Il problema di ridurre la categoria meticcia all’idea di razza

Immagine: Ska romano
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da LEDSON CHAGAS*

Non esistono razze biologiche nella specie umana, sebbene i gruppi umani si trattino a vicenda in modo razziale e, quindi, “costruiscano socialmente le razze”

In un testo pubblicato il 06/01/2024, in Folha de S. Paul (dal titolo: "Nessuno qui è di razza mista”), l’accademico Muniz Sodré afferma che: “per dare credibilità al meticciato, bisogna prima credere nella razza, poi nella realtà umana della mescolanza”. È interessante notare che la riflessione dell'autore non ha nulla da dire su come questa affermazione si adatti al nero, al bianco o a qualsiasi altra categoria. Negli ultimi decenni, nell’ampia produzione accademica sulle questioni etnico-razziali, si è diffusa l’idea che: “il nero è un concetto sociale di razza”. In altre parole, sebbene non esistano razze biologiche nella specie umana, i gruppi umani si trattano a vicenda in modo razziale e, quindi, “costruiscono socialmente le razze”. Questo è ciò che legittima il parlare di neri, secondo questa prospettiva diffusa tra accademici, attivisti e “meticci” tra queste due categorie… Solo che non si può pensare alla costruzione sociale meticcia, e allora uno di quelli citati se ne tira subito fuori nella manica.fallacia: “non si può parlare di meticci, perché non ci sono razze da mescolare”…

L'autore afferma inoltre che: “Il nero oggi è un'appartenenza politico-esistenziale, basata su un fenotipo che varia dal più al meno scuro, chiamato bruno”. Decretando ciò che è reale “oggi” (cioè esistono solo le tendenze che lui vuole delimitare come esistenti; quelle stesse attualmente diffuse dai mass media, che esistono solo “o bianche o nere”), Sodré non fa altro che non lasciarsi in balia della domanda se il 45,3% dei brasiliani autoproclamati di colore abbia fatto questa dichiarazione “politico-esistenziale” su se stessi… Non importa. Se non lo abbiamo fatto noi, gente di colore, lo hanno fatto Sodré e la militanza nera per noi. Si tratta solo di dotare lo Stato degli strumenti per diffondere questa concezione in vari suoi organi e settori e di negoziare con Globo, UOL e soci, affinché possano diffondere l'orientamento politico... Non ci sono nemmeno prove, del resto , che l'autodichiarazione del 10,2% dei neri è guidata da espressioni politiche... Ma se gli attivisti decidessero... 

Sodré sottolinea in un brano che: “L'IBGE ha parlato, si parla”, a proposito del dato che, mi sembra, presenta con rammarico: “la maggioranza della popolazione brasiliana è di colore bruno”. Sembra che non esista, dal 2010, una legge che si imponga sui dati che produce l’IBGE (e sulle dichiarazioni delle persone di colore), decretando che: “popolazione nera: l’insieme delle persone che si dichiarano nere e brune, secondo la questione del colore o della razza utilizzata dall'IBGE, o che adottano un'autodefinizione simile”. Questa legge (12.228/2010) non è il prodotto di una consultazione pubblica effettuata tra noi, masse di razza mista. Lo hanno deciso gli ingegneri sociali della vita degli altri, lo hanno applicato e così è. “È lo Stato che decide sempre”, dicono i più giovani abituati a sedersi al tavolo del potere… Il testo non dice nulla nemmeno sui vari uomini di colore esclusi dalle quote nell’istituto in cui lavora Sodré e in diversi altri, nei concorsi pubblici.

