Paradigmi del mutamento sociale – appunti sul 1968

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da DANIEL AARÌO REIS*

Ciò che impressiona negli anni Sessanta è la diffusione, l'ampiezza e l'intensità dei movimenti sociali e politici

Le date rotonde hanno quasi imposto una riflessione sui processi sociali ritenuti rilevanti. Controcorrente, non mancano le critiche alla febbre dei festeggiamenti.

Tuttavia, l'opzione di evitare dibattiti legati alle commemorazioni potrebbe non essere un buon consigliere, poiché le battaglie della memoria sono spesso altrettanto o più importanti degli oggetti a cui si riferiscono, perché hanno la capacità di ricostruirli o rimodellarli, confermando il vecchio aforisma che la versione vale più del fatto, soprattutto quando non c'è consenso sulle prove disponibili. Alcuni sostengono addirittura, nella vertigine del relativismo, che la versione sia il fatto stesso, in quanto vi si sovrappone, modificando i contorni e dando senso ad azioni compiute nel passato. Secondo questo orientamento, i fatti dipenderebbero dalle versioni e non fare dibattiti su di essi significherebbe abbandonare i fatti alla propria fortuna o al controllo di chi immagina di appropriarsene.

Si tratta dunque di assumersi i rischi insiti nella commemorazione, soprattutto quando si critica la tendenza a commemorare nel senso comune del termine, a celebrare acriticamente una data o un processo storico. Nelle celebrazioni, come è noto, le contraddizioni e le controversie tendono a scomparire, e la storia viene narrata, a seconda della convenienza delle circostanze, e/o dei celebranti, o dei valori dominanti. Può capitare ai cosiddetti reduci, trasformati in ex combattenti, costretti a convivere con gli inevitabili avatar di questo tipo di situazione. Ma può succedere anche, in senso negativo, con chi vuole liberarsi di eventi ritenuti indesiderati. Questi sono dedicati a celebrare, non l'esistenza di qualcosa, ma la sua scomparsa. E questo vale per i processi più recenti o più remoti.

Sostengo la possibilità di commemorare (ricordare insieme) senza celebrare, il che non significa affatto, come si vedrà, che io intenda entrare nel dibattito senza premesse o determinati punti di vista.

 

1.

Ciò che impressiona negli anni '1960, e specialmente nel 1968, è la diffusione, l'ampiezza e l'intensità dei movimenti sociali e politici. Un po' ovunque, e con motivazioni diverse, ci sono stati scontri e lotte sociali e politiche, di varia natura.

Negli Stati Uniti sono apparsi diversi movimenti con una forza inaspettata: i giovani, contro la guerra del Vietnam; le donne, per l'emancipazione femminile; Negri e Chicanos, per i diritti civili e politici; gay, per il diritto di esercitare liberamente le proprie preferenze sessuali; popolazioni indigene, rivendicando rivendicazioni identitarie. Erano nuovi attori che si affacciavano sulla scena politica con le proprie rivendicazioni e rivendicazioni, molte delle quali ignorate o sottovalutate dai partiti e dai sindacati tradizionali.[I]. Vale la pena ricordare che alcune organizzazioni avrebbero intrapreso, nel 1968 e negli anni successivi, la via della lotta armata contro il[Ii].

In America Latina[Iii], tra molti altri, spiccano i conflitti avvenuti in Messico, Argentina e Brasile[Iv]. I loro principali protagonisti furono gli studenti universitari e liceali, ma avrebbero trovato espressione anche tra gli strati popolari urbani. Gli ultimi due paesi vivranno, negli anni successivi, un processo di guerriglie urbane e tentativi di gruppi di guerriglia rurale. Associato a questo processo, e in un'altra dimensione, è rimasto vivo il mito di Che Guevara e la saga della guerriglia ispirata e stimolata dalla rivoluzione cubana, vittoriosa nel 1959.[V].

Nell'Europa occidentale spiccano i movimenti in Francia, molto intensi, anche se condensati nel tempo (maggio-giugno 1968), mobilitazione di studenti universitari e sciopero generale, che riunisce tra gli 8 ei 10 milioni di lavoratori dipendenti; nella Repubblica federale di Germania/FRG, l'accento è ancora posto sugli studenti; e in Italia, una combinazione di scioperi operai e lotte studentesche. In questi ultimi due paesi si può registrare la comparsa, negli anni successivi, di un'ondata di guerriglie urbane, soprattutto in Italia.

In quella che veniva chiamata l'Europa dell'Est, c'erano movimenti sociali in Polonia, proteste intellettuali e studentesche in altri paesi e, in particolare, un ampio processo di riforme in Cecoslovacchia. Avviato nel gennaio 1968 nell'ambito dello stesso partito comunista, il processo acquista forza ed espressione sociale, delineando la prospettiva di un socialismo dal “volto umano”. Di breve durata, soffocata dall'invasione sovietica nell'agosto del 1968[Vi].

Dall'altra parte del mondo, in Cina, dalla seconda metà del 1965, si è scatenata la cosiddetta grande rivoluzione culturale proletaria. Mobilitando fondamentalmente studenti ma, in alcune città, come Shanghai, anche lavoratori di diversi settori, il processo metterà in discussione profondamente l'ordine socialista esistente e i suoi standard di organizzazione politica e raggiungerà l'apice a cavallo tra il 1966 e il 1967 con la proclamazione del Comune di Shangai. Tuttavia, nonostante esperienze innovative nel campo dell'istruzione e dell'organizzazione del lavoro, il movimento rivoluzionario si è ritirato e, già nel 1969, con la riorganizzazione del Partito Comunista Cinese, può considerarsi chiuso.[Vii].

Un altro polo rivoluzionario in Asia era rappresentato dal Vietnam. Dopo aver combattuto contro i giapponesi (1941-1945) ei francesi (1946-1954), e averli sconfitti, i vietnamiti, a partire dal 1960, iniziarono una terza guerriglia per garantire l'indipendenza e l'unificazione nazionale. Dal 1964 al 1965 l'intervento statunitense diventerà un fattore rilevante e la guerra in Vietnam occuperà gradualmente il palcoscenico delle relazioni internazionali e dei media.[Viii]

In questa brevissima rassegna si coglie l'ampiezza geografica e la diversità politica, economica e sociale dei regimi colpiti dal terremoto degli anni '1960.Paesi capitalisti e socialisti, regimi democratici e dittatoriali, società sviluppate e ancora in via di sviluppo ne furono colpiti (all'epoca , venivano chiamati senza eufemismi “sottosviluppati”).

