da LUIZ RENATO MARTIN*
La “morte della pittura” a scopo poetico e politico (estratto dal libro La Conspiration de l'art moderne: une approche marxiste)**
Una sfida
Inizierò accettando la sfida propostami da un caro amico Juan Antonio Ramírez, che mi ha consigliato di occuparmi della connessione tra arte moderna e regicidio. In tempi di negazione della storia, è all'intuizione di questo storico che cercherò di rispondere.
Nella storia dell'arte moderna è accaduto qualcosa di equivalente a ciò che è stato il regicidio nella storia politica e sociale? La costruzione dell'arte moderna avvenne a partire da una rottura come quella che ratificò la fondazione della repubblica rivoluzionaria nel 1793, con il doppio rito di esecuzione dei coniugi capetingi, come atto collettivamente riflesso e deliberato – percepito allora non solo come francese , ma come svolta senza precedenti e decisiva nella storia del mondo?
– “Riproporre la storia dell'arte moderna, partendo dall'idea del regicidio…” – mentre ordinavamo qualcosa da bere al bancone, me lo lanciò, parlando di traverso, come per fare un commento casuale , forse per prendere in giro, o forse anche contagiato dall'agitazione indisciplinata della quotidianità messicana (in cui le cose accadono, sovrapponendosi)… Avendo divorato (come ho notato poi) un testo che gli avevo fatto leggere strada facendo, su Manet (1832-83) scena di ripresa di Massimiliano, fu con una tale sfida (spiegata subito in una delle sue risate) che Juan Antonio mi provocò in uno squallido caffè lungo la strada, durante una fermata dell'autobus durante il viaggio da Oaxaca a Città del Messico.
Tornò poi sull'argomento un paio di volte, ma con una tale insistenza di tono, che finii per accorgermene in corso, più che il Eros o l'istinto dello storico - e più anche dello scherzo tra amici -, infatti, il ethos di un repubblicano spagnolo, irresponsabile di fronte alla restaurazione e alla retorica della conciliazione, che tuttavia rimangono come clausole pietrose in Spagna dagli accordi di Moncloa dell'ottobre 1977, nel pacchetto di transizione sotto la reggenza franchista.
Come è noto, patti che divennero poi paradigma di tutte le transizioni conservatrici in America Latina – preparati alla luce della Moncloa per evitare che il popolo inondasse le strade (come era avvenuto poco prima in Portogallo nel gioioso e popolare rovesciamento del regime di Salazar nell'aprile del 1974, e fenomeno che il franchismo, con l'appoggio attivo degli Stati Uniti, cercò a tutti i costi di evitare); patti, insomma, che costituirono, a loro modo, un primo esperimento di imposizione su scala mondiale del totalitarismo neoliberista.
La sfida divenne un compromesso e, poi purtroppo, anche l'eredità affettiva di un amico andato via troppo presto.[I]
Regicidio
Lo farò come un detective. Tradurrò la figura del regicidio, carica di simbolismo e della forza sintetica di un atto fulminante, in altre questioni più sottili, per iniziare passo dopo passo l'indagine.
Devo chiarire che abbiamo concordato fin dall'inizio, tra me e Juan Antonio, di considerare il regicidio in pittura non come un motivo, ma come un'operazione di linguaggio o un atto simbolico. Dunque, per regicidio nei confronti della pittura – intendendo quest'ultima come una modalità regale della visualità o un più ampio paradigma visivo – si tratterebbe di riesaminare i termini e le circostanze della cosiddetta “morte della pittura”, non certo come fatto naturale o di scadenza, ma come atto di giudizio e per una buona ragione con finalità poetiche e politiche.
