Il programma trumpista

Immagine: Ketchum al rosmarino
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da FERNANDO SARTI FERREIRA*

La “rivoluzione dell’ordine” guadagna terreno solo laddove i gruppi progressisti e di sinistra più rilevanti vengono sconfitti o trasformati in garanti dell’ordine

Paxton si perse nei labirinti del fascismo

Il 24 novembre 2016, la rivista Spiegel International Magazine, in un articolo intitolato “Quanto c’è di Mussolini in Donald Trump?”, riportava l’opinione del più importante studioso del fascismo ancora vivente, lo storico Robert Paxton. Paxton ha affermato che, nonostante alcune somiglianze con i leader del fascismo storico, Trump non era un fascista. Nell’ottobre 2024, in un’intervista al New York Times, lo storico dichiarò di essere ormai certo che Trump fosse un fascista. La sua opinione era cambiata dopo il tentativo di invasione del Campidoglio, come se il trumpismo avesse varcato lì il confine tra fascismo ed estrema destra.

L'opera di Paxton attira l'attenzione per le numerose possibili somiglianze con un altro testo classico sull'argomento, vale a dire il libro Dictatorship and Fascism, di Nico Poulantzas. E il punto di approccio principale era quello che sottolineava che il fascismo non era un fulmine a ciel sereno, ma un movimento plastico e opportunistico che, per la maggior parte, non si era trasformato in un governo e nemmeno aveva promosso un cambio di regime – in altre parole, Hitler e Mussolini erano eccezioni e non la regola. Paxton nel suo libro è stato irremovibile: considerare il fascismo come un momento specifico del suo sviluppo è un errore, a causa delle caratteristiche proprie del movimento. Questo è esattamente ciò che ha fatto lo storico.

In effetti, mettere in guardia sull’ascesa del fascismo – o del neofascismo – nel presente è stato finora un compito ingrato. Stava adottando una posizione che ha subito imbarazzo e silenzio. C’è stato uno sforzo tremendo da parte di giornalisti e scienziati sociali ben piazzati nei media mainstream per attaccare e screditare questa prospettiva. Sono state elencate le innumerevoli differenze tra l'attuale estrema destra e il fascismo classico. È interessante notare che non sono mai stati in grado di rispondere al motivo per cui queste, e non le numerose somiglianze, fossero più importanti nell’analisi del fenomeno. Alla fine, come ha sottolineato Andrea Mammone nel lontano 2009, questo sforzo militante per mitigare questi movimenti ha contribuito a legittimare democraticamente le nuove espressioni del fascismo.

Torniamo al 6 gennaio

Nel Bollettino Maria Antônia nº 63 del 6 gennaio 2021 si legge quanto segue: “Il Washington Brewery Putsch non funzionerà. L'ha già fatto. Si è verificata una rottura. Biden e le forze sociali e politiche dell’opposizione hanno assistito in silenzio. Trump ha chiesto l’invasione, il presidente del Congresso e il presidente eletto si sono umiliati e lo hanno implorato di renderlo pubblico e chiedere alla gente di tornare a casa. Il presidente è andato online, ha celebrato l’invasione e ha chiesto loro di tornare a casa, poiché non ci si può fidare del gruppo presente che “ha truccato le elezioni”. Facendo allusione a Disney, i Tico e Teco della democrazia borghese sono andati in tilt, come in ogni colpo di stato fascista: la democrazia borghese dipende dall’estremo diritto per sopravvivere e quando questo minaccia la sua stessa esistenza, non può fare nulla, solo parlare di astrazioni quali legalità, ordine e pace. I “democratici” fanno parte dello stesso campo politico dell’estrema destra, essendo incapaci di agire violentemente contro il loro figlio bastardo, il fascismo. Inoltre, un’azione violenta contro l’estrema destra autorizzerebbe una lotta radicale contro di essa da parte della sinistra. L’invasione deve essere trattata dalla democrazia borghese come una protesta comune e non come un’azione militare, poiché la piattaforma antifascista non è legittimata. Dopo il Putsch del 1923, a Hitler fu concesso un ritiro in prigione, dove poté continuare a costruire il suo movimento, scrivere il suo libro e rimuginare sui suoi errori. Le forze di sinistra e progressiste dovrebbero farsi avanti per portare al potere il partito dell’ordine? Dovrebbero, se possono, imporre un prezzo elevato per questo. Un sistema sanitario universale, pubblico e gratuito merita l’insediamento di Biden”[I].

La diagnosi del fallimento del governo Biden prima ancora che nascesse non era un’ipotesi o una premonizione, ma l’esito più probabile dato che abbiamo a che fare con il fascismo. Ora, il governo moderato (il fascismo al governo, uno dei momenti descritti da Paxton) inizierà a cedere il passo al cambio di regime – la sua opzione per la radicalizzazione. E come tutto ciò che riguarda il fascismo nel presente, non sarà esattamente come nel periodo classico.

Rivoluzione del buon senso

Nel suo discorso di insediamento, Trump ha apertamente assunto il programma politico del fascismo, anche se la truppa di commentatori che accusano la mancanza di qualsiasi elemento che lo caratterizzi in questo modo è già in azione. Non quando ha parlato di deportazioni di massa, di militarizzazione della polizia o di persecuzione delle donne e di altri gruppi subordinati. L’annuncio è arrivato con una frase schietta: “inizieremo la completa restaurazione dell’America e la rivoluzione del buon senso”. L'espressione è ambigua. Il termine “buon senso” è stato per lo più tradotto con “buon senso”, vale a dire che Trump si appellerebbe a valori meramente conservatori, con sollievo di molti commentatori. Tuttavia, tradotta come “rivoluzione del buon senso”, l’espressione si avvicina al contenuto concreto del programma trumpista: un’azione per stabilizzare l’ordine attuale mascherata da antica crociata di vitalismo eroico. O, come sottolinea João Bernardo, una rivoluzione guidata dal desiderio di una trasformazione radicale delle condizioni di vita degli individui, ma che non mette in discussione le basi della struttura sociale responsabile della produzione di queste terribili condizioni di vita. Al contrario, essa indica come soluzione la radicale riaffermazione di questi fondamenti.