 

2.

Perché gli anni '1960? Perché esattamente l'anno 1968?

A rigor di termini, come hanno dimostrato diversi studiosi[Ix], c'è un processo storico più ampio in cui si inserisce l'anno 1968, proponendo diverse “grandi congiunture” per meglio comprenderlo. Come si può vedere nella recensione sopra, ci sono state società in cui la temperatura più calda – socialmente e politicamente – è aumentata negli anni precedenti (Cina e USA) o ha raggiunto il suo apice più tardi (Argentina e Italia) nel 1968.

La simultaneità dei processi evocò la “primavera dei popoli”, del 1848[X], su scala ancora più ampia, ma è importante non perdere di vista, oltre all'innegabile internazionalizzazione dei conflitti, il loro carattere specificamente nazionale, le cui radici vanno chiarite, evitando approssimazioni uniformanti di una diversità che non può essere sottovalutata ( M.Ridenti, 2018).

Voler rivelare meglio le circostanze dei conflitti non significa imprigionare la storia in determinazioni strutturali, né annullare i margini di libertà dei movimenti sociali e dei loro vertici, così come la specificità di ogni processo o evento. Non si tratta nemmeno di rifiutare l'imprevedibilità della storia umana, ma è innegabile che gli anni Sessanta hanno fatto parte – e preannunciato – di un periodo di cambiamenti vertiginosi, portati da una grande rivoluzione scientifica e tecnologica, il cui dinamismo rimane presente fino al oggi, cambiando radicalmente il panorama delle società umane a tutti i livelli: cultura, politica, economia, società.

Alla “civiltà fordista”, proposta alla fine dell'Ottocento, e che, a suo dire, mutò profondamente anche le società umane dell'epoca, raggiungendo un momento di apogeo negli anni Quaranta/Cinquanta, fu seguita da un'altra rivoluzione che diede origine alla “cultura-mondo” (JF Sirinelli, 1940), la “storia del mondo”, il “diminuire del mondo” o il “villaggio globale” (M. McLuhan) segnato da simultaneità e istantaneità[Xi].

Dagli anni '1960 si sono aperti tempi di instabilità, istituzioni e corporazioni centralizzate, verticali e piramidali hanno cominciato a crollare, ma non sarebbe stata, come alcuni immaginavano, un'implosione rapida e catastrofica. Siccome erano molto dense e pesanti e gli interessi in esse investiti erano diversi, le loro macerie continuano a cadere, ancora oggi, sulle società esistenti. Basta osservare i partiti e i sindacati, figli amati del mondo della seconda rivoluzione industriale, che hanno monopolizzato la rappresentanza degli interessi politici e sindacali e che, da decenni, attraversano una profonda crisi strutturale, non più in grado di dare vita alla voce, alle istanze e ai sentimenti delle popolazioni interessate, ma conservando comunque importanza nel gioco politico istituzionale.

Questi processi di trasformazione hanno interessato anche i cambiamenti nelle relazioni tra gli individui e il tempo. Reinhart Koselleck e François Hartog hanno attirato l'attenzione sul fenomeno proponendo che anche le concezioni del tempo hanno una storia. mentre no Antico Regime, prevalsero nozioni che trattavano indistintamente passato, presente e futuro, essendo il futuro una mera proiezione del passato, dalle grandi rivoluzioni atlantiche di fine Settecento (americana e francese), come osservò H. Arendt, queste nozioni cambiarono. radicalmente: il futuro sarebbe il miglioramento del passato (concetto di progresso), equiparando le rivoluzioni a salti nell'ignoto. Nel contesto della rivoluzione scientifico-tecnologica dagli anni '1950/'1960 in poi, il presente si dilata, inglobando passato e futuro, configurandosi come “presentismo”.[Xii].

Così, in una prospettiva più ampia, i movimenti degli anni Sessanta sarebbero stati precursori dei terremoti che solo allora iniziarono la loro opera e che rimarranno – fino ad oggi – a scuotere e sconvolgere il mondo progettato e costruito dalla fine dell'Ottocento in poi. Proprio per questo le questioni sollevate in quegli anni restano vive e attuali, perché la grande congiuntura e la rivoluzione scientifica e tecnologica che condizionarono quei movimenti continuano a dispiegarsi con notevole dinamismo.

 

3.

Gli anni '1960 sono stati contrassegnati da proposte di cambiamento – e loro stessi erano un'espressione di cambiamento. Riforme e rivoluzioni erano all'ordine del giorno. Nella politica, nella società, nel costume, nell'economia. Si tratta di meditare sulle questioni in gioco, sulle controversie e, in particolare, sui paradigmi di cambiamento sociale che hanno suscitato consensi, resistenze e manifestazioni favorevoli e contrarie.

In questo calderone, è interessante riflettere sulla tradizionale diade sinistra-destra[Xiii]. Tradizionalmente, la prima – la sinistra – era responsabile di lottare per il cambiamento, dal punto di vista dell'uguaglianza sociale, mentre la destra, sempre conservatrice, era responsabile di incarnare il ruolo delle concezioni antiriformiste e naturalizzate delle disuguaglianze sociali. Nel quadro della rivoluzione scientifico-tecnologica e dei movimenti degli anni Sessanta, senza perdere tutto il suo valore operativo ed esplicativo, la diade non sarebbe più in grado di affrontare la complessità delle questioni in gioco e dei movimenti delle forze politiche.

Infatti, nella difesa dell'Ordine e delle tradizioni, si potrebbero trovare forze di destra e di sinistra. Chiamiamole forze fredde o tradizionali[Xiv].