Dall'ancien régime al regicidio: problemi
Ciò detto, andiamo avanti con l'indagine il cui scopo consisterà, secondo la sfida, nel ricostruire i nessi di un processo storico attraverso una narrazione critica sistematizzata. Quando risalgono alle esperienze pittoriche l'irruzione dell'eterogeneità e dell'inconciliabilità? Da quando il “primato divino dell'armonia” o dell'unità metafisica classica come principi dell'ordine artistico si è estinto e ha invece stabilito una sorta di “legge naturale” dei diversi materiali? In quali circostanze si è verificata l'irruzione plebea e materialista, che ha portato alla pittura ogni sorta di pratiche volgari senza traccia di maestria, oltre ai materiali ordinari organicamente legati all'opera e alla vita della grande maggioranza? Da quando in qua la pittura è stata strappata ai recinti sontuosi e alla clausura dello spirito e immersa nelle convulsioni e contingenze delle città e delle megalopoli?
In altre parole, delineare il passaggio che ha portato la pittura a negare ea superare il suo Vecchio regime, cercherò di situare, nell'ambito della visualità e della sua storia, la dissoluzione del regime del diritto divino nella pittura e la sua trasformazione in elemento di un nuovo regime repubblicano esposto al corso teso e lacerante del conflitto di classe.
Ma il primo problema: come tradurre nozioni così eminentemente giuridico-politiche e scaturite dalla riflessione sulla storia sociale in termini di idee estetiche, senza ledere la specificità e la dinamica di entrambe? Questa è una delle difficoltà – e non certo la minore – della sfida di Juan Antonio.
Dimostrazione
Iniziamo l'indagine trattando la sua base storico-materiale prima che giuridica e astratta. Cominciamo col precisare il processo di modernizzazione accelerata secondo l'esperienza della frammentazione e della discontinuità – o dello “shock”, come diceva Walter Benjamin (1892-1940), riferendosi al processo di trasformazione generalizzato che investì fortemente l'ambiente di Edgar Allan Poe (1809-49) e Charles Baudelaire (1821-67).[Ii] Rivolgiamo allora la nostra attenzione al pittore che Charles Baudelaire definì “il primo nella decrepitezza” della sua arte:[Iii] Édouard Manet – che ebbe anche il compito di riprendere, rivalutare e attualizzare il tema tabù del regicidio nelle sue opere sull'esecuzione di Massimiliano, tema sul quale tornò cinque volte dal luglio 1867 fino a circa la fine di gennaio 1869, quando concluse la tela, ora a Mannheim, e la relativa litografia.[Iv] Fin dall'inizio, quindi, va notato che regicidio, discontinuità e shock sono esperienze con nomi diversi, ma provenienti dallo stesso letto storico.
Tuttavia, già prima delle tele sull'esecuzione di Massimiliano, se ammettiamo l'articolazione di elementi discontinui come premessa primordiale della nozione di collage, e questa come sintassi inerente a un rapporto tra elementi essenzialmente eterogenei (a differenza di una sintassi di fondo naturale e di un organico e fluidità continua), possiamo considerare che qualcosa di un collage – o di un'esperienza visiva basata sullo shock – è già presentato in Le Déjeuner sur l'Herbe (Pranzo sull'erba, 1863, olio su tela, 208 x 264 cm, Parigi, Musée d'Orsay) di Éduard Manet.
Il suo tema, due figure borghesi e due femminili in un bosco, è mutuato da due opere della tradizione: un'incisione di Marcantonio Raimondi (ca. 1480-1534), Il giudizio di Paride (Il Giudizio di Paride, circa. 1515-16, incisione, cm 29,2 x 43,6, Londra, The British Museum), tratto da un'opera omonima di Raffaello (1483-1520) oggi perduta; e il concerto di campagna (Il Concerto Paese, circa. 1510, olio su tela, 118 x 138 cm, Parigi, Musée du Louvre), di Tiziano (ca. 1485/90-1576). A che fine?
