Paura e Speranza

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da JOÃO CARLOS SALLES*

Contro la distruzione dell'università pubblica

1.

Lula ha dichiarato di non aver paura dei rettori; Non erano loro che gli avrebbero staccato con un morso il dito che aveva perso in una fabbrica. L'affermazione sembra assurda. I rettori oggi non esprimono alcuna resistenza particolare al governo, né si posizionano come i suoi principali avversari, come se fossero in prima linea nella lotta contro la politica del governo sull'istruzione superiore. Lula sembrerebbe così chiamare alla lotta coloro che sono disposti solo a collaborare.

Sarebbe addirittura dubbio che un politico esperto l’avrebbe detto, soprattutto quando era presidente – così come dubitavamo che un ministro dell’Istruzione potesse mai dire che le università sono un luogo di caos. Infatti il ​​contesto del discorso, guardando il video,[I] suggerisce qualcosa di completamente diverso. Semplicemente non si sarebbe messo in imbarazzo con i rettori, non si sarebbe preso la briga di riceverli e, a differenza del suo innominabile predecessore, lo avrebbe fatto più di una volta, e non aveva nemmeno motivo di arrabbiarsi con i rettori, che dopotutto , non gli tolse il dito.

Insomma, Lula non si è scagliato contro i presidi, né li ha chiamati allo scontro. Il discorso è molto più chiaro e generoso della sua confusa trascrizione, anche se la frase resta infelice. E non c’è contesto che lo riscatti del tutto, e la constatazione è oltretutto triste: Lula, che per tanti di noi vocalizza speranza, comincia ora a includere nel suo discorso la parola “paura” – in questo caso, una timore che certamente non serve e non dovrebbe avere, ma costringe a riflettere, perché, come è già stato detto, le parole non cadono nel vuoto.

Se è così, sorge spontanea un’altra domanda. Le università hanno motivo di aver paura di Lula? Sembra anche di no. Del resto la comunità universitaria non si rammarica, nella stragrande maggioranza,[Ii] avendo sostenuto la sua elezione, né si vergogna dei tanti titoli di dottorato causa onoraria che gli sono stati concessi. Non dimenticare, tra i tanti aspetti, l’espansione delle università, il sostegno alle azioni positive; non dimentica le risorse destinate alla scienza e alla cultura. Soprattutto, è chiarissimo che non vi è alcun punto di confronto tra qualsiasi errore che possa commettere nelle sue azioni e nei suoi discorsi e la pura spazzatura oscurantista che abbiamo sconfitto e faremo tutto il possibile per garantire che non ritorni.

Fatta questa considerazione, abbiamo però molti motivi per temere le minacce che continuano a delinearsi anche nell’attuale governo. Continua ad essere in corso ed accelerato un processo di distruzione dell’università pubblica come la conosciamo o, meglio ancora, come la desideriamo, come parte essenziale di un progetto di nazione sovrana e radicalmente democratica. I segnali sono tanti, alcuni vecchi, altri ormai sempre più forti. Vediamo brevemente alcune di queste caratteristiche.

2.

L'università si è sfigurata come luogo di produzione autonoma della scienza, della cultura e dell'arte, tanto da risultare sotto molti aspetti sminuita. In questo senso sono già state fatte alcune diagnosi importanti, che possiamo ben considerare complementari.

Ad esempio, nel corso dei decenni, Marilena Chauí ha insistito sulla corrosione interna dell’università, che ora diventerebbe operativa. La sua riflessione costituisce, senza dubbio, uno dei contributi intellettuali più coerenti al riguardo, evidenziando le ragioni esterne ed interne del degrado dell'essenza più virtuosa dell'università.

