da RONALD ROCHA*
Il centro tattico della resistenza dell'opposizione si condensa nella linea del rafforzamento dell'ampio fronte democratico e della mobilitazione di grandi masse popolari per fermare il processo di autogolpe
Il Brasile – a grandi passi – si avvicina alle elezioni comunali che si svolgeranno tra meno di quattro mesi e le cui campagne sono in pratica già partite. Inutile spendere tanti personaggi per dimostrare quanto saranno importanti. Invece di fatti puntuali e dispersi in ogni parrocchia, come suggeriscono il buon senso e la fredda lettera delle leggi, le rivendicazioni incarnano un processo politico complessivo, che va dalla ricomposizione in parlamenti e governi degli enti municipali, tipica della forma statale federativa brasiliana, per la sua esistenza e ripercussione su tutto il territorio nazionale, alla sua ingerenza nei rapporti di forza tra le varie materie in lite.
Inoltre, aprono la possibilità al protofascismo di affermarsi nelle società politiche locali, le cui stabilimento gli sembra ancora tanto indispensabile quanto inaffidabile. Infine, si svolgeranno nel contesto in cui persiste il piano dell'autogolpe, ma senza raggiungere, fino ad ora, sufficiente forza bruta. Il regime democratico sopravvive per la somma della militanza dell'opinione pubblica e dell'opposizione con la resistenza in settori della società politica e degli organi statali, tra cui il Congresso e l'STF, oltre a una certa incapacità delle frazioni monopolistico-finanziarie e delle Forze Armate di assumere il potere colpo di stato ripristinare un regime simile a quello del 1964, ma incarnato nel capo della milizia.
In questo quadro complicato, denso di contraddizioni irrisolte, che presenta diversi possibili scenari di elevata instabilità, al punto che nessuno, se non ciarlatanerie, può intuire cosa accadrà nei prossimi due anni, tanto meno in quale momento, le urne di Novembre rappresenta un termometro e un movimento sullo scacchiere politico, che vanno presi molto sul serio come occasioni importanti per combattere l'estrema destra e occupare posizioni istituzionali. Ignari delle opportunità che si stanno dischiudendo e dei pericoli che minacciano tutti, rimangono due procedure dannose per la resistenza democratica, nazionale e progressista.
Uno è l'astensionismo, che, nella sua variante aperta, pubblica e dichiarata, fa di ogni descrizione caratterizzante una verità lapalissiana. Ma appare anche come disprezzo di fronte agli scontri dall'alto, nel qual caso assume un timbro vestale di fronte ad azioni intese come intrinsecamente “sporche”: intese, impegni, accordi, alleanze, consensi e concessioni, mai! Le condizioni, le responsabilità o gli scopi concreti non avrebbero importanza. Sono discorsi non sempre legati alla teoria rivoluzionaria, ma generatori di soffocamento e passività nell'ambiente privo di ossigeno dei ghetti anarchici o “di sinistra”, secondo la diagnosi di Lenin di “malattia infantile”.
Un altro è il “semi-astensionismo” citato da Gramsci – cfr. Quaderni della prigione, vol. 3 –, che ha imprigionato alcune correnti di sinistra. Spesso il pregiudizio appare come un'intenzione di utilizzare i processi elettorali per mere demarcazioni agitative o propagandistiche, nel puerile riduzionismo politico. Ma si manifesta anche, o come tentativi circolari di mantenere o aumentare, da soli, i voti precedentemente accumulati dalle sigle, o con la concessione di aggiungere qualcosa in più alla loro molecolare e ristretta coalizione, limitando il fronte ai sottotitoli con un “ “identità” ideologica di un socialismo autoproclamato, che spesso ruota attorno al social-liberalismo.
I classici e il suffragio
Di fronte al protofascismo accampato al Governo Centrale e dintorni – i cui sostenitori locali già operano e si presentano come alternative elettorali che non possono essere ignorate o sottovalutate – simili approcci, oltre a essere inadeguati nel contesto, si rivelano incompatibili con le esperienze storiche del movimento e della lotta operaia. Ecco perché questo articolo parte dalla provvidenza di ricostituire i riferimenti e le elaborazioni marxiste che li hanno registrati per iscritto in varie epoche, lungo l'Ottocento e il Novecento, nonché raggiunto l'eccellenza in termini di acutezza metodologica, concretezza analitica, impegno ideologico e pratica legame.
