Di Marjorie C. Marona*,
Commento sul libro The Eleven: l'STF, i suoi retroscena e le sue crisi, di Felipe Recondo e Luiz Weber.
Nell'anno in cui il Tribunale Supremo Federale ha affermato tutto il suo protagonismo, costruito sulle macerie dei governi del Partito dei Lavoratori, la cui destabilizzazione e rovina si è basata sull'operato più o meno attivo dei suoi ministri, è stato varato Os Eleven: L'STF, il suo backstage, le sue crisi, di Felipe Recondo e Luiz Weber (Cia das Letras, 2019).
Il libro, scritto da un giornalista e uno scienziato politico, presenta una narrazione tanto rilevante quanto potente. Ciò è dovuto all'intimità con cui descrivono la vita quotidiana della STF, diventata il “vortice attorno al quale ruotano i conflitti nella vita istituzionale del Paese” (p. 45). Con un'aria da romanzo, il libro collega storie che strutturano una sceneggiatura praticamente della vita politico-istituzionale in Brasile negli ultimi anni, fondata sulla centralità della Corte Suprema e di ciascuno dei ministri che vi sono passati.
Strutturati da storie ben curate che scaturiscono da uffici, ascensori, corridoi, parcheggi, gli autori svelano il dietro le quinte della cupola della Magistratura brasiliana. Mostrano le crisi che sono nate, tante volte, da semplici telefonate, dagli umori dei membri del tribunale, da incontri fortuiti e riservati e altri eventi in cui si intrecciano i rapporti dei ministri tra loro, con la Presidenza , i suoi consiglieri più diretti, membri del Congresso, giornalisti e altri pezzi grossi dell'élite politica e legale del paese.
Anche gli ingranaggi che muovono l'intero scenario sono degni di attenzione e gli autori non sfuggono alle potenzialità e ai limiti delle regole (formali e informali) che modellano il reclutamento e l'operato dei ministri della Cassazione. È così che il "supremazia"è rivelato"ministocrazia” e il backstage dell'STF è diventato il palcoscenico sul quale debuttano i ministri.
Il grande pubblico beneficia della lettura che consente di visionare le dinamiche decisionali, da cui le analisi care all'agenda del politica giudiziaria in Brasile sono confermati o contestati. Nulla è tralasciato: c'è il dibattito sull'organizzazione delle coalizioni interne alla Corte, le singole strategie di azione dei ministri, il rapporto con la stampa, la società e l'opinione pubblica, il complesso processo di nomina. “Il percorso verso la Corte Suprema”, svelato in un capitolo a parte, mostra come la nomina di un ministro sia un'operazione complessa che consiste, in larga misura, nella capacità del presidente di anticipare gli umori del Congresso, affrontando, allo stesso tempo, con la pressione della società, delle associazioni di classe, degli stessi ministri, e considerando anche altre variabili, come l'età, la carriera e la regione dei candidati.
Conta tutto – dai “piccoli calcoli politici, ai piccoli ringraziamenti, alle idiosincrasie del presidente, al marketing politico, ai potenti sponsor, alla fiducia personale del Presidente della Repubblica nella persona e non nel profilo di chi sarà il giudice”. (p. 133) – puntualizzano gli autori invitando ad ampliare il campo analitico.
Ma considerano, d'altra parte, la crescente percezione del Planalto circa il potere delle decisioni di un ministro STF di interferire nella società, che accompagna la crescente preoccupazione per il processo di nomina. Si è passati dalla caratteristica improvvisazione, ad esempio, della prima nomina di Fernando Henrique Cardoso alla Corte Suprema, “decisa in una conversazione verbale” con Nelson Jobim, alla progettualità, che è notevole nelle scelte dell'ex presidente Dilma Rousseff durante tutto il suo governo.
Gli autori svelano anche le strategie lobbistiche dei “supremables”, portando sulla scena figure di norma trascurate nelle analisi più canoniche, incentrate sulle capacità individuali del presidente, sui punti di forza della leadership politica al Congresso, sull'influenza dei ministri della giustizia e degli attori dell'élite legale per determinare/influenzare il risultato.
In particolare, in tutti i governi dell'ex presidente Lula, in cui la Corte ha subito un profondo rinnovamento, compaiono articolatori legati alla vita privata dei soggetti coinvolti – come nel caso dell'avvocato Guiomar Feitosa che ha minato le resistenze di Gilmar Mendes alla nomina di Dias Toffoli. Altri meno anonimi, più intimi consiglieri del presidente, come l'ex deputato e avvocato Sigmaringa Seixas – considerato il più grande arciere dell'STF post-1988, una “specie di ambasciatore del PT presso l'STF” (p. 159) – e trova riconoscimento anche l'ex segretario generale della presidenza, Gilberto Carvalho.
