. Che unità è questa?
Cominciamo con l'individuare il tono dominante dei suoi scritti – affermativo e ostinato, scaturito dalla sua posizione rispetto alle opere e ai soggetti scelti – aderenti, rispetto alla loro bellezza e complessità, pertinaci, di fronte all'enigma che li costituisce .
Fondamentale è qui la visione dell'intrinseca difficoltà delle grandi opere, la cui esposizione ogni ritardo sembra insufficiente al critico, sempre disposto a prolungare il compito della comprensione, che considera, a rigor di termini, inesauribile. Questo rinvio metodico, per coprire quanto più possibile l'opera in studio, questo “desiderio sfrenato di andare al limite della visione”, nelle sue stesse parole, nella prefazione al libro Perso e trovato, già nel 1979 intrise il suo testo critico di un ritmo che Alfredo Bosi, con umorismo, ma con grande precisione, caratterizzò come quello di un “andante sostenuto".
Questo slancio, una sorta di totale abbandono dell'autore alla sua attività, sembra sfuggire al quadro meramente professionale e ha certamente radici più profonde. David Arrigucci Jr. a volte dichiarava di aver progettato, in un primo momento, di essere uno scrittore e un filologo. Questo progetto, concretizzato dalla pubblicazione tardiva di due romanzi, aiuta a spiegare qualcosa: creazione e critica si intrecciano. Per lui, le opere letterarie hanno una grandezza vitale e il mestiere sia del critico che del creatore tocca necessariamente ciò che è più essenziale nell'esperienza umana.
È quanto si legge anche nella prefazione al libro del 1979, “un tentativo di comprendere ciò che ci supera, sfida e illumina”; In Ugolino e la pernice, il narratore, prima di addentrarsi nel racconto di un'insolita caccia di Ugolino, sottolinea che questa storia “riassumeva l'impulso a vivere che lo animava, che è sempre inspiegabile, ma fa venire voglia di capire”; In l'involtino, riguardo a un certo personaggio, afferma il narratore, "tutto in questo mondo ha una storia, le cui cause possono essere indagate fino a quando non sono fuori vista".
Questa alta visione della letteratura comprende molte cose: il sublime, il sentimento della bellezza, certamente, ma anche l'umorismo, l'erotismo, tra le altre dimensioni, che sono sempre state considerate nelle loro determinazioni storiche.
Lontano da ogni neutralità, poiché ciò che viene detto è vitale e mantiene con esso uno stretto patto, lo stile critico di Davi Arrigucci Jr. è inconfondibile, anche se senza le idiosincrasie degli altri nostri grandi critici – Mário de Andrade per eccellenza. La scelta del vocabolario e l'elaborazione della sintassi sono alcune delle procedure più visibili in cui si cercano precisione concettuale e suggestione poetica.
Il lavoro meticoloso con il linguaggio si apre, a sua volta, alla forma più ampia del saggio nell'avvicinarsi a questo altro sempre sfuggente. Più o meno come Ugolino davanti alla pernice: “Dovevo immaginare un anello di altro tipo, più largo, come i molteplici tentacoli di un polpo, che si richiude su di esso (…) Valeva la pena provare questo tipo di anello di galoppo dal fondo del mare sulla terraferma”, in cui la stravagante ingenuità dell'immaginario dà la misura della difficoltà dell'impresa.
Tutta questa zavorra permea il nuovo libro, Il custode dei segreti, che fin dal titolo, tratto da un verso di Sebastião Uchoa Leite, riprende questioni fondamentali per il critico: il “sublime occulto”, l'“enigma”. Vale anche la pena di identificare la lunga fedeltà alla letteratura brasiliana e, seppure in misura minore, a quella ispano-americana.
Altrettanto notevole è la varietà delle opere e dei generi studiati, varietà che ha portato all'organizzazione del libro in tre grandi parti, relative rispettivamente alla poesia, alla prosa e alla critica, seguite da un'ottima escursione sul cinema di Hitchcock, in particolare sul film frenesi, in cui il critico letterario nuota un miglio quando rivisita, sostenuto da un solido senso della forma, temi a lui cari, come l'umorismo nero, l'erotismo, la caccia...