L’università operativa sarebbe, nelle sue parole, “la più alta espressione del neoliberismo”. In quanto tale, promuove la sostituzione della creazione accademica con il mero produttivismo, subordina l’interesse generale della conoscenza all’interesse privato e, in definitiva, demolisce il processo formativo, poiché trasforma la ricerca quasi nel suo contrario, poiché, in tal modo, l’ambiente, non è più “la ricerca di ciò che non è ancora stato pensato e di ciò che necessita e può essere pensato, ma diventa risoluzione dei problemi aziendali”.[Iii]

Concorrenza, privatizzazione, abbassamento degli orizzonti, tutto ciò crea uno scenario devastante per un'università che dovrebbe essere soprattutto critica, sicché, per contrastare questa corrente travolgente, bisognerebbe ribadire il nostro impegno più radicale per la libertà.

Tenendo conto che Marilena Chauí è un riferimento intellettuale che Lula non ignorerebbe mai, immaginiamo che, in teoria, la sua politica per l’istruzione superiore non aggiungerebbe acqua al mulino di tale distruzione. Non è però ciò che abbiamo visto, soprattutto se consideriamo l'università nel suo funzionamento più strutturale.

Nel corso del tempo, la struttura amministrativa delle università si è indebolita. Si può parlare di un’università che oggi subisce gli effetti deleteri del lavoro precario, dell’esternalizzazione estensiva, che, per ora, non colpisce pienamente il personale docente. Tuttavia, abbiamo una brutale differenza di carriera che rende più precario il lavoro dei docenti recentemente entrati nell’università, oltre a trascurare la situazione dei pensionati, che vedono ridotto il loro reddito.[Iv]

Oltre a questo indebolimento, il bilancio universitario ha subito nell’ultimo decennio una riduzione significativa, sia in termini di risorse patrimoniali (che ora potrebbero avere qualche ritorno con il PAC, ma ciò in modo selettivo e attraverso scelte non necessariamente effettuate dagli atenei stessi), sia nelle risorse di finanziamento discrezionali. L'assurdità attuale sta nel fatto che il budget assegnato alla gestione di Campi da parte delle amministrazioni centrali non è cresciuta ed è palesemente insufficiente.

D’altro canto, le risorse sono affluite da vari ministeri (in particolare, il Ministero dell’Istruzione), ma sotto forma di termini di esecuzione decentralizzata (TED). Di conseguenza, la risorsa comune non cresce, mentre aumenta il volume delle risorse attraverso le quali l’università è contrattata.[V]

Doppia quindi la condanna dei nostri rettori e delle rispettive amministrazioni centrali. Da un lato diventano cattivi manager, poiché non hanno le risorse per garantire il corretto funzionamento del nostro Campi. D’altro canto, cominciano a mediare tra gli interessi parziali del governo e gli interessi ancora più particolari di gruppi o individui che vengono assunti e che d’ora in poi devono fornire prodotti – qui è importante, naturalmente, avere fiducia che tali procedure, essendo lecite come non potrebbero essere altrimenti, sono anche corrette, cosa che solo un adeguato controllo e la totale trasparenza possono garantire.

Il rischio di ipertrofia di questi due ruoli è chiaro. L’università, in modo brutale, pur disponendo di un volume di risorse non trascurabile, diviene erogatrice di servizi e non luogo autonomo di insegnamento, di ricerca e di aggiornamento, con l’aggravante che tali assunzioni sfuggono solitamente alla gestione diretta dell’ateneo e i loro meccanismi di controllo, spesso gestiti attraverso fondazioni.

3.

Questi due ruoli (di fiduciario e di mediatore), se non meglio valutati, compromettono l'autonomia dell'istituto, il suo splendore e il suo valore, oltre a minare la posizione dei rettori. E non si tratta di un mero potere personale, che non è quasi affatto un potere, ma piuttosto il simbolismo di un'istituzione che è spazio del pensiero critico, dipendente quindi per la sua tutela e realizzazione da un'effettiva capacità di gestione amministrativa autonoma dell'università.

Non posso fare a meno di menzionare il simbolismo. Non si tratta, insisto, del potere gerarchico del rettore, ma piuttosto dell'espressione stessa di un'istituzione la cui misura è la conoscenza e il cui tempo è la lunga durata. Solo in questo senso l'incarico di rettore può avere una sua solennità. Così è stato nella nostra storia e così deve essere, perché possa anche resistere, con i suoi gesti e le sue parole, a qualsiasi attacco all'aura e all'autonomia dell'Università e, in modo pratico, possa essere difeso nella sua interezza ogni membro della comunità che sia impegnato nella produzione e trasmissione della conoscenza, con piena libertà.

