Cosa sono le nuvole?

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da PRODUZIONE MARIAROSARIA*

Considerazioni sull'adattamento di Shakespeare di Pier Paolo Pasolini

Tra le numerose trasposizioni al cinema dell'opera di Shakespeare, una delle meno ricordate è quella di Pier Paolo Pasolini Otello (Otello) eseguire Dormi tra le nuvole? (Cosa sono le nuvole?), terzo episodio del film Capriccio all'italiana (caprice à italiano, 1967)., L'appropriazione del cineasta, che utilizzava elementi dell'altrui opera senza rinunciare alla propria originalità, non è molto diversa da quella operata dallo stesso William Shakespeare, quando, intorno al 1604, trasformò, in una delle sue tragedie più famose, un romanzo rinascimentale , basato sull'originale italiano o sulla traduzione francese di Gabriel Chappuys (1584), secondo Guido Ferrando.

Riguarda Il Moro di Venezia (Il Moro di Venezia), parte integrante di gli ecatommiti (1565), scritto da Giovambattista Giraldi Cinzio,, probabilmente avendo come fonte la vicenda di Cristoforo Moro – luogotenente a Cipro, che, rientrato a Venezia, nel 1508, perse la moglie durante il viaggio – o quella di Francesco da Sessa, detto “il capitano moresco”, che, imprigionato in Cipro tra il 1544 e il 1545, fu inviato a Venezia per un delitto non specificato (come riportato nel vol. IV del Dizionario Letterario Bompiani).

Non è improbabile che Pasolini avesse letto il romanzo di Cinzio, ma, nel realizzare il suo progetto, approfittò della popolarità che il racconto aveva acquisito nella versione shakespeariana. Nella sua trasposizione cinematografica, i cinque atti sono stati ridotti a poche scene che riassumono la trama: Iago (Totò) odia Otello (Ninetto Davoli), perché quest'ultimo, al suo posto, ha nominato Cassio (Franco Franchi) suo luogotenente; nella sua vendetta contro i due coinvolge Rodrigo (Ciccio Ingrassia), attratto da Desdemona (Laura Betti), moglie del nobile moresco., Furono mantenuti i personaggi principali e, oltre a quelli già citati, Bianca, amante di Cássio (Adriana Asti, solo una presenza scenica), Brabâncio, padre di Desdemona (Carlo Pisacane, che ha diritto ad una sola stecca), e tre soldati. L'azione si svolge a Venezia e a Cipro, ma il passaggio da uno spazio all'altro avviene attraverso la parola,, come nella scena elisabettiana, dove l'ambientazione non aveva importanza, perché il palcoscenico era il palcoscenico Teatro Mundi, come sottolineato da Jan Kott.

Il regista ha ridotto la trama all'essenziale per concentrarsi sul sentimento di invidia che guida le azioni di Iago nei confronti di Otello e sulle esitazioni del Moro., Non a caso il personaggio appare in scena con il volto dipinto di verde, colore che, in italiano, oltre a designare sentimenti intensi, può riferirsi a emozioni forti, come quella mostrata nell'espressione invidia verde, nel senso di essere consumato dall'invidia.,

La caratterizzazione dei personaggi si riferisce al commedia d'arte, con i suoi tipi fissi – gli amanti (Otello e Desdemona; Cássio e Bianca), il marito geloso (Otello), il padre severo (Brabâncio), il mezzano (Iago), il folle (Rodrigo) –, in cui costumi, gesti , l'imposizione del discorso scenico e l'esecuzione drammatica erano quasi sempre cristallizzate.

Nell'episodio di Pasolini, queste maschere sono interpretate da attori che dovrebbero comportarsi come marionette, dato che sono dotate di fili., Nella sua parentela con commedia d'arte, nel teatro delle marionette si trovano anche tipi fissi, spesso caratterizzati come maschere., In questo modo, il regista si avvale di due forme popolari di spettacolo – che si sovrappongono – per dare vita ai suoi personaggi. È interessante notare che, in termini di teatro più popolare, in Italia alla fine dell'Ottocento erano comuni spettacoli in cui gli attori sostituivano i burattini di legno. Lo scrittore Giovanni Verga aveva registrato questo fenomeno in un romanzo scritto nel 1890. Don Candeloro e Ci, tra le tante da lui dedicate all'arte della recitazione (che fanno parte della collezione Don Candeloro e Ci, 1893), in cui il proprietario di un teatro oratore di marionette (burattini parlanti) è costretto ad adattarsi ai nuovi tempi per sopravvivere:

