Il sacrificio dei lavoratori

Immagine: Elyeser Szturm
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da Jorge Luiz Souto Maggiore*

La recente “riforma” del lavoro ha imposto una disgregazione, per soffocamento finanziario, dell'organizzazione sindacale, che necessita urgentemente di reinventarsi, superando i limiti delle categorie professionali ed economiche.

Il Coronavirus, secondo alcuni, è opera del diavolo contro l'ordine divino; per altri, un'invenzione della Cina per dominare il mondo, o degli Stati Uniti per fermare l'avanzata economica della Cina; per tanti altri, a seconda della rispettiva posizione ideologica, nient'altro che una creazione di forze economiche mondiali per favorire l'adozione di politiche shock neoliberiste, o un'orchestrazione da parte della sinistra, per generare una crisi sistemica; per non parlare di chi disdegna la questione, dicendo che non è altro che isteria mediatica, e poi saluta le persone in un luogo pubblico, per poi presentarsi poco dopo in conferenza stampa indossando mascherine, ma togliendole sempre.

L'importante è che si tratti di un fenomeno reale che, indipendentemente da dove sia iniziato e da come sia stato concepito, ha già causato migliaia di vittime in tutto il mondo e che, se non controllato, potrebbe portare l'umanità al caos. Di fronte alla situazione, l'umanità chiede ragione!

Non è con l'opportunismo, le dissimulazioni, i simulacri, i travestimenti, le dispute ideologiche, il fanatismo e il disprezzo del sapere e il ragionamento logico e altruistico che sarà possibile trovare una soluzione al problema, che, ovviamente, in ogni Paese, aggiunge ancora tanti altri, diversi e peculiari. Nel caso del Brasile, la questione sociale è stata a lungo trascurata e ora, con la pandemia, c'è l'opportunità di rendersi conto che ciò che accade a Rocinha o Paraisópolis colpisce chi vive a Leblon o Jardins.

Nella recente storia brasiliana, ha approfittato di determinate circostanze politiche per realizzare un progetto che avrebbe reso possibili maggiori profitti per i grandi conglomerati economici, ma attraverso la diffusione di formule di lavoro precario, la distruzione dei servizi pubblici, compresa la sanità e la sicurezza sociale. , portato anche con disprezzo per le politiche pubbliche, favorendo la formalizzazione di privatizzazioni predatorie. Il tutto all'insegna della “modernità”, di una “efficienza amministrativa” e di un miracoloso “successo economico”.

Ora, di fronte agli effetti concreti e indiscutibili della pandemia, è già possibile comprendere che il servizio sanitario pubblico è fondamentale per la vita di tutti; che la precarietà del lavoro, soprattutto in tempi di crisi reale (contrariamente a quanto si diceva, in quanto si usava la crisi economica – falsificata – come base per introdurre forme precarie di lavoro) porta le persone alla perdita totale delle condizioni di sopravvivenza, che finisce interferire con la vita di tutti gli altri.

Si noti che lo stesso governo, che ha incoraggiato il lavoro precario come mezzo per salvare l'economia, ora dice che "darà" soldi a chi è stato precario e a chi è nell'informalità (ma le possibilità di successo strutturale del provvedimento sono minime )[I].

In questo nuovo contesto, accelerato dal Coronavirus, il ruolo dello Stato, come garante della vita di tutti i cittadini, e delle politiche pubbliche, necessarie per l'adempimento degli obblighi dello Stato, viene recuperato, ed è innegabile e pienamente solido scartare la convinzione (quasi medioevale) che la mera somma delle volontà individuali e liberamente espresse di persone economicamente diseguali, le cui condizioni di vita, come si vede, producono reciproci risultati in termini di sopravvivenza, possa essere posta a base di vita in società.