In effetti, il suo scopo, in breve, era principalmente quello di rendere esplicita la negatività positiva insita nel processo storico capitalista che smonta e trasforma tutto sotto i nostri occhi. In questo modo la pittura di Manet cerca di attuare, con metodo e ricorrenza, il ritorno a figure della tradizione, scelte dal pittore con finezza filologica – proprio per dimostrarne l'impossibilità. Un des-rinascita didascalico era lo scopo di tale esperienza, figlia a suo modo se non di Hegel, dello storicismo (si noti che Chenavard, pittore della generazione precedente, interlocutore e amico di Delacroix e Baudelaire, aveva fatto del processo storico il suo grande movente. a differenza di Édouard Manet –, nel metodo di Chenavard, ancora privo di preoccupazioni filologiche e materialiste, le forme, le basi ei parametri della sua pittura rimasero incrollabilmente neoclassici).
Tuttavia, l'operazione critica di Édouard Manet, prima di esaurire il problema, lo ha solo introdotto. Sollecitava lo spettatore delle sue tele a mappare l'attualità stessa in continua trasformazione, come aveva già notato, prima del pittore, Baudelaire – che era già materialista e filologo della vita moderna – senza dimenticare, naturalmente, la manifesto comunista (1848), Marx (1818-83) ed Engels (1820-95).[V]
Così, il trattamento dei materiali della tradizione in prima colazione…appare in netto contrasto con i valori armonici del classicismo raffaellesco e con il sistema cromatico di Tiziano e Giorgione (1476/8-1510) – ai quali un tempo era anche attribuito Il Concerto Paese. In questo senso, nella tela di Manet si sviluppano diverse dissonanze, come ad esempio l'assenza di transizione tra luce e ombra a favore dell'instaurarsi di contrastanti opposizioni cromatiche - e d'ora in poi, e senza ulteriori indugi, ne considero molte altre da essere evidenti senza citarli, per meglio soffermarsi sulla questione strategica ed esemplare del contenuto assurdo della scena, che spiazza e si sostituisce al piacevole commercio con le muse rinascimentali del Concerto...
Al contrario, nel Dejeuner…, situato alla periferia di Parigi durante il II Impero, accanto a una donna in luminosa nudità, due borghesi in giacca e cravatta si intrattengono prosaicamente come se fossero soli o assenti dalla situazione; uno con lo sguardo perso e vagabondo, un altro che parla contando sulle dita come se stesse calcolando qualcosa, in vista di affari o altro. Sullo sfondo si intravede la seconda figura femminile semiaccovacciata e assorta, che raccoglie qualcosa da terra e si dissocia dai tre personaggi davanti, il che, del resto, rafforza le assurdità della scena, evidenziando anche subliminalmente i legami (atomizzati ) di ciascuna delle figure con l'ora.
Certo, con tante e così evidenti contraddizioni, la scena sembrava, invece di narrare o designare qualcosa, prendersi gioco del buon senso corrente. Tuttavia, allo stesso tempo, introdusse surrettiziamente elementi di un nuovo tipo di realismo, frammentari e coinvolgenti effetti shock che evidenziarono tratti dell'attuale modo di essere. Di fatto e di fatto, in entrambi i registri della percezione, il linguaggio del Dejeuner… dovuto non poco ai diorami, ai panorami e ad altri giochi visivi dell'industria dell'intrattenimento parigina dell'epoca.[Vi] Gli elementi visivi e le parti del dipinto sono stati progettati come se fossero destinati a opere e scene diverse. L'impudenza dell'operazione suonava come un attacco alla “pittura alta”, di gusto neoclassico, esposta nei Saloni. [Vii]
pranzo di classe
Nonostante la strategia della provocazione, e al di là del festival delle incongruenze, è anche possibile stabilire, attraverso deduzioni e sintesi, il significato dei riferimenti della scena del Dejeuner ... Così, per un repubblicano radicale dallo spirito feroce di fronte alla restaurazione bonapartista – che già dieci anni fa Marx classificava come una farsa –,[Viii] la scena, prima di essere di per sé assurda, potrebbe ben evocare qualcosa della situazione politica imperante. La tela opererebbe in questi termini come una parodia o una caricatura, sulla falsariga, ad esempio, di quelle di Daumier (1808-79) – autore infatti molto apprezzato da Baudelaire fin dalla tenera età.[Ix] e preso ad esempio dal giovane Manet (discepolo del poeta-critico) nonostante l'esasperazione di Couture (1815-79), suo maestro nel professione.[X]
In questa prospettiva, la figura femminile nuda affiancata dai due borghesi vestiti a festa – ma che alzano le spalle fissando direttamente lo spettatore – potrebbe ben servire da Marianne (la nota immagine allegorica della repubblica francese), un tema centrale , ad esempio, nel quadro emblematico di Delacroix (1798-1863) – altro maestro della generazione precedente –, La Liberté Guidant le Peuple (1830, olio su tela, 325 x 260 cm, Parigi, Louvre), sui cosiddetti “Giorni gloriosi” della Rivoluzione del 1830.[Xi]
Tuttavia, la Marianne di Édouard Manet – figura farsa, secondo la frase di Marx – invece di guidare il popolo appare isolata dall'ambiente urbano e installata nell'erba come una specie di bottino, trofeo o animale domestico, addobbando probabilmente il picnic di due borghesi alla ricerca di un rifugio bucolico dal rumore e dalla polvere delle grandi riforme di Parigi, ordinate da Napoleone III (1808-73) al barone Haussmann (1809-91).
