da JOSÉ MIGUEL WISNIK*
Prefazione al libro appena uscito di Henry Burnett
Specchio musicale del mondo, di Henry Burnett, è guidato da un'ipotesi tratta dai bordi diO nascita della tragedia di Nietzsche, e che si possono così riassumere: il legame arcaico tra parola e musica, risalente ad un originale canto popolare che avrà contribuito in modo determinante, secondo l'interpretazione di Nietzsche, all'origine della tragedia greca, rimane vivo nella tradizione Canzone popolare brasiliana. Il postulato dell'origine popolare e musicale della tragedia, da parte del giovane Nietzsche, si è sempre saputo essere temerario dal punto di vista filologico, ma questo rischio sembra inerente a ciò che lo rende allo stesso tempo “sconcertante”, “opprimente” e credibile.
Estenderlo, inoltre, all'ambito della musica popolare brasiliana può suonare francamente inopportuno se l'idea non è ben calibrata. Henry Burnett sa quanto sia problematica la sua scommessa e cerca, in tutto il libro, di qualificare ciò che ha di valido nella sua estemporaneità, proteggendolo allo stesso tempo dal tono apologetico e circondandolo di instancabili considerazioni critiche sul suo status di canzone di mercato contraddittoria.
Isoliamo, anzitutto, il motto ispiratore del libro, per cercare di chiarirne il primo impulso. Far risalire l'origine della canzone brasiliana a un antico substrato culturale ovviamente non significa vedere un rapporto di causa ed effetto tra Brasile e Grecia. L'origine qui non è una questione di causa o forma, ma di un principio originario immemorabile - arké, qualcosa che ritorna sempre – che risiede in quell'ibrido parlare/cantare/ballare che è la canzone. Un principio che ricorre a ondate storiche e che si manifesta con forza in certi momenti e culture.
Si tratta dell'alleanza della poesia orale con la musica, non quando l'una semplicemente illustra l'altra, ma quando raggiungono un alto grado di irradiazione sulle sfere della vita pratica e della vita spirituale, eccitando il corpo e il non corpo, l'individuazione e la sua perdita nel collettivo, che porta alla trance o all'incantesimo. In altre parole, e per riprendere i termini sanciti da Nietzsche, quando l'apollineo e il dionisiaco ritornano l'uno all'altro, risvegliando l'entusiasmo della possessione da parte di un dio (o, in questo caso, di due). Non si tratta quindi semplicemente di musicalizzazione della parola, ma di instaurazione di stati ed effetti che implicano efficacia e potenza, quando parola e musica confondono le loro proprietà fino a diventare quasi indistinte. Proprio ciò che fa dire a Nietzsche, secondo Burnett, che l'unione naturale del poeta e del musicista costituiva «il fenomeno più importante di tutta la poesia lirica dell'antichità» e faceva sembrare la poesia più recente, priva di musica, «la statua senza testa di un dio”.
Nella formulazione contenuta inO nascita della tragedia, la base di questa poesia dotata di corpo e voce è eminentemente popolare – espressione della massa anonima, anche se modulata dalla soggettività dei suoi lirici, i suoi Archilocos. Il poeta-musicista e cantante è connesso ad una corrente collettiva underground che affonda le sue radici nella “profonda ed inconsapevole connessione ritmica e melodica con il sottosuolo sonoro (Tonuntegrund) che definisce, secondo Nietzsche, l'essere umano più essenziale”. A questo proposito, l'idea stessa della “corrente sotterranea collettiva” di Adorno, che il filosofo invoca nel “Conferenza su lirica e società” come forza sostenitrice del carattere sociale della poesia individuale,[I] acquisterebbe una pertinenza a parte, si potrebbe dire, nel caso di García Lorca, poeta-musicista fortemente legato alla musica popolare andalusa e autore di “Teoria e Jogo do Duende”, saggio che è tuttavia una percezione molto originale, brillante e moderna del dionisiaco.[Ii]
Possiamo dire che parola e musica, raggiungendo talvolta i confini del dionisiaco e del possesso, vivono momenti privilegiati di coalizione e coalescenza nel corso della storia culturale dei secoli, quando la loro combinazione diventa dominante in determinati contesti, per poi cadere in stati recessivi. condannati ai margini, dove muoiono e si separano, senza cessare di riapparire vivi e insieme, più tardi, in altro luogo. Proprio per questo, questa “canzone originale” postulata da Nietzsche è, come dice così bene Henry Burnett, un'entità che si colloca tra il metafisico e il sociologico, riapparendo spasmodicamente e trincerandosi in diverse condizioni storiche.