Le parole d'ordine, ancora, sono: solidarietà, responsabilità sociale dei settori politico ed economico, riaffermazione delle pratiche e delle istituzioni democratiche, con rafforzamento delle forze popolari e classiste, la cui voce ei cui interessi hanno essenzialmente bisogno di essere ascoltati e curati.

Ognuno di noi, individualmente, quindi, svolge un ruolo molto rilevante nell'esercitare la mente nella ricerca di un ragionamento che ci permetta di visualizzare ciò che sta accadendo intorno a noi e, quindi, contribuire alla ricerca di soluzioni.

Il minimo che ci si aspetta, in termini di prendere la ragione come guida per pensare e agire, è la coerenza. La mancanza di coerenza rivela le fallacie delle argomentazioni e le loro reali finalità, dimostrando, di conseguenza, l'inefficacia di una misura proposta, che, nel caso delle pandemie, non è solo un problema di inefficienza, ma rappresenta piuttosto un grave, irresponsabile e , perché non dire, atto criminale che favorisce l'aggravarsi dei problemi.

È in questo contesto che si inserisce la posizione della Commissione Speciale del Congresso Nazionale che, nel pieno di questa crisi, il 17 marzo scorso, ha approvato il rapporto MP 905 come incoerente e, quindi, criminale[Ii], che istituisce la c.d. Carta Verde e Gialla, che conduce i rapporti di lavoro, in via generalizzata, al livello della totale informalità, ancor più sapendo, come sappiamo o dovremmo sapere, che l'adozione di provvedimenti come questo generano effetti negativi impatti sulle entrate pubbliche, il cui bilancio è essenziale, appunto, per l'adozione delle politiche socio-sanitarie.

Ma, ancora più grave è l'annuncio del governo, diffuso il 19 marzo, sotto il silenzio connivente dei media mainstream, che "consentirà di dimezzare gli stipendi e l'orario di lavoro"[Iii], anche rispondendo ad una espressa richiesta della Confederazione Nazionale delle Industrie (CNI)[Iv].

Ora, fino a pochi giorni fa, per giustificare la “riforma” sindacale si parlava di “modernizzazione” dei rapporti di lavoro, improntata al non intervento dello Stato, all'eliminazione del “paternalismo”, alla necessità di onorare il libero arbitrio dei partiti femminili e, ora, quello che si propone con forza è l'intervento dello Stato, al di là della contrattazione collettiva con i sindacati, al fine di utilizzare il potere dello Stato per imporre la volontà di una delle parti, quella delle imprese, e questo, si dice, per una questione che sarebbe di interesse nazionale. L'incoerenza è che, ora, si vuole che l'intervento dello Stato prevalga su quello negoziato, che, per inciso, è semplicemente disprezzato.

La coerenza, va riconosciuto, sta nell'assunto che sia nelle proposte precedenti che in quella qui presentata, la presunta difesa degli interessi superiori dell'economia avvenga attraverso il sacrificio dei lavoratori. Nel primo caso i lavoratori, posti di fronte a condizioni materiali favorevoli al capitale, erano “liberi” di rinunciare ai propri diritti. Nel secondo, sono obbligati a sopportare questi sacrifici.

Il problema è che, dal punto di vista giuridico, entrambe le proposizioni sono errate, dato che l'integrazione della proposta, prevedendo che i lavoratori che guadagnano fino a 2 salari minimi e che hanno lo stipendio ridotto ricevano il 25% dell'assicurazione contro la disoccupazione[V] non pone rimedio all'irregolarità giuridica e, inoltre, ne rafforza l'incoerenza, in quanto, concretamente, rappresenta un atteggiamento paternalistico nei confronti dell'utilizzo del denaro pubblico per agevolare la vita delle imprese nei rapporti economici e giuridici con i lavoratori.

In assenza di gravi anomalie economiche, prevale il principio di progressività, che sottende il ricorso agli istituti giuridici del lavoro nel perseguimento del miglioramento della condizione socio-economica dei lavoratori, con ricadute positive sull'economia e sulla vita in genere. La soglia minima stabilita dalla legge funge da parametro per evitare che le azioni individuali e l'esercizio localizzato del potere economico vengano utilizzate in modo negativo, costringendo l'intera filiera produttiva verso una competitività distruttiva della coesione sociale.