I più noti erano senza dubbio il diritto che si potrebbe definire passato o arcaico. Sono le forze reazionarie nel senso proprio della parola, le forze fredde per eccellenza. Si esasperarono di fronte ai movimenti del '1968, soprattutto in relazione alle proposte di rivoluzione dei costumi. Credevano in valori che venivano profondamente messi in discussione. Temevano per l'esistenza di una società fatiscente. Potevano sentire il terreno che stavano calpestando sciogliersi. Senza bussola, vagavano senza guida nel tumulto delle proteste. Era oltre ogni immaginazione, non poteva essere tollerato. Hanno combattuto con l'ultima energia il “pasticcio” proposto dalle alternative venute alla luce negli anni '1960.

Ecco perché queste forze odiano ancora oggi l'anno 1968. Nelle celebrazioni dell'anno, queste persone non si fanno vedere, vogliono solo dimenticare.

Tuttavia, probabilmente perché si trattava di forze fredde nell'ambito degli scontri combattuti, nell'ambito di un anno caldo, e vincenti, non attirando la simpatia che di solito suscitano gli sconfitti, soprattutto quando sono definitivamente sconfitti, tali proposte non sono state studiate con l'importanza meritata.

Finché i suoi fondamenti sociali e storici non saranno sufficientemente dimostrati, l'anno rimarrà relativamente frainteso, perché le sue azioni e reazioni determinarono in gran parte le sconfitte di coloro che intendevano cambiare il mondo.[Xv].

A sinistra, però, sono apparse anche forze che difendevano la tradizione e l'ordine, combattendo per mantenere le loro posizioni e mantenere situazioni che davano loro prestigio e forza.

Nel mondo capitalista erano sinistre fredde e tradizionali e, con poche eccezioni, il movimento comunista internazionale, nelle sue diverse tendenze e, anche nei suoi diversi volti, la socialdemocrazia internazionale. In America Latina, il tradizionale movimento nazionalista si solleverebbe anche contro la marea crescente di proposte di cambiamento e nuovi metodi di lotta, che non impedirebbero ai settori minoritari di unirsi alla guerriglia urbana e rurale.[Xvi].

Comunisti, socialisti e nazionalisti, in Europa e in America Latina, immaginandosi direzioni/avanguardie politiche, furono sorpresi dall'irruzione e dalla dinamica dei movimenti. Raccogliendo chip, sono corsi dietro, cercando di mantenere lo slancio o/e incanalarlo, o/e controllarlo. A seconda delle circostanze, hanno anche svolto un ruolo, quasi sempre moderatore nei confronti di proposte e passioni, caratterizzate come di sinistra, settarie, folli. Non senza ragione, tirarono un sospiro di sollievo quando le onde d'urto tendevano a diminuire. Emblematico, da questo punto di vista, sarebbe l'atteggiamento dei socialisti e comunisti francesi che, nel maggio-giugno 1968, si prodigarono per incanalare i movimenti verso i canali istituzionali, moderandoli e neutralizzandoli.

Gli attuali regimi socialisti erano situati allo stesso modo. La repressione scatenata contro la “Primavera di Praga” è la migliore testimonianza del comportamento freddo e conservatore di questi regimi. Temevano il contagio delle proposte riformiste e le reprimevano con la violenza. In Cecoslovacchia, la cui “Primavera” iniziò nel gennaio del 1968, il processo di democratizzazione fu di breve durata: in agosto le truppe del Patto di Varsavia, guidate dall'Unione Sovietica, invasero il piccolo Paese e misero fine a un'esperienza che, sebbene iniziata alle al vertice, si estendeva a tutta la società, mobilitando le persone, facendole proporre e costruire forme autonome di organizzazione politica e sociale. Un'occasione storica mancata, con profonde conseguenze a lungo termine. Va notato che l'invasione sovietica meritava l'elogio di Fidel Castro e anche l'appoggio, o silenzio, degli altri stati socialisti. Sostegno e omissione condivisi dai partiti comunisti di tutto il mondo, con la notevole eccezione del Partito Comunista Italiano.

In Polonia e in altri stati socialisti, e anche in Unione Sovietica, ovunque si trovassero, gruppi di dissidenti furono ugualmente attaccati, anche se le loro proposte si limitavano a una timida difesa dei diritti umani.

In Cina, dopo qualche esitazione, e spaventati dalle tendenze antiautoritarie dei movimenti ribelli che hanno sciolto le strutture dei partiti e bruciato gli archivi della polizia politica (Comune di Shanghai), hanno cercato di incanalare le proteste e le domande verso il letto di riorganizzazione del Partito Comunista e il culto della personalità di Mao Dze-Dong. Dove ciò non era possibile, hanno represso con la violenza, liquidando i tentativi rivoluzionari come “di sinistra” e “complici dei nemici capitalisti”.

Da allora, sinistre così fredde continuano a presentare i movimenti del 1968 come una febbre insignificante, un incidente di percorso, qualcosa da cancellare dalla carta geografica e dal calendario.

 

4.

Tra tendenze favorevoli al cambiamento, forze calde, il quadro non sarebbe meno vario e complesso. Per tutti gli anni Sessanta alcuni hanno teso ad ancorarsi al passato, mentre altri hanno saputo aprire orizzonti e prospettive per il futuro.

Si tratta di una questione fondamentale, che non è stata affrontata in modo approfondito o con le dovute riserve. I movimenti che si sono scatenati erano estremamente diversi. Si sono verificati contemporaneamente, a volte negli stessi spazi, sono stati ispirati da diversi paradigmi di cambiamento sociale, con diverse proposte, caratteristiche e dinamiche interne.

In primo luogo, sarebbe necessario tornare alla considerazione della guerra in Vietnam.

Per qualsiasi osservatore, anche il più distratto, sarebbe impossibile negare la centralità delle lotte rivoluzionarie di liberazione nazionale, tra cui, in un posto di rilievo, la guerra popolare in Vietnam.

Era su tutte le notizie e sui media, sui cartelloni pubblicitari, ad ogni marcia. La guerra è entrata letteralmente nella vita quotidiana di tutti. Quindi, era molto difficile dire indifferente. O se era a favore dell'intervento armato statunitense, o se era a favore della lotta di liberazione nazionale vietnamita. Una formidabile polarizzazione.

