Il male è una piccola cosa ordinaria

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da MARILIA PACHECO FIORILLO*

Si diffonde insidiosamente, e di solito nessuno se ne accorge all'inizio, quando sembra una cosetta facilmente liquidabile, banale, persino infantile.

Come disse Hannah Arendt, il male non ha né profondità né alcuna dimensione demoniaca. Può diventare troppo grande e distruggere il mondo intero proprio perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie, grazie alla nostra negligenza e indifferenza.

Il paragone del male con un fungo, così derisorio, così confuso, così inosservato, è un modo per dire che i pericoli più grandi per l'umanità non hanno quella dimensione sinfonica e magniloquente – la dimensione della frase “L'orrore, l'orrore” , detto dal colonnello Kurtz, l'epitome del male nel libro il cuore delle tenebre, di Joseph Conrad, che ha ispirato il film Apocalisse ora.

Il male, come funghi, virus e muffe, è una piccola cosa ordinaria. Ma si diffonde insidiosamente, e di solito nessuno se ne accorge all'inizio, quando sembra una sciocchezza facile da liquidare, banale, persino infantile. Non c'è, e non c'è mai stata, alcuna grandezza satanica nelle atrocità perpetrate da Bashar Al Assad, Vladimir Putin, i talebani, Daesh o il gruppo mercenario filo-russo Wagner in Ucraina, ma solo il marchio volgare del criminale, l'accresciuto dalla delinquenza, dal testimone della storia, alla missione capitale che (con Hitler e Stalin, per esempio) può eccitare le folle.

Nell'analizzare il processo di Eichmann a Gerusalemme, per un reportage della rivista New Yorker che gli valse il risentimento e gli attacchi della comunità ebraica (per non aver celato il collaborazionismo ebraico in Judenrate, i consigli ebraici), Hannah Arendt concludeva che Eichmann, il burocrate che organizzava i treni della morte, il ragioniere della Soluzione Finale, non era altro che un ometto banale, volgare, poco intelligente e molto geloso della sua funzione burocratica.

Quando gli è stato chiesto dei suoi crimini, ha affermato che stava solo "facendo il suo dovere", alla maniera dell'imperativo categorico di Immanuel Kant. Inizialmente la Arendt era contraria alla pena di morte, ma dopo aver assistito alle sedute concluse che la pena capitale era giusta, data l'amoralità di Eichmann, che lo escludeva, per principio, dalla stessa comunità umana. Non era uno psicopatico, era meno e peggio: un abominio disumano, quindi privato dei diritti e delle prerogative che spettavano agli uomini.

Il male, non essendo né metafisico né soprannaturale, dipende per la sua vittoria unicamente dalla disattenzione e dalla negligenza degli uomini. Sì, Hannah Arendt ha messo in guardia sul suo carattere apparentemente banale e sulla tentazione, in situazioni estreme, di aderire. Tutti possiamo diventare complici e carnefici, ma quello che meno si commenta nell'opera del filosofo ebreo e tedesco è che possiamo anche dire di no.

Ridotto alla sua natura vile e rasta, seppur oscena, il male ci fa meno paura, cessa di soggiogarci o di renderci irrimediabilmente impotenti. Hannah Arendt suggerisce che abbiamo la capacità di comprendere il mondo e i mezzi per agire in esso. Molti dei concetti sviluppati dal filosofo decenni fa, in Le origini del totalitarismo, emergono nel XXI secolo come chiavi per decifrare il caos del mondo contemporaneo: ad esempio, il concetto di “nemico oggettivo”, prima applicato agli ebrei, ora ai musulmani e presto a un altro bersaglio; o l'uso diffuso della menzogna come propaganda, che siamo stanchi di vedere; o l'atomizzazione dell'individuo, anzi, la sua dissoluzione in una massa amorfa. UN vita si attiva, la partecipazione e la rifondazione dello spazio pubblico, la politica come dialogo, il livello più alto della condizione umana, tali valori, se fossero sottoposti oggi a un popolare sondaggio digitale, sarebbero probabilmente in fondo, all'ultimo posto.

"La storia è un incubo dal quale voglio svegliarmi", scrisse una volta James Joyce. Chiamiamo un poeta per contraddirlo. No, non è Bertolt Brecht, sempre chiamato quando si vuole parlare di poesia e di politica – e di ironia. Chiamiamo il nordamericano William Carlos Williams, anche lui medico e deve aver saputo in prima persona quanto la vita riservi brutti scherzi e belle sorprese. La poesia suona così:

“Saltando sopra l'armadio delle conserve
il gatto messo con cura
prima la zampa anteriore destra
poi la schiena...
dentro il vaso di fiori vuoto.

