da FÁBIO HORÁCIO-CASTRO*
Considerazioni sul romanzo di Julien Gracq
Il romanticismo Le Rivage des Syrthes (La costa delle Syrtas), di Julien Gracq, pubblicato nel 1951, mi ha permesso di rendermi conto che la geografia può diventare finzione e che la finzione può diventare geografia. Questa è stata una scoperta della massima importanza, che ha influenzato sia la mia comprensione della scienza che la mia comprensione della letteratura. Quando l'ho letto, più di vent'anni fa, sapevo già che la storia e l'antropologia possono essere trasformate in finzione, ma non avevo idea che questa formula potesse essere estesa anche alla geografia. Allora, vorrei parlarvi un po' di questo libro, uno dei più strani e, allo stesso tempo, più belli che abbia mai letto.
Julien Gracq, scrittore francese nato nella Valle della Loira nel 1910 e morto nel 2007 nella stessa regione, ricevette nel 1951 il Premio Goncourt, il più importante premio letterario di Francia, proprio per questo romanzo – premio che, per inciso, rifiutò , suscitando un enorme scandalo, anche perché era la prima volta – e unica, fino ad oggi – che Goncourt veniva rifiutato.
Era il terzo romanzo di Julien Gracq, fortemente influenzato e riconosciuto per il movimento surrealista (Grossman, 1980). Da Al castello d'Argol, il suo primo libro, del 1938, fu accompagnato da alcuni settori della critica letteraria, che gli riconobbero l'influenza di questo movimento estetico su di lui e, anche, una certa distanza critica che la sua opera portava nei confronti dei surrealisti (Cf. Berthier, 1990 ; Carrière, 1986; Cahier de l'Herne, 1972; Revue 303, 2006).
Ma veniamo al romanticismo. di cosa si tratta Le Rivage des Syrthes? Dalla monotonia della vita? Della paura in relazione all'alterità? Di un suicidio collettivo? Forse un po' di tutto questo, insieme a una teoria sullo spazio e il tempo.
Partiamo dalla trama del romanzo. Che, tra l'altro, è molto facile da contare, perché nelle quasi 400 pagine del libro non succede praticamente nulla. Questo accade perché Le Rivage des Syrthes è un libro di paesaggio, una descrizione di luoghi, persone e anche silenzi, non trame o avvenimenti. È un libro che parla del silenzio. Un elemento fondamentale di questo romanzo è il silenzio. Un silenzio che non significa assenza di rumore, poiché i suoni della natura, della civiltà e dell'inciviltà sono accuratamente ed ampiamente descritti.
È un silenzio di parole, di dialoghi, di linguaggio. Il mondo dove va Le Rivage des Syrtes non è ancora stato addomesticato, o colonizzato, dal linguaggio. E, quindi, è un silenzio che allegorizza cose come l'inerzia, la noia, la storia, il rumore e la paura – che sono cose che resistono alla sottomissione al linguaggio, almeno a quello che più comunemente intendiamo come linguaggio.
Il silenzio di Julien Gracq è un silenzio paradossale: non succede niente e questo porta a vedere che succede tutto. Gracq, in fondo, sta tematizzando il linguaggio come strumento di conoscenza del mondo. Sta dimostrando che il linguaggio media il rapporto con il mondo, ma anche che il mondo è molto più grande del linguaggio e non sempre può essere assoggettato, ridotto, ad esso.
Ma sì, andiamo alla trama, per così dire, di questo romanzo, anche se parlare di trama, riguardo a questo libro, è quasi assurdo. Tutto ruota attorno a questo quasi, attorno alla parola quasi, che in realtà è il vero tema del libro.
