opera incompleta

Tarsila do Amaral, Ritratto di Oswald de Andrade, 1922, Oswald de Andrade Olio su tela, 61,00 cm x 42,00 cm
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da ROBERTO ZOLARE*

Commento alla raccolta di libri di Oswald de Andrade, a cura di Jorge Schwartz

La pubblicazione da parte di Edusp del opera incompleta di Oswald de Andrade è un evento. Un evento non solo per la possibilità che si apre alla lettura della sua opera, ma per il lungo e raro processo di decantazione che lo ha reso possibile.

Gestito dal 1985 da Jorge Schwartz, il progetto proposto da Haroldo de Campos per la pubblicazione di “Poesia e manifestos” per l'iconico Raccolta d'archivio si trasformò negli anni in una vasta scoperta di manoscritti d'opera (soprattutto le poesie e due romanzi) e testi inediti (alcuni ne rimangono ancora) che danno una dimensione inimmaginabile a un autore visto come impulsivo e poco avvezzo all'opera dello scritto.

Ci sono versioni e più versioni che mostrano una sorta di continuum dell'opera di Oswald, come se attraverso le sue oltre 1500 pagine si svelassero le dinamiche interne dell'opera di Oswald, che, in modo non meno rivelatore, divenne il metodo e la forma di organizzazione di questa edizione opera incompleta.

C'è qui qualcosa dell'ordine del non finito (e non del non finito), di una tensione interna le cui domande producono ancora effetti nella cultura brasiliana. Da qui la domanda che guida il progetto: come realizzare un'edizione completa di un'opera che si basi sul “percorso dinamico dei fattori distruttivi”, su una rarefazione dei rimandi, su un gioco di tagli e montaggi che non permette mai la trasformazione paralizzato continuo da tabù a totem?

Questa è la sfida che vediamo nello straordinario trattamento delle sue poesie di Gênese Andrade, che rivela poesie nelle poesie, facendo della critica genetica uno strumento di scoperta e meraviglia tra “la cancellazione e il pronto“. Viene inoltre svelato, attraverso un raffinato apparato critico, il contesto storico e intertestuale in cui il pronto opera e come la forza della sua agenzia dipende dai tagli e dalle riscritture durante il processo di elaborazione delle poesie.

Vediamo così come le poesie si dispiegano tra loro dal di dentro, producendo palinsesti che via via si comprimono, ma oltre a ciò, vediamo anche come la poesia si dispiega in prosa replicando la coerenza di questo metodo di sintesi e condensazione, spontaneità e riscrittura nell'impianto dei tuoi romanzi Ricordi sentimentali di João Miramar e Serafino Ponte Grande.

In questa logica di dispiegamento, un'altra scoperta dell'edizione è quella di mostrare la complessità dei manifesti di Oswald de Andrade che appaiono nelle sue numerose edizioni come potenti poesie che articolano le dinamiche dei processi della propria fabbrica di scrittura, costituendo di per sé una delle i grandi momenti dell'avventura modernista.

In questo gioco archeologico di ricostruzione di una situazione di scrittura acquista grande rilevanza un deciso gesto autobiografico, rafforzato dall'inedita nota preliminare di Antonio Candido. L'opera di Oswald de Andrade porta i segni dello status sociale e l'aspetto “brillante e imprevedibile” di uno scrittore invischiato nei legami del suo genio coltivato tra “Oropa, Francia e Bahia” con l'ambiente provinciale di Paulicéia. Di questo scontro rimane la forza del suo lavoro, soprattutto quando la verve ironica prende forza.

Tra pronto e cancellazione, autobiografia e riscrittura, storia e personalità, siamo così catapultati nel processo di fermentazione del bel biscotto per le masse di Oswald de Andrade, a cui si aggiunge, nel secondo volume, un'ampia cronologia e bibliografia, oltre a ritratti e autoritratti e un bel quaderno di immagini. Inoltre, abbiamo anche una vasta serie di testi critici, la maggior parte dei quali scritti per l'edizione e che, visti oggi, sono uno dei più grandi ritratti della critica letteraria brasiliana della seconda metà del XX secolo sullo stesso autore che abbiamo novità.

Dopo aver compiuto questo primo volo su questo vasto territorio, dal quale emergeranno certamente molte altre e diverse letture, vorremmo evidenziare alcuni punti che hanno particolarmente richiamato la nostra attenzione. Il primo di essi, senza dubbio, va al primo poema modernista scritto negli anni '1910 da Oswald de Andrade, "L'ultima corsa di un tubercolotico attraverso la città, in tram".

Come parte di una trama archeologica testuale, il poema non è stato trovato, ma è rimasto con una sorta di testo primordiale in contumacia a cui tutto il lavoro di Oswald de Andrade tendeva in una sorta di malinconia del futuro o come virtualizzazione di un passato che proiettava nel futuro, una mancanza che si annunciava e che riscriveva all'infinito.