Negli Stati Uniti, in particolare, la questione del Vietnam è stata decisiva per articolare e scatenare movimenti sociali contro la guerra. I giovani, e in particolare i giovani uomini di colore, iniziarono a dare voce alle loro voci di protesta.[Xvii].

Dopo l'offensiva del Tet, nel gennaio/febbraio 1968, che dimostrò l'impossibilità di una vittoria militare statunitense, le manifestazioni contro la guerra acquistarono dinamismo. Il presidente americano Lindon Johnson fu poi costretto a rinunciare alla rielezione, aprendo quasi subito i negoziati di pace a Parigi (maggio 1968). I rivoluzionari non avevano ancora vinto la guerra, cosa che sarebbe avvenuta solo nel 1975, ma gli Stati Uniti l'avevano già persa.

La guerra in Vietnam merita di essere evidenziata non solo per gli intensi combattimenti che furono combattuti in quella regione del mondo e per la polarizzazione che provocò, né per gli effetti che produsse, soprattutto, come già accennato, negli USA.

Era anche tipico dell'insieme dei movimenti nazionalisti rivoluzionari che si erano dispiegati nel mondo dalla fine della seconda guerra mondiale, specialmente quelli con finalità socialiste o socializzanti. E, cosa più importante, ai nostri fini, tipica di un certo paradigma di mutamento sociale, ereditato dalle rivoluzioni russe – la rivoluzione catastrofica, intrapresa attraverso insurrezioni e/o guerre apocalittiche, mirante a impadronirsi del potere dello Stato per, attraverso di esso , per realizzare profonde riforme sociali, economiche e culturali, tra cui la costruzione del cosiddetto Uomo Nuovo[Xviii]. In questo senso, la guerra rivoluzionaria vietnamita si svolge sulla scia e nel contesto delle vittoriose rivoluzioni cinese (1949), cubana (1959) e algerina (1962). In Asia e in Africa in particolare, ma anche nelle terre di La nostra America, molteplici movimenti hanno messo in discussione la preponderanza delle potenze europee e degli USA che, in molti momenti e luoghi, hanno cercato di sostituirli, pur esercitando altre forme di dominio. I vecchi imperi coloniali, considerati fino a poco tempo fa inespugnabili, stavano crollando. Le politiche neocoloniali e la dipendenza in tutte le sue forme furono messe in discussione.

In questo approccio, anche la lotta dei vietnamiti è stata emblematica, perché inserita nella corrente nazionalista più radicale, impegnata nella costruzione di progetti per rivoluzionare le società a tutti i livelli. Non volevano solo la libertà, volevano la liberazione, quest'ultimo termine acquistando una connotazione rivoluzionaria nel senso dell'associazione proposta tra l'indipendenza nazionale e la costruzione del socialismo nel quadro delle dittature politiche rivoluzionarie.

Vietnam in Asia, Cuba nelle Americhe e Algeria in Africa. Tre rivoluzioni vittoriose, attraverso guerre catastrofiche. Piccoli popoli che avevano combattuto con le armi in mano contro le grandi potenze del mondo di allora. E avevano vinto, costruendo dittature politiche rivoluzionarie. Non ci sarebbe stato un modo per indicare che valeva la pena essere audaci? Anche se già apparivano cupi segnali di sconfitta (il golpe che rovesciò Ben Bella, nel 1965; la morte di Che Guevara, nel 1967), non sempre, per inciso, adeguatamente valutati?

Queste lotte sembravano aprire ampi orizzonti per il futuro. I tentativi di formare organizzazioni rivoluzionarie internazionali, come l'Organizzazione di Solidarietà dei Popoli dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina (OSPAAAL), nel 1966, e l'Organizzazione di Solidarietà Latinoamericana (OLAS), nel 1967, per rendere possibile l'articolazione di le lotte rivoluzionarie nei tre continenti sembravano, quindi, promettenti[Xix]. Ma non è stato così.

La rivoluzione vietnamita, pur vittoriosa nel 1975, non ha aperto, con essa, alcun nuovo ciclo rivoluzionario, secondo i canoni che le erano propri, come nel caso delle rivoluzioni cubana e algerina.

Contrariamente a quanto si immaginava negli anni Sessanta, queste vittorie, invece di aprire, hanno chiuso un grande ciclo, quello delle rivoluzioni catastrofiche. Le grandi trasformazioni a venire non avverranno più secondo gli standard stabiliti nel 1960.

La situazione attuale di queste tre società lo dimostra. Molto si può dire che il fatto fosse dovuto all'isolamento in cui rimasero, ostacolati da circostanze ostili. Ma bisognerà anche considerare le implicazioni dei processi bellici, da cui sono emerse queste vittoriose rivoluzioni e la qualità delle loro proposte. Per non parlare delle dittature rivoluzionarie, comuni a tutte e tre, con i loro Stati ipertrofici, i partiti unici, il predominio dei capi militari, la persecuzione implacabile di ogni tipo di opposizione politica[Xx].

Così, il nazionalismo rivoluzionario degli anni '1960 e '1970, che allora sembrava così promettente, perse molto rapidamente la sua capacità di seduzione politica e di mobilitazione sociale. Apparentemente innovativo all'epoca, aveva più ancore nel passato di quanto si potesse immaginare. Ed è nel passato che si sono annidate queste rivoluzioni di liberazione nazionale, senza aprire prospettive per il futuro.

 

5.

Mentre tali paradigmi di mutamento sociale, fino ad allora egemonici, tendevano ad “invecchiare”, altri, al contrario, pur essendo già esistenti, acquistavano forza e tendevano ad affermarsi. Si sono distinti, in molti momenti e luoghi, nel quadro di alternative radicali di costruzione democratica. Criticavano contemporaneamente i limiti del liberalismo democratico e l'autoritarismo della sinistra fredda e conservatrice. Hanno ripudiato le tradizionali routine del liberalismo democratico, incentrate quasi esclusivamente su calendari e giochi politico-istituzionali dove il cretinismo parlamentare finisce per prevalere, nonostante le buone intenzioni.

