da LUIZ RENATO MARTIN*
Dal cubismo analitico nascerà antiteticamente il collage come atto di forza o eccezione
misure di eccezione
Il cubismo non è riuscito a restituire credibilità alla rappresentazione pittorica del mondo e, quindi, non ha trovato altra alternativa che ricorrere a misure eccezionali. Così, dal cubismo analitico nascerà antiteticamente il collage come atto di forza o eccezione, alla vigilia della prima guerra mondiale.
In sintesi, a cosa corrispondeva la risorsa di introdurre oggetti non pittorici nello spazio pittorico? Ad una sorta di “espropriazione violenta” o processo di primitiva accumulazione delle cose del mondo – manovra parallela all'espropriazione poco prima della cosiddetta arte “primitiva”. Erano tutti espedienti utilizzati per ripristinare (almeno temporaneamente), in una situazione di emergenza o di prolungato stato di eccezione, la credibilità del sistema pittorico (e correlativamente scultoreo), la cui “liquidità” o solvibilità si era bruscamente estinta a causa della crisi dei media e fondamenti della mimesi.
Non dimentichiamo che la prima guerra mondiale era in quel momento. UN collage corrispondeva allo stato d'assedio e al razionamento installato, e arrestava temporaneamente l'insolvenza generalizzata della credibilità.
In altre parole, e secondo la prospettiva del cubismo analitico, l'introduzione di elementi extrapittorici corrispondeva a un ulteriore sforzo per oggettivare o superare i limiti del solipsismo e il contenuto fondamentalmente astratto della ragione critica borghese. Insomma, l'operazione corrispondeva a un movimento di intensificazione del realismo, che a quel punto era senza credito e in crisi acuta. Così, i nuovi oggetti incorporati allo stato grezzo e improvvisamente dal collage (giornali, stoffe, oggetti vari, carta, cartone, imballaggi, sabbia, ecc.) hanno portato nello spazio cubista, costituito su tela o su un supporto simile, l'opacità e la resistenza delle cose del mondo.
Riconsideriamo ulteriormente l'effetto dell'intervento. Qual è stato il nuovo fattore che è entrato in gioco nel collage e che, nonostante gli sviluppi innovativi, non è bastato di fronte alla profondità della crisi? Per il principio o impegno semantico e la funzione figurativa o mimetica del Cubismo, ricordata con insistenza dai titoli delle opere e sottolineata anche da storici come Pierre Francastel e Giulio Carlo Argan, il collage elementi tattili combinati e riferimenti visivi convenzionali (nature morte). Di cosa si trattava comunque?
Nella sua produzione, il collage frammenti impliciti di materiali diversi alla portata della mano dell'artista. Fondamentale per una tale comprensione del collage, è che questo, a differenza del cubismo analitico e del futurismo, non ha dissolto, né nell'ordine delle intuizioni né in quello degli elementi della superficie pittorica, la molteplice eterogeneità di tali elementi. Questo è stato il grande passo storico del collage, anche se né essa né i significativi e fecondi dispositivi che ne derivarono – come la costruzione-scultura e poi i controrilievi angolari di Tatlin (1885-1953) – bastarono a fondare un nuovo regime visivo.
Na collage, tuttavia, la superficie cessò di essere una e speculare o di funzionare da supporto metafisico – che fu il suo significativo salto – per acquisire, “come entità plastica, la forza di attrarre e integrare frammenti di realtà esterna, ad esempio pezzi di giornale, cartone, legno”.[I] La provenienza differenziata dei suoi elementi – come quella di una folla in una moderna arteria urbana – evocava un'unità esplosa.
Ricapitoliamo in vista di un bilancio. Il processo percettivo-intellettuale o modo della conoscenza, prima unificato secondo un'idea regolatrice nello schema kantiano della ragione, è poi passato – con la collage – da esporre come processo produttivo o come esposizione di un modo di produzione. Nascono così intuizioni isolate come parti e la dimostrazione che, per assemblarle, occorre procedere come un ingegnere davanti a una ruota dentata, o comunque come un montatore che – per evocare o ricostituire nel montaggio un insieme di relazioni – doveva ordinare gli elementi sconnessi prodotti dai dispositivi cinematografici e che non componevano necessariamente un insieme organico.
Soffermiamoci su alcune implicazioni di questo salto storico. Lo spazio, assunto in Kant come costrutto a priori dalla pura sensibilità, ha cominciato ad essere captato a poco a poco e mediato in pratica dalle azioni del corpo. UN collage operava con ciò che trovava, incorporava ciò che era a portata di mano. Vale a dire, l'orizzonte di collage è stata così ridefinita non come infinito e proiezione della ragione, ma come ricognizione cartografica della sfera d'azione di un soggetto corporeo in termini di un insieme di informazioni sensibili e operative proprie del campo degli interessi e delle azioni del suo corpo. Si trova così nel mondo dell'esperienza tattile, nel senso di Walter Benjamin, cioè un'arte legata allo stesso ambiente di riproduzione sociale e un intervento ancorato alle pratiche quotidiane.