Con l'indebolimento dell'amministrazione e la riduzione del personale tecnico dell'università, è naturale che le istituzioni abbiano avuto difficoltà, ad esempio, a far fronte al volume delle gare durante il periodo REUNI, così come hanno ancora nella gestione quotidiana dei lavori e manutenzione. Ora, però, facendo di necessità virtù, alcune università hanno deciso di trasferire la gestione di maggiori risorse alle fondazioni – il che, però, compromette ulteriormente una capacità amministrativa già scossa.

Così, oltre a farsi carico di un budget globale di progetto che, in alcuni casi, è superiore al budget discrezionale sotto la responsabilità dei responsabili della pianificazione e dell'amministrazione, le fondazioni iniziano a competere direttamente con l'amministrazione centrale.

Qualcuno potrebbe dire, sentito il parere delle rispettive Procure, che un simile trasferimento di risorse destinate ad opere e servizi alle fondazioni (un tempo limitate al sostegno della ricerca e della divulgazione) è cosa del tutto lecita. Dobbiamo ricordare, però, i rischi di una procedura che diventa abusiva – simile allo zucchero, che è un farmaco legale, ma il cui consumo eccessivo, come ben sappiamo, è molto dannoso per la nostra salute.

Infatti, malgrado la sua inanitizzazione teorica, anche il managerialismo come filosofia amministrativa sembra essere sempre più vigente, essendo privo di una riflessione che vada oltre la reiterazione dei risultati o, talvolta, la difesa del comfort più individuale dell'impiego. A volte, con un discorso di modernizzazione, di uso della tecnologia e, soprattutto, di efficienza, vediamo vecchi slogan liberali essere assunti come se fossero di sinistra, detto orribile, una sinistra neoliberista.

Con ciò si rompe fortemente il fondamento della cittadinanza universitaria, togliendo all'istituzione le condizioni per formare uno spirito di corpo il cui fondamento dipende in gran parte dalla presenza e dalla convivenza, nonché da certe procedure a volte lunghe, pazienti, come è paziente la vita dei il concetto deve essere.

Ci sembra inoltre evidente che l'indebolimento dell'amministrazione diretta e del suo necessario indirizzo attraverso la pianificazione associata alle attività finali dell'istituzione, anche quando sostenuto da una presunta legalità e fatto in nome dell'efficienza, può causare danni strutturali all'autonomia degli atenei. Dopotutto, se una volta temevamo che le fondazioni funzionassero come una sorta di ombra delle università, ora temiamo che le università diventino l’ombra delle fondazioni.

Nel consolidare questo processo vedremo il rapporto tra mezzi e fini dell'università pubblica, il modo interno e singolare in cui si relazionano le forme di gestione e gli interessi dell'autonomia accademica. Pertanto, in fin dei conti, la pianificazione sarà semplicemente determinata dall’amministrazione, come se fossimo un altro dipartimento pubblico.

I numeri dovrebbero parlare più forte di qualsiasi considerazione astratta. Si vedano i resoconti delle università e delle fondazioni. I dati sono pubblici e chiari, mostrano le distorsioni dei ruoli, con la piena validità di meccanismi che non possono che far piacere a chi ritiene che le università non siano un valore nel suo complesso e debbano essere invitate solo a collaborare su progetti di immediato interesse per chi ne fa parte. governo o anche del legislatore, senza garantire l’interesse fondamentale della formazione, della libertà di ricerca, dell’equanimità tra i territori e, infine, del rafforzamento della loro rappresentanza collettiva.[Vi]

4.

