Il naufragio della Repubblica

Carlos Zilio, PRATO , 1972, pittura industriale su porcellana, 24cm
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Di TARSO GENRO*

La crisi della democrazia brasiliana è diventata una tragedia quando le classi dirigenti del paese hanno scommesso sul suo approfondimento attraverso il fascismo, al fine di realizzare riforme ultraliberali

Alcuni fatti della politica quotidiana sono capaci di segnare la fine di un ciclo o l'inizio di un nuovo periodo, all'interno dello stesso ciclo di lotte e dominazioni. Questi fatti possono distinguersi, sia per il potere distruttivo delle relazioni articolate affinché il presente avesse un certo senso, sia per la loro capacità di dar luogo a nuovi scontri –tra forze in lotta- ridisegnando i giorni successivi e collocandoli in una nuova prospettiva storica: si inscrivono in questa prospettiva la sparatoria a Lacerda alla fine di Getúlio Vargas, il discorso di Roberto Jefferson sul “mensalão”, il camion dell'Elba situato nel servizio privato di Collor, la prigione di Queiroz. Dopo questi fatti, la politica cessa di essere “la stessa” e diventa “un'altra”: corrode, ricostituisce, riapre le attese e altera la postura dei soggetti in collisione.

nella tua potenza figlio del secolo (Ed. Intrínseca Ltda, 2019, 374 e ss.), l'autore A.Scurati riferisce che il 23 aprile 1921 - nelle colonne del Corriere della Sera– il senatore e direttore del giornale Luigi Albertini” ha scritto che bisognava “tacere il naso davanti alla puzzolente alleanza tra liberali e fascisti”. Questa alleanza era già accettata da Benito Mussolini, che preparava il “salto del fascismo”, dal terreno instabile e violento delle strade (…) “alla plenaria parlamentare”. Due giorni prima l'Albertini si era dichiarato contrario a questa alleanza, respinta dai liberali che si rifugiavano nel La Stampa di Torino, che vi vedeva un suicidio del liberalismo democratico.

La rete liberal-conservatrice che ha concordato con il fascismo della milizia in Brasile si è formata in modo informale. Non aveva alcuna intenzione di mettere al potere un protofascista, perché per lei Bolsonaro sarebbe stato solo l'esito di un'avventura autoritaria. Lo userebbero per ingannare le classi medie che un programma minimo di necrofilia - come uccidere banditi e mitragliare la sinistra - risolverebbe i problemi della nazione. Le classi dirigenti, infatti, si sono servite di Bolsonaro solo dopo una complessa operazione di demoralizzazione della politica liberal-democratica, attraverso la quale hanno devastato anche i loro leader prigionieri: si sono rivelate incapaci di portare avanti un progetto riformista ultraliberista per “spennare” lo Stato. crisi, che ha permesso a Bolsonaro di diventare la quotidianità tachipsichica delle classi dirigenti. già senza leader in grado di guidare.

Il gruppo di leader che difende la illimitata subordinazione del Paese al capitale finanziario e al gioco del rentier, aveva l'obiettivo di azzeccare un risultato elettorale che definisse un Governo impegnato ad eliminare la “spesa” delle politiche sociali. Il suo obiettivo sarebbe porre fine alla protezione sociale e previdenziale umanistica, che combatteva la povertà assoluta e poneva i poveri al tavolo democratico, oltre a rafforzare il ruolo dello Stato nei settori della sanità e dell'istruzione. Il gioco borghese-renditaria, dunque, non ha affrontato una rivoluzione, ma piuttosto ha cercato di avvizzire la socialdemocrazia, riaperta dopo Vargas, già in un assetto internazionale avverso all'eredità delle politiche socialdemocratiche del dopoguerra.

