Il Tartufo

Annika Elisabeth von Hausswolff, Stanza della Depressione, 2015
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da MOLIÈRE*

Prefazione alla prima edizione, di 1669

Ecco una commedia su cui si è fatto molto rumore, che è stata perseguita a lungo; e le persone che rappresenta hanno dimostrato bene di essere più potenti in Francia di chiunque altro io abbia mai messo in scena. I marchesi, i preziosi, i cornuti ed i dottori discretamente sopportavano che fossero rappresentati, e fingevano di divertirsi, con tutti gli altri, alle pitture che se ne facevano; ma gli ipocriti non si accorsero dello scherno; prima si sono arrabbiati, e hanno trovato strano che io abbia avuto l'audacia di rappresentare le facce che fanno, criticando un mestiere che riguarda tanta brava gente.

È un crimine che non potevano perdonarmi; e tutti si armarono contro la mia commedia con una rabbia spaventosa. Stavano attenti a non attaccare dal lato in cui erano stati colpiti; sono troppo politici per questo, e sanno benissimo come vivere per rivelare le profondità delle loro anime. Secondo la loro lodevole usanza coprivano i loro interessi in nome della causa di Dio; È Il Tartufo, nelle loro bocche, è un gioco che offende la devozione. È pieno dall'inizio alla fine di abomini e vi si trovano solo cose degne del fuoco. Tutte le sillabe sono empie; anche i gesti sono criminali; e il minimo sguardo, il minimo cenno del capo, il minimo passo a destra oa sinistra, nascondono misteri che trovano modi di spiegare a mio svantaggio.

Invano l'ho sottoposto alle luci dei miei amici e alla censura di tutti; le correzioni che ho potuto fare, il giudizio del re e della regina, che l'hanno vista; l'approvazione dei grandi Principi e Ministri che pubblicamente l'onoravano della loro presenza; la testimonianza di brava gente che l'ha trovata proficua, tutto questo non è servito a nulla. Non vogliono arrendersi; e ogni giorno, ancora, fanno gridare in pubblico alcuni zelanti indiscreti, che piamente mi insultano e mi dannano per carità.

Mi importerebbe molto poco di tutto ciò che potrebbero dire, se non fosse per l'artificio che hanno per trasformare le persone che stimo in miei nemici, e per attirare dalla loro parte persone veramente buone, ingannando la loro buona fede, e che, per il sforzo che fanno per difendere gli interessi del cielo, diventano facili a ricevere le impressioni che desiderano dare loro. È lì perché sono costretto a difendermi. È ai veri devoti che voglio giustificare il senso della mia commedia; e ti scongiuro, con tutto il cuore, di non condannare le cose prima di vederle, di gettare via tutti i pregiudizi e di non servire le passioni di coloro le cui smorfie li disonorano.

Se uno ha cura di esaminare la mia commedia in buona fede, si vedrà senza dubbio che le mie intenzioni sono del tutto innocenti e che non si fa beffe delle cose che si dovrebbero venerare; che lo trattavo con tutte le precauzioni che la delicatezza della materia mi richiedeva; e che ci mettevo tutta l'arte e tutta la cura che potevo, per distinguere nettamente il carattere dell'ipocrita da quello del vero devoto. A tal fine, ho utilizzato due interi atti per preparare l'arrivo del mio criminale. Non permette all'ascoltatore di dubitare per un solo momento; prima lo conosciamo dai segni che gli ho messo addosso; e, dall'inizio alla fine, non dice una parola, non fa un'azione, che non dipinge agli spettatori il carattere di un uomo cattivo, e non fa emergere quello del vero uomo buono che gli oppongo.

So benissimo che, per replica, questi signori cercano di insinuare che non spetta al teatro parlare di queste cose; ma chiedo loro, con il loro permesso, su che cosa fondano questa bella massima. È una proposizione che essi solo suppongono e che non provano affatto; e, senza dubbio, non sarebbe difficile mostrare loro che la commedia, presso gli antichi, aveva la sua origine nella religione e faceva parte dei suoi misteri; che gli spagnoli, nostri vicini, non manchino quasi mai di celebrare una festa religiosa senza che la commedia non venga mescolata; e che, anche tra noi, deve la sua nascita ad una confraternita alla quale appartiene ancora oggi l'Hôtel de Bourgogne; che è un luogo concepito per rappresentare i misteri più importanti della nostra fede; che ancora oggi si vedono commedie stampate con testi gotici, sotto la paternità di un medico della Sorbona; e senza andare tanto indietro, che le sacre commedie del sig. Corneille, ammirati in tutta la Francia.