Per le situazioni di crisi strutturale e, quindi, reale, in cui il sistema nel suo insieme è sull'orlo del caos, come appare al momento attuale (e non nel caso di crisi meramente speculative e congiunturali), l'ordinamento giuridico anche prevede la possibilità di riduzione dei diritti, ma sempre attraverso la contrattazione collettiva.

In un testo pubblicato nel gennaio 2009, ho presentato le pietre miliari di questo negoziato, come si può vedere in https://www.migalhas.com.br/depeso/76615/negociacao-coletiva-de-trabalho-em-tempos-de-crise-economica.[Vi]

Insomma, la contrattazione collettiva (e solo la contrattazione collettiva), stabilendo una riduzione almeno proporzionale delle retribuzioni di amministratori e soci, fissata per un determinato periodo, potrebbe, in teoria, proporre una riduzione di emergenza dei salari e dell'orario di lavoro. Anche la contrattazione collettiva sarebbe importante affinché la situazione di crisi non venga utilizzata come mezzo per ridurre definitivamente il livello dei diritti del lavoro e, affinché si riprenda la situazione precedente.

E affinché si possa giungere ad una trattativa in tal senso, non sarebbe opportuno invocare le disposizioni degli artt. trattativa, che, senza l'effettuazione dell'accordo ribassista, potrebbe procedere al licenziamento collettivo dei propri lavoratori con il pagamento della metà dell'indennità cui avrebbero diritto in caso di licenziamento ingiustificato, ecco, questi sono alcuni dei pochissimi disposizioni del CLT che non sono state modificate dal 501 e, come dicevano i sostenitori della “riforma”, sono obsolete, anche perché hanno perso efficacia giuridica a fronte degli espressi termini della Costituzione, che impone la contrattazione collettiva per la decadenza urgente e temporanea dei diritti, che non può, quindi, essere data per iniziativa unilaterale del datore di lavoro, anche in ordine alla risoluzione del vincolo o essere utilizzata come manifestazione di potere per imporre la propria volontà ai lavoratori, inficiando così la negozio giuridico che ne deriva.

Il problema concreto è che nella recente “riforma” del lavoro il settore economico ha imposto una disgregazione, per soffocamento finanziario, dell'organizzazione sindacale, che ha quindi urgente bisogno di essere reinventata, anche superando i limiti delle categorie professionali ed economiche legalmente determinate. , poiché requisito di validità dei contratti collettivi è l'esistenza di sindacati legittimi, i quali, di fatto e di diritto, rappresentano gli effettivi interessi dei lavoratori. Nel caso di retribuzione ridotta in situazione di crisi, deve necessariamente essere approvato in sede democratica e regolare un accordo, che preveda anche le condizioni per il ripristino dei livelli sociali ed economici vigenti al momento della formalizzazione dell'adeguamento, in quanto non è di mera rassegnazione, dovuta allo stato di estrema necessità, di cui si tratta. Ma la distruzione dei sindacati non consente di prevedere una legittimità processuale democratica minima generalizzata per questo tipo di negoziazione.

Con la “riforma” del lavoro sono state distrutte le basi minime dei rapporti giuridici tra capitale e lavoro in Brasile, che ora favoriscono un peggioramento ancora maggiore della situazione economica e della coesione sociale. Si richiede, quindi, la revoca del passo compiuto e di non ripetere l'errore e favorirne l'approfondimento.

Chi, con la verità espressa nel cuore e nella mente, vuole essere assistito da lavoratori precari, senza formazione tecnica, mal pagati e senza impegni istituzionali e duraturi nei confronti del prestatore di servizi? Esatto, ma è di questo tipo di servizio e di condizione sociale, economica e umana che la “riforma” ha generalizzato e di cui alcuni, irresponsabilmente, in piena crisi, vogliono approfittare, dilazionando ulteriormente i rischi.