Arene chiuse, dibattiti prevedibili, estrema moderazione di intenti, senso corporativista della classe politica mal definita, distanza insormontabile tra rappresentanti e rappresentati, allontanando i primi dai secondi, che vengono consultati solo in tempo elettorale. La democrazia rappresentativa in senso stretto, sostenuta da partiti e sindacati, pur essendo il prodotto di grandi lotte sociali a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, era già storicamente minata in quanto espressione di un mondo in declino. Gli anni '1960 e '1970 hanno visto un lento processo di erosione di questo modello di democrazia, la cui crisi è stata evidenziata dalle masse sempre crescenti di voti bianchi, nulli e astenuti. Soprattutto tra i giovani, c'è un disincanto quasi universale nei confronti delle tradizioni della democrazia rappresentativa, sfidata a reinventarsi se vuole sopravvivere.

È in questo senso che hanno funzionato i movimenti di rinnovamento degli anni '1960 e questo è diventato evidente sia nel mondo capitalista che in quello socialista.

Proposte democratiche radicali, alternative, sono emerse in Europa, negli Stati Uniti e persino in Brasile, soprattutto negli ambienti studenteschi, ma anche, a seconda dei casi, formulate da lavoratori in lotta, come a volte è accaduto in Francia, Italia e Cina. Cosa ha unito questi esperimenti democratici condotti a latitudini così diverse?

La bella idea dell'autonomia dei movimenti sociali rispetto allo Stato e ai partiti. Critica radicale alle distanze che si creavano tra leader e guidati, tra rappresentanti e rappresentati. Forme partecipative di democrazia. Istituzioni di controllo sui rappresentanti e sulle élite dominanti. Una profonda sfiducia nella delega dei poteri. Il desiderio, che sembrava immenso, di prendere in mano i freni del proprio destino. Direttamente. Nessun intermediario.

Prove, non più che prove, ancora prive di inventari rigorosi. Esperienze sconfitte, ma non eliminate dalla storia. Se anche nel passato avevano dei riferimenti, ciò che li contraddistingue sono le promesse del futuro, ed è per questo che sono emersi ogni volta che le contraddizioni sociali si sono acuite e le persone sono tornate interessate alla Res Publica e alle sorti della Città.

Tali critiche apparivano anche al modello di quello che sarebbe stato chiamato, anni dopo, il socialismo realmente esistente. Detti dittature del proletariato, questi regimi, sebbene rivoluzionari, di proletari non avevano nulla. Erano, nel migliore dei casi, dittature a partito unico, nel peggiore, cosa che sfortunatamente non era così rara, dittature di leader carismatici e delle loro nuvole di aderenti. Sostenuti dal popolo per le riforme sociali ed economiche che avevano saputo intraprendere, modellarono istituzioni libertiche, trasformando gli oppositori in dissidenti, ai quali erano riservati esilio, carceri e manicomi.

Incorporando queste critiche, due casi sono diventati emblematici: la Primavera di Praga ei primi movimenti della rivoluzione culturale in Cina.

In Cecoslovacchia, come accennato, si trattava di riformare il modello sovietico fino ad allora prevalso, basato sulla centralizzazione del potere e la nazionalizzazione dell'economia, la repressione politica e l'uniformità ideologica, sostituendolo con una società socialista democratica e plurale.

In Cina, nell'ambito della rivoluzione culturale, i movimenti sociali sono sfuggiti al controllo del Partito Comunista e hanno costruito, in certi periodi (Comune di Shanghai), forme organizzative innovative, basate sui principi della democrazia partecipativa e che hanno recuperato, in tempi diversi, riferimenti avanzati da parte di pensatori favorevoli alla democrazia diretta. Per non parlare della feroce critica alle tradizioni di dominio verticale e incontrollato, presenti nell'antica Cina e mantenute dal Partito comunista, con altre sembianze, ma caratteristiche simili, dopo il trionfo della rivoluzione del 1949.

Ancora poco studiati, questi movimenti, dopo aver annullato la preponderanza del Pci in molte città, non furono però capaci di costruire solide alternative. Al contrario, si sono persi in processi (auto)distruttivi che hanno finito per fornire le condizioni per la restaurazione dell'Ordine rivoluzionario dittatoriale.

Così, le proposte democratiche radicali intendevano costruire, simultaneamente, alternative al liberalismo democratico e alle dittature rivoluzionarie. Autonomia, partecipazione e controllo erano i suoi principali motti. Sfide di difficile costruzione e realizzazione, impegnative tempi di maturazione storica.

In misura diversa, i cosiddetti “nuovi movimenti sociali” degli anni Sessanta hanno recuperato questi riferimenti.

Come tutto ciò che compare nella Storia, avevano radici nel passato, ma comparvero con insolita forza nel 1968 e non usciranno di scena nei decenni successivi. Principalmente negli USA, ma anche nell'Europa occidentale, e un po' ovunque, tali movimenti si articolavano attorno a programmi specifici, riferiti al loro particolare inserimento nella società, per aspetti propri, che li differenziavano da gruppi più ampi.

Così, tra gli altri, donne e movimenti femministi, la seconda metà del paradiso, secondo la poetica metafora cinese. Neri, chicanos e nativi americani. I movimenti gay. Dapprima chiamate “minoranze”, termine non sempre adeguato, hanno messo in discussione vecchi programmi e modi di fare politica e sono rimaste per qualche tempo (o molto tempo, a seconda delle condizioni di tempo e di luogo) incomprese e/o ostili di diritto. ala e organizzazioni politiche sinistra.

La destra all'antica li odiava per la natura audace delle loro affermazioni. Semplicemente non ammetterebbero di considerarli. Tuttavia, i diritti di modernizzazione, di cui parleremo in seguito, erano disposti, in misura non trascurabile, a incorporare aspetti importanti dei programmi avanzati da donne, neri e gay, tra gli altri. Il fenomeno non fece che intensificare i pregiudizi e le resistenze della sinistra tradizionale che li accusava di essere divisivi, poiché tali movimenti favorivano programmi che sembravano loro troppo particolaristici.