Se lo scopo della commedia è correggere i vizi degli uomini, non vedo perché dovrebbero essercene dei privilegiati. Questa è, per lo Stato, una conseguenza ben più pericolosa di tutte le altre; e abbiamo visto che il teatro è di grande virtù per la correzione. I tratti più belli di una morale seria sono per lo più meno potenti di quelli della satira; e niente corregge la maggior parte degli uomini più che dipingere sui propri difetti. È un grande attacco ai vizi esporli alle risate di tutti. Sopportiamo facilmente i rimproveri, ma non sopportiamo affatto lo scherno. Preferiamo essere cattivi che ridicoli.

Sono accusato di aver messo termini di devozione in bocca al mio impostore. Eh! Non potrei farlo io, per rappresentare il carattere di un ipocrita? Basta, mi sembra, che gli riveli i motivi criminali che gli fanno dire queste cose, e che gli tolgo i termini consacrati, di cui sarebbe difficile sentirgli abusare. — Ma nel quarto atto insegna una morale perniciosa. «Ma questa morale non è qualcosa che tutti non hanno sentito? Dice qualcosa di nuovo nella mia commedia? E si può temere che cose così generalmente detestate facciano impressione sulle menti; che li rendo pericolosi facendoli salire sul palco; ottengono qualche autorità dalla bocca di un ladro? Non c'è nulla che lo indichi; e, o se approvi la commedia di Pecksniff, o condannare tutte le commedie in generale.

Questo è ciò che le persone hanno iniziato a fare qualche tempo fa; e mai tanto si è scatenato contro il teatro. Non posso negare che ci sono Padri della Chiesa che hanno condannato la comicità; ma non puoi nemmeno negarmi che c'erano alcuni che la trattavano con un po' più di indulgenza. Così, l'autorità, su cui la censura deve poggiare, viene distrutta da questa divisione; e tutta la conseguenza che si può trarre da questa diversità di opinioni negli animi illuminati dalle stesse luci, è che essi intendevano diversamente la commedia, e che alcuni la consideravano nella sua purezza, mentre altri la percepivano nella sua corruzione, e la confondevano con tutte quelle detestabili spettacoli che avevano ragione di chiamarli spettacoli di sozzure.

E, infatti, siccome bisogna parlare di cose e non di parole, e la maggior parte dei fastidi vengono dal non capire e dal coinvolgere cose diverse nella stessa parola, basta togliere il velo dell'incomprensione, e vedere qual è la commedia stesso, per vedere se è riprovevole. Senza dubbio accetteremo che, essendo solo un poema ingegnoso, che, con piacevoli lezioni, corregge i difetti degli uomini, non potremmo censurarlo senza ingiustizia; e se vogliamo ascoltare la testimonianza dell'antichità su questo argomento, ci dirà che i suoi filosofi più celebri lodarono la commedia, coloro che professarono una saggezza così austera, e che incessantemente gridarono contro i vizi del secolo a cui appartenevano .

Ci farà vedere che Aristotele dedicò tempo al teatro, e si preoccupò di ridurre a precetti l'arte di fare commedie. Ci insegnerà che i loro uomini più grandi, e più degni, pensavano che fosse una gloria scriverli loro stessi; che c'erano altri che non disdegnavano di recitare in pubblico quelli che avevano composto; che la Grecia ha, per quest'arte, proclamata la sua stima, per i gloriosi premi e per i superbi teatri con cui volle onorarla; e che, in Roma, infine, quest'arte ricevette straordinari onori: non dico in quella Roma sfrenata, e sotto la licenziosità degli imperatori, ma nella Roma disciplinata, sotto la saggezza dei consoli, e nei tempi del vigore di virtù romana.

Confesso che ci sono stati momenti in cui la commedia si è corrotta. E cosa nel mondo non viene corrotto ogni giorno? Non c'è niente di così innocente che gli uomini non possano trasformarlo in un crimine; nessuna arte così salutare da non essere in grado di invertire le intenzioni; non c'è niente di così buono in sé che non possano farne cattivo uso.