La storia inizia con l'arrivo di un giovane aristocratico, Aldo, in una provincia d'oltremare appartenente all'antica signoria di Orsena, suo paese. Questa è la provincia di Syrtas, che è separata da un mare interno, il Mare di Syrtas, da un paese selvaggio e misterioso, il Farghestan. La signoria di Orsena era in guerra con il Farghestan trecento anni fa, e da allora non ha più avuto contatti con quel barbaro paese. Teoricamente questa guerra non è finita, in quanto le due nazioni non hanno mai firmato un armistizio, ma da 300 anni i combattimenti sono paralizzati. Non c'è scambio tra i due paesi. Nessuno può navigare o pescare in quel mare e Orsena vive nell'eterna attesa della ripresa dei conflitti.
Tutti a Orsena sono sempre all'erta per la costa, per i lidi, per la costa della provincia di Syrtas, vigili e attenti a qualsiasi movimento proveniente da lì – ma non si vede nulla.
Aldo, il narratore della vicenda, appartiene ad una delle famiglie più antiche ed importanti della signoria di Orsena. All'inizio della trama riceve un incarico pubblico di grande dignità, ma che tradisce l'evidente decadenza di Orsena, una repubblica dove non succede nulla e che vive intrappolata nel suo glorioso passato. Aldo viene inviato come “osservatore” della situazione militare della provincia. Immaginate che strana funzione: osservare uno stato di pace, una situazione di non belligeranza che dura da 300 anni.
Ebbene, Aldo è un ragazzo disforico, cioè un ragazzo insoddisfatto, riflessivo, che non crede che le cose possano davvero cambiare. Nella sua disforia, Aldo incarna uno degli arcani della letteratura mondiale, che è appunto l'immagine del ragazzo disforico, che viene da, che procede, che nasce, da un letargo sociale e che si confronta con un mondo esuberante che può o non può ritirarlo dalla sua condizione (Enthoven, 2014). Questo arcano letterario è presente in Marcel, il personaggio di Proust; in Hans Castorp, il personaggio de La montagna incantata, di Thomas Mann; in Floriano Cambará, da O Tempo e o Vento, di Érico Veríssimo, e anche in Alfredo, da Ciclo do Extremo Norte, di Dalcídio Jurandir. A proposito, non solo l'immagine del narratore disforico è una delle grandi figure della storia letteraria, ma anche la disforia – che, appunto, consiste nel dubitare della civiltà – costituisce uno dei trucchi centrali che la letteratura ha nel rinnovare il patto di civiltà.
Disforico, in questo caso, si dice sia l'opposto di euforico – il soggetto eccessivamente eccitato per qualcosa – tenendo presente che, in psichiatria, la disforia ha generalmente come sintomi depressione e ansia, ma che in letteratura si manifesta soprattutto, come un fastidio, una perplessità e un'inerzia di fronte al mondo.
Aldo arriva nella provincia costiera di Syrtas e prende residenza nella fortezza principale che la Repubblica di Orsena mantiene in loco, comandata dal generale Merino, con il quale diventa amico. Fa anche amicizia con altri personaggi, come Fabricio, Giovani, Roberto, tutti soldati nella fortezza. C'è anche Belzenza, il rappresentante della signoria, il governatore della provincia di Syrtas, che simboleggia perfettamente il letargo e il decadimento di Orsena.
E c'è anche un personaggio femminile, Vanessa Aldobrandi, una nobildonna di Orsena che vive in provincia, in un palazzo, nel borgo di Marema. Il trisnonno di Vanessa era un generale, un eroe dell'antica guerra contro il Farghestan.
Il nome Vanessa Aldobrandi ha riferimenti interessanti. Il suo cognome contiene il nome Aldo (Aldobrandi) e lo stesso nome Vanessa rimanda ad elementi della sua personalità: la misteriosa evanescenza che la caratterizza e anche la farfalla Vanessa, genere appartenente al gruppo Ninfalini, considerato per la sua bellezza ma anche come simbolo demoniaco, nella tradizione simbolica europea. A proposito, è questa farfalla che è dipinta sul dipinto. La caduta degli angeli ribelli, di Breughel, errando tra i demoni.