Di fronte agli effetti concreti di una crisi conclamata, è necessario superare gli stretti limiti delle citate disposizioni di legge e ricordare che il fondamentale vincolo giuridico che accomuna gli esseri umani nella società nello Stato di diritto socialdemocratico, istituito dopo i due mondi guerre, è la solidarietà, da cui deriva il principio che ognuno, individualmente, ha la responsabilità della vita degli altri, poiché, come espresso nella motivazione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, per parlare di dignità, libertà, giustizia e pace, è necessario riconoscere tutti gli esseri umani come “membri della famiglia umana”, con diritti uguali e inalienabili, da qui l'obbligo primario, inscritto nell'art. 1 della stessa Dichiarazione, che recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e coscienza e dovrebbero agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

Ecco perché non è opportuno, in tempo di pandemia, invocare il diritto soggettivo di aumentare le sofferenze altrui, imponendo la disoccupazione o la riduzione del salario. Agire in questo modo frustra persino ogni aspettativa di preservare l'umanesimo negli esseri umani, oltre a non essere un atteggiamento legalmente valido. Le imprese, inoltre, hanno la minima responsabilità sociale di non diffondere il caos, portare le persone alla disoccupazione o imporre riduzioni salariali come condizione per mantenere l'occupazione, senza alcun tipo di aggiustamento negoziale al riguardo. Detto più chiaramente, mantenere l'occupazione e preservare i salari costituisce la responsabilità sociale, legale ed economica minima che è richiesta in questo momento e, a tal fine, è possibile concepire aiuti di Stato, in particolare alle piccole imprese, come già verificato, tra cui, In altri paesi[Vii].

E più giuridicamente e umanamente insostenibile è l'atteggiamento di alcuni datori di lavoro, la cui impresa o servizio non è legato ad attività necessarie alla conservazione della vita, di pretendere la continuità dei servizi, mettendo a nudo la vita dei lavoratori (e, soprattutto, dei lavoratori terziari) a grave rischio.), come è stato verificato, ad esempio, in alcuni settori amministrativi dell'Università di San Paolo e in alcuni tribunali.

Pertanto, non si parla solo di sensibilità e compassione. Si tratta di obblighi giuridici sociali imposti a tutti, soprattutto, in tempi di effettiva crisi umanitaria. Nel paniere dei rapporti obbligati, non spetta allo Stato favorire pratiche che sopprimano la solidarietà, favorendo ancor di più l'imposizione di maggiori sacrifici a chi, storicamente, è già stato sacrificato abbastanza.

La storia insegna che nei momenti di profonda crisi la cosa peggiore che si può fare è affondare con essa. Vale la pena ricordare che i fondamenti del Welfare State e delle forme giuridiche finalizzate alla produzione e distribuzione della ricchezza sono stati posti in un momento di profonda crisi per l'umanità. Pertanto, ridurre questo livello non serve al piano per superare la crisi. Occorre, quindi, stabilire nuove modalità di distribuzione della ricchezza storicamente e socialmente costruita e non imporre sacrifici a chi l'ha concepita, perché dietro la forza lavoro e, di conseguenza, tutto ciò che viene prodotto o eseguito c'è un essere umano.

Inoltre, le politiche statali che impongono sacrifici avrebbero solo qualche argomento di legittimità se non si rivolgessero, in modo selettivo e discriminante, a un singolo gruppo sociale, mantenendo i modelli di disuguaglianza sociale da cui le crisi si ripercuotono.

Pertanto, qualsiasi tentativo di ridurre gli effetti della crisi, ipotizzando la necessità di sacrifici individuali (sociali ed economici), non poteva che – da un punto di vista strettamente giuridico – realizzarsi con la generalizzazione delle imposizioni, esigendo maggior sacrificio da parte di chi l'assistenza ha maggiormente beneficiato del modo in cui le relazioni sociali sono state storicamente istituzionalizzate.

