quello che ci manca ancora

Immagine: Eva Elijas
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da LUIZ WERNECK VIANNA*

Il regime di Bolsonaro sopravvive di fronte a un'opposizione che si mantiene passivamente nella pericolosa aspettativa che cadrà da sola.

Rispetto ai fatti, sarebbe inutile dire che il governo che c'è è finito, lasciando dietro di sé un cumulo di macerie, il culto narcisistico del potere per il potere nei personaggi lillipuziani, rapiti dal destino immeritato con cui erano contemplati, aggrappandosi come ostriche alle posizioni a cui sono stati immeritatamente innalzati.

Personaggi come i ministri Queiroga e Paulo Guedes meritano di essere oggetto dell'ironia di un Machado de Assis che non sfuggirebbe certo a uno dei suoi paggi con la sua vanteria solenne e vuota. Ma, nel mondo della politica, le cose non cadono per l'azione della gravità come le mele di Newton, è necessaria un'azione per farle cadere, e poiché questo movimento è in ritardo tra noi, il governo che non governa trova i mezzi per persistere nei posti di comando.

In mancanza di ciò, pur senza uno scopo chiaro, se non quello di perpetuarsi al potere, il regime di Bolsonaro sussiste di fronte a un'opposizione che rimane passivamente nell'attesa che la mela gli cada in grembo, come annunciato dalle previsioni elettorali. Tali previsioni sono note a tutti, vagliate da strateghi bolsonaristi, che cospirano continuamente perché non si avverino, anche in movimenti ad alto rischio come questo viaggio a Mosca nel bel mezzo di una crisi mondiale sulla questione Ucraina, in un chiaro movimento dissonante della politica statunitense, il potere egemonico con cui ci siamo sempre allineati.

La sconfitta elettorale del 2022 al ballottaggio, se non al primo, fa già parte del foglio di calcolo dei leader bolsonaristi, dove cresce la sfiducia nei confronti delle forze alleate del Centrão che potrebbero, di fronte all'orizzonte cupo che le urne sembrano riservarsi per loro, cercare alternative di sopravvivenza nei ranghi dell'opposizione, molti dei quali addestrati nell'arte di convivere con loro.

Per il regime di Bolsonaro il processo elettorale è percepito come la cronaca di una morte annunciata e, in questo senso, si appresta a turbarlo e impedirne l'effettivo svolgimento, ribadendo le pratiche di Donald Trump nelle ultime elezioni americane con l'invasione del Campidoglio. Qui il suo cavallo di battaglia è la denuncia delle urne elettroniche, garanzia di equità nella competizione elettorale, cercando di attrarre settori delle forze armate per questi scopi.

Visto in quest'ottica, il viaggio a Mosca, nelle circostanze in cui si è svolto, perde l'aspetto di una mera visita protocollare, ovvero di una manovra, certamente rischiosa, di cambiare l'iscrizione del Paese sulla scena internazionale, dall'ingresso del Presidente Joe Biden alla questione dei diritti umani non serve da ancoraggio alle iniziative liberticide, più appetibili a governi confessionali illiberali e autocratici come quelli che sono ora oggetto delle sue inclinazioni di politica estera. Poiché la forma rustica del governo Bolsonaro serve a nascondere le sue intenzioni, in questo caso il suo incontro con il presidente Putin fornisce indizi sul suo piano di stato maggiore di investire contro il processo elettorale, che è dotato di uno scudo internazionale per difendersi da reazioni al suo tentativo di colpo di stato.

In questo scenario, in cui, da un lato, tutte le risorse disponibili vengono utilizzate per impedire il percorso istituzionale dal quale le forze democratiche imporranno la sconfitta dell'attuale governo attraverso le urne, dall'altro, la fiducia cieca è natura di le cose e il semplice scorrere del tempo permetteranno l'interruzione dell'incubo che affligge il Paese.

Incuranti del terreno su cui stanno camminando, l'opposizione si è abbandonata al feticismo istituzionale e, peggio, si è abbandonata a una disputa fratricida per il potere, con la motivazione di preservare le proprie identità di partito in un'eventuale vittoria nella successione presidenziale. Ovunque, i contendenti lottano per pezzi di potere, come se stessimo vivendo nella pienezza di un regime democratico.

Sulla base di risentimenti passati, in particolare quelli originati da errori commessi dalle amministrazioni del PT, l'occasione aperta dalla felice iniziativa di leader che hanno immaginato l'unione imprevista tra Lula e Alkmin, due leader usciti dal campo democratico, e molti vanno a alla ricerca di terze vie per tornare a mani vuote dalle loro ricerche, che, in alcuni casi, servono solo a giustificare i loro interessi particolaristici. Non ci sono che due vie, quella del regime di Bolsonaro e quella democratica, che andrebbe estesa con l'incorporazione senza distinzioni di tutti i democratici.

Siamo gli eredi di una storia iniziata contaminata dalla macchia del latifondo e della schiavitù, che pesano ancora come piombo sulle nostre spalle, e con la Repubblica abbiamo vissuto il fascismo con l'Estado Novo del 1937, nel regime AI-5 nel 1989 , e che, in forma latente, ci minaccia ora e non possiamo ignorare i segnali oscuri che ci inviano. Come sempre, il miglior rimedio per affrontarla è che tutti i democratici si uniscano.

*Luiz Werneck Vianna è professore presso il Dipartimento di Scienze Sociali della Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro (PUC-Rio). Autore, tra gli altri libri, di La rivoluzione passiva: iberismo e americanismo in Brasile (Revan).

 

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