da RAFAEL LOPES AZIZZA*
Commento a un saggio di Arley Ramos Moreno
In “Le discipline umanistiche nell'era dell'università tecnologica”,[I] Il filosofo brasiliano Arley Ramos Moreno mette in luce in modo chiaro e sfumato una manovra ideologica che distorce il luogo e l'apprezzamento del pensiero critico. Questa manovra consiste nell'applicare criteri non pertinenti ai giudizi del pensiero critico, appropriati solo ai giudizi sull'operato delle scienze empiriche e della tecnologia. Il saggio ha per oggetto il posto delle discipline umanistiche nel modello universitario che l'autore chiama “tecnologico”. Per questo ripercorre un percorso storico di costruzione di una distinzione tra scienza e sapere pratico, al fine di chiarire la complessità dei rapporti tra teorie scientifiche, sapere tecnologico e riflessione critica. Il suo scopo non è quello di giustificare alcun tipo di gerarchia tra questi esercizi dello spirito umano. Al contrario: attraverso una visione più chiara e obiettiva delle loro relazioni e differenze, si tratta di rendere giustizia ai requisiti delle loro diverse operazioni, metriche e risultati attesi.
Arley Moreno parte da una distinzione classica: lo “scienziato” elabora teorie sugli universali, e l'”ingegnere” applica queste teorie a situazioni particolari – “il che certamente fa proliferare nuove domande, assenti dalla riflessione esclusivamente teorica dello scienziato”. Ora, tra le discipline umanistiche ne troviamo alcune che mirano alla pratica dello “scienziato” (conoscenza teorica) e altre che mirano alla pratica dell'“ingegnere” (conoscenza pratica). Questo criterio non ci serve, quindi, per delimitare le discipline umanistiche da altri tipi di sapere. Un criterio più appropriato sarebbe “l'attenzione data all'oggetto di studio da queste attività”, incentrata o sulla causalità o sui significati ad esse attribuiti. La psicologia è un buon esempio: il suo campo spazia dalle reazioni fisiologiche ad aspetti significativi del comportamento. Il criterio di messa a fuoco dato all'oggetto, vale a dire causalità o significato, consente all'autore di spostare l'asse del suo discorso rispetto ai suoi antecedenti classici.
Il testo poi estrae le conseguenze di questo spostamento, basate principalmente su un contrasto che non era articolato nel paradigma scienziato-ingegnere: da un lato, l'“approccio umanistico” è “pervaso da concetti del ricercatore stesso”, che elabora “meta-concetti per interpretare i significati che tematizza”; dall'altro, l'“approccio empirico” opera con concetti oggettuali “per descrivere e spiegare processi naturali secondo modelli meccanici e causali”. Una prima conseguenza di questo spostamento è un'analisi luminosa di un processo ideologico che trasforma le quantità in criteri di valutazione, e che finisce per determinare le metriche di valutazione all'università. Sarebbe un processo ideologicamente marcato non solo confondendo quantità e qualità, ma soprattutto giustificandosi come criterio della sua presunta imparzialità di fronte a grandezze precisamente e automaticamente quantificabili. Il processo di spazializzazione del tempo viene quindi utilizzato come illustrazione. Le sue varie istanze consistono in “tecniche efficaci di appropriazione di processi naturali e meccanici da parte del pensiero scientifico”, rendendo misurabile in quantità spaziali (attraverso strumenti che segnano gradazioni) l'andamento dei processi empirici in genere, come il punto di ebollizione dell'acqua. È un “lavoro teorico di oggettivazione” che non è costruito per essere applicato “a processi che non sono naturali e meccanici in cui interviene il significato, come i processi simbolici”. Cioè, quando si valuta la bellezza o la giustizia, o "la quantità di pensiero o comprensione" espressa in un'articolazione tra concetti, dovremo elaborare meta-concetti per preservare l'oggettività di questi concetti in relazione ai loro usi soggettivi - proprio come il fa lo psicoanalista quando applica le sue costellazioni concettuali al discorso del paziente. In questo caso, quando cerchiamo di neutralizzare contenuti soggettivi, non lo facciamo per rendere discreti e quantificabili processi causali (che di per sé non hanno senso), ma per interpretare significati soggettivi e comunicarli in maniera più controllata. È così che, ad esempio, il processo di prendere concetti a piacere lo rende critico, come dice altrove l'autore.