"Sarà il mio ragazzo alla Corte Suprema." Il riferimento alla “nomina più prevedibile di tutte le scelte del presidente Lula” (p. 152) per l'STF – quella di Dias Toffoli – illustra pienamente i limiti della nomina presidenziale come meccanismo di ingerenza nell'operato della Corte, quando contrastata con la presa di posizione del ministro in varie situazioni di interesse del Planalto, sotto il governo del Partito dei Lavoratori.
La letteratura specializzata accumula testimonianze in tal senso e gli autori prestano attenzione ad almeno un altro caso esemplare: quello che ha coinvolto sentimenti di incomprensione e tradimento legati alla nomina di Edson Fachin da parte di Dilma Rousseff di fronte suo ruolo nell'ADPF 378, proposto dal PCdoB – quando, con il suo voto, “ha aperto la strada alla sequenza di impeachment negli stampi scolpiti da Eduardo Cunha” (p. 271), e che ha suggellato il divorzio tra il ministro e il Partito dei Lavoratori.
“È tutta colpa di Siguinho” (p. 159) scherzava Lula quando era insoddisfatta di una decisione della Corte. Tuttavia, come raccontano gli autori, le loro scelte sono sempre state legate a una logica che privilegiava l'apertura dell'FTS alla società a discapito dell'impegno di governance del tribunale.
All'ampia trattazione delle questioni più rilevanti che coinvolgono la Corte di Cassazione, si aggiunge l'accorta costruzione del suo protagonismo, legato a grandi sentenze e attento all'esercizio della giurisdizione penale della Corte, che ne ha segnato la più recente “celebrità”. Il settimo capitolo dell'opera è dedicato al “Mensalão”, che narra le circostanze del giudizio che “segnerà una svolta nella politica brasiliana” (p. 162). Lì riconosciamo una corte già divisa attorno all'agenda della moralizzazione della politica che cambierebbe la traiettoria della Suprema Corte, mettendola in rotta di collisione con il sistema politico, da un lato, ma in linea con l'opinione pubblica, dall'altro altro.
In Mensalão, uno standard di coalizione che segnerà altre azioni di corruzione di alto profilo che arriveranno in tribunale negli anni successivi, contrapponendosi ai sedicenti “repubblicani”, raccolti intorno alla critica delle “garanzie penali a favore di corrotti e potenti corruttori” (p. . 165), agli antipodi, maliziosamente identificata come la “Brigata dell'Impunità”. E ancora: il aspetti morali, che «erano sempre presenti nelle sentenze della Suprema Corte» (p. 171) si svilupperebbe, a partire dalla sentenza AP 470, in un'attività di ermeneutica costituzionale basata, in modo sempre più insistente, su principi costituzionali che servivano «a tutti tipo di scelta politico-giudiziaria» (p. 171). La pratica della costruzione comune delle strategie e dei comportamenti di voto in plenaria è stata inaugurata anche con Mensalão, “che sarà poi riprodotta in Lava Jato nei momenti chiave” (p. 166).
È anche riconosciuto la forza del relatore nella costruzione del risultato del giudizio basato sulla narrazione della performance di Joaquim Barbosa, che ha utilizzato tutte le opportunità istituzionali che gli sono state presentate per portare avanti l'agenda del punitivismo: dall'omissione di informazioni al sostegno della sua tesi sulla portata del foro privilegiato, come nel caso di Cunha Lima (p. 175), allo “sminuzzamento del voto” per consentire alla sperimentazione della mensilità “di svolgersi in maniera didattica, consentendo una migliore comprensione la catena dei fatti e il legame tra i vari imputati”.
Questa manovra, tra l'altro, inserì il processo in un'evidente “disputa per l'impegno del pubblico” (p. 189), sollevando un'altra serie di questioni relative alla rapporti tra la Corte e l'opinione pubblica. Il relatore è stato quindi raggiunto da capo della giustizia: Ellen Gracie ha usato le sue prerogative per accelerare il caso Mensalão. Nel 2007, sotto la sua direzione, è stato modificato il reggimento del tribunale per consentire la convocazione di giudici ausiliari dei ministri, incidendo sulla dinamica dei processi. Sérgio Moro, il procuratore-giudice di Lava Jato anni dopo, in quell'occasione “avvisò penalmente il ministro Rosa Weber” (p. 176).