A collage è emerso come un regime discorsivo virtualmente tattile e non contemplativo, che incorpora materiali ordinari. Sembrava quindi inteso come un modo simbolico per muoversi contro la scissione tra la sfera della cultura, del sapere e della speculazione intellettuale e quella del lavoro, della produzione e della vita della maggioranza.
In che misura, però, la negazione del paradigma contemplativo basato sulla divisione sociale del lavoro si è concretamente realizzata attraverso le pratiche di collage? Affrontiamo prontamente questo tema, in quanto decisivo per la sfida proposta sui termini della “morte della pittura”. forse a collage sospendere del tutto l'uso della suggestione profonda, i suoi supporti e le sue operazioni? Portava o esprimeva uno scopo radicale, come la figura del regicidio, di recidere ogni legame con il fondamento unitario del precedente ordine pittorico e dei suoi presupposti sociali? O corrispondeva piuttosto a una situazione provvisoria e ambivalente, a un regime giuridico di eccezione o di stato d'assedio?
Ambivalenza e giacobinismo
Finora, ho cercato di evidenziare il collage come processo di rottura. Ho appena proposto un'approssimazione con l'immagine del popolo o di una folla e, quindi, avrei potuto paragonare tale processo, ad esempio, a quello dell'attraversamento e della moltiplicazione accelerata delle persone che assaltano il Palazzo d'Inverno, come inscenato nel Ottobre, di Serguei Eisenstein (1898-1948)…
Ammetto che, per evocare la genesi degli oggetti di Tatlin, ho esagerato, per provocare, il debito verso il collage. Ma ora voglio invertire questo punto di vista e specificare che l'emergere di collage piuttosto aveva a che fare con il mondo di passeggiare, di boemia o forse di tumulti spontanei e dispersi; ma non esattamente in un contesto di azioni politiche collettive, organizzate e strategicamente concepite, come quelle che portarono alla Rivoluzione d'Ottobre – piuttosto pianificate e disciplinate che volontariste e spontanee.
In questo senso Patricia Leighten (1946-), che rinnova radicalmente gli studi sul collage,[Ii] insisteva nel collegare il giovane Picasso (1881-1973) con i circoli anarchici catalani. Cioè, il mondo degli elementi di collage e in parte della scultura-costruzione che segue è piuttosto il mondo crepuscolare di passeggiare e Boemia.
Basta una rapida occhiata ai tuoi materiali preferiti: bottiglie, bicchieri, chitarre, tabacco, fiammiferi e giornali, ecc. Questi ultimi, come sottolinea acutamente Patricia Leighten, si presentano come portatori apocalittici di forze esterne e araldi di un caos a cui l'ordine frammentato della società collage già anticipa e reagisce intuitivamente: lo scoppio della guerra intramperialista su scala mondiale.
Così, e nella sua genesi come pratica cubista, l'emergere di collage si trova su una cerniera. Corrisponde a una forma di crisi e di transizione, forse paragonabile a quella che il giacobinismo intendeva comandare, non senza ambivalenze e contraddizioni alla guida del Comitato di Pubblica Sicurezza e alle guerre difensive della Prima Repubblica Rivoluzionaria. In questo modo il collage segna certamente una flessione oggettiva in senso materialista e comporta anche l'uso di “preformati” (o ready-made: etichette, scatole di fiammiferi, spartiti, ecc.), nonché composizioni basate su materiali visibilmente eterogenei, che non danno luogo a illusioni sull'unità speculare dell'immagine prodotta. D'altra parte, il censimento della disparata provenienza dei materiali evidenzia, come ha giustamente osservato Leighten, lo scontro tra l'ordine del consumo privato domestico, da cui derivano la maggior parte degli elementi utilizzati nella collage, e la negazione di un tale ordine da parte del conflitto mondiale che ha raggiunto la Francia attraverso i resoconti dei giornali sulle battaglie nei Balcani, ecc.
Si trattava, quindi, di un discorso intuitivo ambivalente permeato dal sentimento imminente di un'apocalisse – di fronte alla quale l'ordine ottenuto attraverso l'accostamento di materiali disparati proponeva una forma contraddittoria provvisoria, di crisi o di transizione. Tanto che il collage servito successivamente in altre circostanze storiche – in cui l'esperienza della frammentazione era già stata assimilata nella quotidianità e “normalizzata” – come espressione di arretramenti e restaurazioni.
Il “Diciotto brumaio” della pittura
Questo percorso rivela immediatamente la fragilità delle credenze nella possibilità di una rivoluzione estetica slegata da un'effettiva rivoluzione sociale e politica.