“Ora, nei teatrini di burattini, recitavano personaggi in carne ed ossa, i Storia di Garibaldi, immagina, e anche quelle farse di jack da salto; e donne seminude cantavano in loro, trasformando il palcoscenico in un letamaio. […] Per non agire per le banche vuote, si era spinto fino a far entrare gratis i vecchi clienti, fedele alla bella storie da orlando e antichi paladini […]”.

I burattini parlanti di Pasolini sembrano avere le loro azioni determinate da un manipolatore (Francesco Leonetti); tuttavia, è più qualcuno che aiuta a condurre la trama che esattamente un deus ex machina, quella che, nella definizione di Georges Forestier, sciogliendo i nodi, permetterebbe di estrarre un significato maggiore da ciò che viene rappresentato (in scena, sullo schermo e nella vita),, come si evince da uno scambio di idee che ebbe con il nobile moresco e il suo luogotenente. All'udire le lamentele di Otello, che non accetta di essere un assassino e di sottomettersi a Iago, il burattinaio dice: "Forse perché, in effetti, sei tu che vuoi uccidere Desdemona" - e, di fronte allo stupore dell'interlocutore, continua: “Forse perché a Desdemona piace essere uccisa”,, quasi a ricordare che il nome dell'eroina deriva dal greco dusdaimon, e significa lo sfortunato, quello nato sotto una cattiva stella (come riportato nel vol. VIII del Dizionario Letterario Bompiani).

C'è, dunque, un destino da compiere fino alla fine, contro il quale si scontra il libero arbitrio degli uomini. Otello, però, sembra non conformarsi e chiede: “Ma qual è la verità? È quello che penso di me stesso, o quello che pensa la gente, o quello che pensa quella persona dentro?”. E comincia a sentirlo, seppur ovattato dentro di sé, quando Iago gli suggerisce di concentrarsi: “Questa è la verità. Ma, psss... non devi dargli un nome, perché una volta che lo chiami, non c'è più". La verità interiore non è esprimibile con le parole e, così, ognuna comincia a essere costruita dal discorso dell'altra, e la vita (ricorda Silvestra Mariniello) diventa una finzione, fatto già rilevato da Luigi Pirandello, a proposito dell'impossibilità di esistono al di là di uno spazio di rappresentazione sociale, come ricorda Dominique Budor.

In queste conversazioni dietro le quinte o quando Otello, fuori scena, guarda Iago raccontare a Rodrigo come intende suscitare la sua gelosia, Pasolini prende le distanze dalle manifestazioni teatrali popolari e dialoga con il teatro di Bertolt Brecht, per la stranezza che questi insoliti inserimenti provocano negli spettatori , conducendoli a una fruizione critica e non a una identificazione.

C'è anche il comportamento delle marionette che, agendo come in un'opera teatrale epica brechtiana, stabiliscono una distanza rispetto ai personaggi che stanno interpretando (è l'“effetto distanziamento”, come parla Philippe Ivernel). Il regista, però, è fedele anche allo spirito del bardo inglese, se ricordiamo che, secondo Anthony Burgess, l'attore shakespeariano cercava “di stabilire un'intimità con questo pubblico, di coinvolgerlo nella commedia, e i suoi soliloqui sono non discorsi in cui l'attore finge di rivolgersi a se stesso, ma comunicazioni intime con il pubblico”., In effetti, i monologhi dietro le quinte di Iago e Otello rivelano momenti di ciò che accade all'interno dei burattini quando smettono di essere i personaggi che stanno interpretando.