Marianne nuda e senza parole
In questi termini, la scena appare proprio come un ironico contrappunto alla pittura di Delacroix – che, sulla scia dei viaggi mitici del 1830, celebrava l'unione politica della borghesia con il popolo. Manet, invece, nato nel 1832 e dipinto trent'anni dopo, non aveva certo modo di nutrire simili illusioni. Infatti, la sua memoria storica si è accumulata con le tante scene di iniquità della monarchia borghese (caratterizzate da Daumier), il ruolo della borghesia nelle stragi del giugno 1848 e, infine, la sua approvazione del colpo di stato del 2 dicembre . dal 1851.
Dunque, vista in quest'altra chiave – contrapposta alla tela di Delacroix –, la scena potrebbe ben corrispondere al giudizio che un repubblicano come Édouard Manet[Xii] farebbe per il II Impero – nato dal barcollamento del dicembre 1851.[Xiii] In sintesi, la tela tra ironico e allegorico alluderebbe alla situazione dello Stato e della vita politica in Francia, monopolizzata dalla borghesia; e, infine, ai loro opachi traffici e losche alleanze a discapito dell'interesse pubblico o Marianne – ora perplessa e muta, nuda e quasi in offerta sull'erba – convertita nell'esatto contrario dell'austera e virtuosa Marianne dai classici lineamenti di gli anni primordiali I e II, sempre su un piedistallo o elevato a messaggero delle verità fondamentali della Nazione. Al contrario, Marianne sull'erba, presentata da Manet con l'aria di freschezza di una parigina contemporanea – anonima tra tante altre nel mercato del lavoro (femminile) e del piacere (maschile) – è un'anticipazione dell'inserviente che, dal di lato da lì sul balcone Un Bar aux Folies-Bergères (1881-2, olio su tela, 96 x 130 cm, Londra, Courtauld Institute Galleries), guarda muto l'illustre committente, maestoso e con il cilindro, visto allo specchio.
Analogamente, la figura femminile sullo sfondo, assorta a raccogliere qualcosa da terra, avrebbe potuto benissimo uscire – se non fosse stato per le vesti, parodicamente evocative del modaiolo reliquiario neoclassico. kitsch impero – da una tela come Des Glaneus (I Collezionisti, 1857, olio su tela, 83,5 x 110 cm, Parigi, Musée d'Orsay), di Millet (1814-75) (altro insigne autore e punto di riferimento della precedente generazione pittorica, anche se non per la prospettiva urbana e cosmopolita di Manet) . Considerato il legame dichiarato tra la pittura di Millet e la vita contadina in Francia, l'effige femminile sullo sfondo consisterebbe in un'altra allegoria di classe – qui, quella dei contadini; queste furono, in un certo senso, una base passiva per le politiche del II Impero, ma allo stesso tempo escluse dal fuoco delle grandi imprese, a cominciare dalle mega-riforme di Parigi.
