Palestina: piangi fino ad annegare

Marcelo Guimarães Lima, Città bombardata, pittura digitale, 2023
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da JESÚS GONZÁLEZ PAZOS*

Piangere per la Palestina è ciò che il mondo dovrebbe fare finché le lacrime non diventeranno così grandi da annegare gli assassini e i loro complici, i genocidi diretti e indiretti

La situazione in Palestina è stata analizzata da quasi tutti i punti di vista possibili; alcuni per coscienza e serietà, i più per complicità e stupidità. Pertanto, l’intenzione non è quella di creare una nuova analisi politica approfondita per convincere coloro che non vogliono essere convinti. Del resto le posizioni sono ben definite. E tra loro, sempre più persone nel mondo, qualunque cosa dicano le cosiddette analisi, o quello che dicono i media e i governi, concludono che ciò che sta accadendo in Palestina è un innegabile genocidio da parte del sionismo israeliano. Che, in effetti, è necessario ripeterlo mille volte, è una dottrina suprematista, razzista e di estrema destra. In questo modo tutti sapranno cosa difendere e giustificare.

Tuttavia, oltre a considerare la durezza della situazione dal punto di vista geopolitico internazionale, semplicemente piangiamo e gridiamo per la Palestina. Ci sono migliaia di persone uccise, ferite, affamate, orfane e senza casa, che vagano per il più grande campo di concentramento che l'umanità abbia mai visto, aspettando semplicemente il momento in cui la bomba cadrà e prenderà le loro vite. Fin dai primi giorni abbiamo sentito affermazioni da parte delle famiglie secondo cui la loro preoccupazione più grande non era come uscire da quell’inferno.

Hanno capito che non era possibile, che tutte le vie di fuga erano chiuse e che erano stati abbandonati dalla cosiddetta “comunità internazionale”. Per questo il loro dubbio era se restare insieme e morire subito, oppure cercare di trascorrere le giornate sparsi per quel campo di concentramento, illudendosi che la bomba avrebbe portato via una parte della famiglia, ma l'altra sarebbe sopravvissuta.

Possiamo pensare a questa decisione mille volte e mille volte sbaglieremo, e nemmeno una volta riusciremo a metterci nei loro panni. Non riusciremo mai a capire cosa possano provare in questa situazione una madre o un padre che devono prendere questa decisione: morire insieme o disperdersi affinché, magari, qualcuno della famiglia possa sopravvivere qualche giorno in più.

A Gaza i sionisti giocano con i palestinesi, costringendoli a fuggire dalle loro case, costringendoli a spostarsi di qualche chilometro a sud, affinché mantengano la speranza che sarà così che vivranno. Allo stesso tempo, distruggono tutto, rafforzano l’assedio, pur rimanendo incerti sulla decisione: insieme o dispersi. E ti fa odiare te stesso quando la decisione è stata quella di disperdersi e scopri che quella parte della famiglia che non era con te non è sopravvissuta all'ultimo bombardamento. E ora sei tu che vaghi di macerie in macerie aspettando, addirittura sperando, che forse arrivi presto una nuova bomba o un nuovo colpo in modo che, secondo le tue convinzioni, tu possa ricongiungerti con coloro che sono stati precedentemente assassinati.

Piangere per la Palestina è ciò che il mondo dovrebbe fare finché le lacrime non cresceranno così tanto da annegare gli assassini e i loro complici, i genocidi diretti e indiretti. Perché l’altra faccia della stessa medaglia è quella dei governanti nordamericani ed europei (l’autoproclamata comunità internazionale) che non solo guardano dall’altra parte di fronte alla sofferenza del popolo palestinese, ma la incoraggiano anche. Continuano a vendere le loro armi (maledetti affari!), continuano a comprare prodotti israeliani, continuano a condividere lo stesso tavolo in serate di gala, festival e concorsi; continuano a dire che Israele ha il diritto di uccidere decine di migliaia di palestinesi con assoluta impunità, come se applaudissero l’etichetta che il sionismo ha dato loro come subumani e, quindi, senza diritti.

Si parlerà di giustizia e di diritto alla difesa; ci parleranno, ancora una volta, della sofferenza del popolo ebraico ottant’anni fa, ignorando la sofferenza dei palestinesi oggi e negli ultimi 75 anni. Sono gli stessi governanti che un giorno divennero difensori del mondo libero e dei diritti umani. Sono gli stessi che hanno condannato altri per aver violato ripetutamente i diritti umani e oggi li scopriamo come gli ipocriti che quasi sempre intuivamo potessero essere.

Calpestano i diritti degli uomini e delle donne palestinesi e incoraggiano Israele a continuare la sua carneficina privata. Anche se qualcuno osa portare questo paese davanti alle corti di giustizia internazionali, viene subito in sua difesa e discute e controargomenta contro l’accusa di genocidio. La stessa cosa che il mondo vede in televisione e sulla quale non ha più dubbi: cercare di annientare un intero popolo e riuscirci uccidendo diverse decine di migliaia di persone è un genocidio, che lo dicano o meno la Corte di giustizia internazionale o i libri sacri. quindi di tutte le religioni. Poco importa ciò che hanno scritto gli uomini; È una semplice questione di buon senso, è una semplice questione di umanità.

E al culmine dell’ipocrisia, anche se non ritengono che ci siano argomenti sufficienti riguardo al genocidio che il mondo vede e mantengono il loro sostegno militare, diplomatico e propagandistico a favore di Israele, sospendono i fondi all’UNRWA affinché questa organizzazione umanitaria smetta di coprire bisogni primari della popolazione rifugiata palestinese. E ci vendono la storia israeliana secondo cui il motivo è che su 30mila lavoratori di questa organizzazione internazionale, dieci o dodici hanno partecipato agli attacchi del 7 ottobre. Anche se ciò fosse vero, sarebbe un motivo per sospendere tutti gli aiuti, che tra l’altro erano una miseria, a due milioni di persone? Allora cosa si dovrebbe fare, data l’evidenza del carattere criminale di guerra e il profilo dell’intera leadership del comando politico e militare sionista?

Di fronte a questa realtà brutale, alcuni cercano di mostrarsi come governanti sensibili alla sofferenza del popolo palestinese e parlano periodicamente della soluzione dei due Stati. Il problema è che uno di essi, quello israeliano, è stato riconosciuto, approvato e sostenuto dagli stessi governanti dal 1948. Tuttavia, l’altro, quello palestinese, da quella stessa data ha perso il suo territorio fino a diventare ormai quasi inutilizzabile. Ora, i governi europei e nordamericani continuano a inondare il dibattito e a trascinare i piedi verso questa soluzione. Sembra che si aspettino che il popolo palestinese venga annientato per liberarsi del problema.

Piangere per la Palestina è ciò che il mondo dovrebbe fare finché le lacrime non cresceranno così tanto da annegare gli assassini e i loro complici, i genocidi diretti e indiretti.

*Jesús Gonzáles Pazos è un antropologo. Autore di Comunicazione significa: di quale servizio hai bisogno? (editoriale Icaria)

Traduzione: Ricardo Kobayaski.

Originariamente pubblicato sul portale Il salto.


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