In 1848, il Manifesto del Partido Comunista, scritto da Marx ed Engels, sottolineava che «per elevare i proletari allo status di classe dominante» è necessario «vincere la battaglia della democrazia». Si riferiva alla lotta all'interno del “regime rappresentativo”, costituito nel “potere statale moderno” – P. I, § 12. Dopo l'ondata rivoluzionaria che investì l'Europa negli anni successivi, Comitato centrale della Lega dei comunisti, nel suo famoso messaggio del 1850, redatta dagli stessi autori, insisteva perché “a nessuna classe operaia sia negato il diritto di voto” per il legislatore nazionale, “con nessun pretesto, neppure con artifici di autorità locali o di commissari di governo”.
Nel gennaio dell'anno precedente, quando le candidature proletarie erano state bandite dalla controrivoluzione, Marx aveva insistito per partecipare alle elezioni, appoggiando gli alleati. Di fronte all'incomprensione di settori legati alla ferma Associazione dei Lavoratori di Colonia, risponde che non si tratta di proclamare principi, ma piuttosto di rafforzare l'opposizione al governo prussiano, fantoccio dell'allora regime assolutista. Ha anche detto che una tale politica può essere applicata da democratici e liberali, per concludere, come narrato da Claudin nel suo Marx e la rivoluzione del 1848: “è necessario considerare i fatti come sono” e unirsi “con gli altri partiti, anche di opposizione, per impedire la vittoria del nemico comune”.
Engels ha insistito sullo stesso argomento, instancabilmente. Nel 1894, scrivendo a Turati sulla situazione in Italia, espresse la sua speranza che la lotta di classe, anche senza il protagonismo e la direzione del proletariato, allora ancora numericamente ridotto, potesse sfociare in un “ministero di repubblicani 'convertiti'”. che «ci darebbero il suffragio universale e una maggiore libertà di movimento […], nuove armi da non disprezzare». Infine, ha affermato: la “repubblica borghese […] allargherà ulteriormente la libertà e il nostro campo d'azione, almeno in questo momento. Marx diceva che la repubblica borghese è l'unica forma politica in cui si può risolvere la lotta tra il proletariato e la borghesia.
Un anno dopo, Engels - Introduzione a Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 – ha sottolineato la lezione degli operai tedeschi agli operai di tutto il mondo, “mostrando loro come si usa il suffragio universale”. Ha ricordato che “il Manifesto comunista aveva proclamato la lotta per il diritto di voto, […] uno dei primi e più importanti compiti del proletariato militante”, che gli fornisce “uno strumento unico per entrare in contatto con le masse popolari”, oltre a “costringere le opposte parti” per esporre “le loro concezioni e azioni”. Infine, ha citato “le parole del programma marxista francese”: trasformare il diritto di suffragio, “da mezzo fraudolento, come è stato fino ad ora, in mezzo di emancipazione”.
Così, continua, fu aperta una tribuna ai rappresentanti socialisti Reichstag” – Congresso tedesco –, “da dove potevano rivolgersi ai loro oppositori in parlamento e alle masse esterne, con un'autorità e una libertà completamente diverse da quelle di cui godevano sulla stampa e nei comizi”. E continua: “con l'uso vittorioso del suffragio universale entra in gioco per il proletariato un modo di combattere del tutto nuovo”; “Le istituzioni statali […] offrono maggiori possibilità alla classe operaia di combatterle”. È giustificata la verve della sua menzione dei “partiti dell'ordine”, che, disperati, ripetono “le parole di Odilon Barrot: la legalité nous tue, la legalità ci uccide”.
È noto che la II Internazionale, i cui protagonisti hanno stravolto i passaggi sopra citati per convertirli in un'innocente professione di fede possibilista e adattazionista, è finita infine nel ministerialismo e nel cretinismo parlamentare. Non a caso, tuttavia, la capitolazione fu un pretesto perché i rivoluzionari cadessero in autoisolamento. L'esperienza russa lo dimostra: nel 1909, anche durante la reazione stolipiniana, il periodico bolscevico Proletario via la frazione otsovista – “ritiro” –, che con una fraseologia pseudo-rivoluzionaria difendeva l'astensionismo. I suoi membri volevano lasciare il foro legislativo – in questo caso, la Terza Duma di Stato – e hanno rifiutato ogni forma di azione legale.
Nell'aprile-maggio 1920, avvicinandosi al Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista (CI), Lenin sosteneva: Sinistrismo, malattia infantile del comunismo – la condotta classica: “I comunisti di 'sinistra', i tedeschi”, dicono, “col massimo disprezzo e la massima frivolezza”, nel “rifiutare nel modo più categorico ogni ritorno ai metodi parlamentari di lotta, che avrebbe già storicamente scaduto e politicamente". L'accusa di “'ritorno' al parlamentarismo!”, oltre ad essere criticata per il suo “tono ridicolmente presuntuoso” e per la sua “evidente falsità”, finisce per essere confutata in tre domande: “Esiste già, per caso, una repubblica sovietica in Germania? Allora come puoi parlare di 'ritorno'? Non è una frase vuota?"