In conclusione – e tutto ciò considerato –, lo spettatore del Salon del 1863 avrebbe allora davanti agli occhi una scena satirica nello stile di quelle caricature di Daumier – ma, trasposta in pittura – e nello stesso tempo in cui molteplici rimandi ai maestri della generazione precedente ancora attivi a quel punto. Sta di fatto che la tela fece infuriare molti – unendo “fili scoperti”, come si direbbe dopo l'avvento del cablaggio elettrico – e, in questi termini, può ben essere vista come un esempio, rispetto all'ordine ancora regale della pittura, di quella che Oehler chiamò “estetica antiborghese”.[Xiv]
Infine, si può ammettere che tale ipotesi sembra in linea di principio ragionevole. Ma non è questo che conta qui. Molto più che la dimensione del significato puntuale di una tela, la posta in gioco, sulla base della sfida proposta da Juan Antonio – che comporta un sistematico riordino narrativo del processo storico dell'arte moderna – è stabilire un principio produttivo ad ampio spettro connesso in qualche modo regicidio. Sulla base di questo principio, una transizione da “Ancien Regime” della pittura, basata sull'unità pittorica degli elementi o sul principio “divino” di armonia dell'opera, verso una nuova sfera della visualità, questa volta volendo secondo “premesse repubblicane” – da realizzarsi, ovviamente, secondo alla sfida di Juan Antonio, di stabilire qualche ponte o equivalenza plausibile tra la sfera giuridico-politica e quella dell'estetica, considerata nella tradizione dell'idealismo illustrata da Kant (1724-1804) attualmente come “autonoma”.[Xv]
* Luiz Renato Martins è professore-consulente di PPG in Storia economica (FFLCH-USP) e Arti visive (ECA-USP). È autore, tra gli altri libri, di Il complotto dell'arte moderna (Haymarket/HMBS).
**Estratto dalla sezione iniziale della versione originale (in portoghese) del cap. 11, “Da un pranzo sull'erba ai ponti di Pietrogrado (appunti di un seminario a Madrid): il regicidio e la storia dialettica dell'arte moderna”, dal libro La Conspiration de l'art moderne: une approche marxiste, edizione e introduzione di François Albera, traduzione di Baptiste Grasset, Parigi, edizioni Amsterdam (2024, primo semestre, proc. FAPESP 18/26469-9).
note:
[I] Juan Antonio Ramírez ha proposto la sfida nell'ottobre 2007 e ha preso parte alla sua prima fase, che consisteva nel presentare il lavoro commissionato al suo seminario post-laurea presso l'Universidad Autónoma de Madrid in alcune sessioni dal 5 al 21 gennaio 2009. Dopo il seminario , Juan Antonio ha proposto di unire gli appunti del discorso ad altri miei saggi, da pubblicare in un volume della collana “Biblioteca azul” che ha diretto per le edizioni Siruela (Madrid). A settembre, Juan Antonio è morto improvvisamente.
[Ii] “Lo shock come forma predominante di sensazione è accentuato dal processo di lavoro oggettivato e capitalista. La discontinuità dei momenti di shock trova la sua causa nella discontinuità del lavoro che è diventato automatico, non ammettendo più l'esperienza tradizionale che presiedeva al lavoro artigianale. Allo shock provato dalla persona che cammina in mezzo alla folla corrisponde un'esperienza senza precedenti: quella dell'operaio davanti alla macchina” (Le choc en tant que form preponderante de la sensation se trouve accentué par le processus objectivisé et capitaliste du travail. La discontinuité des moment de choc trouve sa cause dans la discontinuité d'un travail devenu automatique, n'admettant plus l'experience traditionalelle qui présidait au travail craftsale. Au choc éprouvé par celui qui flâne dans la foule corrisponde a un'esperienza inedita: celle de l'ouvrier devant la machine)». Cfr. Walter BENJAMIN, “À propos de quelques motifs baudelariens”, in idem, Écrits Français, introduzione e note di Jean-Maurice Monnoyer, Parigi, Gallimard/ Folio Essais, 2003, p. 317. Il suddetto brano fa parte del riassunto che accompagnava il testo Über einige Motive bei Baudelaire, pubblicato dalla rivista Zeitschrift per la ricerca sociale (n. VIII, 1939/1940, pp. 50-89), apud J.-M. Monoyer, in W.BENJAMIN, op cit., P. 302.