Nonostante le contraddizioni, i nuovi movimenti si affermano come prospettive per il futuro. Hanno tratto la loro forza da affermazioni molto concrete che riguardavano la vita quotidiana delle persone. Per questo si sono diffusi nel mondo, acquistando forza e ampiezza, realizzando, in alcuni luoghi, una parte considerevole dei loro programmi e rimodellando sostanzialmente la società contemporanea. Hanno conquistato un posto al sole e non l'avrebbero mai perso, trascinandosi a destra ea sinistra al seguito e diventando attori di prim'ordine nel gioco politico attuale.

Infine, ma non meno importanti, bisognerebbe citare anche le proposte di rivoluzioni dei costumi e dei comportamenti quotidiani. Intimamente associati ai nuovi movimenti sociali, ma dotati di una propria autonomia, tali riferimenti hanno anche contribuito a modificare le tendenze e le caratteristiche delle società contemporanee.

Mettere in discussione le rigide gerarchie che scandivano le relazioni sociali a tutti i livelli; l'ambizione di fornire un minimo di coerenza nel rapporto tra pubblico e privato; tra teoria e pratica; tra parola e azione. Critica delle nozioni consolidate di rappresentazione. La messa in discussione dell'importanza decisiva del potere politico centrale a favore di un nuovo accento su mutamenti apparentemente piccoli, molecolari, ma senza i quali, come verificato nell'analisi del socialismo realmente esistente, le grandiose utopie non valevano, ecco, perdevano sostanza nella stessa misura in cui erano incapaci di trasformare la vita immediata delle persone. Come se il qui e ora meritasse di prevalere su un futuro annunciato come glorioso, ma così lontano da diventare intoccabile dalle persone comuni nella loro vita attuale.

Le proposte rivoluzionarie per cambiare i costumi non furono pienamente realizzate. Lontano da esso. Ma hanno fatto notevoli progressi. E soprattutto: la forza bruta della reazione (destra e sinistra) non è riuscita a eliminarli dalla scena politica. In effetti, è evidente come si siano stabiliti nell'agenda dei dibattiti politici nelle società contemporanee.

Tutte queste forze desiderose di cambiamento – calde – non si farebbero più guidare dai riferimenti e dai paradigmi delle rivoluzioni russe – la presa violenta del potere centrale come condizione per la realizzazione dei cambiamenti rivoluzionari – ma concepirebbero questi ultimi come possibili da realizzare attraverso cambiamenti/rivoluzioni molecolari, per cambiare le coscienze e per la progressiva conquista dei diritti.

Nelle sue prospettive, ancora provvisorie, le rotture verso una società alternativa potrebbero – e dovrebbero – avvenire gradualmente, diluendo i presunti muri tra riforme e rivoluzione[Xxi]. Sebbene molti fossero dichiaratamente pacifisti, il ricorso alla violenza non sarebbe stato radicalmente scartato da tutti, ma se considerato, lo usarono come una risorsa. in extremis, provvisoria, e non come chiave fondamentale per aprire le porte del futuro.

In una visita ad Harlem nel 2006, Fidel Castro ha riconosciuto, nelle sue stesse parole, l'emergere e la forza di un nuovo paradigma di cambiamento sociale. Poi ha detto: “Un nuovo movimento di massa si sta formando con una forza tremenda. Non sarà più la vecchia tattica, lo stile bolscevico. Nemmeno il nostro stile. Perché è un altro mondo, diverso. Stiamo passando da una fase in cui le armi potrebbero risolvere l'altra fase in cui la coscienza delle masse, i bisogni della storia e delle idee, sono ciò che farà cambiare il mondo”.[Xxii]

 

6.

Nella presentazione dell'insieme delle forze calde degli anni Sessanta, però, si parlerebbe ancora di una forza non sempre adeguatamente considerata o valutata: vogliamo fare riferimento alla destra modernizzante, liberale.[Xxiii] Erano flessibili e vedevano i cambiamenti con sfumature. Perché sintonizzati, per proprio interesse o per condivisione di valori, su ciò che era essenziale nella rivoluzione scientifica e tecnologica in corso, si sarebbero mostrati, in futuro, più aperti a certe, e importanti, trasformazioni in termini di economia, politica, costume e costumi.comportamenti[Xxiv]. Tuttavia, contro i disordini immediati, nel 1968 stesso, era comune per queste forze stringere alleanze provvisorie con la destra fredda, del passato e arcaica, e anche con la sinistra conservatrice, anch'essa fredda, come nel caso emblematico di maggio-giugno francese, già considerato. Si trattava, in quel momento, di alzare una diga contro l'ondata crescente di domande all'Ordine e di superare i pericoli che si andavano accumulando. Si può dunque affermare, senza voler formulare ingiustificate fusioni, anzi, segnando le differenze di motivazioni e di intenti, che la destra (pastista e modernizzante) e la sinistra tradizionale, in non pochi momenti, si sono date la mano nella contesa o nella canalizzazione istituzionale dei movimenti del 1968.

Tuttavia, è importante sottolineare che la destra modernizzatrice, al potere o meno, negli anni successivi ha recepito molte delle istanze poste dalle sfide presentate negli anni Sessanta.

Altro aspetto da evidenziare, per evitare semplificazioni, è che, nel flusso straordinariamente complesso dei movimenti e delle lotte sociali e politiche dell'epoca, i diversi paradigmi descritti potevano apparire intrecciati. Per chi visiti l'epoca, attraverso opportuna documentazione, film e canzoni, le varie forme mediali, sarà comune trovare, mescolati, intrecciati, riferimenti ai paradigmi delle rivoluzioni catastrofiche e violente, da un lato, e, dall'altro, altre, quelle delle rivoluzioni molecolari, basate sul cambiamento delle coscienze e sulla conquista progressiva – e democratica – dei diritti.

