Il soldato antropofagico

Kristina Anshelm, Duvor, 2004.
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da NATASHA BELFORT PALMEIRA*

Commento al libro recentemente pubblicato di Tales Ab'Sáber

Nell'anno del centenario della Settimana d'Arte Moderna e del bicentenario dell'Indipendenza, dibattiti e festeggiamenti pullulano ovunque. Come spiegare quella rottura estetica e ideologica di un secolo fa? È possibile celebrarlo in un dono senza gloria? Come mai, improvvisamente, solo e finalmente abbagliato dalla propria immagine – per quella che Antonio Candido chiamava “derepressione localista” [I] – il paese ha iniziato a far parte del mondo? E cosa è successo (ancora una volta) a metà del cosiddetto primo mondo per farci avere l'impressione di perderci ora? Ci sarebbe davvero una deviazione dal centro? Oppure la deviazione sarebbe il substrato stesso dell'originalità del paese? Comunque, com'è stato possibile il salto di 22?

Come vedete, niente di nuovo al di sotto dell'equatore: l'ultimo secolo trascorso tra progetti estetici rivoluzionari e successive regressioni politiche, tra cicli di manifestazioni culturali d'avanguardia e colpi di stato, insomma, tra aggiornamenti modernisti e conservatori modernizzazioni, mostra come questo movimento discontinuo, asimmetrico e contraddittorio sia una caratteristica del paese nel mondo, e abbia infatti una lunga durata storica.

Il nuovo libro del saggista e psicoanalista Tales Ab'Sáber, Il soldato antropofagico, segue il filone lontano del materiale brasiliano che sarà “scoperto” dai modernisti del 1922, e risale all'inizio dell'Ottocento, senza mai perdere di vista il nostro presente. La ricerca conduce l'autore nelle pagine un po' dimenticate di un libro dell'epoca del primo regno, cardine dello studio, da cui emerge con folgorante modernità “il continente simbolico” della cultura popolare afro-brasiliana che costituirà poi il nostro identità nazionale e prodotto di esportazione. solo quello Rio de Janeiro così com'è (1824-1826) è opera di uno straniero e non dell'intellighenzia locale, un profondo sintomo sociale, con chiare risonanze contemporanee, che apre la strada a un'altra importante genealogia del libro, quella della scarsa intelligenza delle élite del paese .

Invece di inventare per sé e per gli inglesi una realtà falsificata, come avrebbero fatto gli scrittori nazionali all'inizio del paese indipendente – senza trascurare le eccezioni contemplate anche dal libro – Carl Schlichthorst, il soldato antropofagico del titolo, manifestò un reale interesse per la vita quotidiana delle strade di Rio de Janeiro, un mondo nuovo che si rivelava nella sua peculiare unità, insieme barbaro e civilizzato, o forse più civilizzato della civiltà europea da cui proveniva, nella sensibilità socialmente sensibile del tedesco viaggiatore.

Colpisce l'autore la schiettezza e la disinvoltura con cui lo straniero – mercenario portato in Brasile per arruolarsi nell'esercito imperiale – parla della società patriarcale degli schiavisti, vista disinvoltamente come un modello coerente e forse accettabile, come quando descrive, per esempio, la convivialità delle lussuose case padronali e dei magazzini dove si vendevano gli schiavi, sui quali sono stati effettivamente costruiti: “anche quando sono pieni di negri, si sente poco l'odore che caratterizza le carceri e le case di detenzione d'Europa”. Era la nuova civiltà che imponeva le inflessioni della sua particolarità storica agli occhi esiliati del soldato tedesco.

Nelle pagine di quelle memorie, dunque, sono apparse le scosse fondanti di una società basata sul lavoro schiavo, e che fino ad allora era rimasta senza nome. Questo perché la brutalità dello sfruttamento dei corpi neri “non poteva”, per un principio irresponsabile, e che ancora caratterizza le nostre élite, essere pensata, ma solo silenziosamente mantenuta, basata sull'atto esplicito e sulla frusta. Come mostra Tales, c'è il quadro generale di quel divario vernacolare, quel nodo atavico chiamato Brasile tra arcaico e moderno, e viceversa, su cui la migliore tradizione critica brasiliana – nella quale il libro è chiaramente inscritto – ha sempre riflettuto e cercato di immaginate altri orizzonti possibili, e la cui sintesi potrebbe essere la formula parodica con cui Roberto Schwarz ha recentemente battezzato la sua nuova regina davanti alla nostra ultima storica chanchada: “zigzag o zaguezig”.