Se i canti lirici e bacchici di Archiloco risalgono al VII secolo a.C., e la fama della musica nella tragedia risale soprattutto al VI secolo a.C., il V secolo a.C. A modo suo, anche la Grecia ha vissuto la fine del canto, come l'influenza del dionisiaco – manifestazione, secondo Vernant, di donne, schiavi e contadini alienati dal Polis,[Iii] che avrebbe infuso il suo soffio potente nella tragedia greca, nell'ipotesi del giovane Nietzsche – declina insieme al passaggio dal mito alla ragione filosofica. Secondo un frammento mitico citato da Aristotele in Politica, Pallade Atena, la dea vergine uscita direttamente dal cranio di Zeus, personaggio della saggezza, della ragione e della castità, difensore dello Stato e della casa contro i suoi nemici esterni, protettrice della vita civile e inventrice delle redini che governano i cavalli, quando vedeva il suo volto riflesso in un lago, quando toccava il anime – il flauto dionisiaco – , ignaro ed inorridito dal proprio volto (gonfiato dal respiro) getta lo strumento nelle acque. Questo mito antidionisiaco, in cui lo strano volto di quest'altro, l'orgiastico, è respinto con orrore, suggella la negazione della possessione della musica popolare da parte della filosofia aristotelica, come già accadde con la filosofia platonica, andando a vivere nell'oblio nella musica evoluzione dell'occidente.[Iv]
La musica-poesia provenzale del XII secolo, invece, crogiuolo in cui la poesia senza musica era uguale a un mulino senz'acqua, e dove parole e suoni si mescolavano al canto come lingue ai baci,[V] subisce nei secoli successivi una scissione causata dall'invenzione della scrittura musicale, da un lato, e dall'invenzione della stampa, dall'altro. La scrittura musicale accresce il linguaggio polifonico e allontana la musica dall'espressione diretta della linea poetica, moltiplicando le voci; la stampa finisce per custodire la parola nel silenzio del libro.[Vi] Poeta e musicista diventano allora, in Occidente, funzioni specializzate che non si fondono più nella stessa persona, contrariamente a quanto avveniva ai tempi della “gaia scienza” (espressione successiva, del XIV secolo in Catalogna, che designa la “ felice conoscenza” della poesia-musica proprio quando questa pratica cessò di essere in vigore come nel XII secolo in provenzale).
Supportato da Peter Burke, Henry Burnett ci dice che l'ipotesi dell'origine popolare e musicale della tragedia greca non è caduta dal cielo, in Nietzsche, ma è venuta in qualche misura dalla “scoperta del popolo” nel preromanticismo tedesco, girato, con Herder, per la ricerca di volkslieder – compendio di canti popolari in cui Herder riconosceva “l'efficacia morale della poesia antica”, con la sua diffusione orale e musicale legata alle necessarie funzioni della vita. In O nascita della tragedia, Nietzsche avrebbe operato, secondo Burnett, una sorta di estensione retroattiva di questa valorizzazione della musica-poesia popolare, applicando all'antica Grecia qualcosa di quell'ondata spirituale che travolse la cultura tedesca tra la fine del Settecento e l'inizio del XNUMX.
Il soggetto finisce per passare, quindi, quasi necessariamente, attraverso un processo di trasposizione temporale tra questi diversi luoghi, come se potessero farsi riconoscere solo attraverso i loro riverberi: la remota poesia-musica greca riverbera nella gaia scienza medievale, che riverbera in il canzoniere popolare europeo della prima età moderna in procinto di scomparire, che Nietzsche prospetta nel melodramma wagneriano e poi si rammarica, riconoscendo poi nell'opera Carmen di Bizet (meridionale, iberico, nettamente sensuale, dotato di una “gioia africana”, secondo lui)[Vii] la forza che credeva di trovare in Wagner. Se è così, ci si potrebbe chiedere: perché non considerare il fenomeno della canzone brasiliana come parte potente di quella stessa storia, di quella catena di apparizioni e sparizioni, di scorci di musica-poesia apollineo-dionisiaca nella storia dei secoli? Questo è ciò che fa Henry Burnett, sapendo in fondo che questa prova è tanto "difficile da negare" quanto "difficile da dimostrare".