La situazione ci sembra grave e minacciosa. Qualche tempo fa, di fronte alla situazione degli ospedali universitari, è stata presentata (e, in alcuni casi, anche noi) la proposta di trasferirne l'amministrazione alla Società Brasiliana di Servizi Ospedalieri (EBSERH). Le università continuerebbero ad avere la responsabilità di nominare i sovrintendenti, così come, in teoria, avrebbero la garanzia che gli ospedali vengano utilizzati non solo per l'assistenza, ma soprattutto e condizionalmente per la ricerca e la didattica.

Che questo processo sia stato corretto o meno, in questo caso non si può tornare indietro. La creazione di un'azienda non era l'unico modo per soddisfare l'esigenza della TCU di eliminare l'outsourcing tramite le fondazioni di sostegno. Il risultato ora non può più essere annullato. I vantaggi gestionali sono molteplici, le risorse sono infatti più abbondanti e i progressi in termini di efficienza sono stati compiuti, al prezzo, però, di una dura realtà che non può nemmeno essere sconosciuta, come l’accentuata pressione sull’assistenza e la progressiva diminuzione dell’importanza del restante personale delle università.

Ciò che però potrebbe anche essere dibattuto nel caso di queste specifiche strutture, gli ospedali universitari, non può e non deve mai essere esteso alle università stesse. La pura e semplice occorrenza della parola “paura”, però, risveglia molti fantasmi.

Potrebbe essere che, in questo contesto di diminuzione dell'aura dell'istituzione e di imprigionamento del suo bilancio in interessi esterni o parziali, qualche persona illuminata troverà una soluzione da una società brasiliana di servizi universitari, una EBSERU? I rettori potrebbero forse diventare una sorta di sovrintendenti (certamente nominati dalle loro comunità e con bonus da far invidia), ma al prezzo di subordinare l’istituzione a principi e interessi gestionali che vanno oltre l’autonomia universitaria? Non sarebbe più facile e diffuso in questi casi appaltare i servizi, senza controlli al di là dei risultati stessi e mettendo così ordine nella vita di tante persone?

Se di tale impresa si potesse parlare nel caso degli ospedali, per le università sarebbe l’incubo più puro. Il fatto che la questione possa presentarsi in questa forma ormai fantasiosa è dovuto al fatto che forse stiamo già sorseggiando a poco a poco questa bile, così che, anche se assurde, possano emergere proposte equivalenti (nel loro insieme o a pezzi). da dentro qualche cassetto, in cui possono già essere curati.

La cosa terribile, quindi, è che questo scenario immaginario, questa distopia, non sembra più lontano dalla realtà, cioè che una tale minaccia, anche se improbabile, ha smesso di essere una mera allucinazione. Bisogna, allora, combatterlo alla sua origine, nei suoi più piccoli segni, anche solo nella fantasia; combattere sia le deviazioni concrete che le possibilità più fantasmagoriche, individuando tutte le tracce ormai presenti di indebolimento dell'amministrazione, senza accontentarsi semplicemente della possibile abbondanza di risorse, se non saranno garantite quelle destinate al comune interesse dell'insegnamento, della ricerca e della divulgazione .

5.

Non solo per diventare “operativa”, l'università è avanzata profondamente nella precarietà del lavoro, assumendo la logica dell'outsourcing nella sua vita ordinaria. In uno scenario come questo, bisogna concordare, il programma Futuro-se potrebbe essere stato un semplice esperimento da parte di dilettanti. Infatti, nella mia esperienza presso l’istituzione, nei dialoghi che ho avuto modo di avere quando un governo fascista ha cercato di imporci la proposta, ho individuato sostenitori della Futuro-se nei posti più improbabili. A volte dicono che la proposta è assurda, ma questa o quell'idea potrebbe essere utile. E tali sostenitori, mi sembra adesso, agiscono ancora, di nascosto o con ampi gesti.

Sono convinto che Lula non tenga conto di questi aspetti quando ammonisce rettori e scioperanti. Pertanto, più che un calcolo sostitutivo dello stipendio, più che un conto di bilancio, dobbiamo attirare la vostra attenzione sul fatto che l'università deve reagire alle minacce. E Lula gioca un ruolo essenziale in tutto questo, se ricorda, come ha tutto da ricordare, che l'università non è proprio un luogo per creare paura, ma piuttosto per portare speranza e coltivare la libertà.