Il vaso vuoto sta aspettando. Nella sua paradossale semplicità (come i proverbi buddisti) questa poesia può essere dedicata ai “Caschi Bianchi”, quei cittadini che in Siria si sono impegnati nella difesa civile contro le armi chimiche di Bashar Al Assad e Vladimir Putin e hanno salvato le persone dalle macerie, oppure a le improvvisate combattenti ucraine, o le donne afghane, a tutti insomma che mantengono la loro umanità (e vedi che dentro i treni della morte ci sono persone millimetricamente uguali a loro) e resistono.

Il male è banale, seducente, facile e cattura anche i riluttanti. Ma non è inevitabile.

La saggista Susan Sontag una volta scrisse: "Al centro delle nostre vite morali e della nostra immaginazione morale ci sono i grandi modelli di resistenza, le grandi storie di coloro che hanno detto di no".

Questa epigrafe è stata scelta dal giornalista Eyal Press, collaboratore di New York Review of Books, La Nazione e New Yorker, per aprire il tuo libro anime belle (improvvisamo la traduzione “Gente cool”), del 2012, in cui ricerca e descrive quattro storie di persone che, infrangendo le regole, hanno saputo alzare la voce e dire di no, rifiutandosi di fare patti con le iniquità.

Una di queste è quella del poliziotto svizzero che, nel 1938, al confine austriaco, disobbedì all'ordine di sbarrare l'ingresso ai profughi ebrei, salvandone decine. Un altro è quello di un agente di cambio ben pagato che ha perso il lavoro dopo aver rifiutato di commerciare un prodotto altamente tossico. Il terzo è quello di un soldato israeliano di un gruppo d'élite che si rifiutò di prestare servizio nei territori occupati durante la seconda Intifada.

Ma forse la più impressionante di queste storie è quella avvenuta nella città di Vukovar, durante la guerra dei Balcani, in cui un bonario e semplice serbo, utilizzando un ingegnoso espediente, salvò delle vite. Incaricato dalle milizie serbe di separare, in diverse linee, chi era croato o musulmano (quindi condannato a morte) da chi era di puro sangue serbo, adulterò i cognomi dei suoi vicini, conosciuti e sconosciuti, e con ciò salvò molte persone dalla morte. Alla domanda dello storico perché lo avesse fatto, ha risposto "ma non avrei potuto fare diversamente!". Non è istruito o politicizzato e gli piacciono molto la birra e il calcio. Non ha un briciolo del cosiddetto "eroismo". Ha solo agito, direbbe Hannah Arendt, come un uomo che riconosce l'umanità dell'altro. I vicini salvati ti hanno ringraziato? Mai. Anche al momento del libro, gli erano ostili. Ma non importa.

Cosa hanno in comune persone così diverse? Nessuno temeva di dispiacere ai propri coetanei, nessuno ha ceduto alle pressioni dei coetanei. Il loro coraggio, suggerisce l'autore, deriva dal semplice fatto di avere spiriti indipendenti, capaci di misurare il limite al quale il presunto 'dovere' (o norma, o tendenza) viola la legge più grande del riconoscimento dell'umanità dell'altro. Le sue azioni, impopolari e persino pericolose, nascono da un impulso della fantasia, quell'arte di mettersi nei panni di qualcuno che è diverso.

In essi predominava l'empatia, cioè la capacità di vedersi specchiata in qualcuno che non è familiare, né vicino, amico, compaesano, tifoso dello stesso partito o squadra. Adam Smith, dentro Teoria dei sentimenti morali”, ha chiamato questa “comunione”, una capacità di trarre compassione dalla capacità di immaginarsi nei panni di qualcuno dissimile. Questo nel bene e nel male: l'empatia non è esclusivamente pietà, ma anche capacità di gioire della felicità altrui.

I quattro personaggi del libro di Eyal Press sono l'opposto simmetrico del criminale nazista Eichmann, quell'omuncolo convenzionale, metodico, obbediente, che ha ispirato la nozione di Hannah Arendt sulla banalità del male.

Nei casi descritti nel libro Belle Anime, il bene ha i suoi trucchi, e riesce a vendicarsi contro la tendenza dominante. Un ariano che salva gli ebrei, un israeliano che si rifiuta di attaccare i palestinesi disarmati, un serbo che protegge i croati. Il senso di appartenenza di questi discreti eroi è quel sentimento di compagnia esteso (di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, sulla giustizia come sentimento di lealtà), che si estende ad abbracciare tutti e chiunque.

Non dovremmo sostituire la tanto pubblicizzata nozione di tolleranza – perché tollerare è sempre una condiscendenza, una concessione, un favore fatto a estranei – con l'idea più generosa di empatia, o un sentimento di lealtà estesa?

*Marilia Pacheco Fiorillo è professore in pensione presso la USP School of Communications and Arts (ECA-USP). Autore, tra gli altri libri, di Il Dio esiliato: breve storia di un'eresia (civiltà brasiliana).

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