Ma lo stesso libro di Peter Burke, La cultura popolare nell'età moderna, lavorato da Burnett, insieme a quello di Mikhail Bakhtin su Rabelais e la cultura popolare del Medioevo e del Rinascimento,[Viii] aiuterebbe a contestualizzare, al contrario, questa affermazione. Se Bakhtin e Burke mostrano entrambi come, nel XVII secolo, le feste popolari con spirito carnevalesco fossero disattivate in Europa, sia nei paesi della Riforma che in quelli della Controriforma, nel Brasile coloniale non vi fu alcuna interruzione di queste tradizioni popolari, anzi, sosteneva che vi fosse una certa continuità di quella tradizione medievale disattivata nella prefigurazione dell'Europa moderna. La cancellazione forzata o indotta delle feste di piazza a spirito carnevalesco, in Europa, non raggiunse esattamente la colonia portoghese.
Nel calendario delle festività bahiane, ad esempio, solo di recente sfigurato dall'agenda del mercato, ha continuato a vivere il segno della medievale “primavera dei popoli”, fatta di feste popolari che si svolgevano nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio, culminante nel Carnevale, ripreso a São João e avendo nel mezzo della Quaresima il mi-careme (mezzo prestato), che a Bahia divenne "micareta". Burnett si riferisce, del tutto per inciso, all'interesse di Nietzsche, fin dai suoi primi corsi di filologia, per le feste di San Giovanni e di San Guido, oltre al Fastnachtspiel, “una festa di strada europea il cui unico parallelo possibile è il carnevale, da tempo perduto nella storia del nostro carnevale”.
Questo influsso festoso e religioso è densamente intensificato, incorporato, incarnato e quintessenza, in Brasile, dalla presenza africana. Infatti, una parte significativa dei generi di musica popolare brasiliana è strutturata sul repertorio di claves ritmi candomblé, suonati in un contesto rituale dal gam (strumento metallico, una specie di grande agogô) e dai tre atabaques Rum, pi e Lé. In questo complesso codice ritmico costituito dalle clave, dette anche tocchi, il Kabyle è particolarmente degno di nota per la sua relazione con il modello dominante del samba. Che ha così un'affinità di fondo, segreta e originale, con la musica trance.
C'è quindi una corrente underground collettiva, musicale, orale, danzante, più il sostrato religioso, il dionisiaco carnevalesco, con i suoi potenti tamburi percussivi, siano essi di Rio de Janeiro, Bahia, Pernambuco o Pará, e le manifestazioni di soggettività lirica che stanno fuori questa corrente collettiva senza staccarsene, zigzagando dall'elementare al complesso, dall'erudito al popolare, dal musicale al letterario, e il cui esponente qualitativo sale all'infinito.
Em Specchio musicale del mondo, Henry Burnett potrebbe facilitargli la vita se segnasse più direttamente quei punti del territorio in cui il rapporto di fondo che propone sembra flagrante. Avrebbe potuto evidenziare e sviluppare il militante dionisiaco di orgia di commedia tragica al Teatro Oficina Uzina Uzona con Zé Celso Martinez Correia (a cui dedica, tra l'altro, il suo eccellente Leggere O nascita della tragedia di Nietzsche).[Ix] Del tutto sintomaticamente, a questo proposito, vale la pena ricordare l'affermazione di Zé Celso secondo cui il premio Nobel per la letteratura dovrebbe essere assegnato a Mick Jaegger e non a Bob Dylan, poiché lui – Zé Celso – crede solo in un poeta della canzone che fa ballare la gente ( !). Henry poteva riconoscere la combinazione di tragedia e carnevale in Elza Soares. Potrei pensare a quanto sopra africanità da Carmen, suggerito di sfuggita da Nietzsche e registrato nell'ottimo Leggere il caso Wagner di Nietzsche, scritto anche da Burnett,[X] come indicazione del destino del dionisiaco nelle Americhe.