E l'episodio pasoliniano ha due pubblici: quello che guarda il film e, al suo interno, quello che guarda il teatrino, un pubblico partecipe, che applaude, fischia, reagisce rumorosamente agli atti del tenente e del Moro e invade la scena, quando cerca di uccidere sua moglie, situazioni in cui l'episodio scivola nella commedia slapstick.,

Anche in questo aspetto Pasolini sarebbe vicino a Shakespeare, anche se al contrario: dà un tono comico a un'opera tragica, mentre l'autore inglese fonda la sua tragedia su una struttura comica, come sottolinea Barbara Heliodora, nell'elencare gli elementi Di commedia d'arte incorporato nella realizzazione di Otello: paesaggio (Venezia); composizione della scena; caratterizzazione dei personaggi; improvvisazione costante di fronte a nuove situazioni; doppio discorso; perdita della sciarpa e sue conseguenze; demoralizzazione del marito tradito; svolgimento della trama, con Iago come conduttore, cioè come “responsabile dello sviluppo meccanico degli intrighi”, raccontando “storie credibili a persone con maggiori possibilità di crederci”.,

Nonostante i momenti più rilassati, l'episodio pasoliniano rimane tragico, poiché al centro dell'azione drammatica c'è il conflitto interiore del protagonista; tuttavia, se in Otello, la tragedia “non è provocata, come nel teatro greco, dallo scontro tra forze opposte o dalla cieca volontà del destino, ma è la necessaria conseguenza di un momento di debolezza che fatalmente spinge al delitto e porta con sé la sua espiazione ” (secondo Ferrando), in Dormi tra le nuvole?, il burattino Otello deve recitare fino in fondo il suo ruolo, come era prestabilito, nonostante la sua rivolta.

Come si evince dalle chiacchierate dietro le quinte, anche senza spogliarsi delle maschere, Otello e Iago (come gli altri pupazzi) hanno i propri pensieri, riflettono su ciò che rappresentano, pur sapendo che il loro destino è guidato da un superiore entità i cui dettami non sempre capiscono. Distrutti dal pubblico, i due pupazzi vengono gettati via e portati via da un netturbino (Domenico Modugno), mentre gli altri, schierati dietro le quinte, lamentano la sorte che tocca a tutti loro, per il fatto di esistere, come Cássio osserva desolato.

Durante l'addio e il trasporto delle bambole alla discarica, riappare la canzone cantata all'inizio della puntata da Modugno (autore della melodia), in cui Pasolini recupera praticamente il motivo dell'amore, traducendo il testo in immagini, questa volta verbale shakespeariano:

“Che io sia dannato
se non la amo
e se così non fosse
altro non capirei.
tutto il mio folle amore
 i cieli soffiano
i cieli lo soffiano così.,

Questi primi versi sono praticamente una riscrittura dei versi dell'Otello nella scena 3 dell'atto III: “Possa la perdizione prendere possesso della mia anima, ma io ti amo! E quando non ti amo più, il caos si stabilizzerà ancora una volta”; “tutto il mio amore appassionato, è così che lo soffio al cielo…”;

“Ah, erba dolcemente delicata
di un profumo che provoca spasmi.
Oh, se tu non fossi nato!
tutto il mio folle amore
i cieli soffiano
i cieli lo soffiano così.

La terza strofa traduce il seguente verso di Otello nella scena 2 dell'atto IV: "Ah, erbaccia, così amorevolmente bella, così dolcemente profumata, tanto che i cinque sensi soffrono davanti alla tua persona, vorrei non essere mai nato!" ;

“Chi è stato derubato e sorride
rubare qualcosa al ladro,
ma chi è stato derubato e piange
rubare qualcosa a te stesso,
così ti dico, finché non sorrido
non ti perderai”.

In questi versi riecheggiano, rispettivamente, nella scena 3 dell'atto III i seguenti versi di Otello e Iago:

“Che idea avevo delle tue ore rubate di lussuria? Non l'ho visto, non ci ho pensato e non mi ha fatto male. Dormivo bene ogni notte, mangiavo bene, ero felice. Non riuscivo a trovare i baci di Cassio sulle sue labbra. Dico questo di chi è stato derubato e non ha mancato la cosa rubata: lasciatelo all'oscuro del furto, e nemmeno sarà stato rubato. […]

Il buon nome di un uomo e di una donna, mio ​​caro signore, è il gioiello più personale delle loro anime. Chi ruba la mia borsa ruba spazzatura... è qualcosa, niente: era mia, ora è sua, ed è stata in possesso di migliaia di persone. Ma chi viene a farmi del male nel mio buon nome, mi toglierà ciò che non lo rende ricco, ma che mi rende veramente povero”.