Con Mensalão, l'STF ha abbracciato la sua vocazione politica attraverso le prestazioni tutt'altro che discrete dei suoi membri. I ministri si sono lanciati nel dibattito pubblico, hanno interferito nella situazione politica e hanno reagito alle incongruenze dell'opinione pubblica. Ma l'apice dell'ascesa della Suprema Corte verso un nuovo ruolo, legato alla sua competenza penale, si consoliderà anni dopo, con il suo intervento in Lava Jato.
Alla celebre Operazione ideata da Sérgio Moro e Dalagnoll sono dedicati due capitoli, corrispondenti rispettivamente ai periodi di riferimento dei ministri Teori Zavascki e Edson Fachin. Sia Lava Jato che altre operazioni anti-corruzione “finite in Cassazione sono frutto del tribunale che ha giudicato la mensilità” (p. 205), che ha visto crollare le garanzie penali legate all'agenda di moralizzazione della polizza con il ricorso a una sorta di attività ermeneutica ancorata alla sciolta articolazione dei principi costituzionali. La tendenza all'individualismo e alla mobilitazione strategica degli statuti e la crescente preoccupazione dell'opinione pubblica non fecero che aumentare.
La fatalità della morte di Zavascki – primo relatore di Lava Jato in Cassazione – apre il libro con l'indicazione che l'evento ha generato dispersione in aula, alterando profondamente le dinamiche delle alleanze interne e dividendo la plenaria. La bravura di Zavascki aveva trasformato Lava Jato in un'occasione per la Corte Suprema di stabilire, una volta per tutte, la sua “comprensione di come fare politica e (circa) il ruolo della magistratura in questo processo” (p. 53), consolidando una quadro abbastanza particolare di La magistralizzazione della mega-politica in Brasile.
Infatti, il relatore, che ha guidato il cambiamento giurisprudenziale favorevole all'anticipata esecuzione della pena, ha ampliato il raggio d'azione della “più grande manovra contro la corruzione nel Paese” (p. 48), determinando l'inedito arresto di un senatore della Repubblica – Delcídio do Amaral, leader del governo Dilma – in una soluzione “ingegnosa” per aggirare il limite costituzionale (p. 57). L'anno successivo, di fronte all'imbroglio giudiziario che riguardava la linea di successione alla presidenza della Repubblica (ADPF 402) e si stava operando una strategia di contenzioso tra Eduardo Cunha e Dilma Rousseff, Zavascki si impegnò, ancora una volta, nella costruzione di una maggioranza schiacciante che dovrebbe allontanare lo spettro della “debolezza istituzionale”, causata dal comportamento sempre più insulare dei ministri.
Zavaski ha manovrato, da quando ha riferito per Lava Jato, lo spostamento della Corte Suprema nell'“epicentro del sistema di potere della Repubblica, facendone l'agenzia di regolazione delle crisi e contestando l'attenzione dei media al Congresso e al Palazzo Planalto” (p. 68). Con la sua morte, nel pieno di una dinamica lavorativa in cui ministri autonomi e indipendenti sono capaci di dichiararsi guerra gli uni contro gli altri, di fare la propria politica al di fuori dell'STF e di lasciarsi guidare dalle proprie regole, il compito inglorioso dell'erede alla relatrice Lava Jato: quella di salvare una qualche dimensione di collegialità, oltre a salvaguardare la legittimità e l'autorità del tribunale ed evitare che soccomba una volta per tutte alle pressioni dell'opinione pubblica.
“Potrebbe andare peggio”, ha reagito Carmen Lúcia al risultato del sorteggio che ha stabilito che il nuovo relatore per Lava Jato sarebbe stato il ministro Edson Fachin (p. 110). La valutazione dell'allora presidente della STF era che la relatoria di un ministro manifestamente favorevole o contrario all'operazione potesse erodere la legittimità della corte, compromettendone l'operato e la posizione istituzionale. Non si è sbagliata. L'indipendenza e la legittimità del tribunale determinano in gran parte la sua capacità istituzionale. E alla garanzia istituzionale di indipendenza (a vita, stipendi irriducibili, ecc.) diffuso sostegno pubblico, perché, dopotutto, se le istituzioni contano, ci si aspetta che influenzino la percezione finale dell'indipendenza giudiziaria. Non basta essere indipendenti, occorre apparire indipendenti – e questo sembrava essere il caso di Fachin.
Ma se lo “schema” è stato deciso da pressioni esterne, in quanto è stato possibile manovrare, in relazione alla scelta del nuovo relatore Lava Jato, i ministri avevano già agito. “Mendes suggerì al presidente di sponsorizzare un gioco di sedie” (p. 113) per evitare la lotteria; la stessa presidente pensò di nominare il decano Celso de Mello, con lo stesso obiettivo, ma fu Fachin che, “in fuga da solo” (p. 117) mise il suo nome tra le condizioni di ammissibilità, chiedendo il passaggio dalla Prima alla Seconda classe , da dove verrebbe il prossimo relatore Lava Jato.