Oltre a questi personaggi, occorre descrivere la geografia del romanzo, il suo vero carattere, attraversato da una riflessione sulla temporalità che, in quanto tale, si costituisce come personaggio complementare. Si può così parlare della signoria d'Orsena, della provincia della Sirta, del suo mare, e dell'immediato e nemico territorio del Farghestan. Andiamo, allora, alla geografia immaginaria del romanzo.
Orsena è una città antica e morente, dove non succede nulla, ma dove si vive dei fasti del passato. Nella descrizione che se ne fa, la percepiamo come una città-stato ed è quasi evidente che il suo modello è Venezia. Questa antica signoria conta ancora diverse colonie, territori generalmente improduttivi, punti fondamentalmente militarizzati che servono a garantire la sussistenza della sua antica nobiltà.
La provincia di Syrtas, a sua volta, sembra sabbie mobili, tante culture sono intervenute su di essa attraverso successive invasioni e civiltà. Un mosaico barbaro, dominato dal nomadismo delle popolazioni locali e dall'incomunicabilità.
La repubblica di Orsena è fissa, duratura, storica, ma il Farghestan è mobile, vivo, mutevole. Il primo è disforico e il secondo euforico. La provincia di Syrtas, a sua volta, situata tra questi due mondi, è un territorio ambivalente: governato dal potere razionalizzante, moderno, europeo di Orsena ma vulnerabile a una storia barbarica, una natura misteriosa e modi di linguaggio che non sono compresi. il potere dominante.
Questa convivenza attenta e vigile produce una cultura del silenzio. Si sente molto e non si dice quasi nulla. E in quell'attesa, tutto può cambiare in qualsiasi momento. Basta un dettaglio, un piccolo movimento sospetto per cambiare il mondo. La vita diventa un'eterna attesa, veglia, vigilanza.
Territori immaginari, fatti di lagune, antiche città, fitte foreste, grotte misteriose e palazzi abbandonati. Tutto ciò produce l'immagine di una situazione di confine, tra passato e presente e, soprattutto, tra desiderio e noia. Per inciso, questa polarizzazione tra desiderio e noia è uno degli ingranaggi che muovono il libro. Lo stile sconclusionato del narratore – Aldo stesso – suggerisce questa noia: frasi lente e lunghissime, quasi nessuna azione, la descrizione riflessiva dei dettagli del paesaggio, i silenzi, l'incomunicabilità. È immensamente vicino allo stile e alla noia di classe di Marcel Proust, l'autore più influente dell'opera di Julien Gracq. Uno stile che traduce sicuramente a abitudine di classe, riferito al modo di vedere il mondo, e soprattutto la storia, dell'aristocrazia a cui appartiene il narratore.
Ed è proprio a causa di questa noiosa monotonia che si fa l'alterità. Vedere Farguestan, conoscere questo luogo, è sempre una tentazione mal celata dai personaggi. Il mare di Syrtas è interdetto alla navigazione da 300 anni e quindi ciò che rimane è l'orizzonte lontano. Durante un'avventurosa passeggiata attraverso le foreste vicino al confine, Aldo e Vanessa vedono il vulcano Tengri. Sanno che dietro di lui c'è Rage, la capitale del Farguestan, ma anche questa approssimazione è paradossale, perché vedono che non vedono mai la capitale, che è ancora nascosta dal vulcano, sanno solo che è lì, se esiste ancora , ammesso che esista, è ancora la capitale.
Del Farguestan non si sa praticamente nulla, il che ne fa l'esperienza stessa dell'alterità, della differenza, anche esistenziale. Apparentemente il paese si muove, produce storia, è vivo – a differenza del padrone di casa di Orsena, che vive nel passato.
Il Farghestan si presenta proustiano, lontano, un luogo di cui non si sa nulla, una specie di ci – usando un'espressione cara a Julien Gracq – ma, paradossalmente, questo nulla lo rende una presenza viva e immediata, come tale è l'animosità, la predisposizione negativa verso di lui, verso la sua condizione di diverso, di straniero, che lo rende ossessivo presenza. Un nemico immaginario, reso immaginario attraverso un silenzio secolare, che, come il silenzio, fa sempre più rumore.