E continua: “Il parlamentarismo è 'storicamente decaduto'. Va bene come propaganda. Ma nessuno ignora che da lì al superamento in pratica c'è una distanza enorme. Già da molti decenni si poteva dire, a ragione, che il capitalismo era «storicamente scaduto»; ma ciò non ci impedisce nemmeno di essere costretti a sostenere una lotta estremamente prolungata e tenace sul terreno del capitalismo. […]. Nella storia universale, invece, il tempo si conta per decenni [...], dieci o vent'anni in più o in meno non hanno importanza; […] è impossibile valutarne il valore. Pertanto, utilizzare il criterio della storia universale per una questione politico-pratica costituisce l'errore teorico più clamoroso”.
Ai congressi della Terza Internazionale
Gramsci, in Quaderni del carcere, riflettendo sul passaggio dalla “guerra di posizione” alla “guerra di movimento”, fa riferimento alle osservazioni di Lenin per spiegare una trasformazione fondamentale e di enorme impatto tattico. Scrive anche sulla base di due anni di osservazione diretta come deputato per il Veneto, una regione del nord-est italiano, da quando il suo mandato fu interrotto dal suo arresto nel 1926. Ha poi notato che, in modo più marcato nella società odierna, lo Stato, oltre che materiale, è sostenuto a catena da innumerevoli trincee nella società civile e politica, radicate nelle condizioni nazionali in cui si svolge la lotta di classe.
Pertanto, la rivoluzione socialista è qualcosa di molto più complesso degli atti politici o delle ricadute spontanee dall'economia, in quanto richiede obiettività, strategia, soggetto e tattiche pertinenti. A proposito, secondo il filosofo, giornalista e politico sardo – Quaderni del carcere, vol. 3 –, nelle elezioni “idee e opinioni” non “nascono” mai naturalmente “nel cervello di ciascun individuo”, poiché “hanno avuto un centro di formazione, irradiazione, diffusione, persuasione”, che “le ha elaborate e presentate nella forma politica ”. Il voto è, quindi, “la manifestazione finale di un lungo processo” che forma consenso e dissenso, interferendo nella “volontà nazionale” attraverso la lotta contro l'egemonia.
Non è un caso che i sette conclavi tenuti dall'IC, nei suoi 24 anni di vita, abbiano fissato l'ordine del giorno e discusso più volte, con accesi dibattiti, la linea che dovrebbe essere seguita dai partiti membri di fronte al voto- questione parlamentare. Nel 1920 il II Congresso confutò severamente “l'“antiparlamentarismo” di principio, concepito come rifiuto assoluto e categorico della partecipazione alle elezioni e all'azione parlamentare rivoluzionaria”. Poi, riverberando la posizione della panchina sovietica, la qualificò aspramente come “dottrina puerile e ingenua, che non resiste alle critiche”. Il documento finale è firmato dai membri delle rappresentanze nazionali presenti – Lenin tra i delegati.
E prosegue: “Riconoscendo […], come regola generale, la necessità di partecipare alle elezioni parlamentari e comunali, e di lavorare nei parlamenti e nei comuni, il Partito Comunista deve risolvere il problema secondo il caso concreto, prendendo spunto dallo specifico caratteristiche della situazione”. Per concludere: “i boicottaggi delle elezioni o del parlamento […] sono, soprattutto, ammissibili in presenza di condizioni che consentano il passaggio immediato alla lotta armata per la conquista del potere”, cioè quando si configura una situazione rivoluzionaria e anche gli elementi soggettivi indispensabili al brano, come Lenin studiò attentamente nel saggio Il fallimento della II Internazionale.
Il IV Congresso, tenutosi nel 1922, appena un mese dopo la marcia su Roma e la nomina di Mussolini a capo del governo italiano da parte dell'angolino re Vittorio Emanuele III, quindi già di fronte all'urgente compito di “organizzare la resistenza” all'estremo - movimento di destra e promotore della “tattica del fronte unico”, ha ricordato che “il delirio fascista”, chiamato metaforicamente “l'aperta dominazione delle guardie bianche”, è diretto “in genere contro le basi stesse della democrazia borghese”. In un altro passaggio, valorizza, “in Svezia, il risultato delle ultime elezioni parlamentari”, consentendo “a un partito comunista numericamente debole di svolgere un ruolo importante”.
