A cosa serve la filosofia?

Immagine: Pierre Blaché
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da ARLEY RAMOS MORENO*

La filosofia è una vasta prosa del Mondo, che diventa linguaggio e pensiero

“Per me si va nella città dolente,\ Per me si va nell'eterno dolore, \Per me si 'va tra 1a perduta gente.” (Dante Alighieri, L'inferno, angolo III)

Non fa mai male che, nel mezzo del cammino della nostra vita, ci prendiamo una pausa, per quanto breve possa essere, per porci questa annosa domanda. Le possibili risposte ad esso sono tanto varie e diverse quanto sono vari e diversi i sistemi filosofici che le generano. Percorrere la Storia della filosofia alla ricerca di queste risposte è un modo per osservare lo svolgersi del “conflitto delle filosofie”.(1) Ogni risposta vale la misura della coerenza interna che le dà il sistema corrispondente. E i dogmi filosofici sono, come sappiamo, tesi costruite logicamente all'interno di un discorso articolato per argomentazioni.(2)

Come si può argomentare contro queste tesi, se non partendo dai propri sistemi, cioè partendo da e dentro altri sistemi e secondo criteri di coerenza solo conflittualmente correlati ai primi? A che servirebbe, allora, prendersi questa pausa poco stimolante, dice arditamente il profano – se non per il filosofo di professione che deve conoscere sempre più i dettagli della storia del suo sostentamento, per continuare a guadagnarselo? Servirebbe forse solo, continua il profano, ad apprezzare la parata di una moltitudine di risposte diverse, coerentemente formulate in conflitto, e che possiamo anche, con un certo sforzo di immaginazione selettiva e ordinatrice, organizzare secondo un vettore storico o un continuità comandata da regole epistemologiche superiori!

Anche se questo è già molto per il filosofo di professione, forse è ancora poco per il profano; ma quest'ultimo ha certamente delle ragioni che il primo certamente ignora. Ora, approfittando di una caratteristica insita nel profano, la sua buona volontà, le sue buone intenzioni, il filosofo di professione è portato a compiere con lui un nuovo assalto per tentare la fortuna: questa breve pausa può servire, almeno, a situare, diciamo, la posizione relativa tra sistemi filosofici; non per giudicarli, ma per intravedere, in questo dialogo dei sordi – come ama dire il profano e che il filosofo di professione ammette, sottolineando però che questa sordità non è prerogativa della filosofia – alcuni punti strategici, momenti in cui filosofie fanno terapia filosofica.(3) Momenti in cui le filosofie non propongono più tesi, sistemi di idee, ma propongono sistematicamente solo ed esclusivamente metodi, modi di procedere, concetti che sono operatori critici. Fai la terapia filosofica! ecco un buon stimolante per la pausa.

Wittgenstein consiglia al filosofo di non pensare, ma solo di guardare! (Indagini filosofiche, § 66). Questo è, secondo l'autore, un principio terapeutico della massima importanza: quando il filosofo pensa, sorgono i problemi che ci danno i maggiori grattacapi; la forma caratteristica di tali problemi: "non so più niente” (ibid. 5123), quando invece si limita a guardare, i problemi, sorprendentemente, scompaiono! Cosa significa? Cosa significa per il filosofo pensare? Facciamo alcuni esempi di questo pensiero filosofico.

Una delle caratteristiche più sorprendenti della Filosofia è lo sforzo dei suoi rappresentanti di costruire definizioni universali, definizioni tali che ciò che le riguarda non si riduca alla molteplicità effettiva dell'empirico, ma, al contrario, riguardi il più generale, fisso ed elementi inalterabili di questa manifesta molteplicità. Si parla, poi, con concetti filosofici, di ciò che costituisce il fondamento di tutto ciò che esiste e di come lo conosciamo; La filosofia è una vasta prosa del Mondo, che diventa linguaggio e pensiero. Si parla di Bellezza, Giustizia, Verità, Linguaggio, Storia, Ragione, ecc., e così si costruiscono sistemi architettonici di tesi.

Attraversiamo, veloci, senza sosta, il Limbo, poiché i suoi spazi non sono illuminati dalle luci della Ragione, e penetriamo nelle raggianti vette di luce. Chi troveremo? Dove ci fermeremo? La scelta è difficile, data l'ampia gamma di possibilità; inoltre, la nostra capacità è piccola e il nostro spazio è breve. Concentriamoci sugli amanti… delle Idee. Cosa fanno questi saggi dialettici? Partono da esempi quotidiani, da situazioni su cui deponiamo le nostre opinioni e, con enorme fatica, cercano di avvicinarsi a ciò che le anime, in un lontano passato, conoscevano direttamente: le unità sintetiche di proprietà che danno consistenza all'empirico, i paradigmi che, attraverso la partecipazione di questo empirista, costituiscono il suo fondamento della realtà.