[Iii] "(...) tu sei solo il primo nella decrepitezza della tua arte (...Vous n'êtes que le premier dans la décrépitude de votre art )” (corsivo nell'originale). Cfr. Charles BAUDELAIRE, “165. A Édouard Manet/ [Bruxelles] Jeudi 11 maggio 1865”, in idem, corrispondenza, choix et présentation di Claude Pichois e Jérôme Thélot, Parigi, Gallimard, 2009, pp. 339-41.
[Iv] Il numero del 7 febbraio 1869 di La Chronique des Arts et de la Curiosité: supplemento alla Gazette des Beaux-arts, da Parigi, ha riferito che la tela, ora a Mannheim, era appena stata completata e, secondo il giornale, era "eccellente". Questa notizia da Cronico costituiva una suite della nota ironica di Emile Zola, amico di Manet, pubblicata in Tribune (Parigi, 04.02.1869) sulla litografia censurata. Questa litografia – con la stessa struttura compositiva della tela – è stata sicuramente preparata parallelamente alla tela. Il divieto di esporre la tela, annunciato in una lettera – forse del ministero dell'Interno a Manet – è accompagnato nello stesso documento del divieto di stampare litografie la cui matrice era già nelle mani dello stampatore Lemercier. Per le trascrizioni della nota personale di Manet del 31 gennaio a Zola sulla censura, così come i successivi scritti giornalistici, vedere Juliet WILSON-BAREAU (a cura di), “Documenti relativi al 'Maximilian Affair'”, in Françoise CACHIN, Charles S. MOFFET , J.WILSON-BAREAU, Manetto 1832-1883, catalogo delle mostre (Galeries Nationales du Grand Palais, Parigi, 22 aprile - 08 agosto 1983; The Metropolitan Museum, New York, 10 settembre – 27 novembre 1983), New York, The Metropolitan Museum/ Abrams, 1983 , pp. 531-32 Per maggiori dettagli sulla serie di dipinti di Manet dell'esecuzione di Massimiliano, vedi Juliet Wilson-Bareau “Manet e l'esecuzione di Massimiliano”, in idem, Manet: l'esecuzione di Massimiliano/ Dipinti, politica e censura, Londra, National Gallery Publications, 1992, pp. 35-85. Vedi anche John ELDERFIELD, Manet e l'esecuzione di Massimiliano, gatto. dalla mostra omonima (MoMA, N. York, 5 novembre 2006 – 29 gennaio 2007), New York, 2006, p. 116. Per l'importanza fondamentale della serie di opere sull'esecuzione di Massimiliano nell'insieme della produzione di Manet, si veda in questo volume "Ritorni dal regicidio".
[V] “La borghesia non può esistere senza rivoluzionare costantemente gli strumenti di produzione e, in tal modo, i rapporti di produzione e, con essi, tutti i rapporti della società (La borghesia non può esistere senza rivoluzionare costantemente i mezzi di produzione, e quindi i rapporti di produzione, e con essi tutti i rapporti della società.).” Cfr. Karl Marx e Friedrich ENGELS, Il Manifesto del Partito Comunista, trad. Patrícia MS de Assis, recensione di André Carone, Rio de Janeiro, Paz e Terra, 1998, p. 13; K. Marx e F. ENGELS, Il Manifesto comunista, a cura di Phil Gasper, Chicago, Haymarket, p. 44.