In un ennesimo gustoso paradosso osvaldiano, il futuro del Brasile e della letteratura brasiliana portava già questa malinconica zavorra, una difficoltà a perdere il futuro in trame dalla scia conservatrice e aristocratica, come se questa perdita della stessa realizzazione futurista, la sua precarietà, segnasse la pena di “Non trovare / Quella poesia / Che ho fatto / Prima di tutti gli altri” e che rimane come “scalpello ritardato” negli ingranaggi della macchina modernista.

Questa temporalità complessa e diffusa, lavorata per strati e strati di scrittura, come mostra Jorge Schwartz, è traccia di una perdita che si apre al divenire e segna l'incompiutezza stessa dell'opera di Oswald de Andrade, cioè come la Muiraquitã di Macunaima, è una poesia paradossalmente assente che “genera un processo di riscrittura permanente e vario”.

Inoltre, è come se lo stesso processo di riscrittura di Oswald de Andrade, sempre rarefacendo e cifrando i riferimenti, fosse esso stesso una tecnica per produrre assenze, ellissi, spazi che aprissero al lettore la possibilità di una costante ri-enunciazione e reinvenzione, come se l'impossibilità dell'esistenza di quel poema moderno nel contesto provinciale ha creato una tangente che ha aperto la scrittura stessa come uno spazio potentissimo per produrre un'altra storicità nel cuore stesso dell'autobiografia e delle vicissitudini storiche.

È producendo il proprio tempo che la scrittura attraversa il tempo. È aprendosi all'altro che dà significato sociale alla specificità. È così che la scrittura produce un'altra voce che parla oltre se stessa. È trasformando se stessi – come nel magnifico scoperta dell'africa che chiude il primo volume – quel “ritmo sostituisce l'eternità”.

Perché non è solo la scrittura e l'opera ad essere incomplete, ma l'esperienza umana stessa, quell' “animale incompleto” sempre alla ricerca di un adattamento impossibile basato sui suoi devastanti ideali. Ma anche questi ideali che hanno guidato il processo di colonizzazione si rivelano viziati per la gioia della nostra storia, una catechesi incompleta che ha prodotto un amalgama di civiltà che non ha ancora trovato la sua massima potenza, proprio a causa dei suoi idealistici e violenti sogni di compiutezza.

L'antropofagia appare così come quella “epopea dell'equivoco” che Oswald de Andrade ci racconta su Don Chisciotte e Sancho Panza in La marcia dell'utopia. Una scienza dell'incompiutezza, un'incessante opera di lutto e rielaborazione, di smarrimento e ricerca, che è anche costantemente aperta all'altro. Inoltre, l'antropofagia stessa si trasforma attraverso il lavoro di Oswald e le letture del suo lavoro. Come se fosse possibile antropofagia antropofagia, da sortita modernista al divoramento culturale, dall'antropologia rituale all'utopia filosofica.

Se mettiamo insieme i pezzi del puzzle oswaldiano come una delle possibili costruzioni, vedremo il nucleo cardine del vettore antropofagico come una lettura molto specifica della nostra “cordialità” come apertura, trasformazione, corporeità, moltiplicazione dei punti di vista , ma anche il suo meschino pregiudizio. , egocentrico, estrattivo, violento, semplicemente riducendo l'altro allo stesso. Barcollando tra l'alta e la bassa antropofagia, ascoltiamo e vediamo in tutta l'opera di Oswald la gioia allucinatoria e la macabra coreografia di questa danza circolare chiamata Brasile. Come leggiamo Un aspetto antropofagico della cultura brasiliana: “L''uomo cordiale' porta dentro di sé la propria opposizione. `Sa essere cordiale come sa essere feroce´” ed è questo duplice aspetto che può essere risolto solo dall’antropofagia che allo stesso tempo intende la vita come divorante (l’aspetto feroce), ma sa simboleggiarla attraverso il rito che lo rende comunione. O, ancora, la continua trasformazione del tabù in totem che segna il pensiero e la pratica della scrittura di Oswald de Andrade.

Si veda a questo punto l'enfasi di Benedito Nunes su un dispiegamento utopico dell'antropofagia, sostenuto da un matriarcato che risulterebbe dalla sussunzione del lavoro manuale da parte dell'automazione macchinica. O ancora, vedi in una delle prime approssimazioni dell'antropofagia oswaldiana con il prospettivismo di Eduardo Viveiros de Castro, come Sara Castro-Klarén mostra le difficoltà di un rapporto diretto tra loro, irriducibile, ad esempio, alla dialettica matriarcato-patriarcato, ma attenta “a una collocazione in un universo sempre in divenire”, “passaggio attraverso un'infinita e sconfinata alterità”. L'antropofagia oswaldiana si rivela molto più intricata di quanto molti vogliano mostrare.

