da PAOLO MARTIN*
Ciò che ci resta di Catullo è sufficiente per dire che il suo generico eclettismo (dei generi poetici) è impressionante
Ci Anni 28 Ho scritto sul giornale Folha de S. Paul cosa pensava del poeta veronese Catullo (circa 87 o 84 a.C. – 57 o 54 a.C.), in particolare riguardo Il libro di Catullo. In quell'occasione è stata lanciata una traduzione integrale dell'opera del poeta a cura di João Angelo Oliva Neto, pubblicata da Edusp in una pubblicazione bilingue, cosa rara ancora oggi.
Il libro è stato un successo editoriale, nell'ambito delle lettere greco-latine in portoghese brasiliano, e ha vinto il premio per la migliore traduzione dell'anno da parte dell'Associazione dei critici d'arte di San Paolo (APCA). Risultato: in breve tempo il tutto esaurito. Al pubblico interessato sono rimaste, in primo luogo, le fotocopie cartacee e, più recentemente, i famigerati pdf.
Torno a parlare ancora non dello stesso libro, ma di uno assolutamente diverso, pur essendo lo stesso.
Mi spiego: lo stesso editore, in un atto di audacia, ha incaricato João Angelo Oliva Neto di produrre la seconda edizione delle stesse 116 poesie e due frammenti. Negli anni successivi all’esaurimento della prima edizione, il traduttore e professore dell’USP si dedicò a realizzare una recensione del libro che ammontava a 904 pagine, mentre l’originale ne contava 278.
Perché una simile espansione? In risposta, propongo tre domande fondamentali su cui riflettere: il poeta, la traduzione e l'editing.
Catullo è un poeta enorme sia nella forma che nel contenuto. Nacque a Verona e visse a Roma al tempo di Giulio Cesare, quindi alla fine della Repubblica, insomma tra l'87 a.C. e il 54 a.C.. Faceva parte del gruppo dei poeti nuovi (.nuovo poeta), o, come Cicerone, oratore e filosofo, chiamato in senso peggiorativo in greco: il “neoteroi“, i più giovani, anzi, i giovani.
Si applicarono ad una nuova corrente che si differenziava in modo incisivo dalla poesia più seria, seria, il cui esponente era Ennio, poeta circospetto, serio, dedito a valorizzare il tono epico, non che questo significasse un difetto. Catullo e i suoi colleghi praticavano uno stile poetico ellenistico che risale ai greci Callimaco di Cirene e Teocrito di Rodi. Poeti e bibliotecari.
A Roma, infatti, a quel tempo non esisteva poesia lirica o giambica vicina a quella che avevano già prodotto alcuni poeti greci arcaici ed ellenistici. La poesia invettiva e la poesia d'amore non erano nel canone romano, non facevano parte del “menu”.
Ciò che ci resta di Catullo è sufficiente per dire che il suo generico eclettismo (dei generi poetici) è impressionante. Lascia la sublimità più alta e cade nella derisione più dura.
Il referente più interessante in questo senso riguarda la sua musa ispiratrice, che non è altro che la sua amata, la sua poesia, Lesbia. Lei è il bersaglio degli elogi più sublimi, ma anche delle denigrazioni più dure:
“Vivremo, Lesbia, ameremo, / E le voci dei vecchi più severi, / tutte!, non valgono nulla. I soli / potranno morire e rinascere, ma noi / quando tramonterà la nostra breve luce, / un'unica, eterna notte, dormiremo. / Dà mille baci e poi altri cento, dammi / poi altri mille, altri cento dopo, / poi altri mille e dopo altri cento, / poi quando ne avrai fatte tante migliaia, / perderemo il conto, ci confonderemo , / perché qualche cattivo potrei invidiarlo / se ne conoscessi tanti, tanti baci” (poesia 5).
Sembra chiaro che sorgono due domande. La prima riguarda i “vecchi severissimi”, che sarebbero coloro ai quali Cicerone avrebbe opposto la “neoteroi", Voi "nuovo poeta".
In secondo luogo, Lesbia è la sua amata, la sua musa ispiratrice, la sua poesia. È curioso che il suo nome si riferisca all'isola di Lesbo, da dove proveniva la famosa Saffo, poetessa e produttrice di poesia. Da ciò si deduce che Lesbia è essa stessa la poesia personificata, la poesia femminile, parte della poesia di Catullo.
