Il ruggito soffocato

Immagine: Lucia Montenegro
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da EMILIO CAFASSI*

Di fronte alla “legge sugli autobus”, la società argentina ha dimostrato una dinamica di mobilitazione e di protesta di fronte al deterioramento del nesso politico rappresentativo

Poco più di 22 anni dopo uno degli scoppi insurrezionali più importanti della storia moderna, l’Argentina si avvicina ancora una volta all’evocazione delle condizioni qualitative che diedero origine a quell’epica ribellione. La chiamata "argentinazo” del dicembre 2001 non solo è iniziato quando il governo De la Rúa ha assestato un nuovo e potente colpo al reddito, all’occupazione e al risparmio popolare, ma anche quando, contemporaneamente, ha inteso proteggere l’offensiva delle classi dominanti e delle multinazionali attraverso una repressione cruenta, tutelata dalla legge il mantello dello stato d'assedio.

Non è scopo di queste righe stabilire precise analogie e differenze tra quei momenti e quello attuale, ma semplicemente lasciare alcuni appunti che potranno essere ripresi in altra occasione, non senza aspettative circa un nuovo esito revocativo dei poteri governativi, come di fatto è successo allora. Chi non vorrebbe una versione che superi pacificamente tutto ciò visto storia, anche nei tuoi sogni ad occhi aperti? Qualsiasi risveglio richiederà il riconoscimento della realtà come un incubo: sarebbe un progresso non da poco alla luce delle recentissime e non meno allucinatorie regressioni molto gravi.

È indiscutibile che una parte schiacciante dei cittadini ha deciso di rischiare elettorale con un candidato che, con inflessione disordinata, anticipava l’attuale consiglio economico, protetto da una spietata e furiosa ritorsione per ogni conquista sociale, libertà civile o protezione di fronte della dura direzione economica. Ha anticipato il suo corso sia nel potere delle armi nelle mani delle forze pubbliche, sia nel potere simbolico della rivendicazione del terrorismo di Stato e del genocidio nel campo della comunicazione pubblica e della lotta politico-culturale. Come se non bastasse, sosteneva le sue certezze nelle forze celesti custodite da un irascibile mastino consigliere.

Di fronte alle proteste, una delle sue attuali armi legislative ha proposto “prigione o pallottola”. Tuttavia, la rimanente minoranza significativa, per stupore (come nel mio caso) o per convinzione (in altri), ha espresso il proprio sostegno ad una fazione ora in fuga dalla leadership che, nella migliore delle ipotesi – facendo un indulgente controfattuale esercizio metodologico – avrebbe tentato un “governo di unità nazionale”, cioè un qualche tipo di accordo come quello che Javier Milei sta cercando di consolidare in questi giorni, magari un po’ più lento o con alleati meno voraci, ma mai disinteressati. Il fatto che la punizione per la fazione politica che se ne andò sia avvenuta attraverso un pandemonio trionfante dovrebbe mettere in luce l'entità della sofferenza popolare e il ripudio dell'indifferenza della prima.

Le alternative che convergevano alle elezioni, il peronismo in tutte le sue varianti, compresi, ad esempio, gli antikirchneristi (Massa e Schiaretti), da un lato, e l’antiperonismo “gorilla” (Bullrich e Milei), dall’altro, erano entrambi eterogenei (al loro interno e tra di loro), e hanno finito per formarsi dalla decantazione convergente di quattro delle cinque opzioni del primo turno.

Coloro che, insieme, hanno dato prova di un'abilità senza pari nell'uso senza scrupoli della “politica” e delle risorse pubbliche materiali e simboliche per i propri privilegi e ostentazioni, per affari personali e per le aziende ai cui interessi rispondono, tra cui, senza dubbio, il suo principale confidente, Javier Milei, all'epoca membro dell'alleanza con il più importante acquirente di tali ricompense: il partito dell'ex presidente Mauricio Macri. Quest'ultimo è il garante di eventuali inadempienze contrattuali, nonché gendarme, dopo aver assunto la guida dei ministeri della Sicurezza e della Difesa, attraverso i suoi candidati alla presidenza e alla vicepresidenza. Quindi, in modo semplificato, Javier Milei sarebbe il capitano della corazzata economica, con Macrismo al timone delle fregate di scorta, proteggendola con l’artiglieria più pesante.

L’ironia della storia, riproponendosi come farsa, per usare una vecchia allegoria di Marx, elevando al grottesco il vincitore improvviso, ha costretto ad un’improvvisata riunione di squadre di lavoro e di misure con le quali è stato difficile riunire meccanicamente e docilmente la maggioranza necessarie da parte di alleati e avversari. Finora il buffone ha ricevuto non solo rispetto e cortesia, ma anche disponibilità al dialogo e lubrificante per la sua motosega. Ma non sottomissione. Dalla maggioranza dei governatori e dei loro rappresentanti legislativi ricattati dal potere federale, che si impegnano in riunioni e richieste di scambi, e dai tanti trasgressori incalliti che il peronismo ampiamente produce, ancor più dei cloni canini del presidente.