In definitiva, non si può nemmeno pensare di imporre o addirittura incentivare il sacrificio del salario a lavoratori terzisti, colf e altri lavoratori e servitù in genere, mentre i guadagni del Presidente della Repubblica, senatori, deputati, ministri di Stato, Supremazia ministri, magistrati, banche, grandi conglomerati economici e tutta una struttura che, nel tempo, ha strumentalizzato la produzione e la conservazione delle disuguaglianze sociali e ha favorito lo sfruttamento predatorio del lavoro, che, come rivela la pandemia e riconosce Guedes, è il vero fonte di ogni valore, perché senza lavoro l'economia crolla[Viii].

In ogni caso, il ritrattamento delle conquiste sociali non può guidarci, anche perché servirà solo ad aumentare la sofferenza collettiva e ad aggravare ulteriormente gli elementi della crisi. L'enorme difficoltà economica che molti imprenditori (grandi, medi e piccoli) stanno attraversando in questo momento deve essere affrontata con responsabilità, affinché dalle soluzioni ricercate possano estrapolare le basi sociali, filosofiche, economiche, mentali e sincere indispensabili per qualsiasi tipo di progetto che mira a dare vitalità alla vita umana sulla Terra.

Il Coronavirus ha lanciato a tutti noi una sfida enorme, ovvero il superamento della fase di alienazione a cui siamo stati condotti nella società dei consumi, della competizione e dell'individualismo egoista e reificato. Tra i vari rischi esistenti, c'è quello di perdere l'occasione di questa riflessione e, con ciò, di cercare soluzioni ai nostri problemi attraverso il sacrificio degli altri, oltre che colpevolizzare gli altri della situazione, al fine di stimolare ancor più dirompenti e istiganti atteggiamenti di conflitto che, allo stesso tempo, promuovano una maggiore distanza dal tanto agognato umanesimo che dovrebbe esistere in tutti gli esseri umani.Come dare effetti concreti e veri alla solidarietà, all'umanesimo e alla ragione? Ecco la sfida.

Dobbiamo vincere questa sfida, altrimenti ci avrà superato, qualunque sia il risultato numerico delle vittime. E per promuovere la ragione, è necessario ascoltare, comprendere, riflettere, tollerare ed esprimersi con rispetto e sincerità teorica e coerenza pratica unilateralmente e violentemente, riducendo i guadagni dei lavoratori (sia nel settore privato che in quello pubblico), sopprimendo la dialogo sociale ormai necessario.

Un'azione pubblica legale, socialmente ed economicamente valida e responsabile richiede misure che si concentrino sulla distribuzione della ricchezza storica, costruita socialmente e accumulata nelle mani di pochissimi. Provvedimenti che andrebbero adottati anche in un contesto di generalizzazione, vedendo vincoli economici nei confronti di chi (soprattutto grandi aziende, banche e vertici delle strutture pubbliche e private) occupa posizioni privilegiate nel seno sociale (radicato, anche, in un contesto storico disuguaglianza).

Dobbiamo, soprattutto in questo momento, dire no al regresso sociale, anche perché questa logica di ritrattazione dei diritti, in modo opportunistico, tenderà a diventare perpetua. E tutto questo dal punto di vista strettamente legale e oggettivato, prendendo come parametro la conservazione di questo modo di produzione e della società che ne consegue, senza entrare, quindi, in un altro doverosissimo discorso intorno alla reale fattibilità di questo modello per la vita umana, soprattutto, in vista della verifica dei suoi limiti ecologici, economici, sociali, politici e razionali che, con la pandemia, balzano all'occhio, specie quando, anche in un contesto grave, opportunismi legati a interessi selettivi e la conservazione delle disuguaglianze insiste nella conduzione delle politiche pubbliche e non si preoccupa della sofferenza degli altri.