Il Farghestan è l'alterità, gli altri. Non vogliamo vederli o capirli. Orsena è l'identicità, l'identicità, l'iterazione. L'intero romanzo parla di questa lotta tra l'impero del conosciuto e l'impero dell'ignoto.
Certo, possiamo immaginare che questi territori immaginari abbiano riferimenti immediati. Orsena ricorda Venezia, la repubblica più serena, con il suo passato glorioso e le sue conquiste d'oltremare. Lo ricorda per due ragioni: la tradizione della città di colonie costiere militarizzate e il suo persistente confronto con l'“Oriente”, in particolare con l'Impero Ottomano – riferimenti inter-letti nel testo di Julien Gracq.
Il Farghestan, a sua volta, suggerisce un mondo musulmano, più da vicino l'impero ottomano. La guerra tra questi due mondi ricorda incredibilmente la battaglia navale di Lepanto. È un romanzo geopolitico, come osserva Yves Lacoste (1990, p. 183).
Vorrei anche citare alcuni elementi stilistici del romanzo. Innanzitutto, il fatto che ci sono molte parole scritte in corsivo. Questa risorsa risulta essere una caratteristica del romanzo e permette a Julien Gracq di sovradeterminare il significato, di porre un intoppo di equivocità, di indecidibilità che risuoni, efficacemente e fruttuosamente, sul testo.
Un'altra funzione importante del testo del romanzo è il movimento permanente della descrizione, che diventa paradossale in una trama in cui non accade quasi nulla. Cosa viene descritto? I paesaggi ei borghi della provincia, l'ambiente in stato di sospensione, sempre in attesa di un evento.
Possiamo anche fare riferimento all'immensa influenza di due autori sull'opera di Julien Gracq: Marcel Proust e André Breton, cosa già menzionata da Enthoven. Proust è presente nella struttura frastica, nell'impulso descrittivo e attraverso alcuni temi – come l'architettura e la noia. André Breton, a sua volta, è presente attraverso il surrealismo, discreto nell'opera di Julien Garcq, ma presente e anche attraverso il tema dell'attesa. Dell'attesa che soffia, gonfia, gorgoglia, cambia densità e coagulazione del desiderio. L'attesa che nutre il desiderio.
Un altro elemento importante del libro è il motore dell'azione, effettivamente una grande allegoria per i temi dell'attesa e della ricerca. Il tentativo, attraverso l'attesa, di capire cosa sta succedendo. Quel motore è la voce. Potrei dire qui, evocando il termine heideggeriano di Gerede il “chiacchiericcio” (Heidegger, 2012). All'improvviso, da un momento all'altro, gira voce, un pettegolezzo, che nel Farghestan stanno avvenendo cambiamenti politici. Questa voce, associata alla noia, gioca un ruolo fondamentale nella vita sociale e politica. Orsena tutto si muove dalle voci. Da questa o altre voci. Nella storia non accade nulla, ma Orsena rimane ossessivamente vigile. È dalla diceria che nascono le leggende ed è dalle leggende che nasce la storia.
Come, tra l'altro, osserva Depotte (2020), abbiamo qui il meccanismo di Jean de La Fontaine, nella sua teoria delle favole: tutti sperano, aspettano, ciò che temono. E dall'attesa così lunga, finisce per coltivare un'attrazione morbosa per questo oggetto di paura. E dopo che questa attrazione si è creata, le persone finiscono per essere coinvolte dalla certezza che accadrà e aspettano, permanentemente, che accada. Pertanto, quando cambia un minimo dettaglio o si verifica un evento casuale, c'è la tendenza a credere che questo piccolo cambiamento confermi la convinzione precedentemente sostenuta. È così che si producono le realtà immaginarie. La vita di Orsena si svolge in questo sistema: tutta la politica del Paese ruota attorno a realtà immaginarie, una delle quali è proprio la minaccia di quel nemico immaginario che è il Farguestan.
