il giallo ama

Mira Schendel, 1960, senza titolo, tecnica su juta, 30.00 cm x 30.00 cm. Riproduzione fotografica Romulo Fialdini
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da JOÃO ADOLFO HANSEN*

Commento al libro di poesie di Tristan Corbière

il giallo ama (1873) è il libro di poesie del bretone Tristan Corbière (1845-1875) che, in un'autocaricatura, figurava con “araignées all'interno del soffitto”, o “scimmiette in soffitta”. Purtroppo è forse più conosciuto per l'eccentricità di un poeta maledetto che per la sua magnifica poesia, poco letta da queste parti, sebbene già commentata da Mário Faustino (sperimentare la poesia, Perspectiva, 1977) e pioniere nella traduzione di Augusto de Campos (Verso inverso controverso, Perspectiva,1978) e Paulo Leminsky (sulla rivista Strano corpo, no. 3). Ora, 31 delle sue poesie sono state aggiunte da "Introduzione", "Note alle poesie", "Cronologia" e "Bibliografia", molto illuminanti e realizzate dal traduttore, Marcos Antônio Siscar.

Come in “giallo sorridente”, il titolo allude all'ottusità di goffo autoriflessivo. Spiega il traduttore: in francese “giallo” è anche “amore tradito”. È questa vacuità, questo rompicoglioni cosmico che è la sostanza delle poesie. I suoi temi sono banali, ma la poesia è fatta di parole – “Tu che russi accanto alla tua moglie addormentata,/RUMINANTE! Hai presente INSONNIA, quel gemito? (p. 91) – Lo dimostra anche Corbière. Come la rana che secerne il veleno corrosivo del fungo che abita, la sua poesia distilla dissonanze. A suo tempo, inghiottendo Villon e Baudelaire, ha corroso i diamanti di Victor Hugo e Lamartine; oggi, probabilmente non più. Le rane sono in pericolo.

Come tanti altri, la poesia di Corbière è stata ignorata durante la vita dell'autore, essendo stata "scoperta" dalla pubblicazione Les Poetes Maudits (1884), di Verlaine, che lo dichiarò "un Grande". All'inizio di questo secolo, Ezra Pound e TS Eliot ne fanno un punto di riferimento necessario per la poesia moderna, accanto a Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé e Laforgue. Simbolista, decadente, parnassiano, romantico, moderno, surrealista, dadaista? La sua negatività che nega la negazione lo rende contemporaneo. Vedi “Pariah” (p. 107), capolavoro.

Come Lautréamont e Laforgue, Corbière radicalizza il distanziamento autoriflessivo dell'ironia romantica, ma lo rivolge contro l'infinito indefinito e malvagio del romanticismo. È poesia dell'esattezza e dissolve lo stesso mezzo poetico di versi e rime in cui opera dissoluzioni. Colpisce un cinismo superiore, che si vendica della vita bestiale, criticando il risentimento. Ironia o umorismo? Diceva un filosofo che l'ironia annulla il mondo perché presuppone la verità, con la quale inverte l'esperienza come finzione e falsità. È didattico: socratico, difende una causa, vuole convertire.

L'umorismo, invece, dissolvendo unità, si sacrifica, potenziandosi nel nulla, zen, senza pretese, quando include ingannevolmente nel suo movimento intransitivo la differenza di ciò che minaccia. Se l'ironia è disgiuntiva e ammette prescrizione, l'umorismo integra ed è imprescrittibile. Singolare, Corbière ha un umorismo ottuso, acido, puntuale anche in tempi di falsificazione.

Ciò che lo caratterizza in modo nucleare è il modo duro o secco di comporre l'amarezza, dice Pound, quando si confronta con Laforgue e altri saggi della poesia moderna. Abilissimo nell'arte del verso convenzionale, opera attraverso l'intersezione di più piani semantici, incongrui o molto distanti, producendo discontinuità e commistioni stilistiche. O "adynaton“, un insieme di cose che si escludono a vicenda, è un procedimento ricorrente per effettuare disidentificazioni: “vittorioso fallito” (p. 57). Come nella musica di Thelonius Monk o Cage, anche i suoi silenzi significano casualità. (Da non perdere l'interessantissima analisi della questione dell'identità del soggetto poetico fatta dal traduttore a pagina 27.)

A causa della discontinuità, si applicherà a questa poesia ciò che un critico americano disse una volta a proposito della poesia di Laforgue: "leggerla senza attenzione significherà certamente odiarla, perché contiene più novità di quante la mente possa accettare senza sforzo".

Il lavoro del tuo traduttore non è facile. Tanto più che, lucido, non lo intende come un mero trasferimento di significati da lingua a lingua. Lo pratica come la coproduzione che rende il lettore anche autore di una rivelazione della poetica di Corbière (p. 32). Ovviamente, quindi, l'antologia non può pretendere di essere “rappresentativa”: Siscar reinventa le poesie mantenendo le omologie degli originali, non necessariamente le analogie. Questa differenza – come allontanamento dall'originale – è proprio la sua maggiore vicinanza. E se l'interferenza maggiore è quella che più rispetta l'unicità dell'altro, come dici tu, questa deriva sostanzialmente dalla finezza della percezione, dalla conoscenza della poesia e dalla natura delle lingue da parte del traduttore. Ad esempio, sa che il poeta abusa delle infrazioni metriche.

Di più: come un Picasso, che deformava perché sapeva disegnare, Corbière non commette “infrazioni” né applica “licenze”, perché non presuppone la normatività della tradizione, anche se la drammatizza continuamente nella parodia. Come "passarlo" al portoghese? Inizialmente, per perversa obbedienza alle leggi metriche, come modo per defunzionalizzarle, recuperandole ad un altro livello superiore di funzionalità, omologo all'umorismo delle “infrazioni”. Fondamentali nel poeta, egli dimostra, sono le associazioni “laterali” di un inconscio linguistico che pensa il soggetto poetico indipendentemente dalla presunta soggettività, producendo eventi discorsivi paralleli. Il traduttore li reinventa mantenendo il principio linguistico dell'equivalenza metaforica.

In “Gritos de Cego” (“Chris d'Aveugle"), ad esempio, il verso finale è: "J'entends Le glas du cor" ("Sento il richiamo del corno"). La poesia raffigura il vento del nord come un corno, che canticchia il grido dei morti. Siscar propone: “Sento già il dolore zombie”, scomponendo il termine “buzzer”, in un'associazione che condensa “vento”, “freddo”, “ronzio”, “urlo” e “morte”. Presupposto: non tradurre la “visione del mondo” espressa “attraverso il” discorso, strumentalismo cieco al linguaggio, ma reinventarla, per omologia produttiva, “poiein".

L'idea, infine, di un traduttore come messaggero della struttura della poesia, non dei “contenuti” figurati nelle poesie. Siscar, traduttore, è anche un fine antropologo – in uno specchio, la sua singolarità è quella di rispettare l'interferenza dell'altro.

*Giovanni Adolfo Hansen è un professore senior in pensione di letteratura brasiliana all'USP. Autore, tra gli altri libri, di Nitidezze cinquecentesche – Opera raccolta, volume 1 (Edusp).

Riferimento


Tristan Corbiere. Gli amori gialli. Traduzione: Marcos Antônio Siscar. San Paolo, Illuminazioni, 182 pagine.

Originariamente pubblicato su Giornale delle recensioni, il 13 settembre 1996.

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