E infine:

“Ma quelle sono parole
che non ho mai sentito
e un cuore spezzato
Guarisce a orecchio.
E tutto il mio folle amore
i cieli soffiano
i cieli lo soffiano così.

Il cuore di Otello poteva riposare solo se lui, confidando nell'amore di Desdemona (e nell'amicizia di Cassio), non prestava attenzione a ciò che Iago stava insinuando sul comportamento di lei (e del luogotenente). È attraverso l'orecchio che il tenente avvelena lo spirito del Moro, fino a fargli vedere ciò che voleva che vedesse l'altro. La penultima strofa può essere confrontata con i seguenti versi di Iago, nelle scene terze degli atti I e II, rispettivamente:

“Ora, fammi vedere: prendi il suo posto e corona la mia volontà con doppia furfanteria. Ma come? COME? Vediamo: dopo un po' maltratta le orecchie di Otello, insinuando che Cassio sia troppo intimo con sua moglie, che abbia una figura sospetta e un carattere dolce... plasmato per fare delle donne false. […]

Mentre questo onesto stolto assilla Desdemona con le sue suppliche che si ravveda, e mentre lei, per lui, chiede clemenza al Moro, io verserò questa pestilenza nelle orecchie del nostro generale: che lo rivolga in buone grazie. per placare la concupiscenza del suo corpo”.

La musica, che scandisce il prologo e l'epilogo, fa da cornice alla diegesi stessa: la “nascita” di un nuovo burattino, il suo itinerario sulla scena (della vita), la sua morte e la scoperta di un significato più grande per l'avventura umana. Optando per la rappresentazione nella rappresentazione, Pasolini finisce per generare un film dalla raffinata tessitura intertestuale, perché oltre alle opere teatrali e cinematografiche, alla base di questo progetto c'è anche l'apporto della pittura, con la presenza dei dipinti di Diego Velázquez che rimandano alla nozione di immagine speculare – specchio di Venere (Venere allo specchio, 1650) , – e da una prospettiva abissale – Las Meninas.

E così, l'idea che l'abitare sia una rappresentazione o consista nell'essere “in un sogno dentro un sogno” (apparentemente sognato da qualcun altro, dal deus ex machina dell'universo), espresso con amarezza da Iago dietro le quinte per consolare Otello, scontento del fatto di essere diverso da come lo immaginava, acquista maggiore consistenza. La derivazione di questa concezione di cosa sia la vita – un'illusione, un gioco di specchi (nelle parole di Luiz Fernando Ramos) o l'eterno contrasto tra il Creatore e la creatura (secondo Bernard Sesé) – è evidente: L'illusione comica (l'illusione comica, 1636), di Pierre Corneille,,, da un lato, e, dall'altro, La vita è sogno (La vita è un sogno, 1635), di Pedro Calderón de la Barca,, da cui, in quello stesso periodo, Pasolini comincia a generare il pezzo Calderon.,

Meno ovvia, forse, è la derivazione del titolo dell'episodio,, quelle belle e indecifrabili nuvole che Otello e Iago scoprono quando vengono gettati nella discarica, anzi, gettati nel Báratro., Facendo esclamare Iago “Ah, tortuosa e meravigliosa bellezza della Creazione! Ah!”, le nuvole rappresentano la teofania,, sono le divinità celesti che offrono agli uomini “la conoscenza, la dialettica, la comprensione, il linguaggio elevato e verboso, l'arte di commuovere e di ingannare”, come dice Socrate, nell'opera di Aristofane., la commedia Le nuvole, rappresentato per la prima volta ad Atene nel 423 a.C., era servito a rafforzare le accuse di ateismo mosse al filosofo greco (informa Mário da Gama Kury), che avrebbe sostituito gli dei mitici con divinità celesti, “simbolo della stravaganza e speculazioni filosofiche incoerenti” (come riportato nel v. V del Dizionario Letterario Bompiani). Pasolini, leggendo la commedia in chiave inversa rispetto alla proposta dell'autore, fa trionfare il pensiero di Socrate ,, che aveva scelto tre divinità, “caos, nuvole e linguaggio” (nelle parole di Aristofane) per presiedere al destino degli uomini.,

Nella tragedia shakespeariana, secondo Kott: “Le questioni fondamentali, riguardanti il ​​significato o l'assurdità del mondo, possono essere svelate solo alla fine del viaggio. Laggiù, appunto, in fondo all'abisso”. Lo stesso accade dentro Dormi tra le nuvole?. Si Otello “è la tragedia dell'uomo sotto un cielo vuoto” (parole di Kott), o sotto un “cielo di marmo lontano”, come afferma il protagonista, nell'episodio inventato da Pasolini, i personaggi, di fronte a un cielo popolato di nuvole , scoprire il senso del sacro cosmico e, con esso, il senso della vita.