Nel 1928 l'IC, pur riconoscendo la presenza del pericolo fascista e mantenendo la politica del fronte, raccomandò accordi esclusivi dal basso, ripagando con analoga moneta l'antisovietismo della socialdemocrazia. Ma il Rapporto Dimitrov al VII Congresso, del 1935, ricompose l'asse tattico: “oggi, i milioni di lavoratori che vivono sotto il capitalismo sono costretti a decidere il loro atteggiamento nei confronti forme che indossano il dominio borghese. Non siamo anarchici e indifferenti al tipo di regime politico esistente: una dittatura borghese in forma di democrazia borghese, anche con diritti e libertà democratiche molto limitate, o una dittatura borghese in forma aperta e fascista”.
Per ripetere, con un acuto senso di urgenza di fronte alla reazione in rapido movimento: “Ora la controrivoluzione fascista attacca la democrazia borghese nel tentativo di stabilire il regime più barbaro di sfruttamento e repressione delle masse lavoratrici. Ora le masse lavoratrici in molti paesi capitalisti sono costrette a fare una scelta. finale, e per farlo oggi, non tra la dittatura del proletariato e la democrazia borghese, ma tra la democrazia borghese e il fascismo”. Questo è ciò che, nella società capitalista, spinge i lavoratori a difendere il regime democratico, quando la frazione più reazionaria della borghesia lo attacca in un periodo ferocemente controrivoluzionario.
Più chiaro non potrebbe essere. La prassi dei comunisti fu pienamente e radicalmente coerente alla vigilia e subito dopo la seconda guerra mondiale. Sulla guerra civile spagnola – scatenata dal golpe franchista, massicciamente appoggiata dalle Forze Armate nazifasciste inviate da Hitler, Mussolini e Salazar –, commenta Dimitrov nel testo Il Fronte Popolare, 1936: “i combattenti dell'esercito repubblicano, che combattono sulle mura di Madrid, in Catalogna, nelle montagne delle Asturie, in tutta la Penisola, stanno dando la vita per difendere non solo la libertà e l'indipendenza della Spagna repubblicana, ma anche le conquiste democratiche di tutte le nazioni e la causa della pace”.
Tornato in Bulgaria, nel 1946, il leader che vinse le segrete e i tribunali nazisti, oltre ad esercitare la funzione di segretario generale del Comitato Esecutivo dell'IC in uno dei periodi più duri della sua storia, fu eletto parlamentare e ricoprì la carica di Primo Ministro. Anche dopo la vittoria sulle truppe naziste e con la presenza delle forze militari sovietiche dal 1944, il Partito Comunista Bulgaro continuò ad attuare la politica delle alleanze delineata nel 1935 e prevalente nel corso della seconda guerra mondiale. Riuscì così a mantenere la stessa composizione stabilita durante il periodo di resistenza, poiché era necessario sconfiggere i collaborazionisti e creare una nuova egemonia.
Elezioni brasiliane nei primi 50 anni
La seconda guerra mondiale si conclude con la ricomposizione geopolitica globale e l'ingresso del capitalismo – in quanto imperialismo maturo – nella Fase A della IV Onda Lunga, secondo la periodizzazione di Kontradieff. Il campo socialista e il L'età dell'oro stabilirono il suffragio in cui entrarono i marxisti con notevole esperienza. In Brasile dopo l'Estado Novo e con i suoi primi 23 anni di vita, il Partito Comunista del Brasile (PCB) ha raccolto una certa accumulazione e ha agito in un regime democratico ricostruito. Fondato nel 1922 e poi bandito, aveva riacquistato lo status legale nel 1927. La formazione del Bloco Operário dimostrò che l'acronimo appena creato si era preparato a partecipare al processo elettorale.
Il fronte, pur ristretto, riuscì a fare un deputato federale, ma il Partito fu nuovamente bandito. In ottobre, già come Bloco Operário Camponês (BOC), ha eletto due consiglieri a Rio de Janeiro. Nel 1929 lanciò Minervino de Oliveira alla presidenza, ottenendo un piccolo voto. Poi, si mise in disparte nella Rivoluzione del 1930, ignorando le questioni politiche in gioco. Questo atteggiamento, ispirato dal VI Congresso dell'IC, subì alcune critiche revisioni nella transizione tattica conclusa dal Rapporto Dimitrov, nel 1935. Il BOC fu sciolto; tuttavia, i cambiamenti furono lenti. Prestes, che aveva tentato invano di avvicinarsi al PCB, entrò solo nel 1934, al vertice, tre anni dopo essersi stabilito in URSS.
I comunisti, altrettanto estranei alla guerra civile del 1932, lanciarono un anno dopo i candidati all'Assemblea costituente, a nome dell'Unione dei lavoratori e dei contadini, senza riuscire a rompere l'isolamento. Nel 1935, mentre avanzavano il nazifascismo e il sinonimo integralista, emerse la famosa Alleanza di Liberazione Nazionale, non a caso compatibile con la nuova linea dell'IC, approvata nel VII Congresso. Prestes è tornato in Brasile in aprile e poco dopo il fronte antifascista è stato bandito. Senza alcuna opzione elettorale, l'insurrezione di novembre ha prevalso, finalmente sconfitto. Con una forte repressione, istituzionalizzata nel 1937, il Partito poté riorganizzarsi solo dopo il 1941, attraverso il Comitato Nazionale per l'Organizzazione Provvisoria.
