Di Flavio Aguiar*
Nella Brexit ha vinto il passato, sconfiggendo il futuro. Lì, i timori di un'immigrazione vista come incontrollata si sono uniti al sentimento nostalgico di un impero che non esiste più.
“L'inglese – freddo marinaio,
Chi è stato trovato alla nascita nel mare,
(Perché l'Inghilterra è una nave
quel Dio ancorato nella Mancia),
Rijo canta le glorie della patria,
ricordando storie orgogliose
Da Nelson e Abukir”.
Castro Alves, ne “La nave degli schiavi”.
Quando ho iniziato a trasferirmi a Berlino all'inizio del 2007, l'Unione Europea era una certezza incrollabile. Una conquista dell'umanità. Portava dentro di sé, nonostante le contraddizioni, una promessa di pacificazione in un continente che aveva generato due dei più grandi conflitti armati del XX secolo e della storia umana. Tuttavia, portava, come un personaggio di una tragedia greca, una cicatrice di nascita.
Seme piantato in tempi di quasi egemonia degli ideali socialdemocratici nell'Europa occidentale (Trattato di Roma, 1957, che istituiva la Comunità Economica Europea), fiorì dal Trattato di Maastricht (1992), che formalizzava l'esistenza dell'Unione, già sotto la segno dell'impero neoliberista, la disgregazione del blocco e dell'Unione Sovietica, e la progressiva resa della maggior parte dei partiti socialdemocratici europei alle idee consolidate nel cosiddetto “Washington Consensus”, come coniato dall'economista John Wiliamson, del Tesoro, FMI e Banca Mondiale nel 1989.
Questo “tragico fallimento” determinerà il corso politico dell'Unione dopo la crisi finanziaria del 2007/2008 che, oltre a scuotere o distruggere l'economia di diversi paesi del continente, intensificando la crescita delle disuguaglianze ai suoi confini, ha compromesso in maniera decisiva il quell'aura di certezza che segnava la sua esistenza.
Da allora, ciò che si è osservato in Europa è, in buona parte, il risorgere di vessilli, gruppi e partiti di estrema destra, in versioni diverse e peculiari di ciascun paese, che colpiscono frontalmente i fondamenti, sia pure prevalentemente conservatori, del Unione. La Brexit, la turbolenta e inedita uscita del Regno Unito dall'Unione Europea il 31 gennaio, fa parte di questa ondata reazionaria che ha attanagliato cuori e menti, nonostante la resistenza attiva qua e là.
Questo è il primo grande risultato concreto di questa ondata estremista che travolge l'Europa, cambiando in modo inevitabile lo scenario politico, lasciando l'orizzonte futuro offuscato da una cortina di dubbi e incertezze, per quanto tutti i personaggi coinvolti vogliano disegnare “previsioni del tempo” .circondato da nuvole rosa e aurore promettenti. Cresce il tono crepuscolare con il promesso “pensionamento”, a partire dal 2021, di colui che negli ultimi 15 anni è diventato il poliziotto, il bilanciere, il muro di contenimento e il nuovo caposaldo dell'Unione, la cancelliera tedesca Angela Merkel. Non c'è ancora una nuova leadership che prometta un'efficace sostituzione della politica conservatrice e dei primi ministri a Berlino e da Berlino.
Il presidente francese Emmanuel Macron è ancora una promessa vaga e dubbia. Papa Francesco I fa da contrappunto alla crescita dell'estremismo xenofobo, ma è ben lungi dall'avere un'influenza politica decisiva sugli eserciti neoliberisti che sono ancora egemonici nell'Unione nel suo complesso. Intanto quello che imperversa in questi angoli è l'erba caotica e travagliata dei politici di estrema destra, leader come Viktor Orban, dall'Ungheria, quelli di Alternative für Deutschland, in Germania, da Vox, in Spagna, Le Pen in Francia, Matteo Salvini, in Italia, i bigotti dalla Polonia, il un po' sbiadito ma ancora vivo Geert Wilders in Olanda e ora, ovviamente, l'indefettibile, inevitabile, imprevedibile e insopportabile Boris Johnson, alla guida della Brexit da Londra.
Di fronte a questo tsunami di estrema destra e alla compressione neoliberista che ancora regna nei palazzi dell'Unione, magre vittorie del centrosinistra in Portogallo, in Spagna, alle elezioni regionali delle Emiglia romane in Italia, tra le altre, la tenace lotta di Francisco I, sempre vessati da Steve Bannon, dal cardinale Raymond Burke e dall'estrema destra cattolica, sembrano più luci di boe che guizzano nella tempesta in alto mare e, se mostrano che la speranza è l'ultima a morire, mostrano anche la nostra distanza dal barlume di qualsiasi luce nell'oceano.fine del tunnel.
