il mondo della rivolta

Image_Elyeser Szturm
WhatsApp
Facebook
Twitter
Instagram
Telegram

da RAFAEL R.IORIS* & ANTONIO ARIORI**

Nessun futuro sarà diverso senza trasformare il presente da cima a fondo e togliere dalla scena chi indossava un costume fascista.

Siamo giunti al mese di maggio di un anno spettrale con numeri raddoppiati – il 2020 – nel bel mezzo di una pandemia che richiede tempo per raggiungere il suo “picco” anche se agisce a pieno regime. La letteratura e la storia sono solo alcuni dei pochi "respiro" intellettuali che dobbiamo ancora sopportare così tante privazioni e distruzioni inutili e insensate. Siamo esiliati e senza nessun Gonçalves che possa aiutarci. La mia terra aveva palme (verde oliva), ma oggi vogliono arrestare il tordo. "Dio non voglia che io muoia" senza alcuna spiegazione "Che non riesco a trovare qui."

È difficile capire questo mondo rivoltante, rendersi conto della mancanza di salute, lavoro e prospettive. C'è una cieca insistenza nel preservare ciò che non ha mai funzionato per dimostrare che un tale paese, in quanto società plurale, non può funzionare. Le arie fasciste aggravano ulteriormente la virulenza della situazione. È importante tenere presente che il fascismo, come il genocidio, sono processi genuinamente moderni, uno dei tratti distintivi della modernità occidentale. Ci sono state certamente violenze, massacri e tragedie nel corso della storia, ma uno dei 'contributi' della modernizzazione è stato quello di coordinare la (dis)organizzazione sociale in linea con obiettivi ideologici, politici ed economici coerenti con l'avanzata autoritaria dell'ordine capitalista.

Quasi un secolo fa, nel 1921, una delle vittime più note del nazifascismo tedesco, Walter Benjamin, anche una delle menti più creative di quel periodo, nel suo articolo “Critica della violenza”, discute il rapporto tra diritto e giustizia esaminare le contraddizioni dell'applicare mezzi violenti per perseguire fini giusti. Considerando l'esperienza brasiliana alla luce delle idee di Benjamin, la modernizzazione economica ha dovuto fare uso costante di una grande violenza (antioperaia, antipopolare, anti-maschio-che-non-è-bianco) per garantire gli obiettivi di uno sviluppo che si presenta giusto ma che, alla fine, è marcatamente ingiusto.

Le molteplici crisi legate al Covid-19 devono essere intese come nuove manifestazioni di distorsioni e disuguaglianze accumulate nel tempo e nello spazio. E dallo stesso nido da cui è emersa la volontaria incapacità di affrontare la pandemia, il serpente aveva già covato l'uovo del neoliberismo, ora avvolto in una nuova veste, quella del neofascismo, o neoliberismo autoritario.

In tutto il mondo, il progetto neoliberista ha fondamentalmente due scopi: primo, rispondere in modo controllato e premeditato a quelle che erano considerate falle del modello statalista accentratore. Secondo e più importante, creare le condizioni per rinnovare i meccanismi di accumulazione del capitale e preservare i privilegi per chi non ha bisogno di lavorare attraverso strategie di rentier, attacco al patrimonio collettivo (compresi i servizi sanitari), sovrasfruttamento del lavoro e massima alienazione.

Tuttavia, il neoliberismo à la bresilienne ha un DNA ancora più velenoso, sempre fedele al Mont Pelerin Society, ma con tracce della più aberrante antropofagia che la nostra nuova-vecchia élite potesse trovare. Come sempre è successo dalla Guerra della Triplice Alleanza (Guerra del Paraguay), il grande partito dell'élite nazionale, l'Esercito Brasiliano, è sempre pronto e pronto a compiere la sua storica missione: proteggere il Paese da possibili minacce rappresentate dal suo popolo.

Oggi il Covid-19 offre loro una straordinaria possibilità di svolgere ancora una volta la missione di tenere sotto controllo la popolazione e a un passo dalla morte (qualsiasi morte, sono tutti utili alla causa). Ma per comprendere il carattere autoritario e allo stesso tempo neoliberista del neofascismo oggi in espansione nel mondo, occorre differenziare il fascismo storico degli anni Trenta, culminato con la dittatura del 1930, dal neofascismo globale che in Brasile si è imbarcato sulla canoa bucata dell'attuale (des)governo.