Sta a noi, sì, chiedere al governo (almeno a quello che riunisce i progressisti che rispettano l'università) di combattere le procedure, di rifiutare meccanismi che talvolta tendono a sottomettere il bilancio dell'università a interessi che sfuggono al controllo e alla bene più comune – non escludendo neppure che, in uno scenario così disordinato, l’utilizzo di alcune risorse possa rivelarsi incompatibile con i più alti principi della gestione pubblica o con l’interesse strettamente accademico.

In questo momento è necessario che, oltre alle giuste richieste salariali e di bilancio, i principali attori della scena universitaria mettano sul tavolo la natura e l’essenza stessa dell’università e la difendano. Possa ANDIFES, ad esempio, lottare per le condizioni affinché la sua matrice di bilancio possa essere ruotata, e non semplicemente accettare, come se fosse una legge della natura, che i TED e gli emendamenti parlamentari crescano in modo incontrollabile.

Che reintroduce anche il dibattito sulla legge organica e sull'autonomia dell'università. A ciò si unisce la mobilitazione delle diverse realtà educative e di ciascuna università, affinché questo dibattito urgente permei i nostri organi collegiali e anche le nostre assemblee. Non c'è vita universitaria, del resto, né capacità di resistenza se la routine burocratica e le procedure gestionali prendono il posto della mobilitazione democratica di docenti, tecnici e studenti, in tutte le modalità possibili.

Abbiamo bisogno di un certo affinamento critico e di molta mobilitazione collettiva, in una lotta che sia anche duratura. L'Università è un luogo di dialogo e di critica, nonché di attivismo permanente di docenti, tecnici e studenti. Non deve essere un semplice lavoro, ma una vocazione. Con tale impegno potremo meglio individuare e combattere, al di là dell’immediato, le forme più meschine di una ragione strumentale aggressiva, che può assumere nei nostri rapporti i volti del liberalismo, del fordismo o del pragmatismo più abietto, minando la natura stessa del istituzione.

Non possiamo dimenticare. L'università è riuscita ad unirsi di fronte all'assurdità oscurantista del governo precedente. Non puoi fallire adesso. Negli anni a venire dovrà resistere al fascino più immediato, in mezzo a un ambiente più progressista, in cui però proliferano anche conservatori, reazionari e, con grande galanteria, arrivisti interessati.

Non si tratta, quindi, di resistere solo alle minacce esterne. Dobbiamo combattere i gesti interni di complicità con l’assurdo. Dopotutto, i membri della nostra comunità possono diventare complici della distruzione con la migliore retorica, le cui giustificazioni sono solitamente tipiche, come efficienza, agilità, più risorse, economia. E diranno anche, come se fosse una consolazione, che le perdite attuali saranno minime o forse saranno pagate solo dalle generazioni future. Proprio le generazioni che sono al centro del nostro impegno sociale.

Cerchiamo di essere ottimisti. Conteremo su molti alleati in questa lotta, compreso Lula, se vorrà posizionarsi, come è il suo profilo, come combattente per la libertà. In effetti, possiamo ben immaginarlo: Lula è così scaltro che, involontariamente, in un discorso maldestro, ha tirato fuori qualcosa che deve inconsciamente dargli fastidio. Lui stesso, che ha investito e continua a investire nell'università, forse è deluso da chi si rende complice di un meccanismo indesiderato o del degrado, anche salariale, del nostro ambiente di lavoro.

Come sindacalista, potresti essere insoddisfatto di alcune manifestazioni superficiali o palesi di compiacimento a cui potresti aver assistito. Chissà che alla fine non sia, nella sua involontaria saggezza, infastidito dall'attuale direzione dell'istruzione. Dovrebbe esserlo, di sicuro.