Dopo i relativi fallimenti di Le Pen in Francia, Wilders in Olanda e Salvini in Italia, Boris Johnson è diventato l'ospite d'onore europeo alla tavola di Donald Trump, accanto a Benyamin Netanyahu in Israele e al principe Mohammad bin Salman in Arabia Saudita, al banchetto dove Jair Bolsonaro ed Ernesto Araújo non sono altro che schiaffi spregevoli e disprezzati, anche se desiderosi delle briciole che possono catturare grazie agli anelli che baceranno.
Il nuovo Primo Ministro del Regno Unito (dalle elezioni del 2019) è la diretta conseguenza della devastazione che il plebiscito del 23 giugno 2016, sulla Brexit, provocò nella politica del “conglomerato” che, oltre alla Gran Bretagna , riunisce Scozia, Galles e Irlanda del Nord, resti di quello che un tempo era l'imbattibile Impero Britannico, quello dove “il sole non tramonta mai”.
Fino ad oggi, nessuno è stato in grado di spiegare completamente perché l'allora primo ministro conservatore David Cameron abbia indetto il plebiscito che avrebbe portato alla sua caduta. Nemmeno lui è riuscito a trovare una spiegazione convincente. L'ipotesi più citata è che abbia voluto affermare la sua leadership all'interno del proprio Partito conservatore, oggetto di una serie di contestazioni da parte dei correligionari di fronte a quella che ritenevano troppo indulgente rispetto alle esigenze e regole di Bruxelles (sede dell'Esecutivo dell'Unione). Quel che è certo, però, è che la sua decisione si è basata su un errore di calcolo.
Si aspettava di vincere facilmente (attraverso la vittoria della permanenza nell'UE) ed è stato sconfitto clamorosamente, dimettendosi immediatamente dall'incarico e dalla guida del partito. Se i motivi della convocazione rimangono alquanto oscuri, il risultato del risultato consente alcune conclusioni traslucide – soprattutto se, come si farà più avanti in questo breve commento, si tiene conto del risultato delle elezioni del 2019, che ha portato all'irregolare e un po' eretico Boris Johnson nell'ambita residenza al 10 di Browning Street.
L'affluenza alle urne è stata relativamente alta: il 72,21% dei 46.500.001 elettori registrati. 17.410.742 (51,9%) hanno votato per lasciare l'UE, mentre 16.141.241 (48,11%) hanno votato per restare. Trascurabile il numero di voti nulli e bianchi: 25.359 (0,08%). Elevata, invece, l'astensione: 12.932.759, pari al 27,79%. Cioè, quasi il 30% dei votanti (esclusi coloro che hanno avuto qualche impedimento di forza maggiore a non partecipare) non si sono preoccupati del risultato.
La permanenza ha vinto nella Greater London, nell'Irlanda del Nord e in Scozia. Ha anche vinto con ampio margine tra i più giovani e perso, sempre con ampio margine, tra gli ultracinquantenni. Se si aggiungessero i voti di quelli tra i 50 ei 18 anni, la permanenza vincerebbe con un margine ristretto. In questo senso azzardo qui un'interpretazione: ha vinto il passato, sconfiggendo il futuro. Perché, secondo testimonianze dell'epoca, lì si raccoglievano i timori degli anziani, vessati dalle incertezze di fronte a quella che vedevano come un'immigrazione forse incontrollata, con il sentimento nostalgico di un impero che non esisteva più, se non nelle ombre che compensavano il bagliore dell'insicurezza. Altro dato importante: schiacciante la vittoria in uscita tra i più poveri ei meno istruiti.
Per questo risultato c'è stata una competizione la cui dimensione fino ad oggi non è stata propriamente definita, sebbene sia stata sollevata: si chiama Cambridge Analytic. Questa società, fondata nel 2013 come filiale di Laboratori di comunicazione strategica, Infatti Gruppo SCL, operante in quattro continenti regolarmente abitati, ha raccolto illegalmente dati da 87 milioni di utenti Facebook, per i quali è stata espulsa dalla piattaforma. Secondo le informazioni disponibili, ha utilizzato questi dati per guidare (il come resta da discutere) le azioni di due gruppi legati alla Brexit, Leave.EU e UKIP, un partito di estrema destra nel Regno Unito, con quel tipo di messaggio. diretto algoritmicamente che sarebbe stato poi utilizzato nell'elezione di Trump, l'8 novembre 2016, e di Bolsonaro, nel 2018.