In Italia, assediata dal fascismo, c'era -è vero- il "pericolo" della rivoluzione socialista. Questo progetto ha riempito di paura gran parte della società, a differenza dell'emergenza fascista in Brasile, il cui destino è ancora in discussione. In Brasile, la possibilità del sorgere dell'idea totalitaria si riferiva direttamente contro la democrazia politica e la socialdemocrazia moderata, lontane -in ogni ipotesi- da un'imminenza socialista. Come sbarazzarsi di Bolsonaro, che getta il Paese nello scompiglio, senza una base sociale a sostegno del fascismo miliziano, è il dilemma in corso del potente sistema di alleanze che ha gettato il Paese nell'indeterminazione e nella follia.

Nella storia dell'adesione del fascismo al blocco di governo del premier Giolitti, che aprì la strada al potere a Mussolini negli anni '20, c'è la cronaca storica di una doppia interpretazione: quella di Mussolini, che si apprestava a salire al potere, certo che Giolitti non poteva “ governare all'infinito” perché era “vecchio e sorpassato”; e quella degli elettori “moderati”, che erano insieme “rassicurati e inorriditi dalla violenza dei fascisti”. Nella quotidianità di quella parte di storia italiana si contendevano le forze politiche che avrebbero risposto all'insicurezza del popolo e guarito le sue ferite di guerra.

In quel momento, l'antiparlamentarismo fascista era contenuto dai suoi dirigenti, che avevano già capito che era possibile corrodere il sistema liberale “dall'interno”, partecipandovi solo come movimento tattico. Il piano fallito di Giolitti era quello di contenere le illegalità fasciste, considerandole un fenomeno passeggero, e sottoponendole a quadri costituzionali. Il piano di Mussolini, però, era quello di stabilire “il disordine assoluto per dimostrare che solo lui poteva “ristabilire l'ordine”. Il piano fallito delle classi dirigenti brasiliane - una rapida visita al fascismo per attuare le riforme - viene sconfitto non solo dal medievalismo antiscientifico del presidente di fronte alla pandemia, ma anche dalla milizia e dal modo familiare con cui esercita la magistratura presidenziale.

Mussolini sconfisse Giolitti e assunse il potere. Con Bolsonaro, in Brasile, è avvenuta la cooptazione di FHC e del centrão, da parte del tradizionale partito mediatico, per radicare il falso dilemma tra i “due estremi” nella società. Questo dilemma -il “biglietto dei liberali per un'alleanza con il fascismo- non sorse allora come risposta alle minacce di una rivoluzione socialista, ma come un accordo per attuare delle “riforme” ultra-liberali. Per questo il docente moderato in ascesa dovrebbe essere bloccato dal capitano accusato di terrorismo. Non si è trattato, quindi, di un classico scontro tra “sinistra” e “destra”, ma di una disputa elettorale falsificata e intensa, tra due estremismi, dove solo uno dei due era reale.

Il prezzo elevato ora esplode esponendo le viscere del patto di potere. Mostrano la vita politica quotidiana del paese come giorni deteriorati dalla milizia accerchiata. Queiroz è rinchiuso in una prigione che custodisce anche i destini della democrazia giudiziaria: “le grandi azioni non quotidiane che si raccontano nei libri di storia -dice Agnes Heller- partono dalla quotidianità e ad essa ritornano. Ogni grande impresa storica diventa particolare e storica, proprio grazie al suo successivo effetto sulla vita di tutti i giorni”.

In questo momento, la quotidianità e la storia sono trattenute in una cella di prigione, a Rio, dove Queiroz ripensa a tutta la sua vita fatta di dipendenze, lealtà, poteri apparenti e reali, crimini e generosità mafiosa, ampliata dalla politica. La crisi della democrazia brasiliana è diventata una tragedia quando le classi dirigenti del paese hanno scommesso sul suo approfondimento attraverso il fascismo, al fine di realizzare riforme ultraliberali. Il futuro immediato della democrazia in rovina è ormai imprigionato nella mente della sua creatura più esemplare che, quando rimugina sulla sua traiettoria, decide anche del destino degli amici fedeli che lo abbandoneranno nelle carceri della Repubblica in rovina.

* Tarso in legge è stato Governatore dello Stato del Rio Grande do Sul, Sindaco di Porto Alegre, Ministro della Giustizia, Ministro dell'Istruzione e Ministro delle Relazioni Istituzionali in Brasile.

 

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