[Vi] Vedi Susan BUCK-MORSS, La dialettica del vedere/ Walter Benjamin e il progetto Arcades, Cambridge (MA), The MIT Press, 1991; S. BUCK-MORSS, Dialettica dello sguardo: Walter Benjamin e i progetti dei passaggi, trad. Ana Luiza Andrade, rev. tecnico David Lopes da Silva, Belo Horizonte/Chapecó (SC), ed. UFMG/ Ed. Argos University, 2002. Vedi anche Jonathan CRARY, Tecniche dell'osservatore/ Su visione e modernità nell'Ottocento, Cambridge (MA), Libro di ottobre/MIT Press, 1998; trans. it.: Tecniche dell'osservatore / Visione e modernità nell'Ottocento, trad. Verrah Chamma, Rio de Janeiro, Contrappunto, 2012.
[Vii] Tra gli offesi dall'ironia della tela di Manet, all'epoca, ci sarebbe lo stesso imperatore Napoleone III (1808-73), questo ammiratore di un altro pittore, Alexandre Cabanel (1823-89), rispettoso dei canoni e il cui nascita di Venere (La Naissance de Venere, 1863, olio su tela, 130 x 225 cm, Parigi, Musée d'Orsay) trionferà al Salon di quell'anno, vincendo il Premio per l'acquisizione dell'Imperatore. Vedi Michael WILSON, “Le Déjeuner sur l'Herbe” in idem, Manet al lavoro, gatto. Manet al lavoro (Londra, The National Gallery, 10 agosto – 9 ottobre 1983, mostra org. di M. Wilson), Londra, The National Gallery, 1983, p. 22.
[Viii] Vedi K. MARX, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, idem, Il 18 brumaio e le lettere a Kugelmann, trad. di Leandro Konder e Renato Guimarães, Rio de Janeiro, Paz e Terra, 5a ed., 1986; K. MARX, “Il diciottesimo brumaio di Luigi Bonaparte” in Mark Cowling e James Martin (a cura di), 'Diciotto brumaio' di Marx/ interpretazioni (post)moderne, trad. di Terrell Carver, Londra, Pluto Press, 2002, pp. 19-109.
[Ix] Si veda, ad esempio, C. BAUDELAIRE, “Quelques caricaturistes français”, in idem, Opere complete, testo, testo e annotazione di C. Pichois, Parigi, Pléiade/Gallimard, 2002, vol. II, pag. 544-63.
[X] Secondo Cachin, “l'insolenza di Manet nello studio di Couture (di cui Manet era allievo) era proverbiale” e il maestro – che una volta commentò l'argomento: “sarà sempre incorreggibile, il che è un peccato perché ha talento” – avrebbe gli hanno detto in un'occasione, di fronte all'insistenza di Manet nel ritrarre tipi del suo tempo a scapito dei modelli neoclassici: "Mio povero giovanotto, non sarai mai altro che il Daumier del tuo tempo". apud Françoise CACHIN, Manet, trad. Emily Read, New York, Konecky & Konecky, 1991, p. 12. Oltre all'allineamento della giovinezza a Daumier, rifiutato da Couture, Manet adotta su tela gli espedienti del caricaturista: se l'abbigliamento contemporaneo delle figure maschili attualizza la scena, le figure femminili, entrambe caratterizzate secondo cliché neoclassici e ironizzando sull'anacronismo del gusto imperante, chiudeva la congiunzione in parodia. Per quanto riguarda il rapporto di Manet con Daumier, Fried evidenzia i legami espliciti tra due opere di Manet, Il torero morto (1864, olio su tela, 75,9 x 153,3 cm, Washington DC, National Gallery of Art) e litografia Guerra civile (1871, litografia, 39,7 x 50,8 cm, Imp. Lemercier et Cie, Londra, The British Museum), con l'emblematica litografia di Daumier, rue Transnonaine (1834), sul massacro di persone da parte delle truppe del regime di Luís-Felipe, avvenuto il 15 aprile 1834. Vedi Michael FRIED, Modernismo di Manet o, Il volto della pittura negli anni Sessanta dell'Ottocento, Chicago e Londra, The University of Chicago Press, 1996, n. 165, pagg. 495-6.