Con l'esperienza italiana di Mussolini negli anni '20 e '30 come prototipo, il fascismo trovò il suo più grande fascino nella sua ibridazione. Combinando i valori tradizionali con il culto della famiglia e della patria, ma anche combinando proposte innovative e progressiste per l'epoca, come il rafforzamento dei sindacati e dei programmi sociali (rivendicazioni originariamente avanzate dal movimento socialista a cavallo del secolo), l'ideologia fascista è stata in grado di attrarre fan da diversi segmenti sociali. A complemento della polisemica pluralità della sua piattaforma (dove ognuno vedeva l'appeal che desiderava), la teatralità e la drammaticità dei modi in cui il movimento si articolava (con grandi folle in mezzo a grandiose produzioni sceniche) aiuterebbe molto ad attrarre numerosi sostenitori.

Ma oltre a un aggregato variegato, spesso schizofrenico, di proposte, il fascismo storico rispondeva anche ai reali bisogni materiali dei suoi sostenitori. Mussolini e Hitler, nonché forse il suo miglior simulacro in ambito latinoamericano, Perón negli anni Quaranta, promosse l'espansione del ruolo dello stato nazionale nel coordinamento dell'attività economica, soprattutto nell'espansione di infrastrutture come le ferrovie, come nonché un regolatore chiave del rapporto di capitale. Attaccando la politica liberale come divisiva e insufficiente, in quanto priva di sostegno ai lavoratori disoccupati o sottoccupati, la nuova logica collettivista ha promosso, allo stesso tempo, un senso di appartenenza al di là dell'effettivo sostegno offerto attraverso posti di lavoro e salari. In questo modo, confutando l'astensionismo del liberalismo economico, nonché il contenuto classista della critica socialista, l'ideologia fascista allargò il suo fascino sotto il manto di una grande famiglia nazionale che agisce insieme, un fascino rafforzato dalla retorica paternalistica del grande leader salvatore ( macho, aggressivo e patriarcale).

Se funzionale alla creazione di un senso di collettività coesa sotto la bandiera nazionale per molti, forse la maggior parte, l'aura salvifica del discorso unificante è stata mantenuta al prezzo dell'esclusione di tanti altri. Ebrei, stranieri, gay, intellettuali critici, allora come oggi, soprattutto questi ultimi, furono e sono le prime e più evidenti vittime. Così, (e si rivela oggi) è stata rivelata l'ipocrisia centrale della fallacia della patria unita, che, quindi, può essere costruita solo sotto, di fatto, sotto la logica dell'esclusione. È qui che i parallelismi storici diventano ancora più evidenti. L'ebreo esecrato di allora diventa l'immigrato latino negli Stati Uniti di Trump, e l'uomo di sinistra che ha distrutto i valori della famiglia cristiana brasiliana nel 64, così come oggi.

Ma mentre il fascismo storico presentava un'agenda di importanti riforme socioeconomiche, anche se attuate con mezzi illegittimi, la sua versione impoverita di oggi è ancorata alla versione anch'essa impoverita del liberalismo classico offerto dal neoliberismo quando difende, parallelamente alla riproduzione del discorso di unità nazionale livello, la nozione di uno stato minimo e persino, paradossalmente, di una società composta da individui atomizzati dal mercato. E così, nella sua ultima iterazione in corso, come una grande farsa storica, il neoliberismo autoritario si è tradotto come piattaforma elettorale in un neofascismo in espansione alla Trump, Orban, Netanyahu, Putin, Modi, Erdogan e soprattutto Bolsonaro, la retorica unificante-esclusivista (del 'noi contro loro!') e lo stile tragicomico-aggressivo del leader salvazionista vengono mantenuti, mentre l'agenda sociale si svolge vuota, forse persino la litania reazionaria e distruttrice di diritti e la litania economica neoliberista (della meritocrazia del l'ho guadagnato e del culto dell'imprenditore-salvatore) si approfondisce, avanzando in segmenti sociali fino ad allora più immuni al suo appeal, come quello della cosiddetta 'nuova classe C' brasiliana – un processo in gran parte frutto della versione odierna, anch'essa impoverita, del classico Il Calvinismo presentato dall'atomizzazione della Teologia della Prosperità del neo-Pentecostalismo in aumento.

