i ruffiani

Immagine: Elyeser Szturm
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da LUCIANO NASCIMENTO*

Il potere del popolo viene deviato a favore del capitale

Nell'interno del Brasile, nelle proprietà di piccoli e medi allevamenti, è ancora diffuso il ricorso al ruffian: un maschio (molto spesso un bovino) che, dopo essere stato sottoposto a particolari procedure cliniche che lo rendono incapace di fecondare la sua possiede una qualsiasi femmina, viene rilasciato al pascolo o rinchiuso in un recinto insieme a parecchie di esse. Così, quando cerca di coprire una femmina, il ruffiano mostra al produttore che è pronta per l'inseminazione, e questa è l'unica funzione di quel maschio.

Si tratta, quindi, della manipolazione esercitata dall'uomo sull'istinto riproduttivo di un altro essere vivente, una gestione che genera fecondità, produttività, ricchezza e, al limite, piacere, non per l'animale di cui si gestisce l'istinto, ma per l'uomo manipolatore, che, non è esagerato dirlo, gode di questo immenso potere effimero di negare e/o manipolare la continuità della vita di un altro essere.

Non ho una formazione in psicologia; Sono al massimo curioso della psicoanalisi. Non potevo e non voglio avventurarmi in questi campi. Tuttavia, ragionando letterariamente sulla sorte, teoricamente infausta, del ruffiano, mi chiedo se non stiamo parlando di una manifestazione inconscia di una certa dose di perversione – nel senso lacaniano del termine (ROUDINESCO&PLON, 1998[I]) –, insieme narcisistico e sadico, in cui un po' del piacere di sé (in questo caso, il produttore/proprietario dell'animale) si realizza nel controllo assoluto sul potere doloroso dell'altro (l'animale che, in la pienezza del suo istinto sessuale riproduttivo, è artificialmente impedito di compiere l'accoppiamento a cui è sovrastimolato).

Sempre in questa speculazione prevalentemente letteraria (forse per metà anche sociologica e filosofica, con sconsiderate note di psicanalisi da osteria), mi ritrovo a chiedermi se io – brasiliano, nero, benestante, figlio del disagio e nipote della necessità, insegnante di scuola pubblica e aspirante intellettuale progressista – se non fossi io stesso un ruffiano metaforico; Mi chiedo se poco o molto del mio potere non sarebbe stato perversamente dirottato per soddisfare gli interessi dei miei immaginari proprietari, la cui diffusa identità socio-politica non è nemmeno difficile da delineare. Entro in questo delirio (surreale o ultrareale?) e all'inizio la figura della donna (una mucca, nella mia costruzione) sembra mancare dall'analogia generale. Poi mi rendo conto: sembra proprio...

 

“Vitelli d'oro”… “Agro is pop”?

Nella fattoria, il sadismo quotidiano con il ruffiano finisce dopo che lui ha segnalato quali mucche sono in calore e pronte per essere impregnate. Da quel momento in poi, queste femmine vengono separate dal resto della mandria e portate al riparo da un toro riproduttore selezionato, oppure sottoposte al processo di inseminazione artificiale - che in termini generali significa ricevere il seme degli animali direttamente nei loro uteri. genetica privilegiata, o addirittura un embrione fecondato in vitro, erede di un esponente della razza. Insomma, maggiore è il potere economico del proprietario, minore è il rispetto della natura degli animali e, quindi, nella mia ipotesi, maggiore è la perversione. Quanto più denaro ha un produttore rurale, tanto più spendibile è il ruffiano, tanto più irrilevante è la vacca, tanto più selezionato è il toro – che, alla fine, non sfugge nobile e indenne anche alla logica mercantile, poiché può finire per valere molto meno da solo, integro e sano, “di persona”, della somma da incassare dalla vendita dei suoi milioni di spermatozoi estratti microscopicamente.