La sua onestà intellettuale, però, gli fa capire che questo passaggio non potrebbe essere preso in linea retta senza camuffare gli enormi problemi che sorgono quando si esamina la musica che opera nel mercato di massa e che sono legati alla tumultuosa storia della musica moderna nel ovest. Porta così in primo piano un gran numero di questioni che riguardano il canto, i suoi luminari e i suoi malumori, la musica popolare e da concerto, in un testo in cui Nietzsche e Adorno, Caetano Veloso e Roberto Schwarz, Mário de Andrade e Gilberto Mendes, senza definire chiaramente i presupposti, a volte antagonisti, che muovono l'uno e l'altro. È questa mancanza di specificazione illuminante che provoca, in tutto il libro, a mio avviso, una sorta di congestione critico-teorica, disturbando il transito, peraltro feroce, dell'informazione associativa.
Tra tutti i problemi che il libro solleva, mi sembra che il nodo cruciale sia la comprensione di Mário de Andrade. Si tratta di un artista-pensatore così decisivo per il tema qui abbracciato, che sento di non dover concludere questa conversazione senza sbloccare un punto che, a mio avviso, sarebbe enormemente a favore del flusso centrale del libro. Henry osserva correttamente che il programma di Mário per la musica erudita brasiliana consiste nella ricerca di musica popolare rurale, anonima e collettiva, al fine di incorporarla nell'arte letterata e darle un aspetto nazionale. La musica popolare a cui Mário si attiene nel suo progetto non è musica commerciale di massa, che secondo lui è stata erroneamente caratterizzata dalla pressione dannosa dell'urbanistica, del mercato e dell'influenza straniera, ma musica folcloristica - samba rurale, bumba-meu-bois, reisados , pastoris e congadas, catimbós, cocos, cururus, modas-de-viola e cateretês. È questo che dovrebbe essere trasfuso nella musica da concerto dei compositori nazionali, sottolineando con enfasi, nella Saggio sulla musica brasiliana, che chiunque non seguisse questa linea di condotta artistica sarebbe un “sassolino in uno stivale” da scartare a dovere.[Xi]
Ecco perché Mário de Andrade, che ha parlato di quasi tutto quando si tratta di musica brasiliana, non ha scritto un solo studio sulla samba urbana, della cui importanza oggi siamo più che consapevoli, né ha fatto una menzione rilevante, figuriamoci una prove all'altezza, a Noel Rosa o Dorival Caymmi, geni della canzone dei suoi contemporanei, che facevano parte di un sistema di canzoni già formato, alla fine degli anni 1930. Henry Burnett osserva correttamente che Mário non si rendeva conto che sarebbe stato principalmente in canzone urbana, e non nell'alleanza del compositore erudito con il folklore, che si concretizzerebbe il disegno di una musica brasiliana capace di essere riconosciuta ad un alto livello estetico ai nostri occhi ea quelli del mondo. Sarebbe anche lì che gli avatar del “canto originale”, apollineo-dionisiaco, troverebbero il loro sfogo superficiale e profondo insieme, come voleva il Nietzsche della “gaia scienza”.[Xii] Ma questa consapevolezza acquisirebbe chiarezza solo dopo la bossa nova.
Non si tratta, quindi, di accusare anacronisticamente Mário de Andrade di questa omissione, ma di riconoscere che vi operava una forma mentale dominante nel modernismo musicale brasiliano, che cercava nelle forme più pure e incontaminate della musica rurale, alla maniera di Herder, il substrato per una composizione erudita impegnata a trovare l'essenza nazionale. Gilberto Mendes osserva che, se la musica popolare veniva offerta al musicista erudito nazionalista come repertorio passivo, più incline a essere assunta come oggetto di manipolazione compositiva, il jazz e le altre musiche urbane agivano in modo insubordinato sul linguaggio musicale moderno, senza limitare al ruolo di portatori di temi e motivazioni.
È così che il tango, la rumba, la samba, oltre al jazz e per non parlare dell'evento altamente creativo della bossa nova, sono stati riconosciuti da Mendes, scrivendo nel 1975, come partecipanti attivi nel processo fondante della musica del XX secolo, in contrasto con la musica classica musica, anche musica d'avanguardia.[Xiii] Questo paradigma critico era stato stabilito alcuni anni prima dal equilibrio bossa, di Augusto de Campos, la cui prima edizione risale al 1968.[Xiv]
Mário de Andrade postulò quindi una specifica alleanza tra musica rurale, anonima e collettiva (musica interessata, secondo lui, perché legata alle esigenze pratiche della vita comunitaria, del raccolto, delle feste, dei riti) e musica colta (destinata al godimento e contemplazione estetica disinteressata, in senso kantiano, anche se Mário non cita il filosofo). Alleanza da realizzarsi attraverso l'azione di mediatori culturali – ricercatori e compositori impegnati a trasformare insieme le matrici tematiche e le tecniche della musica popolare in arte erudita.