*Mariarosaria Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Lettere Moderne della FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Il neorealismo cinematografico italiano: una lettura (edusp).

Originariamente pubblicato con il titolo “Pasolini sulle orme di Shakespeare”, nell'opera collettiva Dialogo tra letteratura e altre arti.

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note:


[1] “Che cosa sono le nuvole?” avrebbe dovuto costituire il secondo episodio di Che cos'è il cinema? [Cos'è il cinema?] o Smandolinato [Bandolinadas, ovvero composizioni poetiche dolci e educate], un film che Pasolini non ha saputo fare. A questo progetto fa riferimento il regista, nel prologo della puntata, soffermandosi sui manifesti delle quattro parti che lo comporranno – “La terra vista dalla luna”, che integravano Le streghe (come bruxas, 1966), “Che cosa sono le nuvole? Mentre il primo manifesto, già strappato e gettato a terra, recita “ieri”, gli altri annunciano rispettivamente gli spettacoli di “oggi”, “domani” e “presto”. I manifesti riproducono quadri di Diego Velázquez: “Che cosa sono le nuvole?” è un dettaglio di Le ragazze (Le ragazze, 1656).

[2] Raccolta di 113 romanzi (e non 100, come farebbe credere il titolo, di derivazione greca), ispirata alla struttura del Decameron (decameron, w. 1348-1353), di Giovanni Boccaccio. Da un'altra soap opera gli ecatommiti, Shakespeare ha disegnato la commedia Misura per misura (Misura per misura, 1604) ((come riportato nel v. III del Dizionario Letterario Bompiani).

[3] Ad esempio, dall'Atto III furono eliminate le scene 1 e 2, mentre dall'Atto 3 fu mantenuto l'incontro tra Cassio e Desdemona, ma senza la presenza di Emilia, moglie di Iago. Nel film c'è un certo interesse da parte di Desdemona per la bellezza e la giovinezza di Cassio, ma le insinuazioni di Iago sul “tradimento” sono più sintetiche e spesso affidate a mimica o gesti. Inoltre, è Iago e non sua moglie che trova il fazzoletto, per caso, e lo dà a Rodrigo, un personaggio il cui ruolo diventa più grande con la soppressione di Emília. 

[4] È interessante notare che, nel 1966, Pasolini abbozza sette tragedie, che concluderà in anni successivi, nelle quali comincia ad esporre il concetto di “teatro della parola” (teatro della Parola), come lo chiama, lanciando il “Manifesto per un nuovo teatro” (“Manifesto per un nuovo teatro”). Contrapponendo sia il teatro tradizionale che quello sperimentale, Pasolini, ispirandosi alle tragedie greche, propone che, per valorizzare il testo, l'azione scenica sia praticamente annullata, così che la Parola possa essere consustanziata attraverso l'attore. Come espone Alberto Moravia, recensendo una serie televisiva del 1978, le tragedie greche, accanto ai drammi shakespeariani, sono l'opposto dei testi drammatici di Luigi Pirandello o Jean-Paul Sartre, basati sull'azione e non sulla scrittura: “Qui tutto avviene per iscritto; la rappresentazione non ha lo scopo di completare il testo, ma solo di interpretarlo”. Christophe Bident sottolinea che è importante ascoltare il testo, lasciando aperti tutti i significati, per incarnare e costruire l'immaginario di un'opera.

[5] “Il vero artefice della tragedia è Iago, senza il quale Otello continuerebbe a vivere in pace con la sua Desdemona. Ma la prima condizione perché avvenga la tragedia, cioè la critica, è la passione del Moro», sottolinea Moravia in un testo degli anni Trenta, la gelosia che nutre per il suo superiore, fatto che rivela un atteggiamento di «dipendenza, passività , sterilità”.