L'accademico conclude il testo utilizzando un termine che spesso viene nascosto sotto il tappeto da queste prospettive che mirano a eliminare la possibilità che le persone si identifichino e vengano riconosciute come razza mista: fenotipo. Dice: “che in realtà siamo tutti: fenotipicamente diversi”. È vero, siamo fisicamente diversi individualmente. Ma i nostri fenotipi individuali costituiscono collettivamente anche particolari modelli fisici. Questi modelli erano già attivati ​​negli usi di categorie coloniali come Qualidade (su cui riflette ampiamente lo storico Eduardo França Paiva) e che furono successivamente utilizzati come parte del tessuto dell’idea di razza. Questi usi vengono sempre fatti in contesti di relazioni e di disuguaglianza politica, ovviamente. Ogni tendenza dominante in ogni contesto merita la dovuta critica, da parte di chi cerca di lasciarsi guidare dall'onestà, di volta in volta.

È proprio sulla base della minore o maggiore differenza materiale tra i modelli fenotipici in gran parte prodotti dall'esperienza coloniale nelle Americhe e i modelli fenotipici dei gruppi umani che hanno formato in modo diseguale queste popolazioni, che possiamo designare questi risultati più recenti con termini specifici. Differenze oggettivamente percepite dai nostri occhi o dal tatto e che, sebbene siano e siano state, storicamente, impigliate in gerarchie spurie, non si riducono a questa dimensione di costruzione sociale. Essere un fatto materiale. In Brasile i termini più conosciuti per questi nuovi prodotti erano, oltre al generico pardo, anche caboclo, mulato e cafuzo. Parole che servono a indicare, appunto, questa commistione. Proprietà che, nei fenotipi indigeni, bianchi e neri (tutti con un certo grado di variazione interna e con diversi gradi di distanza e vicinanza ai fenotipi meticci), non è più evidente alla percezione e alla memoria storica, “allevatori” di identità.

In definitiva, non è negando la diversità fenotipica e la sua terminologia che combattiamo il razzismo. Ma piuttosto affrontare i resti della gerarchizzazione su questi fenotipi, che potrebbero ancora abitare dannosamente le nostre soggettività. Questa lotta non si attua nemmeno negando le porzioni bianche e indigene dei prodotti meticci, per evidenziare, in modo infantile e illusorio, solo la porzione nera che fa parte dei meticci. Nessuna legge dovrebbe obbligarci a entrare in questo simulacro, come è avvenuto in Brasile dal 2010. In relazione al tema dei meticci/pardos (o, anche, del “meticciato culturale”), spetta a tutte le persone oneste del nostro è tempo di combattere certi usi che si fanno della nostra esistenza per formare “schermi” contro l’identificazione della razzialità nelle nostre disuguaglianze sociali. Se mi leggi, qual è l’andamento fenotipico che segue dai quartieri più poveri a quelli più ricchi della tua città?… Se ti rifiuti di parlare della natura razziale delle nostre disuguaglianze sociali, non contribuirai in alcun modo alla costruzione di qualsiasi progetto equo di nazione al collettivo più ampio possibile della nostra popolazione. Non c'è niente di veramente nazionalistico in questo.

Ma nessuno continui a osare, invece, decretare l’inesistenza dei meticci. Alle persone brune che hanno deciso di rinunciare a riconoscere ciò che mostra il loro corpo, sostenendo di essere nere, dico solo che rispettano quanto riportato nel manuale delle interviste IBGE riguardo al termine bruno (“per la persona che si dichiara bruna o che si identifica con la mescolanza di due o più opzioni di colore o razza, tra cui bianco, nero, bruno e indigeno”) e non impongono la loro decisione politica sull’intera diversità della massa meticcia. Né continuare a cercare di ingabbiare la nostra esistenza nell’interessato presupposto di un destino irrimediabile di ingiustizia razziale da mantenere finché esisteranno i meticci. Non c’è nulla di “progressista” in questo, c’è solo farsa e autoritarismo. Noi, gente di colore, non accettiamo che errori come questi continuino ad essere pronunciati con il nostro nome.

*Ledson Chagas è giornalista e ha conseguito un dottorato di ricerca presso il Programma post-laurea in Comunicazione presso l'Universidade Federal Fluminense – PPGCOM/UFF.


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