Non ci dilungheremo sul fatto che si trattava di un programma che eleggeva la cultura preindustriale a base primordiale di un progetto moderno, in un paese in pieno processo di industrializzazione, con tutte le impasse ei conseguenti fallimenti pratici che ciò comporta. Il punto che è importante evidenziare, ai fini di questo libro, è che Henry Burnett, quando ha segnalato questo passaggio dal folklore al concerto, dalla comunità all'estetica, dalla vita all'arte, dal valore interessato a quello disinteressato, in Mário de Il programma di Andrade per la nazionalizzazione della cultura brasiliana, crede letteralmente nell'unidirezionalità di questo processo, come se non avesse le sue contraddizioni, i suoi colpi di scena e la sua controparte fortemente dionisiaca nell'autore di Macunaima.
Io spiego. È che Mário de Andrade deve essere inteso come una personalità intellettuale e artistica intrinsecamente drammatica, agonia, nel senso stesso di conflittuale, ambivalente, oscillante tra opposti non escludenti. uno dei tuoi personae è infatti quella di una specie di Herder, il ricercatore di volkslieder, che si è costruito in un Platone della Repubblica musicale brasiliana, cercando di organizzare la cultura nel senso di un'ampia conciliazione tra gli strati orali della cultura popolare e i livelli alfabetici della cultura erudita, nell'entusiasmo, o nella missione autoimposta , per superare dall'alto l'abisso tra classi, repertori e linguaggi. Va notato che, così facendo, starebbe già convertendo, a suo modo, l'estetica disinteressata dell'arte concertistica in una musica interessata al progetto nazionale, come chiarisce nel Test.[Xv]
Ma accade in aggiunta, e soprattutto, che questo Platone contiene in sé un Nietzsche diO nascita della tragedia: il poeta-musicista delle “Dinamogenie politiche” (in Musica, dolce musica), da “Musicoterapia” (in Incontri con la medicina), i mantra indigeni di Macunaíma che tornano a querencia, il torpore amazzonico nel “Rito del Piccolo Fratello”, le glossolalie, le parole sonore e prive di significato, le melodie ipnotiche del catimbozeiro e il canto che danza nella bocca dell'Inca come una foglia di coca (In musica stregoneria in Brasile), tutto ciò che fa rivivere l'arte attraverso la parola-musica. A proposito di bumba-meu-boi, ha detto Danze drammatiche brasiliane Si tratta di una tradizione di origine dionisiaca, basata su un culto vegetale in cui il dio muore insieme alla natura in inverno e rinasce insieme a lei in primavera, culto che sarebbe diventato, in Brasile, un culto animale legato al bestiame. Così, senza accusare la lettura di Nietzsche nella sua biblioteca o nei suoi archivi, si può dire che Mário abbia identificato nel contesto di queste pratiche festive brasiliane un principio che possiamo riconoscere come in sintonia con risonanze nietzschiane indirette e con la nascita della tragedia nello spirito dalla musica.
Siccome Mário de Andrade è una figura obbligata, imprescindibile nella discussione dei destini della musica brasiliana in senso lato – come il girotondo di tutti i crocevia, qual è – mi sembra che ricordando, qui, la sua dimensione apollineo-dionisiaca, del suo legame tra arte e vita, farebbe intravedere una via d'uscita per la sceneggiatura di questo libro, proprio là dove sembra esserci un ostacolo.
Ringrazio l'Autore per il generoso invito a dialogare apertamente, in questo testo in via di prefazione, con le grandi e stimolanti questioni sollevate dal suo libro, che sono queste e molte altre che qui non trovano posto. Conversazione che viene da prima, con vari mezzi e vene, e che speriamo possa continuare, attraversando la trance straziante e ben poco dionisiaca che viviamo.