[6] Tracciando un parallelo tra Iago e il servo del commedia d'arte (Zanni, Arlecchino o Briguela), più al servizio dei propri interessi che di quelli del suo padrone, Barbara Heliodora ricorda la descrizione della “Brighella tenebrosa e crudele”, fatta nel 1956 da Thelma Niklaus, che coincide con la caratterizzazione pasoliniana di Iago: “il suo maschera, di un povero verde giallastro, gli dava l'espressione cinica di un uomo per il quale la vita non aveva più sorprese... Era l'intermediario, lo sbruffone, la spia, furtivo e sinistro nelle sue peregrinazioni, mai promettente alcun bene a chi entrava in contatto con lui, sempre pronto a vendere il suo onore, il suo padrone... sconfiggere amici o nemici, creare guai, commettere delitti”. Secondo Aumont, nel caratterizzare Iago, con il suo “viso dipinto di verde, sormontato da un immenso cappello nero”, Pasolini si sarebbe ispirato ai dipinti di Masolino o Paolo Uccello. Non dobbiamo dimenticare però che, nel pezzo stesso, c'è un riferimento al colore verde. Moacyr Scliar, nell'affermare che “la gelosia e l'invidia sono farina della stessa borsa”, ricorda che Iago definisce la gelosia come “il mostro dagli occhi verdi”, espressione che il bardo di Avon aveva già usato in Il mercante di Venezia (Il mercante di Venezia, w. 1596) per designare l'invidia.

[7] Come sottolinea Vittorio Podrecca, il repertorio del teatro di figura, incorporando opere di grandi scrittori, tra cui Shakespeare, ha contribuito a renderli popolari.

[8] George Speaight e Henryk Jurkowski notano che, in commedia d'arte, recitavano contemporaneamente attori o marionette.

[9] Moravia, nel romanzo L'attenzione (1965), individua addirittura il deus ex machina con la morte, coerente con le teorie pasoliniane sul cinema. Nel saggio “Il cinema di poesia” (“Il cinema di poesia”, 1965), Pasolini (1966) afferma che, in un film, la vita è riprodotta nel campo lungo, il cui flusso continuo di immagini è interrotto dal taglio, questo taglio che però le dà senso, così come la morte dà senso alla traiettoria umana.

[10] Le battute sono state tratte direttamente dall'episodio pasoliniano.

[11] Va da sé che Shakespeare è stato un riferimento importante per Brecht, come osserva Edelcio Mostaço.

[12] Per alcuni critici, tra cui Aumont, l'invasione del palcoscenico da parte del pubblico sarebbe una ripresa di quanto accade nel teatro dei burattini nel secondo episodio di Nazione (paisà, 1946), di Roberto Rossellini, al quale Pasolini renderà omaggio. Hervé Joubert-Laurencin indica, come matrice di queste sequenze in entrambi i film, il decimo capitolo di Le avventure di pinocchio (Le avventure di Pinocchio, 1883), di Carlo Collodi, in cui il burattino di legno va a vedere uno spettacolo di marionette. Questi, quando riconoscono in Pinocchio uno simile, scombinano la rappresentazione e il burattino, dopo essere salito in scena, viene portato in trionfo.

[13] L'autore ricorda anche che i drammaturghi elisabettiani erano ben consapevoli del commedia d'arte. Shakespeare, che deve aver avuto occasione di assistere a questo tipo di spettacolo nel 1602, ha reso omaggio all'arte teatrale italiana anche nelle commedie che ha scritto.

[14] Il testo della canzone, scritto da Pasolini, è tratto direttamente da “Che cosa sono le nuvole?”. Riproduciamo la versione originale: “Ch'io pode esser dannato / se non ti amo / e se così non foi / non capirei più niente. / Tutto il mio folle amore / lo soffia il cielo / lo soffia il cielo così. // Ah, malerba soavemente delicata / di un profumo che dà gli spasimi. / Ah, ah, tu non fossi mai nata! / Tutto il mio folle amore / lo soffia il cielo / lo soffia il cielo così. // Il derubato che sorride / ruba qualcosa al ladro, / ma il derubato che piange / ruba qualcosa a se stesso, / perciò io ti dico, finché Sorriderò / tu non sarai perduta. // Ma queste son parole / che non ho mai sentito / e un cuore, un cuore affranto / si cura con l'udito. / E tutto il mio folle amore / lo soffia il cielo / lo soffia il cielo così”.

