da FLAVIO AGUIAR*
I fatti che hanno scatenato l’attuale ondata di orrori in Palestina mancano ancora di risposte convincenti, e non solo versioni e controversioni
“Parodiando Cartesio, oggi possiamo dire, non possiamo, dobbiamo:
Ne dubito, poi penso” (Tarciso Roberto, filosofo).
Chiunque abbia anche solo una goccia di umanesimo nella lente attraverso la quale guarda il mondo non può fare a meno di provare perplesso dolore per quanto è accaduto, sta accadendo e dovrà accadere in questa nuova fase della guerra tra il governo israeliano e l’ala militare Israele: Hamas sacrifica vite umane in massa da entrambe le parti.
Ma insieme all'emozione è necessario pensare. E per cominciare è necessario aprirsi alla corrente (torrente?) di dubbi che questo massacro reciproco scatena. Sottolineo: dubbi. Nient'altro che dubbi. Ma niente di meno.
La prima domanda che sorge lungo il percorso è la questione di cosa, dopo tutto, è successo ai e/o attorno ai servizi di intelligence israeliani. Ci sono aspetti tecnici e politici in questo dubbio. Tecnicamente, molti esperti sollevano la possibilità di un’eccessiva fiducia nell’apparato tecnologico a disposizione di questi servizi. Sottolineano l’idea che Hamas abbia preparato il suo attacco di nascosto, rifiutando di utilizzare tecnologie avanzate e favorendo il contatto umano diretto tra i suoi militanti, evitando computer, smartphone e altri strumenti simili.
Potrebbe essere. Ma l’aspetto che mi interessa di più è quello politico. In mezzo alla raffica di versioni e contraddizioni che seguirono, mi colpì la frase di un alto ufficiale militare israeliano che diceva che un'indagine su quanto era accaduto era necessaria, ma che sarebbe arrivata dopo: prima la guerra, disse. Questo è ancora un tentativo di coprire il problema con un setaccio, perché è perfettamente possibile fare entrambe le cose contemporaneamente. Anche nella guerra del Vietnam, per non parlare di altri esempi, ci furono guerra e indagini contemporaneamente.
Un altro “dettaglio” che ha attirato la mia attenzione è stata la denuncia, attribuita ad un ufficiale anche lui di alto livello dei servizi segreti egiziani, che ha preferito rimanere anonimo, di aver avvertito il relativo servizio e il governo israeliano che “qualcosa di grosso” si stava preparando da Hamas nella Striscia di Gaza. Questo avvertimento, secondo la stessa ipotetica fonte, sarebbe stato rivolto addirittura direttamente al primo ministro Benjamin Netanyahu.
Michael McCaul, rappresentante americano del partito repubblicano e presidente della commissione per gli affari esteri della Camera, ha suggerito che verrà consegnata una lettera addirittura al governo israeliano. Niente di tutto ciò è stato confermato e, naturalmente, il governo israeliano e lo stesso primo ministro Benjamin Netanyahu hanno negato con veemenza di aver ricevuto alcun avvertimento al riguardo.
Ma il dubbio resta, e cresce, echeggiato da vari commenti nei media occidentali e filo-israeliani. Non c’era la consapevolezza che qualcosa si stava preparando? Se ce n’era uno, e ne è seguito il necessario avvertimento, non è stato preso sul serio? Passando dal piccolo al grande, cosa è realmente accaduto, negligenza nella percezione o negligenza nella valutazione?
Il fatto è che l’attuale governo israeliano – il più di destra e truculento della storia del Paese – era sottoposto a un’enorme pressione interna a causa del tentativo di neutralizzare la magistratura, alleviando la minaccia che incombe sulla testa di Benjamin Netanyahu, accusato in tre casi di corruzione. In questo senso, anche se in modo contraddittorio, l'attuale recrudescenza della guerra gli calza a pennello, garantendogli la sopravvivenza politica grazie alla formazione di un fronte di unità nazionale con l'opposizione.