* José Miguel Wisnick è un professore in pensione di letteratura brasiliana alla FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Suono e significato – Un'altra storia della musica (Compagnia di lettere).
Riferimento
Henry Burnett. Specchio musicale del mondo. San Paolo, Editora Phi, 2021, 256 pagine.
note:
[I] Theodor W. Adorno, “Conference on Lyrics and Society”, in Walter Benjamin, Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Jürgen Habermas, Testi scelti, Os Pensadores, volume XLVIII, São Paulo, Abril Cultural, 1975, p. 201-214. Si veda, in particolare, pag. 207-208.
[Ii] Federico Garcia Lorca, “Teoria y juego del duende”, in opere complete, Volume I, Madrid, Aguilar, 1954, p. 1067-1079.
[Iii] Cfr. Jean-Pierre Vernant, La persona nella religione, in Mito e pensiero tra i Greci, traduzione di Haiganuch Sarian, São Paulo, European Book Diffusion / USP, 1973, p. 278-279. All'aspetto fortemente marcato (nella religione di Polis), “dell'integrazione sociale di un culto civico, la cui funzione è di santificare l'ordine, sia umano che naturale, e consentire agli individui di adeguarsi, si oppone un aspetto opposto, complementare al primo, e che si può dire in linea di massima che egli si esprime nel dionisiaco", la voce di coloro "che non possono inserirsi pienamente nell'organizzazione istituzionale di Polis“per essere esclusi dalla vita politica: donne, schiavi, gruppi contadini esclusi dal controllo dello Stato”.
[Iv] Aristotele, I politici, 1341. Vedi Gilbert Rouget, La musica e la trance, Parigi, Gallimard, 1980, p. 304. Ho trattato l'argomento in José Miguel Wisnik, Suono e significato – Un'altra storia della musica, 3°. Edizione, San Paolo, Companhia das Letras, 2017, p. 106.
[V] “Così intreccio / le parole e compongo il suono: lingua intrecciata nel bacio”. Versi del poeta provenzale Bernart Marti, citati da Giogio Agamben in Estancias – La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Belo Horizonte, Editora UFMG, 2007, pag. 212.
[Vi] Sono basato su Marie Naudin, Evoluzione parallela della poesia e della musica in Francia: ruolo unificante della canzone, Parigi, AG Nizet, 1968.
[Vii] Vedi Friedrich Nietzsche, Il caso Wagner: un problema per i musicisti / Nietzsche contro Wagner: il dossier di uno psicologo, note di traduzione e postfazione di Paulo César de Souza, São paulo, Companhia das Letras, 1999, p. 13.
[Viii] Michele Bakhtine, L'oeuvre de François Rabelais et la cultura populaire au Moyen Age et sous la Renaissance, Parigi, Gallimard, 1970.
[Ix] Henry Burnett, Leggere O nascita della tragedia di Nietzsche, São Paulo, Edições Loyola, 2012 (Raccolta di letture filosofiche).
[X] Henry Burnett, Leggere il caso Wagner di Nietzsche, São Paulo, Edições Loyola, 2018 (Raccolta di letture filosofiche).
[Xi] Mario De Andrade, Saggio sulla musica brasiliana, San Paolo, Martins, [1968], p. 18.
[Xii] Vedi José Miguel Wisnik, “La scienza gay – Letteratura e musica popolare in Brasile”, in Nessuna ricetta - Saggi e canzoni, San Paolo, Publifolha, 2004, pag. 213-239.
[Xiii] Gilberto Mendes, “Musica”, in Affonso Ávila (org.), il modernismo, San Paolo, Perspectiva, 1975, pag. 129-130.
[Xiv] Augusto de Campos, equilibrio bossa, San Paolo, Prospettiva, 1968.
[Xv] “Perché tutta l'arte socialmente primitiva, come la nostra, è arte sociale, tribale, religiosa, commemorativa. È l'arte delle circostanze. È interessato. Qualsiasi arte esclusivamente artistica e disinteressata non ha posto in una fase primitiva, la fase costruttiva. È intrinsecamente individualista. Ora, in una fase primitivista, l'individuo che non ne segue il ritmo è un sassolino nello stivale. (…) Il criterio attuale della musica brasiliana non deve essere filosofico ma sociale. Deve essere un criterio di combattimento”. Mario De Andrade, op. cit..