La medicina è un'arte benefica, e tutti la venerano come una delle cose più eccellenti che abbiamo; tuttavia, ci sono stati momenti in cui è diventato odioso e spesso è stato trasformato in un'arte per avvelenare gli uomini.

La filosofia è un dono del cielo; ci è stato dato di portare il nostro spirito alla conoscenza di un solo Dio, contemplando le meraviglie della natura; non si ignora però che spesso lo distolsero dalla sua funzione e lo portarono pubblicamente a sostenere l'empietà. Anche le cose più sante non sono al sicuro dalla corruzione degli uomini, e vediamo dei furfanti che, ogni giorno, abusano della devozione e la fanno servire in modo malevolo ai più grandi delitti.

Ma questo non significa che non si facciano le dovute distinzioni. La bontà delle cose che sono corrotte dalla malizia dei corruttori non è coinvolta in una falsa conseguenza. L'abuso è sempre separato dalle intenzioni dell'arte; e siccome nessuno pensa di vietare la medicina, perché fu bandita da Roma, né la filosofia, perché fu pubblicamente condannata in Atene, così la commedia non dovrebbe essere proibita perché fu censurata in un certo tempo.

Questa censura aveva le sue ragioni, che qui non sussistono. Si chiuse su ciò che poteva vedere; e non bisogna toglierla dai limiti che si è data, allargarla più del necessario, e riunire innocenti e colpevoli. La commedia che ha deciso di attaccare non è affatto la commedia che vogliamo difendere. Bisogna fare attenzione a non confondere il secondo con il primo. Sono due persone i cui costumi sono completamente opposti. Non hanno alcuna relazione tra loro, salvo la somiglianza del nome; e sarebbe un'orribile ingiustizia voler condannare Olimpia, che è una brava donna, perché c'è un'Olimpia che fu una sfrenata.

Tali decreti creerebbero indubbiamente un grande disordine nel mondo. Non ci sarebbe nulla che non fosse condannato; e siccome questo rigore non si applica a tante cose di cui si abusa ogni giorno, si deve egualmente graziare la commedia, e approvare le commedie teatrali, nelle quali si vedrà che l'istruzione e l'onestà sono unite.

So che ci sono spiriti la cui delicatezza non sopporta alcuna commedia, i quali dicono che i più onesti sono i più pericolosi; che le passioni ivi dipinte sono tanto più commoventi quanto piene di virtù, e che le anime sono commosse da questo tipo di rappresentazione. Non vedo che delitto ci sia nell'essere commossi alla vista di una passione onesta; ed è un alto punto di virtù, questa totale insensibilità in cui vogliono elevare la nostra anima. Dubito che una così grande perfezione sia nelle forze della natura umana; e non so se sia meglio lavorare per correggere e addolcire le passioni degli uomini che lavorare per estirparle del tutto. Confesso che ci sono posti migliori dove andare del teatro; e, se vogliamo condannare tutte le cose che non si riferiscono direttamente a Dio e alla nostra salvezza, è certo che la commedia deve essere fra queste, e non mi pare male che sia condannata con il resto; ma supponendo, come è vero, che gli esercizi di pietà contengano intervalli, e che gli uomini abbiano bisogno di divertimento, sostengo che non è possibile trovarne uno che sia più innocente della commedia.

Mi sono esagerato. Concludiamo con le parole di un gran principe sulla commedia di tartufo. Otto giorni dopo la sua messa al bando, un'opera teatrale intitolata eremita scaramouche; e il re, uscendo, disse al gran principe cui ho fatto riferimento: "Mi piacerebbe molto sapere perché le persone che si scandalizzano tanto della commedia di Molière non dicono niente di quella di Scaramouche"; al che il principe rispose: “La ragione di ciò è che la commedia di Scaramouche si prende gioco del paradiso e della religione, cosa che a questi signori non interessa, ma quella di Molière si prende gioco di se stessi; è ciò che non possono tollerare.

* Molière (1622-1673) è stato un drammaturgo, attore e regista francese. Autore, tra gli altri libri, di Il malato immaginario.

 

Riferimento


Moliere. Il Tartufo. Traduzione: Jorge Coli. San Paolo, Unesp, 2021, 240 pagine.

 

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