[15] Quest'opera si intravede nella cabina del camion che trasporta i due pupazzi, nell'epilogo dell'episodio.

[16] Ramos ricorda che, in questa commedia, Corneille si avvicina a Shakespeare e dialoga con il commedia d'arte.

[17] Non dobbiamo dimenticare che, pur con una certa parsimonia, anche Shakespeare ricorse alla prospettiva abissale. Inoltre si è avvalso dello “spettacolo involontario”, della “manipolazione”, cioè del “male inverso dell'illusione”, che in Otello, ad esempio, porta il protagonista a prendere la felicità amorosa espressa da Cassio come la prova ultima dell'infedeltà di Desdemona, secondo Louis Lecocq e Catherine Treilhou-Balaudé.

[18] Per Joubert-Laurencin, in Calderon (1967), nominando tutti i protagonisti di Las Meninas, Pasolini dimostra non solo di conoscere bene l'opera di Velázquez, ma anche di aver letto Parole e cose (Le parole e le cose, 1966), in cui Michel Foucault analizza il dipinto. Secondo Mariniello, il regista si avvale della lettura dell'opera del filosofo francese anche in “Che cosa sono le nuvole?”.

[19] L'ipotesi di Joubert-Laurencin che il titolo dell'episodio sarebbe stato scelto perché permetteva di stabilire una relazione tra le nuvole del film e il cielo della canzone non sembra affatto verosimile, oltre ad essere piuttosto semplicistico. Nel blu dipinto di blu (Più conosciuto come Volare), successo mondiale di Modugno, nel 1958. Inoltre, il compositore aveva già collaborato con Pasolini, quando cantò i titoli di Uccellacci e Uccellini (falchi e uccelli, 1966), in cui, oltre ai dati tecnici e alla definizione del genere dell'opera, si commentavano gli interpreti dei due protagonisti, Totò e Ninetto Davoli.

[20] Precipizio situato ad Atene, sul quale venivano gettati i condannati a morte, come spiega Kury. Secondo Joubert-Laurencin, questa sequenza, con i due corpi inerti trasportati su un camion e poi gettati in un fosso, farebbe riferimento ad Auschwitz, interpretazione un po' forzata.

[21] È come se i burattini riuscissero a ritornare a uno stato di innocenza, che, secondo Pedro Süssekind, l'uomo ha perso “dal momento in cui prende coscienza di sé, che pone su ogni azione uno sguardo presunto che giudica se è giusto o sbagliato, che si debba o meno fare”, come si evince dalle conversazioni dietro le quinte. Il “silenzio trascendente” che sta per sostituire le parole, cioè quello “stato di meraviglia” (come lo definisce Paulo Hebmüller) davanti all'opera suprema, che chiude l'episodio, è legato alla cultura cattolica all'interno della quale il marxista Pasolini era sollevato. Il regista approfondirà la questione della manifestazione divina in Teorema (1968) e il romanzo omonimo che è stato tratto dal film. 

[22] Al riguardo, Aumont propone un'altra lettura, quando paragona l'episodio a Francesco Giullare di Dio (Francesco, araldo di Dio, 1949), “con i suoi quattro o cinque piani di nubi in fuso E i tuoi fuso al nero finale, che è un assoluto. Le nuvole di Rossellini erano il cielo, erano il segno visibile dell'invisibile; Fai uno fuso per i neri era chiudere le palpebre del cinema in modo che potessimo vedere solo il paradiso. Pasolini ci riporta sulla terra, nell'unico mondo che esiste, per sempre. Da lì in poi la conclusione dei suoi film sarà sempre brusca, ci lasceranno sempre in mezzo alle cose, alla struggente bellezza del creato, alla crudeltà del mondo con cui si armonizza un po' di innocenza”. Il confronto tra i due film, però, sembra indicare che Pasolini abbia seguito la scia di Rossellini.

[23] Difensore del senso comune tradizionale, Aristofane non accettò le sottigliezze della dialettica e della retorica socratiche (come riportato nel v. V della Dizionario Letterario Bompiani).

[24] Come si accennava alla nota 4, è in questo periodo che Pasolini torna alla drammaturgia greca, interesse che si esplicita nelle commedie e nei film prodotti fino alla fine degli anni Sessanta.


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