Nel 1943, con la partecipazione del Brasile alla guerra e nel clima di un'alleanza mondiale contro l'Asse, la Conferenza di Mantiqueira elesse Prestes segretario generale e propose un'unione nazionale con Vargas. Nel 1945 i dirigenti del partito, poi concessa l'amnistia, aderiscono al movimento per l'Assemblea costituente. Il PCB ha salvato il suo record elettorale, è cresciuto e alla fine dell'anno si è candidato alla presidenza con la candidatura dell'alleato Yedo Fiúza. Ha ottenuto il 10% dei voti, eleggendo 14 deputati federali e un senatore, Prestes, nel Distretto Federale dove la vittoria si è ripetuta alle elezioni comunali, formando il gruppo più numeroso alla Camera dei Consiglieri. Tuttavia, lo spazio legale gli sarebbe stato chiuso per la terza volta.
Nel 1947, il TSE annullò la registrazione e quindi i mandati parlamentari del PCB, che era responsabile Manifesto di agosto, nel 1950, con rivendicazioni di carattere antimperialista e antiproprietari, oltre a raccomandare il voto in bianco per la Presidenza, ma lanciando candidati a deputato in altri partiti. In opposizione, ha organizzato campagne per la pace e la nazionalizzazione del petrolio. Nel 1954, durante il IV Congresso, quando Vargas si suicidò, la tattica dovette assumere l'indignazione popolare. L'anno successivo, il voto per Kubitschek-Goulart fu giustificato come azione di difesa del regime politico democratico e per combattere il colpo di stato, con segni però di illusioni nazional-sviluppiste.
Il XX Congresso del PCUS acuì la crisi interna, ma il Partito, nella difesa delle sovranità e delle libertà nazionali, cresceva. Dal 1958 in poi, la partecipazione elettorale generò banchi progressisti e “nazionalisti” in un ambiente segnato dalla concentrazione monopolistico-finanziaria del capitale e da acuti conflitti sociali, sommati alla “guerra fredda” e – con la rivoluzione cubana e l'emergere della Cina polo – alla crescente complessità in campo socialista. Il V Congresso, nel 1960, oltre a mantenere la tradizionale dottrina politica di scena – “la rivoluzione brasiliana è antimperialista e antifeudale, nazionale e democratica” –, iniziò a concepire le riforme e l'industrializzazione in chiave evolutiva.
Il voto, poi, assunse l'aria di un principio astratto e alimentò ulteriormente lo scisma, soprattutto con la decisione di cambiare il nome del Partito in “Comunista brasiliano”, 1961. Sconfitto Lott – sostenuto dal PCB –, le dimissioni di Jânio e l'insediamento di de Goulart, con l'abrogazione del parlamentarismo in una memorabile mobilitazione democratica, dal basso e dall'alto, espresse i conflitti sociali che si rifletterono anche nelle elezioni del 1962 e confluirono nel golpe del 1964. Sembra che la destra ricordasse Odilon Barrot. Dopo la separazione del 1962, i due filoni si trovarono impreparati: uno numeroso e con una base di massa, ma sorpreso e paralizzato; un altro, il contrario in ogni parola.
Il PCB ha cominciato a frammentarsi e il Partito Comunista del Brasile (PCdoB), che aveva anche subito perdite, ha ricevuto militanti anticonformisti. Nelle elezioni del 1965 per il governatore, i comunisti soffocarono i conservatori scontenti delle conseguenze del colpo di stato. Nel 1966, con la sospensione del Congresso, la proibizione dei partiti legali da parte dell'AI-2 e la fine dell'elezione diretta a governatore da parte dell'AI-3, il Comitato di Stato del PCB a Guanabara (CE-GB) decise di sostenere nomi dell'opposizione consensuale e sciogliere il Comitato universitario, che aveva sostenuto il boicottaggio. All'inizio del 1967, i delegati eletti nei collettivi di base, alla conferenza settoriale, decisero di costituire la Dissidenza Comunista (DI-GB).