Ma si trattava del cammino dal sublime all'avvilimento, cammino che il poeta percorre più volte. Se guardiamo un altro riferimento a Lesbia, noteremo questo contrasto: “Celio, la mia Lesbia, Lesbia, quella, / quella Lesbia solo quella che Catullo / amò più di sé, più dei suoi, / oggi frequenta i vicoli , e sugli angoli, / figli di Remo sbucciano magnanimi”. (poesia 58)
Il riferimento alla poesia precedente è evidente, del resto, quanto amore vi sia scritto. Al lettore contemporaneo, gli ultimi due versi suonano enigmatici, perfino strani.
Forse “vicoli” e “angoli” suggeriscono qualcosa di comune ancora oggi, ma a cosa si riferisce il verbo “sbucciare”? Fellatio, sesso orale? Sì, è quello che sembra essere. Il verbo latino ha il suo significato decifrato nella sua onomatopea, “glubit“, che si traduce in un’enorme amplificazione: i magnanimi figli di Remo, secondo la leggenda, simboleggiano tutti i romani.
Il passaggio dall’elogio all’insulto – aristotelicamente, possibilità di discorso epidittico o dimostrativo – è un riferimento metalinguistico. Se Lesbia è con tutti i romani, non si abbassa, anzi, si eleva, è la poesia che tutti conoscono.
Ma Il libro di Catullo c'è molto di più. Ha tre sezioni. Il primo, “Le Trifles” (nugae), che João Angelo Oliva Neto ha tradotto in latino, nugas, con piccole poesie di vita quotidiana che trattano di amore, gioia, piacere, rabbia, amicizia, grazia. Mi sembra Roma vista poeticamente e archeologicamente.
La seconda è costituita da lunghi poemi nuziali, alcuni anche esametrici, il metro dell'epica, come nell'epilio (piccola epopea) delle nozze di Teti e Peleo, che, secondo l'anticipazione cronologico-mitica, sarebbe il momento antecedente la nascita di Achille, da qui il vero punto di partenza della saga di Ilio, del resto l'epopea tratta dell'ira del figlio di Peleo.
Il terzo e ultimo momento del libro è la raccolta di poesie in distici elegiaci, una strofa di due versi con misure regolarmente diverse. Poesie che uniscono lamento ed erotismo. Diciamo che è dell'amore sfortunato che parla l'elegia romana.
In questa sezione, credo, lo studioso-traduttore acquista importanza sia nella forma che nel contenuto. La poesia 65 è un gioiello in latino o nell'eccellente portoghese di João Angelo Oliva Neto. Un distico di questa sezione riassume la crocifissione d'amore del poeta:
“Lo odio e lo amo. "Come allora?" forse ti chiederai. / Non lo so. Sento che sta accadendo e mi crocifisso”. (poesia 85)
Mi rivolgo ora al lavoro magistrale di Edusp. Raramente sono riuscito a entrare in contatto con un'edizione del genere. Il libro è realizzato con copertina rigida; Le tue immagini hanno significato e importanza rispetto al contenuto scritto. Il colore delle pagine misto tra poesie e traduzioni e note, le sezioni precise e intelligenti, una bibliografia esaustiva raramente accettata dalle case editrici rendono l'insieme ancora più importante.
Infine, João Angelo Oliva Neto, recensendo il suo lavoro di traduzione, precedentemente dedicato a “make è nuovo“, dal ceppo di Ezra Pound e TS Eliot, al di fuori dei concreti brasiliani, si radicalizza, poiché abbandona quell'avanguardia e ne assume la vocazione filologica e storica. Il prodotto contribuisce alla comprensione di chi non conosce il latino.
Il traduttore adotta radicalmente la funzione di operare due livelli di significato equivalenti, non operando un'interpretazione spesso anacronistica, assumendo così la storicità del testo.
João Angelo Oliva Neto è oggi un traduttore maturo e un importante filologo. Pochi, forse nessuno, potevano offrirci un'opera così curata. A noi lettori di Catullo restano gioia e apprendimento. Siamo di fronte al”dolce et utile“Oraziano. Cioè ciò che è dolce e gradevole e ciò che è utile e convincente.
Fernando Pessoa direbbe “senti, senti chi legge”.
* Paulo Martins Docente di Lettere Classiche e Direttore della Facoltà di Filosofia, Lettere e Scienze Umane dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di La rappresentazione e i suoi limiti (edusp).
Originariamente pubblicato sul giornale Folha de S. Paul.
Riferimento
Il libro di Catullo. Traduzione e organizzazione: João Angelo Oliva Neto. 2°. Edizione. San Paolo, Edusp, 2024, 904 pagine. [https://amzn.to/4dT5Tsz]
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