Idee, il dialettico le cerca, riducendo ed eliminando la varietà e la differenza; le cerca al di là di ciò che vede, attraverso il pensiero che, indenne, cattura e trattiene costanze, costruendo così Identità: A = A – come diceva il maestro degli amanti delle Idee,(4) quello che vedi quando guardi, cioè la contraddizione, è definitivamente bandito da tutte le Accademie.

Ma il buon realista resta insoddisfatto di questa strana e antieconomica separazione tra il sensibile e l'intelligibile; sarebbe bello poter comprendere l'identità senza separare i mondi. Ora, la nozione di “sostanza viene a svolgere questo ruolo ingrato; è nei ruoli più ingrati che si rivelano al meglio le qualità dell'attore! Riusciamo, in modo aristotelico, senza salire la scala della dialettica, a comprenderne i fondamenti, rimanendo nell'individuo: in esso troviamo la coerenza e l'intelligibilità del loghi. Potremo ora classificare la molteplicità in genere e specie; movimento e trasformazione avranno la coerenza delle quattro cause:(5) cosa c'è da sapere? formare concetti e partire dall'esperienza, e applicare questi concetti a sostanze e costruire giudizi, e, infine, combinare giudizi e costruire ragionamenti per dedurre con verità. Conoscere e percorrere la struttura intelligibile del reale, e per questo utilizzeremo quel prezioso strumento che è il concetto.

Tuffiamoci più in alto, in un nuovo cerchio, quello sofisticato degli amanti dell'Ego. Non volendo più lasciarsi ingannare dalle false apparenze che noi stessi siamo capaci di elaborare, assumeremo un metodo alla ricerca di criteri di evidenza: chiarezza e distinzione. È così che, cartesianamente, non crederemo più a ciò che le nostre sensazioni ci fanno vedere quando guardiamo, e percepiamo quando sentiamo questa fiamma, questa sensazione di calore da queste righe che sto scrivendo in questo momento, nella mia stanza, vestito nella mia 'chambre' possono, forse, essere il prodotto della mia immaginazione o del mio sogno. Abbiamo scoperto, stupiti, che tutto ciò che fino ad ora ci sembrava così certo può essere messo in dubbio. Ma un piccolo particolare sfugge al dubbio: dubitiamo e quindi pensiamo. Da lì, seguendo lo stesso metodo, troviamo l'idea di Dio e poi recuperiamo dal dubbio tutto ciò di cui avevamo potuto dubitare.

La porta della scienza è riaperta, ed è stato l'Io, con l'aiuto di Dio, a riaprirla. (6) Percorso sofisticato, dicevamo, poiché ci obbliga a fare una deviazione essenziale attraverso l'io pensante per raggiungere il reale. L'uomo, questa cosa estesa e anche pensante, può relazionarsi in una certa misura con la sostanza creatrice; l'uomo ha idee innate, quelle che non vengono dall'esperienza e non sono frutti fittizi dell'immaginazione: sono chiare e distinte.

È su di loro che poggiano le scienze, come un edificio sulle sue fondamenta.

I cerchi di questa foresta si moltiplicano sopra le nostre teste; ma quella dell'idealismo è ricca di circoli interni. Rischiando un salto, arriviamo al sottocerchio degli innamorati - e questi fedeli del trascendentale. Non c'è più posto, qui, per le sostanze, né estese, né pensanti, né creative; tutto è percepito nello spazio, nel tempo, e pensato secondo categorie. Il soggetto è, in questo sottocerchio, padrone e schiavo, e tutto ciò a priori. I limiti della conoscenza scientifica sono esplicitamente delimitati dal funzionamento della Ragione, che è pura; anche quegli elementi che permettono la giunzione tra i concetti puri e la molteplicità del sensibile, gli schemi hanno il loro fondamento a priori.(7) Abbiamo bandito la cosa in sé dalla scienza, e ora sappiamo perché è possibile; ne troviamo il fondamento nel soggetto trascendentale, nel soggetto che pensa e non può guardare.

Alziamoci più in alto, ora, e, sempre più rapidamente, il nostro volo in questa sera, e chiediamo; cos'è un concetto? una struttura aperta, come una funzione matematica, che determina un “percorso di valori”, cioè quella classe di elementi che può comodamente occupare il posto lasciato vuoto. Quando dico, ad esempio, "X è mortale" c'è una classe di oggetti che può prendere il posto dell'argomentazione, rendendo vera la proposizione risultante.(8) Definiamo, alla maniera fregeana, il concetto, in base alla sua struttura logica, e mostriamo così i suoi limiti esatti e fissi; quando ciò non sarà possibile, cioè quando la classe degli oggetti non potrà essere rigorosamente formulata, saremo nel dominio dell'estetica, non lavoreremo con i pensieri – questa realtà autonoma e intermedia tra il portatore psicologico ed empirico. Con questo volo atterriamo in luoghi nuovi e ci avviciniamo all'ineffabile.