C’è dubbio sulla portata di questa sopravvivenza. I suoi sostenitori garantiscono che Netanyahu uscirà rafforzato da questo disastro. Voci più critiche avvertono che ne uscirà indebolito, a causa dell'ombra di negligenza che grava sul suo governo e sui relativi servizi di intelligence e militari. Un altro dubbio parallelo solleva la questione che ci sarebbero divisioni irreparabili all'interno del governo, dell'apparato di sicurezza e dei militari a causa delle contraddizioni politiche causate dal tentativo di controllo della magistratura e dell'enorme reazione negativa provocata tra la popolazione del paese.
In mezzo a questo groviglio di contraddizioni resta un amaro meta-dubbio. Se c'era qualche tipo di avvertimento, perché non è stata adottata un'azione preventiva? Solo disattenzione? O un errore di calcolo riguardo alla nuova capacità di Hamas di agire militare? In questa seconda ipotesi – ribadisco, niente più che un’ipotesi, ma niente di meno – non ci sarebbe stata solo colpa da parte del governo israeliano. Ci sarebbero stati senso di colpa e intenzione, mescolati insieme.
Per reagire all'evidente negligenza, di qualunque tipo, colpevole, volontaria o entrambe, il governo di Benjamin Netanyahu ha raddoppiato la brutalità militare e verbale della sua tradizionale azione contro Gaza e la sua popolazione. Il termine “animali umani” in riferimento ad Hamas, pronunciato da uno dei membri più reazionari di questo governo, ha caratterizzato questa reazione. L'assedio senza pane, senza acqua, senza carburante, senza medicine, con la profusione di bombardamenti aerei come di consueto su obiettivi civili, a cui è stato e è sottoposto il popolo di Gaza, ha corroborato l'orizzonte di violenza delineato dal governo di Tel Aviv.
La brutalità, però, ha avuto un effetto boomerang: il governo israeliano, criticato dal quotidiano liberale Haaretz, ha perso, almeno in parte, il primato della narrazione sulla guerra. È vero che la profusione di narrazioni successiva al 7 ottobre ha seminato molta confusione nello spazio mediatico, con sotterfugi che sono diventati evidenti. Faccio due esempi:
(i) È stato diffuso un video con dichiarazioni offensive, soprattutto nei confronti delle donne israeliane, nell'ambito della gigantesca manifestazione filo-palestinese avvenuta a Londra. Quindi, secondo una ricerca di The Associated Press, è diventato chiaro che questo video proveniva da un altro episodio avvenuto nel 2021, e c'erano ancora dubbi sulla colonna sonora che ora lo accompagnava.
(ii) Ad oggi non si sa molto bene cosa sia successo con il caso dei “bambini tagliati fuori” presumibilmente da Hamas, le cui immagini non sono state ancora confermate, e il sospetto che appartengano anche a eventi passati, e che sa dove.
E c’è stato anche il curioso caso delle accuse secondo cui le armi usate da Hamas nel suo attacco provenivano… dall’Ucraina! Non c'erano prove nemmeno a riguardo.
Il fatto è che, se all’inizio, come spesso accade, i governi occidentali e i relativi media hanno mostrato solidarietà senza restrizioni con Israele, a poco a poco questo”gesto" il politico veniva condiviso con le immagini della sofferenza della popolazione civile a Gaza. Il discorso che il governo israeliano ha cercato di sostenere, secondo cui avrebbe dato “tutto” finanziariamente ad Hamas e alla popolazione di Gaza, è rimasto vuoto.
E Hamas, in tutto questo? Tanto per cominciare, Hamas è un’organizzazione molto complessa. Oltre al braccio militare, ha un braccio di azione sociale e un braccio di azione religiosa di estrazione sunnita. Disputa per la leadership tra i palestinesi con l'Autorità Palestinese, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e Fatah, la sua ala più grande. Controlla strettamente la Striscia di Gaza, dove ha vinto le elezioni nel 2006. Oltre a Israele, altri sei paesi (Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone, Regno Unito e Paraguay) e l’Unione Europea considerano Hamas un’organizzazione terroristica, ma l’ONU non lo fa. non lo fa. Il Brasile, come al solito, segue le indicazioni delle Nazioni Unite.