La trattazione legislativa della legge sugli autobus con cui il presidente intende avviare il suo bulldozer è stata rinviata due volte, è stata modificata di ora in ora e tutto sembra indicare che l'unico interesse adesso è l'approvazione generale, anche se ogni articolo viene poi respinto, come purché rimanga il capitolo sulla delega dei poteri legislativi, a cui farò riferimento più avanti.

Per quanto riguarda la quinta alternativa elettorale al primo turno, la sedicente “sinistra” (al singolare stretto, come ama definirsi esclusivamente), pur non essendo complice di queste pratiche politiche sempre più degradanti, ha anche nessuna possibilità di costituire un'opzione reale finché si tratta soltanto di un'alleanza elettorale di autoconservazione di piccoli gruppi a fronte del numero minimo di voti richiesto dal sistema elettorale per la partecipazione politica formale e il conseguente ottenimento di fondi e spazi pubblicitari.

Il semplice fatto di festeggiare (senza alcuna autocritica) la crescita di centesimi di percentuale (su un totale inferiore al 3%), ottenendo un solo deputato su 130 (38 volte meno del partito di Javier Milei) e nessun senatore , riflette il testimonialismo irrilevante che articola questo strumento arrugginito e impotente. Mai nella storia post-dittatoriale dell’Argentina la decomposizione politica dell’ordine istituzionale è stata così evidente, combinata con un simile aumento dei livelli di povertà e indigenza, tanto meno con la reimplementazione esplicitamente rafforzata del programma economico della dittatura sotto Martínez de Hoz, che, Del resto, , non avrebbe mai osato intraprendere il saccheggio delle risorse, le privatizzazioni e la fuga di capitali che sono immediatamente previste.

Forse alcune misure verranno rinviate. Ma il progetto legislativo “Basi e punti di partenza – vergognosa parafrasi del testo fondatore di Alberdi – per la libertà degli argentini”, che ha subito incessanti e frettolose modifiche rispetto alla sua originaria trattazione in commissione, pur eliminando il capitolo fiscale, intende mantenere il capitolo delle deleghe legislative che, se approvate, consentiranno al presidente, insieme al capo di gabinetto, di esercitare le funzioni legislative mediante decreti. Si suggerisce interesse in caso di voto contrario ad articoli urgenti in materia economica, finanziaria, fiscale, previdenziale, sanitaria, energetica, amministrativa e tariffaria.

O anche sulla privatizzazione di circa 40 aziende, sul trasferimento del “fondo di garanzia di sostenibilità” per le pensioni all’erario o sulla prevista riforma dello Stato. Anche in materia repressiva, poiché, caso per caso, la legge originaria sugli autobus stabiliva che un incontro di tre persone in uno spazio pubblico potesse essere considerato una manifestazione, sebbene, in un atto di rispetto per i bambini nei parchi gioco, è stato modificato, portando questo numero a 30. Si rischia di mettere fine non solo alle risorse pubbliche, ma anche alle libertà civili elementari, al diritto di riunione e di associazione, di espressione e di protesta, ai diritti e alle garanzie umane, qualcosa di completamente antiliberale, anche se mascherato da libertario.

Non è un caso che un progetto di questo tipo richieda deleghe e che gran parte della leadership politica sia disposta a concederle. A loro piace assumerli quando non c'è controllo o obbligo e delegarli quando implicano responsabilità. I conservatori radicali concepiscono la democrazia come un vincolo fiduciario rappresentativo, fondato cioè esclusivamente sulla fiducia, privo di responsabilità giuridica o immediatamente estinto nell'atto stesso del voto, con rappresentanti immediatamente autonomi.

Tuttavia, la società argentina ha dimostrato una dinamica di mobilitazione e protesta di fronte al deterioramento del nesso politico rappresentativo. E l’unico modo per rompere con la sfiducia è l’abrogazione, cosa che non ha un istituto politico nella costituzione argentina e nelle regole elettorali, anche se è possibile nella pratica, come lo fu nel 2001. È in questa direzione che potrebbe muoversi la protesta popolare, anche in casi come l’ultimo corteo, indetto dalla burocrazia sindacale dei “ciccioni” della CGT, i quali, appena hanno visto la luce alla finestra, hanno suonato alla porta per uno sciopero parziale da attendere . Anche questi, gridando in strada, riescono in parte a soffocare lo spaventoso ruggito del felino.

*Emilio Cafassi è professore di sociologia all'Università di Buenos Aires.

Traduzione: Fernando Lima das Neves

Originariamente pubblicato sul portale Facce e smorfie.


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