*Jorge Souto Maior è docente di diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'USP.

note:

[I]. https://congressoemfoco.uol.com.br/governo/guedes-anuncia-voucher-de-r-200-para-trabalhador-informal/

[Ii]. https://economia.uol.com.br/noticias/redacao/2020/03/17/comissao-aprova-relatorio-da-mp-do-contrato-de-trabalho-verde-e-amarelo.htm

[Iii]. https://economia.uol.com.br/noticias/afp/2020/03/18/governo-autorizara-reducao-de-jornada-de-trabalho-e-de-salarios.htm

[Iv]. https://www.terra.com.br/economia/cni-apresenta-37-propostas-de-medidas-para-atenuar-efeitos-da-crise,3c0e560fdf754b81cc39aee367af4642pkwbdug8.html

[V]. https://economia.uol.com.br/noticias/redacao/2020/03/19/empregado-que-tiver-reducao-de-jornada-recebera-r-250-do-seguro-desemprego.htm

[Vi]. “E' del tutto errato, quindi, ritenere che gli accordi e gli accordi collettivi di contrattazione possano, senza alcuna valutazione di contenuto, ridurre i diritti del lavoro legalmente previsti, semplicemente perché la Costituzione prevedeva il “riconoscimento degli accordi e degli accordi collettivi” (comma XXVI, dell'art. . 7) ed espressamente consentito, in tal modo, la riduzione del salario (capo VI, art. 7), la retribuzione della giornata lavorativa (capo XIII, art. 7) e la modifica dei parametri della giornata lavorativa ridotta in staffetta continua turni (capo XIV, dell'articolo 7).

Ora, l'articolo 7, nella sua 'caput', chiarisce che le voci che elenca sono diritti dei lavoratori, cioè sono rivolte ad un soggetto specifico, il lavoratore, e non possono essere intese, di conseguenza, come una sorta di diritto tutelare gli interessi economici dei datori di lavoro. Inoltre, le norme sono innegabilmente volte a migliorare la condizione sociale dei lavoratori.

Non si ravvisa nei precetti di cui agli articoli dell'art. 7° i fondamenti giuridici per dare ai datori di lavoro la possibilità, attraverso l'esercizio del potere, di indurre i lavoratori, anche se organizzati collettivamente, ad accettare la riduzione dei diritti del lavoro legalmente previsti, a maggior ragione quando hanno fondamento costituzionale e sono inseriti nella contesto dei Diritti Umani.

Capo VI, dell'art. 7, ad esempio, che crea una deroga al principio di irriducibilità salariale, consentendo la riduzione del salario, e niente di più, attraverso la contrattazione collettiva, si inserisce nel contesto dettato dal 'caput' dell'articolo, cioè, quello del miglioramento della condizione sociale del lavoratore e non si può immaginare, ovviamente, che la mera riduzione salariale rappresenti un miglioramento della condizione sociale del lavoratore. Pertanto, il dispositivo in questione non può essere inteso come autorizzativo di una riduzione dello stipendio solo perché formalmente inserito in un atto collettivo (accordo o convenzione).

La norma trattata, di conseguenza, ha effetto solo quando il provvedimento è ritenuto essenziale per la conservazione dei posti di lavoro, rispondendo a determinati requisiti. Legge n. 4.923/65, tuttora vigente, anche se parte della dottrina non lo riconosce, in quanto non contraddice la Costituzione, anzi, pone le condizioni per una contrattazione collettiva che prevede una riduzione del salario: una riduzione massima 25%, rispettando il valore del salario minimo; necessità economica debitamente comprovata; periodo determinato; corrispondente riduzione dell'orario o delle giornate lavorate; riduzione, nella stessa proporzione, dei compensi dei dirigenti e degli amministratori; autorizzazione da parte dell'assemblea alla quale partecipano anche i dipendenti non sindacalizzati.