Per quanto riguarda la poesia, si studiano João Cabral de Mello Neto, da una proficua attenzione al concetto di lavoro nella sua poetica, Drummond, Ferreira Gullar, Cecília Meireles; ma la novità più grande è l'attenzione rivolta a poeti meno canonici, e anche più vicini alla stessa generazione del critico: Roberto Piva e Sebastião Uchoa Leite, entrambi bizzarri, ma con un'improbabile approssimazione, di ceppi opposti. Forse gli studi su questi due poeti sono stati quelli in cui il critico ha incontrato le maggiori difficoltà in questo settore del libro.
Roberto Piva è affrontato in due saggi. Si parte dal riconoscimento del suo “individualismo anarchico” e della natura informe o caotica della sua poesia, ma lo scopo è comprendere la “novità dell'impasto incandescente da lui inventato, senza ridurlo al conosciuto”. I dialoghi di Piva con la poesia internazionale, Whitman e Rimbaud, i surrealisti, la beat generation, tra gli altri, sono ancora una volta sottolineati, così come con l'argento della casa, Murilo Mendes, Jorge de Lima, Cruz e Sousa, Augusto dos Anjos , ma presto sorpassate, poiché, in un primo momento, indicherebbero solo l'inquadramento più generale del poeta nella modernità.
Ciò che può definire la particolarità di Roberto Piva per il critico è il modo in cui affronta la “materia” brasiliana – “componenti eterogenee ea volte disparate”, che il soggetto lirico sta “agglutinando” nel suo passeggiare per la città di San Paolo; agglutinante, ma ossessivamente trasfigurante, tanto che il risultato è un mix tra la cruda notazione e lo slancio verso il sublime.
In questo senso, le approssimazioni con Álvares de Azevedo e Mário de Andrade avanzano un po' oltre, anche attraverso lo spazio comune della città di São Paulo, e il critico trova analogie sia con l'“individualismo drammatico” del poeta romantico sia con il “poesia itinerante” del poeta modernista, secondo le formulazioni di Antonio Candido. Situando Roberto Piva nella tradizione della poesia brasiliana, il critico stesso si pone anche di fronte alla tradizione della critica brasiliana.
Nella parte del libro dedicata alla critica, oltre ad Antonio Candido, Arrigucci parla di altri due autori, Gilda de Mello e Souza e Marlise Meyer. C'è anche una lunga e importante intervista in cui l'autore discute l'interpretazione di opere letterarie.
Quanto alla prosa, i brasiliani discutono i quindici, I topi, Grande entroterra: sentieri e Coltello, di Ronaldo Correia de Brito. Il testo sul romanzo di Guimarães Rosa ne riprende un altro, già classico, più ampio e forse più completo ("O mundo misto"), ma contiene formulazioni diverse e affascinanti, oltre al segno dell'oralità, che evoca il grande maestro. Sempre nell'ambito della prosa brasiliana, la progressiva interiorizzazione del punto di vista dell'altra classe, del povero, del i quindici, attraverso Vite secche, fino a Grande entroterra: sentieri. Questo dialogo si estende allo straordinario lavoro di Juan Rulfo, rispetto a quello di Guimarães Rosa, in particolare Pedro Páramo, con il suo mosaico di voci che ci parlano “dai morti”, nella terra devastata del Messico post-rivoluzionario. Completano questa sezione gli studi su Felisberto Hernández e Jorge Luiz Borges/Bioy Casares, quest'ultimo tra i più consistenti della collezione.
Così come è visibile il dialogo tra i diversi saggi del libro, è molto chiara la trama che si stabilisce tra questo e gli altri libri di Davi Arrigucci Jr., componendo un set che è uno dei più importanti della nostra critica in ogni momento .
*Murilo Marcondes de Moura Professore di letteratura brasiliana all'USP e autore di Murilo Mendes: La poesia come totalità (Edusp).
Originariamente pubblicato su Jornal de Resenhas n.o. 9, 2010.
Riferimento
David Arrigucci Jr. Il custode dei segreti. San Paolo, Companhia das Letras, 280, XNUMX pagine.