A Cambridge Analytica aveva già avuto un ruolo importante nella campagna del senatore texano Ted Cruz quando si candidò alla candidatura a presidente del Partito Repubblicano alle elezioni che Trump avrebbe finito per vincere, oltre ad altre 44 dispute politiche negli USA . Ci sono state inchieste sul ruolo dell'azienda nella Brexit, ma come è consuetudine nei media tradizionale Ovest, sono stati gettati sotto il tappeto, spostando l'attenzione sulle ipotesi che ci fosse stato un intervento russo di Vladimir Putin a favore della Brexit, ovviamente sotto il telo. Insomma, tanta convinzione, poca indagine. Fatto sta che, viste le accuse, il Cambridge Analytic dichiarato fallimento e chiuso nel maggio 2018. Sebbene la maggior parte dei suoi amministratori delegati (Ufficiali esecutivi centrali) si è trasferita nella nuova società simile Emerdato, dove continuano felicemente a lavorare.
Il risultato della Brexit ha fritto David Cameron. Ma è andato avanti. Per motivi ancora oggi poco chiari, il leader dell'Ukip, Nigel Farage, si è dimesso, affermando che "la sua missione è stata compiuta". A Cameron è succeduta Theresa May, che ha tentato invano di unire i fini della Brexit con i dettami di Bruxelles: è finita fritta, e si è dimessa. La Brexit ha anche segnato l'ascesa del leader del partito laburista di sinistra Jeremy Corbyn. Come al solito, è diventato l'obiettivo di sordide campagne di destra, incluso l'essere antisemita. Risultato: la sua ascesa è stata brillante quanto la sua caduta, nel 2019, in cui ci sono state anche una serie di titubanze e tergiversazioni da parte sua.
Questa elezione ha segnato la transizione verso un nuovo design nella politica britannica. Boris Johnson ha vinto la leadership del Partito conservatore. Può essere considerato una specie di Bolsonaro senza ferri di cavallo, con i guanti e più moderazione nel linguaggio, ma è anche sboccato e sa essere scomodo come pochi. Tra le altre cose, decise (cioè chiese alla regina) di chiudere il Parlamento per cinque settimane, cosa che sconvolse l'establishment britannico tanto quanto l'Atto 5 sconvolse i pochi democratici rimasti in Brasile nel 1968. Litigò con il suo partner che sono diventati pubblici. Considerato un comportamento aggressivo nei confronti delle donne, si è scusato alcune volte per questo. E così via. Anche il suo comportamento come sindaco di Londra (2008-2016) e come segretario agli affari esteri (2016-2018) è stato segnato da polemiche.
Al momento delle elezioni del 2019, tutta questa situazione ha rivelato la sua complessità. I conservatori, guidati da Johnson, hanno ottenuto una vittoria storica, la più grande dai tempi di Margaret Thatcher. Il motivo principale di questa vittoria è stato il cambio di voti nella cosiddetta “cintura rossa”, nel nord dell'Inghilterra, vicino al confine con la Scozia. Questa tradizionale roccaforte laburista ha votato pesantemente con Johnson e i conservatori, cercando di assicurarsi le loro posizioni contro questa fantasmagorica invasione di immigrati e rifugiati che ora è lo sciame dell'Europa. Così, gli ex minatori, che ebbero i loro diritti, il loro lavoro e i loro sindacati polverizzati dall'implacabile Margaret Thatcher negli scontri degli scioperi del 1984/1985, oggi residenti in una zona devastata dalla disoccupazione e dalla penuria, votarono a favore del politico che garantito loro lo scoglio della xenofobia.
O tempora, o costumi.
Cosa seguirà? Non è noto. Il futuro è molto incerto. Ci sono questioni scottanti da risolvere: il commercio tra i paesi dell'UE e il Regno Unito; i movimenti indipendentisti in Scozia riprendono forza per nuovi plebisciti in materia; nell'Irlanda del Nord, il movimento per la riunificazione con la Repubblica d'Irlanda, appena a sud; ci sono problemi di migrazione e immigrazione con l'UE; e molti altri.
Questo - l'Unione - è entrato in una piscina da biliardo. Se la Brexit si rivelerà un fallimento economico per il Regno Unito, ci saranno sconvolgimenti sociali sull'isola che si ripercuoteranno sulla terraferma; in caso di successo, stimolerà simili movimenti di estrema destra dall'Atlantico al Mar Nero fino alle rivolte del Mediterraneo. Non aspettarti tempi facili da mettere lì.
Di tutte, una sola conclusione è possibile: l'antica “nave che Dio ancorò in Mancia”, nel gustoso detto del nostro poeta abolizionista, è alla deriva, e trascina con sé l'Unione Europea.
*Flavio Aguiar è un giornalista, scrittore, professore in pensione di letteratura brasiliana all'USP.