Così, se da un lato, abbiamo la costruzione di un vuoto sentimento di appartenenza, in quanto nega le reali differenze di razza, classe, genere, ecc., esistenti, sotto il motto ´Brasile prima di tutto, Dio soprattutto!´ (versione farsesca di Germania Uber alles), capace di aggregare tifoserie di diversi strati sociali, dai Jardins' alle periferie dei grandi centri; dall'altro, abbiamo l'effettiva consegna di tutti alla ferocia di un'economia di mercato con meno regolamentazione e minori ammortizzatori sociali.

In questo emergere liberismo autoritario, dove fiorisce la logica individualista liberale, i progetti collettivi non possono che essere dati da diffusi e astratti legami di appartenenza, come la religiosità e il manto del grande condottiero (elevato a mito per i suoi mitofili), poiché ogni altra identità condivisa (lavoratori) è visto come divisivo e minaccioso.

Non sorprende, quindi, che gli esecutori di questo progetto (sì, perché c'è una logica nella follia in corso!) siano i vedovi nostalgici dell'intransigente regime economico-militare degli anni '60 e '70. transizione (lenta, graduale e sicura) compiuta negli ultimi anni delle amministrazioni Geisel e Figueredo, come il generale Heleno, allora consigliere del principale oppositore interno, il generale Sylvio Frota, nonché la sua versione civile, Paulo Guedes, ideologo di il modello economico di Pinochet degli anni '70, che avallava la stessa fattibilità politica del tenente Bolsonaro (noto come 'Cavalão' tra i suoi compagni paracadutisti!), veicolo elettorale necessario per il cinico gioco elettorale del 2018, ma forse sacrificabile in futuro.

Né sorprende che la versione apparentemente più umana della riproposta difesa di questo autoritarismo sia Regina Duarte, l'amante della dittatura a cui mancano anche le anni di piombo quando cantava in tv l'inno fascista dei Mondiali del 70, 'Pra Frente Brasil', in difesa dei bei tempi in cui la tortura non contava(va): "Che bello poter cantare!"

Ma se c'è nostalgia per il periodo della cosiddetta linea dura, si riduce al suo stile e ai suoi metodi fascisti, torture miste-legittimate dall'orgoglio, ma non, ironia della sorte, a ciò che in realtà era più importante per legittimare il regime all'epoca tempo, crescita economica (autoritaria e insostenibile) attraverso investimenti e coordinamento economico statale del “miracolo!.

Sotto questo aspetto, la nostalgia per la dittatura rivela il suo carattere ancora più crudele. Si prova nostalgia, non per le nuove opportunità occupazionali (concentrazione dei redditi e favorendo le classi medie, ovviamente!) e la crescita economica, ma puramente per il culto di una nazionalità escludente e del grande condottiero dell'epoca, nonché dei mezzi stessi con cui una tale narrazione potrebbe essere propagata nei telegiornali notturni: la tortura negli scantinati del DOI-CODI e nelle stazioni di polizia e negli squadroni della morte in tutto il paese.

È certamente frustrante sapere che questa miscela di vecchi dispotismi e nuove falsità continua a costituire la base sociale e politica del Paese, distillata e rivelata inconfutabilmente negli ultimi anni. È rivoltante vedere che il governo federale lavora duramente a favore del virus patologico e della patologia neoliberista, mentre i suoi critici sono isolati dai rischi della pandemia e dalla morbilità della smobilitazione.

Ma è necessario imparare dalle nostre disgrazie accumulate e cercare la forza per garantire la libertà ai tordi, anche con un'ala spezzata. Il passato è servito a pochi, consolidando così i problemi attuali.

Nessun futuro sarà diverso senza trasformare da cima a fondo il presente e togliere di scena chi indossava un costume fascista (senza mascherina e senza guanti) per i cortei funebri neofascisti in corso.

*Raffaele R. Ioris è professore all'Università di Denver (USA).

**Antonio A.R. Ioris è professore all'Università di Cardiff (Regno Unito).

Vedi tutti gli articoli di

I 10 PIÙ LETTI NEGLI ULTIMI 7 GIORNI

Vedi tutti gli articoli di

CERCARE

Ricerca

TEMI

NUOVE PUBBLICAZIONI

Iscriviti alla nostra newsletter!
Ricevi un riepilogo degli articoli

direttamente sulla tua email!