Il soggetto filosofico è trascendentale, in quanto determina i limiti del Mondo senza far parte di quel Mondo, proprio come l'occhio in relazione al suo campo visivo; e questi limiti sono stabiliti dal suo linguaggio. La sostanza non è altro che una rete di possibilità logiche; e gli oggetti non sono altro che punti vuoti e senza dimensione, costituiti esclusivamente da diverse forme di combinazione con altri oggetti; siamo lontani, qui, dalla nozione tradizionale di sostanza.(9) Tuttavia, in modo wittgensteiniano, abbiamo bisogno di punti fermi, anche se adimensionali, abbiamo bisogno di basi stabili che ci permettano di garantire l'indipendenza del significato delle proposizioni rispetto a ciò che effettivamente accade; è necessario assicurarsi che la proposizione falsa abbia un significato, indipendentemente dalla proposizione vera: che quando dico "Piove" quando non piove, dico qualcosa con significato, senza bisogno di ricorrere alla proposizione "Piove" sta piovendo" quando, in effetti, piove. , piove.

Abbiamo bisogno di ciò che esiste come risultato logico ultimo dell'analisi dei fatti; di ciò che è irriducibile, e la cui esistenza è indipendente dall'attribuzione di esistenza: dire “a esiste” quando a esiste, non ha senso, poiché l'esistenza di a è autonoma, e non dipende dalla sua attribuzione all'oggetto da parte della proposizione. Così, tutte quelle proposizioni che non sono logicamente analizzabili nei loro elementi irriducibili saranno escluse come pseudo-proposizioni: non dicono fatti. Questo cerchio poi si apre, come dicevamo, sull'ineffabile: Etica, Estetica, valori in generale. Pensare è dire fatti attraverso proposizioni significative. Il filosofo, ancora una volta, pensa, non guarda.

Torniamo al punto di partenza. Facciamo il punto. Cosa abbiamo visto? Abbiamo visto che il pensiero filosofico ci ha sempre portato a cercare e, così facendo, a trovare quel “qualcosa di comune” realistico o idealistico, posto a supporto del concetto nel suo carattere universale. In assenza di questo “qualcosa di comune” ci troviamo di fronte al regno della contraddizione, dell'inganno, dell'empirico, del poetico, dei valori; siamo riusciti, con filosofi pensanti, a evitare tutto questo. Ecco cosa è stato visto.

È giunto il momento di esultare per il nostro amico laico: la terapia – della Filosofia! Quando il filosofo ha il coraggio di guardare, senza pensare, cosa vedrà? Vedrai differenze e somiglianze; non vedrai identità. Concluderà, allora, che il “qualcosa di comune” è una nozione arbitraria, che può essere utile per certi scopi e che, pertanto, ha come unico fondamento gli usi che si intende fare, in diverse situazioni, di quello che introduciamo come “qualcosa di comune”.(10) Concluderà che il concetto universale non è altro che un certo uso che facciamo del linguaggio e, quindi, quando il filosofo pensante pone domande riguardanti la bellezza, il linguaggio, la storia o il rosso, non fa altro che affrontare il linguaggio nei giorni di vacanza , cioè togliere il linguaggio dal suo effettivo contesto d'uso e considerarlo nel vuoto.

Il filosofo pensante vive di grattacapi, poiché non si rende conto della propria fascinazione per il linguaggio: non si rende conto che i concetti con cui lavora operano esclusivamente entro i limiti precisi e arbitrari di quella specifica situazione che egli stesso stabilisce. Ma dire questo non è ancora abbastanza. Il filosofo pensante non si rende conto che i suoi concetti non possono mai operare entro limiti precisi, poiché è lo scienziato, e non lui, che può tracciare limiti precisi; lo scienziato può rispondere alle domande che sorgono.(11)

Il filosofo è un individuo gravato di problemi, poiché, non potendo tracciare limiti precisi, accumula sempre nuovi problemi a cui non si può dare risposta. È, forse, invidioso; nutre una profonda invidia per lo scienziato. Così profondo che non te ne accorgi nemmeno. In cosa consiste questa invidia? Proprio nel fatto di voler parlare del Mondo come se fosse esattamente delimitabile. Il filosofo pensante conserva così, di fronte a un tema che gli è caro, la nostalgia di un metodo che non si adatta al suo oggetto. È qui che sorgono i problemi filosofici, o meglio quei problemi che creano confusione, di cui la filosofia è piena.