In ogni caso, l'azione intrapresa da Hamas il 7 ottobre ha avuto un carattere terroristico, un'aperta aggressione contro la popolazione civile e le è valsa la condanna internazionale.
Qual era l’obiettivo politico di questa azione di Hamas? Per affermarsi o riaffermarsi come la principale organizzazione palestinese? Minare il riavvicinamento tra Israele e gli altri Paesi arabi, in particolare l’Arabia Saudita, anch’essi sunniti? Demoralizzare l'apparato di sicurezza israeliano? Tutto questo e altro? Quest’ultimo obiettivo (demoralizzante...) è stato parzialmente raggiunto, ma il costo potrebbe essere molto alto, non solo per il peso della prevista ritorsione israeliana, ma anche perché il martirio dei palestinesi nella Striscia di Gaza, che inevitabilmente avverrà con un’invasione israeliana, potrebbe avere un effetto boomerang, costando ad Hamas la leadership che deteneva dal 2006.
Rimangono altre domande. Come hanno fatto le nuove armi e gli altri dispositivi utilizzati nell'invasione del 7 ottobre a entrare a Gaza senza che nessuno se ne accorgesse? Come si è svolta la formazione con loro? L’esistenza di una rete di tunnel sotterranei a Gaza da sola non risponde a queste domande.
Non si trattava solo di armi, droni e oggetti simili; Si trattava di un carico enorme, che deve aver impiegato del tempo per raggiungere Gaza ed essere immagazzinato. Non è arrivato in aereo. In Egitto è difficile, anche se Hamas ha delle alleanze lì. Via mare, sfuggendo alla sorveglianza navale israeliana ed egiziana? Com'è possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Oltre al monitoraggio costante da parte di Israele, l'Egitto del generale Al-Sisi monitora attentamente anche Hamas, a causa dei suoi legami con i Fratelli Musulmani, che il colpo di stato militare del generale ha estromesso dal governo.
Un altro grosso dubbio riguarda il riassetto che questa nuova fase della guerra determinerà nello scenario geopolitico. È ancora troppo presto per fare previsioni, al di là delle alleanze tradizionali e delle lealtà ricorrenti. Per il momento una cosa è certa: la guerra in Ucraina è passata in secondo piano. Cosa comporterà questo?
Non si può dimenticare, d’altra parte, che la leadership di Benjamin Netanyahu in Israele ha favorito la crescita di Hamas, grazie al continuo sabotaggio degli accordi di pace e al continuo sforzo per impedire la costruzione dei due Stati paralleli, in conformità con l’originario Accordo ONU. risoluzione., riaffermata a tutt'oggi.
In questo senso, se Hamas e Benjamin Netanyahu sono, e sono, nemici, soprattutto nella sua ultima coalizione con l’estrema destra fondamentalista in Israele, appartengono alla stessa razza, o “fratelli siamesi”, come ha espresso il mio amico sulla questione. A differenza di Carl von Clausewitz, per il quale la guerra sarebbe “la continuazione della politica con altri mezzi”, per Hamas e Netanyahu 1.0, 2.0 o qualunque cosa .0 finisca per essere, la politica è una mera continuazione della guerra. Entrambi dipendono l'uno dall'altro.
Per quanto distante possa sembrare, l’unica alternativa nella situazione odierna è continuare a riaffermare le risoluzioni dell’ONU al riguardo, con la proposta di costruire due Stati e, per quanto difficile possa essere, la ricerca del ripristino dell’Autorità Palestinese, oltre a favorire le forze democratiche e pacificatrici all’interno di Israele.
Per questo motivo mi permetto di ritenere che, se Benjamin Netanyahu è un grosso problema, Hamas è lungi dall’essere una soluzione. E viceversa.
*Flavio Aguiar, giornalista e scrittore, è professore in pensione di letteratura brasiliana all'USP. Autore, tra gli altri libri, di Cronache del mondo sottosopra (boitempo). [https://amzn.to/48UDikx]
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