[Ii] Il testo mostra poi perché la “generalizzazione indiscriminata dell'ideale scientista dell'oggettività” sarebbe un'operazione ideologica, e come questa operazione influisca sui rapporti tra le discipline umanistiche e le altre discipline nello spazio universitario. Il modo in cui Moreno analizza e chiarisce questa operazione ideologica, riprendendo quella che definisce una profonda lezione dell'idealismo cartesiano reintroducendo il tema della conoscenza nella scena del paradigma galileiano, chiarisce molte delle perplessità che, rimanendo confuse, paralizzano i discorsi difensivi delle discipline umanistiche oggi. Avremo così "una possibilità di evitare la conseguenza ideologica [derivante dallo scientismo o dal paradigma galileiano preso per assoluto] che consiste (...) nel trasformare relazioni concettuali di significato in relazioni tra unità spazializzate attraverso indici numerici". Nel caso specifico del posto delle discipline umanistiche nell'università tecnologica, il saggio di Moreno permette di comprendere la portata profonda dell'operazione ideologica che consiste nel “neutralizzare il valore eventuale [di qualsiasi fatto o processo, come libri, saggi o lezioni ] a, solo successivamente, numerare” e gerarchizzare tali fatti o processi secondo le grandezze risultanti. L'obiettivo di questa critica non è però quello di negare legittimità al paradigma galileiano, ma di premunirsi contro il suo abuso, un abuso il cui successo dipende proprio da un insabbiamento ideologico:
Il valore non è una sostanza che accompagna ogni oggetto come se fosse la sua estensione fisica, ma qualcosa che si aggiunge ad esso nell'uso che se ne fa. Pertanto, nel tentativo di neutralizzare il valore di una di queste unità, di fatto applicheremo ideologicamente il legittimo requisito dell'oggettivazione galileiana ai fatti naturali, ovvero agiremo come se fosse meno esposto a errori e sbagli per Discretizzare ciò che non è è discretizzabile piuttosto che emettere giudizi di valore basati su interpretazioni del significato dei concetti.
Arley Ramos Moreno ci ha lasciato presto, nel pieno della sua creatività filosofica, proprio mentre stava terminando due volumi in cui ha dato una forma più completa al suo sistema filosofico autoriale, una riflessione generale su quella che ha definito un'epistemologia dell'uso. Ispirandosi a Wittgenstein, Granger e alla migliore tradizione di quella che ha chiamato la pragmatica filosofica del XX secolo (Benveniste, Austin, Grice e altri), l'idea è quella di rendere conto del modo in cui le connessioni tra segni e oggetti, realizzate in modo primordialmente vago e arbitrario modo, condiziona e rende possibili tutte le ulteriori operazioni della conoscenza, e anche l'esperienza del senso in generale. Alcuni dei suoi ex studenti preparano questi volumi inediti per la pubblicazione in portoghese, inglese e tedesco.
Arley è stato un esempio di filosofo aperto al dialogo plurale, franco e rigoroso, e di ricercatore con un profondo spirito pubblico. Lascio qui un omaggio semplice e nostalgico in occasione del terzo anniversario della sua morte.
*Rafael Lopes Azize è professore associato presso il Dip. di Filosofia e il Graduate Program in Philosophy presso l'Università Federale di Bahia.
note:
[I] Ripubblicato il In difesa delle discipline umanistiche (org. e presentazione di Rafael Lopes Azize, Salvador: EDUFBA, 2020, disponibile all'indirizzo http://repositorio.ufba.br/ri/handle/ri/33450).
[Ii] Intervista di Arley Ramos Moreno a Rafael dos Reis Ferreira e Rafael Lopes Azize (rivista cinesi, v. 5, n. 10, 2013, Marilia, SP). Disponibile in https://revistas.marilia.unesp.br/index.php/kinesis/article/view/4528.