Tra i grandi meriti di opera incompleta, è la possibilità di mantenere aperta questa frattura, cioè di non cancellare la complessità delle possibilità e dei disagi che attraversano la poetica oswaldiana. Come se avesse toccato questa zona di indeterminazione del nucleo cardine della voce poetica e della sua densità antropofagica, la scrittura di Oswald de Andrade diventa il palcoscenico in cui qualsiasi gesto o verso potrebbe cambiare improvvisamente l'intera storia da una parte o dall'altra.

“Verso sì”, come dice Oswald de Andrade, “nessun sonetto, né elegia. Solo versi”. Proprio come il capitolo o la frase nei romanzi. La sintesi disgiuntiva dei manifesti. La domanda che rimane è come passare dalla concezione poetica di Oswald de Andrade, di cui l'antropofagia è il gesto più noto, alla pratica poetica? Nell'incompletezza di questi volumi, abbiamo qui diversi indizi.

La prima è che il processo di scrittura, come sottolineato da Gênese Andrade, avviene attraverso una sovrapposizione di strati di scrittura che vengono tagliati in modo tale che le connessioni tra loro diventino pregne nello stesso momento in cui, come nel primo poema modernista , producono assenze che codificano la scena. Già Haroldo de Campos aveva fatto notare qualcosa di simile, questo taglio che produce una paratassi di relazioni ridotte al minimo, ma la cosa interessante è notare come il processo che porta a questa costruzione dipenda sia da una produzione di indeterminazione sia dalle possibilità di scrittura evidenziato dalla cancellazione, o da quell'indeterminazione del nucleo cardine della voce che permette di portare la scrittura ovunque.

Anzi, se, come mostra Antonio Candido, si gioca il gioco che fa il meglio e il peggio, potremmo aggiungere che la sua portata dipende dalla capacità di mettere in tensione gli strati dell'atto poetico: parola, scrittura, situazione di enunciazione, intertestualità, autobiografia, storia, etc etc etc. A questi strati si aggiungono le numerose scene di parole e di scrittura eseguite sottilmente nel corso del testo stesso. Inoltre il testo dialoga con i suoi supporti di parola o di scrittura (il taccuino, il giornale, la lettera, la cartolina, il telegramma, la radio, la macchina da scrivere ecc ecc ecc) che a loro volta creano relazioni metonimiche con le meraviglie della tecnologia moderna (auto, aereo, grattacieli ecc ecc ecc).

Ora, ciò che i manoscritti mostrano è che il taglio oswladiano, il verso, la frase, sono un incrocio di questi strati semantici e sintattici, così come i loro supporti e i loro mezzi, la loro situazione di enunciazione e il loro contesto, mostrando la profonda relazione tra loro e facendoli vibrare sulla loro superficie di contatto. Sono “antenne mobili”, come cellulari (di Calder) che si montano e si smontano attraversando i piani spesso contraddittori, come si montano e si smontano i mondi che lui mette in gioco. Per ragioni ancora da approfondire, è nei manifesti, di cui purtroppo non sono stati ancora trovati manoscritti, che questo scontro di mondi è più evidente.

La modernità sarebbe questo attraversamento di mondi, di discorsi e scritti, di tempi. Perché l'ironia non è altro che il nodo in cui si intersecano più di due serie, due sensi, due culture, due mondi.

Qui tocchiamo la forma difficile della poetica modernista, perché niente è più difficile da avvicinare criticamente di questo luogo dove le cose potrebbero effettivamente essere diverse. Luogo dell'etica per eccellenza che Oswald de Andrade, contrariamente a quanto possa sembrare, ha portato al limite. C'è solo possibilità di etica nella scrittura quando le sue possibilità sono state portate al limite. Così, la sovrapposizione, lo shock e il taglio, lungi dall'essere una semplice formula, sono moduli capaci di auto-organizzarsi per la forza stessa del loro fluire, quel sempre-da-fare che ne segna l'incompiutezza.

Oswald de Andrade ha cambiato per sempre ciò che intendevamo per cultura e natura e in virtù dell'incompletezza la natura stessa del linguaggio e della scrittura. Ha anche portato la calligrafia al limite del disegno ed esplorato i confini tra scrittura e immagine nei manoscritti e nei libri. Ma insistiamo un'ultima volta che il segreto di queste trasformazioni sta nei passaggi da una serie all'altra, da un senso all'altro, da un campo di esperienza all'altro.

Sì, pubblicato solo nel 2022, opera incompleta rimane un evento Un evento di resistenza critica, un'istantanea provvisoriamente definitiva di intelligenza e invenzione in un momento in Brasile in cui tutto è per ieri, per oggi o per domani, ma raramente per durare e articolare queste dimensioni temporali, come accade in questo opera incompleta da uno dei nostri più grandi scrittori.

*Roberto Zular Docente presso il Dipartimento di Teoria della Letteratura e Letterature Comparate dell'USP.

Riferimento


Osvaldo de Andrade. opera incompleta. 2 volumi. Coordinamento (a cura di): Jorge Schwartz. San Paolo, Edusp, 2021, 1656 pagine.

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