[Xi] Vedi Dolf OEHLER, “Libertà, cara libertà/ Fantasie maschili sulla libertà”, traduzione di JB Ferreira in D. OEHLER, Terreni vulcanici, tradotto da S. Titan Jr., M. Suzuki, L. Repa, JB Ferreira, São Paulo, Cosac & Naify, 2004, pp. 195-216. (edizione originale non consultata: Dolf OEHLER, “Liberté, Liberté chérie. Männerphantasien über die Freiheit. Zur Problematik der erotischen Freiheitsallegorie”, in Peter von Becker (a cura di), Georg Büchner – Dantons Tod. Die Trauerarbeit im Schönen. Ein Theater-Lesebuch (Francoforte, Syndikat Verlag, 1980), pp. 91-105.
[Xii] Fin da giovanissimo Manet manifestò diffidenza e animosità politica nei confronti di Luigi Napoleone, a quel punto Presidente della Repubblica eletto quattro mesi fa (10.12.1848). Così, in una lettera del 22.03.1849 marzo XNUMX, all'età di diciassette anni, da Rio de Janeiro, scriveva al padre: “… cerca di conservarci una buona Repubblica per il nostro ritorno, perché temo che L. Napoleone sia poco repubblicano". Cfr. Edouard MANET, Lettres du Siège de Paris/ Précédées des Lettres du Voyage à Rio de Janeiro, intr. d'Arnauld Le Brusq, Éditions de l'Amateur, 1996, p. 35. Vedi anche M. FRIED, on. cit., NO. 235, pag. 506. Sull'intensità del rapporto di Manet con lo storico repubblicano Jules Michelet (1798-1874), amico dei suoi genitori, cfr. idem, pp. 130-1, 142. Per Fried, "il repubblicanesimo personale di Manet ha svolto un ruolo attivo nella sua arte". Cfr. Stesso, p. 404.
[Xiii] All'osservatore attuale, Il 18 brumaio, di Marx – pur essendo espressamente riferito al periodo precedente il II Impero – costituisce un punto di osservazione indispensabile per comprendere realmente il sarcasmo che le cose del II Impero suscitavano tra i repubblicani radicali. All'epoca, però, è improbabile che il giovane Manet avesse accesso al testo. L'attuale fonte di satire ugualmente valide per la Seconda Repubblica e per il Secondo Impero erano sostanzialmente le caricature, disegnate e modellate in terracotta da Daumier, in gran parte anch'esse provenienti dal periodo precedente, ante 1851. In questo senso, la forza corrosiva del testo di Marx, al di là della verve ironica che gli è propria, mutua e trapianta nella scrittura procedimenti delle caricature di Daumier. Anche senza Marx, Manet aveva cibo a sufficienza per prendersi gioco dei modi e dei mezzi del Secondo Impero.
[Xiv] Per la nozione di “estetica antiborghese”, vedi D. OEHLER, Le Spleen Contre l'Oubli/ Giugno 1848/ Baudelaire, Flaubert, Heine, Herzen, trans. Guy Petitdemange, Parigi, Éditions Payot, 1996, pp. 8-9 e 15-22. Per lo sviluppo della nozione in un precedente studio, vedi idem, Pariser Bilder (1830-1848): Estetica antiborghese bei Baudelaire, Daumier und Heine, Francoforte sul Meno, Suhrkamp, 1979 (non consultato). Dipinti parigini (1830-1848): Estetica antiborghese in Baudelaire, Daumier e Heine, traduzione di JM Macedo e S. Titan Jr., São Paulo, Companhia das Letras, 1997.
[Xv] Per la discussione di Baudelaire sulla questione, vedi LR MARTINS, The Conspiracy of Modern Art, in idem, Rivoluzioni: poesia dell'incompiuto 1789-1842, vol. 1, prefazione François Albera, São Paulo, Idéias Baratas/ Sundermann (supportato da FAPESP), 2014, pp. 27-44.
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