Le innovazioni produttive si verificano certamente o sono addirittura, come è noto, intrinsecamente costitutive del modo di dominio borghese. Pertanto, le rivoluzioni produttive – senza una rivoluzione nelle relazioni sociali e di potere – non fanno altro che raddoppiare le relazioni di classe esistenti. Così, nell'Europa capitalistica, il collage cubista passò prontamente alle nature morte e tale passaggio o cambio d'abito integrò il cosiddetto “ritorno all'ordine” del periodo tra le due guerre, mentre gli sviluppi rivoluzionari del collage si riattiveranno solo nel Processi rivoluzionari russi, tedeschi e messicani.
Quindi, allora, il collage così come avvenne nelle mani di Braque (1882-1963) e Picasso equiparava – secondo le metafore giuridico-politiche a cui ci lanciava la sfida di Juan Antonio – non a uno stato proprio della rottura rivoluzionaria o alla fondazione di una nuova ordine, ma piuttosto a un capitolo di crisi e di eccezione nel campo della visualità, di fronte alla forma regale di dominio dell'ordine visivo da parte della pittura.
In sintesi, il collage corrisponderebbe in tal senso alla tipologia dei momenti storici che Antonio Gramsci definiva di “crisi di egemonia” – situazione che, come sappiamo, si dispiega abitualmente in misure cosiddette eccezionali, ben presto consolidate in un regime bonapartista, nel Senso marxista della nozione. Tuttavia, la domanda-sfida proposta da Juan Antonio, sul regicidio, ci spinge oltre il rovesciamento di una dinastia da parte di un'altra, per cercare rotture storiche strutturali nel modo di dominio e nei rapporti di classe.
* Luiz Renato Martins è professore-consulente di PPG in Storia economica (FFLCH-USP) e Arti visive (ECA-USP). È autore, tra gli altri libri, di Il complotto dell'arte moderna (Haymarket/HMBS).
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Estratto dalla versione originale (in portoghese) del cap. 11, “Da un pranzo sull'erba ai ponti di Pietrogrado (appunti di un seminario a Madrid): il regicidio e la storia dialettica dell'arte moderna”, dal libro Il complotto de l'Art Moderne e altri saggi, edizione e introduzione di François Albera, traduzione di Baptiste Grasset, Parigi, edizioni Amsterdam (2024, primo semestre, proc. FAPESP 18/26469-9).
note:
[I] “La tecnica di collage (...) vuole dimostrare come l'opera d'arte viva un'esistenza propria e non più riflessiva...” Cfr. GC Argan, Arte e critica d'arte, Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 91 (ed. in portoghese: Arte e critica d'arte, trad. Helena Gubernatis, Lisbona, Editorial Estampa, 1995, p. 93). Similmente Argan afferma ne “L'Arte del XX Secolo”: “La grande novità artistica della prima metà del '1910 è il collage dei cubisti (…). Il dipinto (dei cubisti) non è solo un oggetto reale che occupa uno spazio reale, ma ha una forza che si potrebbe dire magnetica e che gli permette di catturare la realtà che lo circonda, o meglio, di prenderne dei frammenti ostaggio. Così, la tecnica del collage, che tende a trasformare l'opera dell'artista in una sorta di montaggio, si sviluppò rapidamente e divenne uno dei più grandi fondamenti linguistici dell'arte moderna. (…) La prova che il collage ha costituito, dal XNUMX in poi, quasi una costante linguistica, sta nel fatto che questa tecnica e le sue derivazioni non sono rimaste esclusive del cubismo e dei movimenti costruttivisti che ad esso erano più o meno direttamente legati”. Cfr. GC ARGAN, “L'Arte del XX Secolo”, in idem, Da Hogarth a Picasso, operazione. cit., pp. 389-90 (ed. braz.: “L'arte del Novecento”, in idem, Arte moderna in Europa, operazione. cit., pag. 475).
[Ii] Patrizia LEIGHTEN, Riordinare l'universo/ Picasso e l'anarchismo, 1897-1914, Princeton, Princeton University Press, 1989; idem, “Dichiarazione del redattore: rivedere il cubismo”, in Rivista d'arte, redattore ospite: Patricia Leighten, New York, The College Art Association of America, vol. 47, no 4, inverno 1988, pp. 269-76; idem, “I collage di Picasso e la minaccia della guerra, 1912-13”, in Il Bulletin d'arte, New York, College Art Association of America, vol. LXVII, numero 4, dicembre 1985, pp. 653-72; idem, “'La Propaganda par le Rire' Satira e sovversione nei collage di Apollinaire, Jarry e Picasso”, in Gazette des Beaux-Arts, VI e Période, Tomo CXII, 130 année, ottobre 1988, pp. 163-72.
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