La campagna “Vota Nulo contra a Ditadura” a Guanabara è stata guidata dal blocco DI-GB, Ação Popular (AP) e dall'Organizzazione rivoluzionaria dei lavoratori politici marxisti (Polop). Il PCdoB ha inoltrato la stessa posizione. Castelo Branco, dichiarando che non avrebbe tollerato candidature non in sintonia con il suo governo, si alienò ulteriormente Lacerda e Juscelino che, insieme a Goulart, stavano creando il Frente Ampla, finalmente lanciato in ottobre attraverso un manifesto a favore delle libertà politiche. I comunisti scelsero di “risolvere il problema” non con principi astratti, ma “secondo il caso concreto, prendendo spunto dalle particolarità specifiche della situazione”, secondo il vecchio criterio dell'IC.
Dal boicottaggio al recupero del suffragio
Costretto, "come risorsa suprema, a ribellarsi contro la tirannia e l'oppressione" - dichiarazione Universale dei Diritti Umani –, la sinistra boicottò le elezioni del 1966, sebbene la volontà democratica fosse insufficiente per la “immediata […] lotta armata per la conquista del potere”. Erano il 21% nulli e bianchi, quasi il 40% se sommati agli assenti. Nel 1970 ammontavano al 30%, vicino alla metà con gli astenuti. Secondo la rivista Veja, “quasi il 50% dei brasiliani qualificati ha rifiutato di scegliere i rappresentanti”. I dati riecheggiavano l'altezza del movimento studentesco, la repressione degli scioperi a Contagem-Osasco, la posizione di nuovi gruppi in uscita dal PCB, la messa al bando del Frente Ampla e la pubblicazione di AI-5.
Nel 1974, il PCdoB – sottoposto a un pesante assedio, ma organizzato e rafforzato dalla neonata APML – decise di mantenere il boicottaggio. Tuttavia, concentrandosi sulla drammatica situazione in cui sopravvisse l'ultimo distaccamento guerrigliero in Araguaia, si limitò a volantini locali senza grosse ripercussioni. Con gli scioperi proletari contenuti, il movimento studentesco inattivo, i partiti comunisti braccati e l'ultima resistenza militare in procinto di essere annientata – quindi, senza altre visibili opzioni di opposizione nel contesto in cui l'economia è entrata in una lunga stagnazione e il “miracolo ” fallito – l'invito a votare nullo sommerso dalla marea crescente che si è riversata nel MDB.
Nel frattempo, il PCB ha seguito una traiettoria diversa. In dissenso interno, mantenne i contatti con il Frente Ampla. Nel 1967 Marighella, che si era dimesso dal Comitato Esecutivo, si presentò alla riunione dell'Organizzazione di Solidarietà Latinoamericana senza l'approvazione del CC, che lo espulse in settembre insieme ad altri sei leader nazionali. Questa misura è stata ratificata a dicembre dalla Sessione Nazionale del VI Congresso. Nel 1968, Prestes si disse favorevole all'opzione armata, ma criticò la teoria del “focus guerrigliero” – Régis Debray – come una revisione del marxismo, esattamente come aveva fatto il settore legato al DI-GB, che poi, nel Conferenza del 1968, si fonderebbe con la maggioranza rivoluzionaria del PCB e la struttura locale del PCdoB.
Nel 1970, il PCB ha insistito per sostenere i candidati alla MDB, allontanandosi ulteriormente dall'allora popolare inclinazione alla protesta. L'anno successivo diversi leader furono inviati all'estero, tra cui Prestes. Le elezioni del 1974 coincisero con il raid repressivo che avrebbe, nei primi due anni di governo Geisel, imprigionato o assassinato centinaia di militanti, tra cui 10 membri del CC – la metà –, provocando la disorganizzazione del partito. Nello stesso periodo, la reazione riuscì a raggiungere il CC del PCdoB nel dicembre 1976, intorno alla riunione tenutasi a San Paolo. Nel "Massacre da Lapa" Pedro Pomar, Ângelo Arroio e João Batista Drumond furono giustiziati dal comando superiore.
È così che è avvenuta la transizione “lenta, graduale e sicura”. Nel 1978, con il legame nazionale mantenuto dai quadri superstiti, il PCdoB contestò i mandati attraverso la “Tendenza Popolare della MDB”, ottenendo successi. Nel 1979 – dopo la Legge di Amnistia –, mentre rientravano gli esuli, si approfondivano le impasse del PCB ed iniziava il lungo scisma di Prestes, si tenne a Tirana la VII Conferenza del PCdoB, che approvò la convocazione del VI Congresso. Poco dopo, a Parigi, il CC lo ha revocato e, in Brasile, ha sciolto alcuni comitati intermedi. Infine, ha rimosso cinque membri, che sono diventati la Sinistra PCdoB e, attraverso il Congresso del 1984, il Partito Rivoluzionario Comunista (PRC).