La stessa Legge Fallimentare e Recupero Giudiziario, n. 11.101/05, insindacabilmente vigente, si fonda sul presupposto del rispetto della politica della piena occupazione, della valorizzazione sociale del lavoro umano e dell'obbligo che la libera impresa assicuri a tutti un'esistenza dignitosa, secondo i dettami dell'ordinamento sociale giustizia.

Il recupero giudiziale è un meccanismo legale, la cui esecuzione è di competenza dello Stato, attraverso la Magistratura, e mira a preservare le imprese che versano in difficoltà economiche non indotte dal mancato rispetto dell'ordinamento giuridico e che sono in grado di svilupparsi entro gli standard stabiliti dall'ordinamento , tanto che uno dei requisiti necessari per l'approvazione del piano di risanamento è la dimostrazione della sua 'validità economica' (capo II, dell'articolo 53, della legge n. 11.101/05).

Articolo 47, della legge n. 11.101/05, è chiaro su questi fondamentali: 'Il recupero giudiziale mira a consentire il superamento della situazione di crisi economico-finanziaria del debitore, al fine di consentire il mantenimento della fonte produttiva, l'occupazione dei lavoratori e gli interessi dei creditori, favorendo così la conservazione dell'impresa, della sua funzione sociale e lo stimolo all'attività economica.' (enfasi aggiunta)

È facile verificare, quindi, che tale legge non è finalizzata alla mera difesa dell'interesse privato di uno specifico debitore. La legge non riconosceva un diritto soggettivo a chi lo doveva, indipendentemente dall'origine del debito e dalla concreta possibilità del suo pagamento. Non ha, quindi, stabilito una sorta di diritto al “morto”, perché senza la concreta possibilità di mantenere l'attività dell'impresa sulla base di tali postulati, essa deve essere condotta al fallimento (art. 73, L. n. 11.101/05) .

Quello che c'è nella legge è la difesa delle imprese in una prospettiva di ordine pubblico: stimolo all'attività economica, per lo sviluppo del modello capitalista, conservazione dei posti di lavoro e, in accordo con la Costituzione, visualizzazione della costruzione della giustizia sociale.

La logica dell'ordinamento che è diretto al mantenimento dell'attività produttiva delle imprese è la conservazione dei posti di lavoro, ammettendo come mezzo di recupero giudiziale, l'riduzione dello stipendio, compensazione del tempo e riduzione del carico di lavoro, attraverso contratto collettivo o convenzione (art. 50, comma VIII, della Legge n. 11.101/05).

A tal fine è altresì richiesta l'“esposizione delle cause concrete della situazione patrimoniale” della società e delle “ragioni della crisi economica e finanziaria” (capo II, dell'articolo 51), oltre alla “dimostrazione di la sua convenienza economica» (capo II, dell'art. 53), tra vari altri requisiti, è importante evidenziare che il licenziamento collettivo dei dipendenti, ai sensi dell'art. 7, I, della Costituzione, non è indicato come mezzo di risanamento della società (cfr. art. 50).

Come si vede, l'ordinamento giuridico non autorizza a concludere che le modalità di risoluzione delle controversie di lavoro possano essere utilizzate come strumenti di mere riduzioni dei diritti dei lavoratori, ed è importante evidenziare i fondamenti che ad esso sono propri, come sopra evidenziato : a) fissare parametri specifici per attuare, in concreto, precetti normativi di carattere generale riferiti a valori umanistici affermati nell'esperienza storica; b) migliorare progressivamente le condizioni socio-economiche del lavoratore”.

[Vii].  https://economia.uol.com.br/noticias/redacao/2020/03/17/medidas-governo-coronavirus-trabalho.htm

[Viii]. https://economia.uol.com.br/noticias/redacao/2020/03/16/guedes-diz-que-se-todos-ficarem-em-casa-pais-entra-em-colapso.htm

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