È quindi lontano dalla posa brascubiana delle élite che hanno sempre preferito non risolvere l'enigma del Paese, ma "scuoterlo dalla finestra",[Ii] e guidato dallo sguardo del soldato tedesco e di altri viaggiatori, come Debret, Charles Expilly o Darwin, l'autore decifra il rapporto conflittuale tra cultura e schiavitù in Brasile. O meglio: il nostro peccato originale – il cui processo di abolizione “lento, graduale e sicuro” (almeno dal 1831 al 1888!) racconta già la storia del secolo successivo, la fine della futura dittatura e di ciò che ne sarebbe rimasto e della schiavitù , cioè sì, tutto tranne i due[Iii] – sembra funzionare come l'apice del libro, tra la storia del non pensiero nazionale e il costoso disgelo della nostra “civiltà del precariato”, la cultura dell'improvvisazione di soggetti semischiavi, matrice di samba, carnevale, parangolés e la ragazza di Ipanema.

Tutto questo l'autore lo fa mobilitando una grande mole di ricerche e saggi di vari ambiti, un sapere collettivo che scava nel testo molteplici piste di indagine sulla complicata equazione nazionale, e in una prosa che sembra voler anche "scongelare" il pensiero stesso del lettore. , che è quindi obbligato, nell'acuto senso critico di Machado di "Dio ti proibisca, lettore, da un'idea fissa, piuttosto una pagliuzza, piuttosto una trave negli occhi"  (o "la pagliuzza nel tuo occhio è la migliore lente d'ingrandimento"[Iv]), per tornare talvolta all'inizio di un paragrafo e rileggere tutto di nuovo.

Da un lato, lo studio è immerso nel discorso “negativo” o apertamente favorevole al sistema abietto attraverso il quale il Paese è entrato nella modernità – costituendo, come è noto, un capitolo a parte della storia, quello del capitalismo schiavista. Entra Alencar, autore di lettere che elogiano la schiavitù, che è una risposta risentita alla filantropia del centro e alla relativa ideologia liberale di primo grado; il Codice penale e le Posture municipali, che stabilirono le norme di condotta per le vite nere schiavizzate a metà dell'Ottocento; oppure la letteratura nazionalista che ha semplicemente evitato di rappresentare la schiavitù brasiliana ei suoi effetti diretti sulla vita collettiva, rifugiandosi in un passato mitico per evitare ogni “tensione o tentazione sociale intorno”. In questo movimento è marcata la mentalità autoritaria brasiliana, ovvero la retorica del privilegio della violenza, il rifiuto della cultura comune, del Paese stesso.

Dall'altro, l'autore si allontana (per avvicinarsi) al suo oggetto attraverso lo sguardo straniero che tocca, divora e digerisce il paese, in quello che sembra essere lo stesso gesto originario della poetica modernista. Così, da lontano, il Terra dell'utopia del poeta svizzero Blaise Cendrars, nel 1924, e, da Parigi l'anno precedente, la poesia Pau-Brasil di Tarsila e Oswald – come se fosse possibile scoprirli solo dall'esterno, liberandosi dalle terribili abitudini ereditate da l'ex colonia, lo scimmiottamento sdolcinato e insignificante del centro e l'infinito disprezzo sociale per il luogo.

E prima di loro poi, poco dopo il 1822, i tedeschi inaugurarono la rappresentazione di quello stesso terreno simbolico, erotico e sociale della vita nuova e deliziosa del paese, come Tales suggerisce in tutto il libro, e con particolare forza da una bella scena di un incontro tra l'europeo e un'affascinante donna di colore che incarna in tutto l'utopia del paese. Perché è in questo ambito che ciò che non si è realizzato e di fatto continua a non realizzarsi del tutto nell'esperienza sociale brasiliana. Il “mondo senza colpa”, felice e indolente, il sogno tropicale, modernista, tropicalista – vera illusione compensativa dell'esclusione legale, poi economica e sociale dei propri sudditi. 1822, 1922, 2022.

* Natasha Belfort Palmeira, critico letterario, è professore all'Université Clermont Auvergne.

Riferimento


Racconti Ab'Saber. Il soldato antropofagico: schiavitù e non pensiero in Brasile. San Paolo, n-1 Hedra, 2022, 334 pagine (https://amzn.to/3QEVgkv).

note:


[I] CANDIDO, “Letteratura e cultura dal 1900 al 1945”. In: Letteratura e società. Rio de Janeiro: Oro su blu, 2006, p. 145 (https://amzn.to/4499CN0).

[Ii] Machado de Assis, Le memorie postume di Bras Cubas (https://amzn.to/3qy8p46).

[Iii] Vedi su uno di questi avanzi recalcitranti "1964, l'anno che non finì" e Tales Ab'Saber "Brasile, assenza di significato politico" in Quel che resta della dittatura, Org. Edson Teles e Vladimir Safatle, San Paolo, Boitempo: 2010.

[Iv] C'è la versione Adorniana dell'aforisma di Machado Minima Moralia.

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