Qualsiasi somiglianza con la realtà contemporanea, in particolare con la realtà politica brasiliana, non è una mera coincidenza.
E così, dopo tanti colpi di scena, come al culmine di tutte le dicerie, arriviamo al culmine del romanzo. Il generale Merino è assente e Aldo, insieme a Vanessa, decidono di lanciare nel mare proibito una fregata, che si avvicina alle coste del Farguestan e finisce per rilanciare, in verità, non più come voce, i due paesi in guerra. L'errore è stato credere che le voci non producano realtà...
Paradossalmente, questa guerra è celebrata. Nessuno fa niente per fermarlo. Paradossalmente, la guerra libera Orsena. Libera Orsena dalla sua noia, dalla sua attesa, dal suo racconto, gettandola in un'euforia anestetizzante.
Se pensiamo che Orsena rappresenta l'Europa, l'idea di civiltà o anche di nobiltà o di borghesia, possiamo capire che lo stato di guerra, di fronte allo straniero, all'ignoto, al barbaro, rappresenta per alcuni un tentativo di inversione di tendenza necessario e dialettico. Forse questo è il tema centrale di Le Rivage des Syrtes.
Concludo dicendo che, per me, questo lungo poema in prosa costituisce un'intensa emozione letteraria. Un romanzo che fa eco non solo alle mie attese simboliche ma anche alle mie attese riflessive e teoriche attorno a temi a me molto cari e che sono alla base della mia comprensione dei fenomeni che osservo, come l'attesa, il silenzio, la noia, il rumore del pettegolezzo, il pettegolezzo come diceria, l'inefficienza del linguaggio per effettuare la comunicazione e la trascendenza della comunicazione senza linguaggio – sia sulla banalità del linguaggio che sulla banalità del mondo.
*Fabio Horácio-Castro è uno scrittore, autore del romanzo Il rettile malinconico (Record). Con il nome di Fábio Fonseca de Castro, firma il suo lavoro scientifico, come professore presso l'Università Federale del Pará (UFPA).
Riferimento
Julien Gracq. Le Rivage des Syrtes. Parigi, José Corti, 1989, 322 pagine.
Bibliografia
BERTHIER, Filippo. Recensione di Julien Gracq. Lione: Presses Universitaires de Lyon, 1990.
CAHIER DE L'HERNE (rivista). Julien Gracq. NO. 20 (speciale), 1972 (rieditato da Le Livre de Poche, coll. «Biblioessais», 1997).
CARRIERE, Jean. Julien Gracq, chi siete? Lione: La Manufacture, 1986.
DEPOTTE, JP “Le Rivage des Syrtes”, di Julien Gracq. Alchimie d'un roman, n°65. Disponibile in https://www.youtube.com/watch?v=FM-DWqjf9ic.
ENTHOVEN, Raffaello. Le Gai Savoir: Le Rivage des Syrtes, di Julien Gracq. Trasmissione radiofonica trasmessa nel 2014. Disponibile su https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/le-gai-savoir/le-rivage-des-syrtes-julien-gracq-7285745
GROSSO, Simone. Julien Gracq e il surrealismo. Parigi: José Corti, 1980.
Heidegger, Martin. Essere e tempo. Rio de Janeiro: Voci, 2012.
LACOSTE, Yves. Paesi politici, Braudel, Gracq, Reclus… Parigi: Librairie Générale Française, 1990.
REVUE 303 (rivista). Che vive? Autour di Julien Gracq. N. 93 (speciale), 2006. Disponibile presso: https://www.editions303.com/le-catalogue/numero-93-hors-serie-2006-consacre-a-julien-gracq.
la terra è rotonda esiste grazie ai nostri lettori e sostenitori.
Aiutaci a portare avanti questa idea.
CONTRIBUIRE