Il regime del 1964 cedette e il multipartitismo avanzò con la sinistra che ottenne la registrazione legale: PDT, 1981; PT, 1982; PCB, 1985; PCdoB e PSB, 1988. Nelle elezioni del 1982, con voto vincolato dalla legge, PCB e PCdoB si disputarono per il PMDB, mentre la Sinistra del PCdoB, oltre a sostituirsi alla vecchia opposizione, lo fece anche nel P.T. In semi-clandestino, diversi comunisti furono eletti ai parlamenti. Immediatamente, la campagna elettorale diretta per il presidente ha mobilitato milioni di brasiliani, un'ampia fascia in cui il PRC, allora nel processo di fondazione, ha mantenuto il suo focus tattico sulla lotta al regime dittatoriale attraverso la propria parola d'ordine: Diretas, com Liberdade!
Il Collegio Elettorale preferì Tancredo e Sarney, avviando il governo civile all'interno del regime militare. Nel 1986 il PCB si era già registrato, ma gli altri partiti comunisti rafforzarono la loro tattica e garantirono rappresentanze che avrebbero poi acquisito poteri costituenti attraverso un emendamento proveniente dal governo centrale. Registro: la Magna Carta del 1988 è riuscita a stabilire una costellazione di conquiste – un regime politico democratico, anche se restrittivo, e diritti fondamentali –, ma ha anche cristallizzato l'illusione liberale che lo Stato sarebbe stato neutrale: la sua ontologia si sarebbe basata sulla volontà politica espresso dal suffragio e posto nelle mani di governanti visti e ritenuti detentori del “potere”.
A livello internazionale, l'accerchiamento imperialista dell'Europa orientale, l'impasse del campo socialista e la fine dell'URSS hanno aggravato i problemi del movimento rivoluzionario. In Brasile hanno colpito partiti comunisti quasi smantellati dal terrorismo di stato e appena usciti dalla vita clandestina. In una situazione simile, già di per sé precaria, un'ondata di liquidazione invase le fila del PRC e del PCB, portando, rispettivamente, il loro III e X Congresso, nel 1989 e nel 1992, a estinguerli. Tali organizzazioni, riconoscendosi tributarie del 1922, riuscirono: una, a ripristinare la loro registrazione nel 1996; l'altro, formare Rifondazione Comunista nel 2005, per, con nuovi militanti, chiamarsi Rifondazione nel 2018.
Inoltre, il ciclo economico avverso degli anni '1980, la ricerca da parte della maggioranza di risarcimenti alle privazioni, l'insorgere di scontri democratici e la ripresa delle lotte proletarie, in un passaggio sotto l'egemonia borghese e senza altra via percorribile, hanno portato, dalle elezioni alla elettorale, la maggioranza della restante o nascente sinistra – i settori di massa più avanzati, attivisti e dirigenti, appartenenti al crescente movimento popolare – nelle file del PT. Il giovane acronimo aveva raggiunto la legalità prima, appariva come una novità, accoglieva esigenze progressiste e ben si adattava all'ordine, oltre ad esprimere il senso comune social-liberale in materia di organizzazione e di dottrina.
Linee guida per le elezioni comunali
Il campo a sinistra, al di sopra delle crescenti sigle e frazioni, tendeva verso coalizioni con maggior peso elettorale. Battute d'arresto nelle corse presidenziali - Collor, 1989; Fernando Henrique, 1994 e 1998 – hanno avuto il profumo della vittoria, accumulando voti, seggi nei parlamenti e contro-egemonia. I mandati consecutivi di Lula e Dilma hanno lasciato come equilibrio - nonostante i limiti oggettivi e soggettivi della gestione possibilista nella società capitalista - molti cambiamenti economici e sociali di natura nazionale, democratica e progressista, uno dei motivi che hanno unito i conservatori per rimuovere il presidente nel 2016, e l'estrema destra per avviare la reazione bolsonaria.
I percorsi della politica per le elezioni comunali devono considerare il maisstream modellato in pratica, referenziato nei documenti storici, poiché le circostanze passate offrono sempre parametri e si estendono nel tempo, come un'eredità. Ma lo sforzo di appropriazione teorica dei processi reali non sostituisce mai gli eventi concreti, che traducono particolarmente la lotta di classe. Pur comprendendo 170 anni di lotte operaie globali e 100 anni di storia politica brasiliana, fatti e testi passati non possono essere neanche lontanamente risorse di “autorità”, che varrebbe una mera declamazione. Rappresentano solo esperienze che sono state testate e mantenute come insegnamenti.