Così, la solidarietà con la guerra del Vietnam e la saga di Che Guevara (processi identificati con i modelli proposti dalle rivoluzioni russe) è stata spesso manifestata da movimenti studenteschi, democratici, femministi, la cui portata era però radicalmente diversa. Allo stesso modo, il gruppo delle Black Panthers, sostenitori dell'autodifesa armata, non ha nascosto la propria ammirazione per Martin Luther King, impegnato in un altro tipo di lotta, quella della conquista pacifica dei diritti civili e politici. Nella solidarietà non c'era esattamente identità di intenti, ma condivisione dello stesso rifiuto dell'oppressione e dello sfruttamento risentito in quanto inaccettabili da tutti. Erano forze calde, dovute a cambiamenti, ma sotto coordinate e concezioni diverse.

 

7.

Sempre per rendere il quadro più complesso, poiché la vita e la storia sono sempre complesse, sarebbe importante considerare le forze del freddo e del caldo, oltre a uno schema binario e semplicistico. Due esempi, tra gli altri: ci sono state forze fredde, in certi momenti, che si sono dimostrate capaci di incorporare i cambiamenti, almeno in termini propagandistici (l'appoggio dei partiti comunisti ai movimenti di liberazione nazionale o/e la guerra del Vietnam); c'erano forze calde che si alleavano alla difesa dell'Ordine, in certe situazioni (liberali francesi alleati con la destra conservatrice per contenere il flusso dei movimenti francesi di maggio-giugno).

Pertanto, la proposta della diade forze caldo-freddo va presa come riferimento per comprendere i processi storici nel loro insieme e non per formulare schemi che, presi rigidamente, sarebbero incapaci di comprendere il ricco e contraddittorio fluire degli eventi.[Xxv].

Considerato in queste molteplici dimensioni e proposte, è chiaro che gli anni Sessanta, e in particolare il 1960, nonostante i cinquant'anni trascorsi, sfidano ancora i contemporanei, esigono inventari critici, sollevano interrogativi. È necessario studiare la forza di coloro che hanno vinto.

La vecchia destra, reazionaria nel senso letterale del termine, rifiuta di andarsene e si presenta ancora sulla scena politica con i suoi risentimenti atavici, cercando di trattenere e impedire ciò che cambia, ciò che si rinnova. Basta guardare all'amministrazione Trump e ai suoi intimi nemici dello Stato islamico per vedere la forza di chi ancora prova solo nausea nei confronti dei fenomeni della modernità. Sfortunatamente, attirano poca ricerca accademica, il che è deplorevole, perché sono forze ancora presenti ed estremamente pericolose.

Anche i diritti moderni meriterebbero maggiore attenzione. Hanno vinto nel 1968 e hanno mostrato una notevole capacità di adattamento, anche dal punto di vista dell'incorporazione di aspetti importanti delle proposte dei nuovi movimenti sociali e di quelli impegnati nella rivoluzione dei costumi e dei comportamenti. Raggruppati attorno a programmi neoliberisti, partigiani della globalizzazione outrance, prescindendo dai valori di uguaglianza e solidarietà, la sua egemonia e il suo dominio costituiscono, senza dubbio, il principale ostacolo opposto a eventuali proposte impegnate nella costruzione di un mondo democratico, libero e informato dai valori della giustizia sociale e del socialismo .

Le sinistre tradizionali sono ancora presenti anche sulla scena internazionale, in particolare attraverso la socialdemocrazia nell'Europa occidentale e centrale, dove si sono maggiormente consolidate nel corso del XX secolo. Ma non fanno altro che resistere, cosa non da poco nella situazione attuale, pur essendo incapaci di presentare alternative future, il che non significa che rimarrebbero sempre insensibili ai cambiamenti. Lo stesso si può dire dei resti dei movimenti comunisti del ventesimo secolo. Governano ancora Stati (Cina, Vietnam, Cuba, Corea del Nord) e organizzano in alcuni luoghi partiti relativamente forti, ma si nutrono più delle glorie del passato che della capacità di formulare seducenti proposte per il futuro.

Rimangono le altre proposte rivoluzionarie entrate in vigore nel 1968. Nell'immediato sono state indubbiamente sconfitte, ma non eliminate, anzi sono rimaste vive, riaffiorando, come parlava la vecchia Mole Marx, ogni volta che processi di messa in discussione dell'Ordine sono ricostituiti. . Non sono catastrofisti, ma le loro proposte di mutamenti molecolari e parziali non escludono rotture, proponendo nuove sintesi, riformatori rivoluzionari.

Basta verificare gli effettivi progressi della rivoluzione molecolare delle donne, la (ri)valutazione e le innegabili conquiste dei movimenti etnico-nazionali, la progressiva diffusione del programma favorevole alle libertà sul piano comportamentale, come, ad esempio, la libertà di scelta sessuale, già sancita e tutelata legalmente in molti Stati. È anche possibile stabilire legami di continuità tra i movimenti del 1968 e quelli che portarono alla disgregazione dell'Unione Sovietica, per non parlare delle manifestazioni di piazza Tiananmen a Pechino nel 1989, delle marce anti-globalizzazione iniziate nel 1999, del movimenti autonomi dei popoli indigeni dell'America andina, le innovative guerriglie del Chiapas, gli scontri di Oaxaca, in Messico, le proposte di alcuni segmenti dell'ondata rivoluzionaria nazionalista nell'America andina e, non ultimi, i movimenti democratici che hanno recentemente agitato il mondo arabo mondo (la “primavera” araba).

Si tratta di considerare queste proposte. Cosa hanno proposto e hanno proposto. Cosa hanno fatto e stanno facendo. Cosa è stato perso, cosa è stato guadagnato. Ciò che resta, ciò che rimane. In che misura sono stati recuperati da tendenze conservatrici. Le sue debolezze, visibili nella frammentazione delle sue lotte. Le sue sfide, soprattutto la necessità di articolazione tra i diversi movimenti particolari. I suoi aspetti forti, radicati negli interessi quotidiani, che non vogliono essere disattesi in nome di utopie epiche che non si realizzano mai, e che anzi trovano conferma nella misura in cui hanno saputo cambiare le società. Quali sintesi devono ancora essere raggiunte per riscattare, superare, esperienze che sono state importanti, ma che devono essere rielaborate per continuare ad aprire prospettive per il futuro.

