da LUIS FELIPE MIGUEL*
Il pragmatismo politico rimuove dal suo campo visivo tutta l’energia di cambiamento latente nella società
Ogni volta che pubblico un testo che critica il “pragmatismo” dei leader di sinistra – concessioni al capitale, concessioni ai pastori, concessioni al Centrão, concessioni ai militari, vizi ai golpisti, ecc. eccetera. – non mancano persone che dicono che non esiste altra via. Queste sono le circostanze. Questo è quello che abbiamo per il momento. Che, citando la frase attribuita a Otto von Bismarck, “la politica è l’arte del possibile”. Veramente?
In un certo senso sì, ma nel senso banale che ogni attività umana, dall’ingegneria alla cucina, dal calcio alla medicina, è, a suo modo, “un’arte del possibile”. Il problema è che la frase viene letta in un modo in cui il realismo cede il posto al possibilismo.
Possiamo confrontare l'adagio di Otto von Bismarck con l'eloquente brano di quaderni carcerari in cui Antonio Gramsci descrive il “politico in azione” come “un creatore, un istigatore; ma non crea dal nulla, né si muove nel vuoto torbido dei suoi desideri e dei suoi sogni. Si basa sulla realtà dei fatti”.
In modo sintetico, Antonio Gramsci segnala la necessità di superare sia l'angusto possibilismo, che vede immutabili i limiti posti all'azione politica, sia il volontarismo, che ritiene che essi possano essere disattesi con una mera decisione soggettiva.
Adotta un realismo dinamico, erede di Niccolò Machiavelli e Karl Marx, includendo nel suo racconto sia le energie trasformative latenti nel mondo sociale sia la volontà attiva di mobilitarle.
Gran parte della sinistra brasiliana rimane estranea a questa dinamica e intrappolata nel possibilismo, che porta a una brutale riduzione dell’orizzonte delle aspettative – sulla base della consapevolezza che esiste un “correlazione di forze” favorevole ai gruppi conservatori e, quindi, la nostra opzione è tra poco e niente.
O meno. Dal colpo di stato del 2016, la destra ha irrigidito le sue posizioni e ciò che ci resta è ben poco, in alternativa al nulla.
In questa linea di pensiero, il rapporto di forza è percepito soprattutto come quello presente nelle istituzioni politiche formali. La tesi è: Lula si trova di fronte a un Congresso molto conservatore; pertanto, il margine per l’adozione di politiche redistributive e democratizzanti è molto ridotto. Corollario: è meglio aspettare pochissimo, perché di più non sarà possibile ottenere.
Non sono tra coloro che negano apertamente la validità di un calcolo di questo tipo. In effetti, la differenza tra poco e niente può essere ignorata dai privilegiati, ma spesso è una questione di vita o di morte per i più poveri.
Il problema è che questa lettura funziona con una temporalità limitata e rimuove dal suo campo visivo tutta l’energia di cambiamento latente nella società – tutto l’anticonformismo, la rivolta, l’indignazione, che continuerà a essere latente, incapace di organizzare e un’azione efficace, se le forze politiche impegnate a trasformare il mondo restano indifferenti, immerse in una visione della politica che si riduce al calcolo elettorale immediato.
* Luis Filippo Miguel È professore presso l'Istituto di Scienze Politiche dell'UnB. Autore, tra gli altri libri, di Democrazia nella periferia capitalista: impasse in Brasile (autentico).
Originariamente pubblicato sui social media dell'autore.
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