Il nostro amico laico è soddisfatto. A cosa serve la filosofia? Beh, tanto per creare confusione. Mettiamoli da parte, dunque, e andiamo avanti. Sì, questa è senza dubbio la strada giusta da intraprendere. Mi permetta però, caro profano, solo un'altra domanda. Le confusioni filosofiche sono il risultato proprio ed esclusivo del lavoro del filosofo pensante? Sorgono solo all'interno della filosofia? Il profano, cioè chiunque non sia un filosofo di professione, sarebbe ben protetto da tali confusioni? Sfortunatamente no! Sia il filosofo professionista che il profano pensano e non guardano!

Pensare è voler spiegare, e ogni tentativo di spiegazione è un viaggio pericoloso: gira intorno ai cerchi dell'immensa foresta della confusione. Solo un esempio: "Lo so ma non posso dirlo!” Ecco una bellissima situazione filosofica, che ci dà i più grandi grattacapi! Come è possibile che qualcuno sappia qualcosa e non sia in grado di dire ciò che sa? (Indagini filosofiche, §75). Non è proprio questa la sensazione che il profano ha tante volte nella stessa giornata? Ebbene, qui, ancora una volta, vale la terapia attraverso lo sguardo. Questo mito, del sapere e del non poter dire, risiede nella convinzione che sia possibile dire solo ciò che è fisso e chiaramente delimitato; quel significato è qualcosa di più di ciò che il significato è definito essere in tali e tali situazioni.

Quando guardiamo a ciò che sappiamo, vediamo che sappiamo esattamente cosa siamo in grado di dire e che questa capacità può variare quando ci spostiamo da una situazione all'altra, o anche all'interno della stessa situazione. Vediamo, inoltre, che siamo capaci di dire esattamente ciò che sappiamo quando, come accade infatti nella nostra vita quotidiana, ciò che sappiamo non è esatto ma piuttosto vago: diciamo esattamente in modo inesatto ciò che è vago. E questa non è ignoranza. Non conosciamo i limiti, perché non ci sono linee”. (ibid., §69). Ed ecco, i problemi filosofici del profano scompaiono!

Pertanto, il profano stesso non è protetto dal pericolo della confusione filosofica. Bisognerebbe uccidere in lui il filosofo. Tuttavia, vorremmo dire: l'uomo è un animale filosofico, cioè confuso.

A cosa serve la filosofia? Nella breve sosta che ci riserviamo per spiccare il volo con il profano, verso le vette della Filosofia, passiamo direttamente, senza sosta, attraverso il Limbo, oscuro, privo dei lumi della Ragione. È a lui che ritorneremo e, attenti, ci ripareremo. Da 1 a ci limiteremo a guardare, senza pensare, cercando di vedere chiaramente. In Filosofia “la vera scoperta è quella che mi rende capace di rompere con il filosofare quando voglio. Quella che calma la filosofia, perché non sia più tormentata da questioni che mettono in discussione se stessa» (ibid., §133). Ma per il momento abbassiamo la voce: ci sono molti filosofi professionisti e profani là fuori...

* Arley Ramos Moreno (1943-2018) è stato professore di filosofia all'Unicamp. Autore, tra gli altri libri, di Introduzione a una pragmatica filosofica (Unicamp Editore).

 

note:


(1) Vedi Porchat. “Il conflitto delle filosofie”. In: Filosofia e visione comune del mondo. San Paolo, Brasile.

(2) Cfr. Goldschmidt. "Tempo storico e tempo logico nell'interpretazione dei sistemi filosofici". In: La religione di Platone, Difel.

(3) Pensiamo a filosofi come Nietzsche, secondo la linea interpretativa presentata da Lebrun, ad esempio, in “Perché leggere Nietzsche, oggi?” In Leu Tours, ed. brasiliense, e t'Surhomme et homme total” in Manoscritto, V. II, n. 1, ott. 1978 Unicamp. Pensiamo anche a Wittgenstein, soprattutto nella sua fase successiva rispetto al Tractatus logico-filosofico.

(4) Ci riferiamo a Parmenide, maestro dei platonici.

(5) Cfr. Aristotele, tra le altre opere Fisica e Metafisica.

(6) Vedi Cartesio. meditazioni.

(7) Vedi Kant. Critica della ragion pura.

(8) Cfr. Frege. “Funzione e concetto” e “Concetto e oggetto”. In: Écrits logiques et philosophiques, ed. du Seuil.

(9) Cfr. Wittgenstein – Tractatus logico-philosophicuse

(10) Cfr. Wittgenstein-Ricerche filosofiche.

(11) Cfr. Wittgenstein-Tractatus logico-philosophicus, in particolare 6.5.

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