In qualità di relatore, Fachin ha accelerato le indagini: subito ha aperto 38 inchieste che hanno messo sotto inchiesta “i vertici politici del Paese” (p. 129). Ma una fuga di notizie alla stampa sigillerebbe l'animosità tra il presidente e il relatore Lava-Jato – in un quadro diverso da quello di Mensalão, in cui Barbosa ed Ellen Gracie erano più in sintonia. L'episodio ha logorato Carmen Lúcia in generale. La sua capacità di leadership interna era già piuttosto fragile. Il “capace collegamento diretto con l'opinione pubblica, spesso costruito a costo di logorare i suoi rapporti con i ministri (sia esponendo i colleghi in plenaria, sia non rispettando accordi firmati dietro le quinte)” si fece sentire (p. 120).
Diversi sono i passaggi in cui gli autori associano il ruolo crescente dell'STF alla continua esposizione e mobilitazione strategica dei media da parte dei ministri. Più o meno sostenitori della risorsa, tutti i ministri sembrano avere le idee chiare sulle potenzialità di articolazione con la stampa per la costruzione delle proprie strategie individuali nella conduzione di agende personali, conformazione di coalizioni interne, ma anche, rafforzamento della propria capacità di resistenza di fronte a presunte ingerenze degli altri due poteri della Repubblica, dove sono allocati attori con effettivi poteri di ritorsione.
E fu così che, invischiata dalla pressione dell'opinione pubblica, la «corte espose il suo livello di fragilità istituzionale in un fatto prosaico» che «inizierebbe a far risuonare la voce delle piazze nel coro della lotta alla corruzione» (p. 317), quella che ha comportato «l'altalena della giurisprudenza sulla provvisoria esecuzione della pena» (p. 319). La “somma delle caratteristiche e dei vizi che hanno costituito oggi la Corte Suprema – i poteri quasi discrezionali della corte sulla sua agenda; l'esacerbato individualismo dei suoi membri; la giurisprudenza vacillante (…); sfiducia tra i giudici con la conseguente frammentazione del collegio; le indicazioni che i giudizi sono contaminati da dispute politiche; lo scontro sul ruolo del Supremo nella lotta alla corruzione (sia esso giudice o sceriffo); l'incapacità di produrre soluzioni istituzionali ai loro problemi; rispetto per l'opinione pubblica; il potere che ha il Presidente della Camera di inserire o meno un processo all'ordine del giorno (senza alcun controllo esterno o tra pari); la giurisdizionalizzazione delle controversie che si dovrebbero combattere in politica” (p. 318) – lanciava l'allarme sulla possibilità di “interventi pretoriani” (p. 326).
Nessun incidente Gli Undici finisce dove inizia: nel presente. “Pensavo di essere arrestato”, esagera il ministro Luís Roberto Barroso, in uno sfogo dopo un teso incontro alla Presidenza del Tribunale Superiore Elettorale (TSE)” (p. 15), nel considerare la punizione per la sua impertinenza visto il tono critico delle sue dichiarazioni ai militari presenti. Dias Toffoli, invece, forse anticipando il rilievo che le Forze Armate avrebbero potuto acquisire di fronte alla vittoria di Bolsonaro, ha nominato “suo consigliere il generale a quattro stelle Fernando Azevedo” e qualche tempo dopo, in apertura dell'anno giudiziario, ha invocò per sé la missione di moderatore tra i Poteri, pronunciando un discorso conciliante e promettendo discrezione istituzionale (p. 329).
Ma è con le mani lontane dal petto, a denotare poeticamente la distanza tra intenzione e gesto, che lo stesso Toffoli ha guidato, su richiesta del rettore Celso de Mello, due processi che hanno affrontato la criminalizzazione dell'omofobia, stonata con la musica che “si proponeva di orchestrare nel rapporto con l'Esecutivo e il Legislativo” (p. 331). E fu così che la Corte Suprema iniziò il 2019 – il primo del governo Bolsonaro e l'anno del varo Gli Undici - con la sfida, tutt'altro che semplice, di evitare che la sua indipendenza venisse messa in discussione/attaccata di fronte a una recessione democratica che aveva contribuito a costruire, agendo secondo il capriccio della situazione politica degli anni precedenti.
*Marjorie C. Marona è professore presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'UFMG.
note:
[1] Grazie a Fábio Kerche per aver letto attentamente e criticato la versione preliminare di questo testo.