Può darsi che le persone più sensibili alla sofferenza degli animali o meno abituate a tocchi di sarcasmo nei testi di opinione considerino esagerata l'immagine di una miniera di sperma; gli allevatori la chiamerebbero certamente una “cosa comunista”, se qualcuno di loro venisse a leggere questo testo. Tuttavia, la pratica ricorrente del cosiddetto “industrial crossing” garantisce la pertinenza di tale immagine; dopo tutto, questa industria mira a niente di più, niente di meno che alla produzione in serie di “vitelli d'oro” – una somiglianza spaventosa, tra l'altro, tra queste persone di oggi e quelle del Pentateuco, forse Brás Cubas (quello di Machado) , al quale Moisés (quello dell'Antico Testamento) allora rispondeva amaramente, tra i denti: “l'agro è pop".

Scherzi a parte, ciò che associo alla perversione è questa deliberata manipolazione assoluta del potere generativo di un individuo da parte di un altro, potere che, alla fine, viene radicalmente negato al primo. Il ruffiano ha tutte le condizioni organiche per copulare e riprodursi, è superstimolato a tentare di farlo però solo dopo che sono state soppresse le condizioni operative minime necessarie perché possa compiere il tentativo di coito. L'istinto vitale (per la riproduzione e la conservazione della specie) parla a voce alta in lui e il ruffiano tenta innumerevoli volte di coprire le femmine raccolte intenzionalmente e messe a sua disposizione, e tutti i suoi tentativi si traducono in uno spreco di energie per lui, e, a allo stesso tempo, redditività per il suo proprietario. Nella sua vita, quella del ruffiano, tutto è continuo, solo potenza, un incessante diventare irrealizzabile, perché interdetto in anticipo. Il ruffiano è un individuo ostaggio di un tentativo permanente che era precedentemente e chirurgicamente orientato al fallimento, perché questo fallimento è l'innesco per il successo di un altro individuo, il suo proprietario.

A quanti di noi brasiliani non succede anche questo? Da quando Cabral ha invaso queste terre, a quanti non è successo? A quanti continuerà ad accadere? Popoli indigeni esiliati secoli fa, abitanti degli slum discendenti da persone schiavizzate, profughi cacciati via dalle morti più gravi della vita, migliaia di bambini, adolescenti e giovani senza accesso a un'istruzione pubblica e sanitaria di qualità... quanti ruffiani eravamo, siamo noi, saremo? Dicono che il bue è mansueto solo perché non sa quanto è forte.

Tornando alla mucca (fredda?), solo intravista e urtata dal ruffiano, è costantemente goduta dal produttore/proprietario, il capo, il proprietario del denaro. La ha sempre a sua disposizione per garantire la continuità genetica dei suoi tori domestici, alcuni scelti da lui – ma anche manipolati da lui. Per il ruffiano, niente; tutto agli altri tori, presunti membri della cosiddetta casta superiore, quelli che, in teoria, miglioreranno la mandria e, di conseguenza, arricchiranno ulteriormente il proprietario di tutte le parti coinvolte: terra, recinti, bestiame, persone e persino sperma .

Quanto alla mucca nella mia triste speculazione sulla nostra perversione quotidiana (dal 1500), posso solo supporre che abbia nome e cognome, e ormai non dovrebbe essere difficile immaginare quali siano. Il nome è "Beloved Homeland", il cognome, "Gentle Mother". A coloro che le sono più vicini, porta il soprannome fino a quel momento sadico e tragico: "Paese del futuro".

I ruffiani ribelli di cui abbiamo bisogno per caetane e chiamarla "vacca empia".

*Luciano Nascimento Ha conseguito un dottorato di ricerca in letteratura (UFSC) e insegna educazione di base, tecnica e tecnologica al Colégio Pedro II.

Nota


[I] ROUDINESCO, E. & PLON, M. dizionario di psicoanalisi. Traduzione: Vera Ribeiro, Lucy Magalhães. Rio de Janeiro: Zahar, 1998.

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