L'ordine minacciato senza che vi sia alcuna minaccia all'ordine

Nel 1922 l’anarchico italiano Luigi Fabbri, analizzando l’esito del biennio rosso italiano, affermò:

La rivoluzione tanto predicata e attesa non era arrivata, nonostante tutte le buone occasioni; e in un certo senso si poteva dire che non era voluta. Ma il fatto che essa rappresentasse una minaccia da quasi due anni fu sufficiente per provocare la controrivoluzione. Si ebbe così una controrivoluzione senza rivoluzione, una vera controrivoluzione preventiva, di cui il fascismo fu il fattore più attivo e impressionante.[Ii]

 Eric Fromm, a sua volta, nel 1941, sottolineava che nella Germania del periodo tra le due guerre, dopo un periodo di speranza e progresso, i lavoratori sperimentarono una “[…] successione ininterrotta di sconfitte”. Il filosofo e psicoanalista conclude che “[…] All’inizio degli anni Trenta, i frutti delle prime vittorie erano andati completamente perduti e, di conseguenza, [la classe operaia tedesca] cadde in preda a un profondo sentimento di rassegnazione e di sfiducia nei confronti della società. i loro leader”[Iii]. In altre parole, nonostante la mobilitazione del panico anti-sinistra e anti-progressista sia una delle idee mobilitate come la forza più grande dai fascisti, la “rivoluzione dell’ordine” guadagna terreno solo laddove i gruppi progressisti e di sinistra più rilevanti vengono sconfitti. o trasformati in garanti dell'ordine, incapaci in un modo o nell'altro di proporre una soluzione al momento di crisi. In questo frangente, il fatto che l’ordine sociale sia minacciato senza che vi sia alcuna minaccia per l’ordine stesso è un aspetto centrale per comprendere il successo del fascismo.

 Se la sconfitta della Rivoluzione europea e la sua limitazione al territorio dell’ex impero russo, oltre all’adesione alle riforme costituzionali del dopoguerra da parte dei partiti socialisti, segnarono l’ascesa del fascismo in quel continente tra le due guerre, il crollo della “ socialismo reale” e di regimi ispirati o in una certa misura reattivi al modello economico e sociale sovietico, oltre all’adesione fin dagli anni ’1980 dei partiti socialdemocratici e socialisti alla ricetta neoliberista (“[…] i più risoluti nell’applicare politiche neoliberali”, come affermato da Perry Anderson), costituiscono gli elementi della sconfitta e dell’adesione all’ordine dei gruppi egemonici di sinistra in Europa nel momento attuale[Iv].

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, dove la sinistra socialista non è mai stata una forza politica rilevante, vale la pena sottolineare che il liberalismo progressista e la politica economica eterodossa di FD Roosevelt frenarono l’estrema destra negli anni ’1930. Una situazione diametralmente opposta a quella dei precedenti 30 anni. Secondo Michael Kazin[V], i democratici, durante l’amministrazione Clinton (1993-2001), dichiarando la fine dell’“era del grande governo” e che il saldo di bilancio godeva di un ampio accordo bipartisan, avrebbero abbandonato una volta per tutte l’idea che “i deficit di bilancio fossero ben finché la spesa crea posti di lavoro e fa uscire gli americani dalla povertà”. A complemento della loro adesione a un’ortodossia più radicale, i Democratici hanno abrogato il Glass-Steagal Act nel 1999. Secondo l’autore, “Il partito che un tempo era noto per lottare per gli interessi dei salariati e dei piccoli agricoltori contro le grandi imprese ora sembrava avere il potere di intenzione di revocare quasi tutte le normative che rendevano scontenti gli amministratori delegati”. Nuovo ruolo che sarebbe elevato al parossismo dopo la crisi del 2008.

Il grande chip

Laerte ha una striscia classica. In esso vediamo fotogramma dopo fotogramma una presa telefonica che si avvicina alla terra, come se fosse un asteroide di dimensioni apocalittiche, accompagnata dal testo “La grande presa, ad un certo punto, cadrà”. Il vero problema degli ultimi 15 anni non è mai stato se la definizione dell’estrema destra come fascismo sia corretta o meno, ma piuttosto il grado di fascistizzazione nelle varie formazioni sociali. Un problema che sembra iniziare a diventare chiaro a molti analisti più influenti. Forse troppo tardi.

*Fernando Sarti Ferreira Ha un dottorato in storia economica presso l'USP.

note:


[I] Fernando Ferreira e Rosa Gomes, “Le folli avventure di Tico e Teco della democrazia borghese”, Maria Antonia - Bollettino GMARX-USP. San Paolo, Anno 1, nº 63, 06/01/2021.

[Ii] Luigi Fabbri, Controllo preventivo, Milano, Zero in condotta, (1922), 2009, p. 45

[Iii] Erich Fromm, la paura per la libertà, Buenos Aires, Paidos, 2015 (1941), p. 244.

[Iv] Perry Anderson, “L’equilibrio del neoliberalismo”, in Emir Sader e Pablo Gentili (a cura di), Post-neoliberismo: politiche sociali e Stato democratico, Rio de Janeiro, Pace e Terra, 1995, p. 9-23.

[V] Michael Kazin, Cosa è servito per vincere: una storia del Partito Democratico, New York, Farrar, Straus e Giroux, 2022


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