Ogni manifestazione pubblica, qualunque sia il tema, va ponderata e può costare parecchio, e non sta a noi avere la spavalderia di definirci coraggiosi. Anzi. Sappiamo bene che la paura non sminuisce la dignità dell'atto necessario. Non possiamo quindi smettere di temere la situazione attuale né le implicazioni di qualsiasi discorso che indichi anche i mali più evidenti. Non possiamo semplicemente rimanere in silenzio e nella nostra voce collettiva possiamo vedere una promessa e una speranza.

Non possiamo rinunciare al nostro status di professori e di membri della comunità universitaria; Non possiamo rinunciare all’Università stessa, che, in fondo, è il nostro orizzonte e la nostra ragione di essere. Usando una bella immagine di Borges, l'università è il nostro centro, la nostra algebra; e la vita non avrebbe senso per noi senza la sua permanente difesa.

*Joao Carlos Salles È professore presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università Federale di Bahia. Ex rettore dell'UFBA ed ex presidente dell'ANDIFES.

note:


[I] Il video è disponibile nell'articolo “Lula dice di non aver paura dei rettori: 'Il dito mancante non lo hanno morso'” (https://noticias.uol.com.br/politica/ultimas-noticias/2024/06/22/lula-reitores-greve-universidades-federais-dedo-medo.htm). La trascrizione di Foglio, così come quello di The Globe (https://g1.globo.com/politica/noticia/2024/06/21/lula-se-queixa-de-greve-das-federais-e-diz-que-nao-tem-medo-de-reitores-este-dedo-nao-foram-eles-que-morderam.ghtml), è quasi in malafede, alla ricerca dello scandalo, ma il video ne ristabilisce il significato, che è molto più sottile.

[Ii] Per la maggior parte, senza essere sotto il controllo della sinistra, come tendono a pensare i loro alleati e detrattori. “Questo è sempre stato l’utile fantasma della repressione” – come giustamente afferma Muniz Sodré. “La realtà è colorata da una maggioranza conservatrice silenziosa, da una coorte di progressisti (centrosinistra, socialdemocrazia) e da nicchie convinte di utopie religiose rivelate dal determinismo storico”. Muniz Sodré, “Destra, ritorno”, Folha de S. Paul, 22 giugno 2024 (https://www1.folha.uol.com.br/colunas/muniz-sodre/2024/06/direita-volver.shtml).

[Iii] Marilena Chauí, “L’università operativa” (https://dpp.cce.myftpupload.com/a-universidade-operacional/). Vale la pena notare che la pressione delle privatizzazioni non procede in linea parallela e può calpestare l’istruzione pubblica dall’interno. In ogni caso, tali pressioni insidiose si verificano in uno scenario in cui circa il 90% degli istituti di “istruzione superiore” sono privati. E, con le solite eccezioni, non si conformano alle università, di cui non possono soddisfare le esigenze, assumendo quindi la forma prevalentemente di facoltà, senza impegnarsi nei legami interni tra insegnamento, ricerca e divulgazione, oltre ad avanzare sotto forma di un l’istruzione a distanza, poiché non supportata da autentiche università.

[Iv] Precarietà del lavoro e, anche, rottura della solidarietà intergenerazionale, per riprendere una preziosa affermazione di Roberto Leher, in “A strike das Universidades e Institutos Federales” (Lo sciopero delle Università e degli Istituti Federali) (https://dpp.cce.myftpupload.com/a-greve-das-universidades-e-institutos-federais/).

[V] Richiamiamo l'attenzione su questo fenomeno di disintegrazione dell'università, rispetto al quale l'istituzione stessa può mantenere una complicità indesiderata, nel testo “La mano di Oza” (https://dpp.cce.myftpupload.com/a-mao-de-oza/).

[Vi] Le fondazioni possono essere serie, senza dubbio. Porto qui la mia forte testimonianza della serietà, ad esempio, del nostro FAPEX, di cui un tempo ero presidente del suo Consiglio Deliberativo. Tuttavia, semplicemente non spetta ad una fondazione stabilire procedure di controllo, secondo standard adeguati alla dimensione accademica, né tale controllo può o deve sfuggire all’università stessa – talvolta, per pura e semplice assenza di una dovuta regolamentazione da parte del suo superiore consigli.

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