Ecco perché sono inutili per sostituire il presente, ancor più per dominare il futuro, pena la farsa, come notava Marx in Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, integrando l'osservazione hegeliana. Pertanto, la tattica si basa sulla realtà interna, attuale e viva del Paese. Tra l'altro, la pandemia ha trasformato la stagnazione – cioè la debole, lenta e inconcludente ripresa dal ciclo stabilito nel 2014 – in un abissale crollo recessivo e i problemi cronici in una tragedia sociale, spinta dall'omissione e dal sabotaggio dell'estrema destra . In questo contesto, la ricerca di una “soluzione” autocratica dall'alto ha generato nuove impasse in diverse istanze statali e governative.
Sono contraddizioni che si riversano su altre entità. Come sempre, i vincoli sociali faranno sì che la campagna elettorale renda omaggio alla realtà concreta in cui si svolge. I discorsi ei gesti – guidati dalla forma statale federativa e dalla ripartizione costituzionale delle competenze, radicata nel senso comune – devono dialogare con le classi popolari nell'ambito particolare, soprattutto sulla composizione dei governi e delle camere. Se non vogliono parlare solo agli “illuminati”, le candidature devono affrontare i temi pertinenti: conquistare il volto locale della controrivoluzione, sostenere i diritti comunali di autonomia e difendere le velleità delle maggioranze così come si manifestano in ogni città.
Nel periodo attuale, la reazione bolsonariana – che oscilla secondo i rapporti di forza – ha bisogno e continuerà a cercare di coniugare il controllo del governo centrale e l'attivismo falangista, già disponibile, con nuove basi piantate nei 5.570 comuni, ancora previsti. La contraddizione principale nasce quindi nel confronto elettorale, nonostante il terreno specifico delle agende, i due campi che, d'ora in poi, districano le loro armi migliori, con la loro visione su due obiettivi: il 2020 e il 2022. Fino ad allora, un sotto il ponte passerà molta corrente, con detriti di ogni genere. Nessuno può prevedere quando e come avverrà la fine della crisi istituzionale, pena l'essere considerato un ciarlatano.
Il centro tattico della resistenza dell'opposizione si condensa nella linea del rafforzamento dell'ampio fronte democratico – all'interno del quale i partiti di sinistra formano il polo più dinamico – e della mobilitazione di grandi masse popolari, per arrestare il processo di auto-golpe, salvare l'assetto politico-costituzionale regime e porre fine al governo Bolsonaro. Tra le condotte indispensabili per metterlo in atto ci sono le iniziative multilaterali che isolano le orde protofasciste appostate a Palazzo Planalto e bloccano le loro politiche ultraconservatrici. Questo è l'asse dell'unità, ferme restando preferenze specifiche su slogan e iniziative, varianti secondo territori, settori, momenti e correnti.
Si tratta di aggregare forum e azioni – nella società civile e nella società politica –, aggiungere segmenti che presentano contraddizioni globali, parziali o anche occasionali con le politiche ufficiali, ampiamente a tutti coloro che li combattono in accordi limitati, nonché esplorare le differenze intestini per host conservatori attraverso il consenso in ogni scontro. A tal fine, è urgente articolare una partecipazione attiva alle campagne elettorali, sia sostenendo i candidati della maggioranza con migliori possibilità di unire il campo democratico e sconfiggere l'estrema destra, sia eleggendo consiglieri avanzati, impegnati nelle forze di opposizione e negli interessi popolari.
Soprattutto nelle capitali di Stato e negli altri agglomerati urbani di medie o grandi dimensioni, il patriottismo di partito, i progetti particolaristici, gli interessi personali, l'ipervalutazione delle inconsonanze e lo sguardo fisso sul proprio ombelico devono lasciare il posto al distacco, al dialogo, allo spirito collettivo, alla convergenza e alla responsabilità politica. I fatti storici illustrano episodi in cui i rivoluzionari furono esposti a sconfitte evitabili, dovute a fraintendimenti della realtà, problemi minori o errori primari. Sebbene sia inevitabile imparare dai ripetuti inciampi, in politica non basta riconoscere i disastri post festa, poiché il prezzo potrebbe essere troppo alto.
Diventa necessario insistere, per l'ennesima volta – ora in un coro a più voci –, l'appello all'unificazione dei settori democratici. Si tratta di costruire intese e alleanze maggioritarie, capaci di andare ben oltre le organizzazioni o le associazioni di sinistra, mirando a sconfiggere, attraverso il suffragio, nelle municipalità, con enfasi sulle città-nucleo, le forze della reazione di Bolsonar. È urgente che i vertici dei partiti individuati a tal fine diano l'esempio, aprano la strada e allontanino la cristallizzazione di condotte settarie. È giunto il momento di consolidare, in generale e caso per caso, l'unità, con obiettivi, scadenze, iniziative e dibattiti. Non c'è un minuto da perdere.
*Ronald Rocha è un sociologo e saggista. Autore, tra gli altri libri, di Anatomia di un credo (capitale finanziario e progressismo produttivo)