In questo complesso contesto, le commemorazioni del 1968, nel senso proprio del termine – ricordare insieme – non hanno bisogno di celebrazioni, ma di dibattiti, valutazioni e inventari su questi temi, preferibilmente controversi. Se servono a questo scopo, avranno impedito, come vogliono alcuni arditi, la cancellazione della memoria. E avranno offerto, in onore delle lotte combattute, un contributo valido, in linea con quanto meritano.

*Daniel Aaron Reis è professore ordinario di Storia Contemporanea all'Università Federale Fluminense (UFF). Autore, tra gli altri libri, di La rivoluzione che ha cambiato il mondo – Russia, 1917 (Compagnia di lettere).

Riferimenti


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note:


[I] Cfr. T. Blanchette e R. Barreto (2018); A.Kaspi (1988); P.Berman (1988); B.Burrough (2015)

[Ii] Tra i neri spiccano le Pantere Nere ei musulmani radicali, anche se nella maggior parte dei casi hanno usato la forza armata solo per autodifesa.Cfr. T. Blanchette e R. Barreto, op. cit.. Tra gli studenti, i Weathermen combatterono direttamente contro il potere politico. Cfr. RF di Sousa (2009)

[Iii] Il termine è usato solo per facilitare la comunicazione, in quanto è noto che non copre la complessità etnico-razziale del sub-continente che comprende, oltre a popoli autoctoni e popoli di discendenza latina, popolazioni provenienti dall'Africa, dall'Europa non latina e dell'Asia.

[Iv] Per il Messico cfr. L. Gonçalves (2018), HG Cantera (2017) e E. Poniatowska (1971); per il Brasile, cfr. D. Aarão Reis (2008); per l'Argentina, cfr. J. Brennan (1993) e JC Cena (2000)

[V] Per la rivoluzione cubana, cfr. R. Gott (2006) e D. Aarão Reis (2010). Per la saga del Che e dei guerriglieri latinoamericani, cfr. JL Anderson (1997), M. Lowy (1999), Benigno (1996) e F. Tavares (2017)

[Vi] Per la Polonia cfr. G. Visone (2008). Per la Cecoslovacchia, cfr. G.Bischoff (2009)

[Vii] Per la rivoluzione culturale cinese, cfr. Hongsheng Jiang (2014) e R. MacFarquhar (1997).

[Viii] Per la guerra del Vietnam, cfr. JH Willbanks (2007); S. Karnow (1983) e MA Lawrence (2014).

[Ix]Cfr., tra molti altri, M. Ridenti (2000 e 2018); Ph. Artières & M. Zancarini-Fournel (2015); P.Berman (1996); M. Margairaz e D. Tartakowsky (2010); A.Kaspi (1988); JF Sirinelli (2017) e P. Rotman (2008).

[X] Le rivoluzioni del 1848, a loro modo, furono anche le antesignane di processi allora appena delineati: la formazione del proletariato urbano; la crescita esponenziale dell'importanza delle città; l'unificazione nazionale di Italia e Germania; il rafforzamento dei nazionalismi in Europa e nel mondo. Tali processi, nonostante le sconfitte a breve termine delle rivoluzioni, come avvennero negli anni Sessanta, si affermarono, però, ridefiniti, nei decenni successivi. A titolo di curiosità, si noti che, dal punto di vista astrologico, esiste un'interessante coincidenza tra le “carte stellari” del 1960 e del 1848. Cf. Raquel A. Menezes: Cosa hanno detto le stelle, in D. Aarão Reis, op. cit., 1968, pp 2008-235.

[Xi] JF Sirinelli, op. cit., registra eventi di portata mondiale – l'assassinio di J. Kennedy (novembre 1963); la guerra del Vietnam (anni '1960), il primo grande conflitto pesantemente mediato; la morte di Che Guevara (ottobre 1967) e, culminando nel decennio, i passi del primo uomo sulla Luna, Neil Armstrong (luglio 1969), il cui discorso ispirato è stato rivolto a tutta l'umanità.

[Xii] Cfr. R. Koselleck, 2006 e F. Hartog, 2017. E H. Arendt, 2011. Devo queste osservazioni a Natasha Piedras, 2018.

[Xiii] Cfr. N. Bobbio (1996).

[Xiv]Il termine tradizionale non è usato qui con una connotazione negativa o peggiorativa, si riferisce solo al fatto che avevano la forza conferita da un riconosciuto passato di decenni. avuto di più Tradição, e il fatto può essere oggetto di misurazione oggettiva.

[Xv] I diritti passati o arcaicizzanti sono ancora presenti nelle attuali lotte politiche. Focolai religiosi ovunque, ancorati a concezioni religiose ultraconservatrici, movimenti razzisti e anti-cosmopoliti, contro la diversità culturale e il pluralismo, persone spiazzate ed emarginate dalla rivoluzione scientifico-tecnologica, e spesso disprezzate da forze che si considerano “progressiste”, l'elettorato cerca perché “salvatori della patria” e condottieri dalla “mano forte”, sono prove in tal senso.

[Xvi] A rigor di termini, lo stesso Fidel Castro e il Movimento Rivoluzionario del 26 luglio hanno aderito, fino alla presa del potere nel 1959, e anche poco dopo, al radicalismo di sinistra dei nazionalismi latinoamericani. Altri settori nazionalisti, in diversi paesi, incluso il Brasile, seguirebbero lo stesso corso. Vale la pena sottolineare la complessità dei movimenti nazionalisti con le loro diverse ali e volti: destra e sinistra: arcaici e moderni.

[Xvii]Martin Luther King, già nel 1967, avrebbe denunciato la guerra del Vietnam come un salasso per la vita dei giovani neri, uccisi lì in una proporzione molto più alta del peso demografico che avevano nella società americana.

[Xviii] Per le rivoluzioni russe, cfr. D. Aarão Reis (2017), M. Ferro (1967 e 2011) e M. Lewin (1985 e 2007).

[Xix] Entrambi gli incontri si sono svolti all'Avana. Dal 1957 era stata fondata al Cairo un'Organizzazione di Solidarietà dei Popoli dell'Asia e dell'Africa. Con la radicalizzazione della rivoluzione cubana e la leadership di settori più radicali, l'America Latina è stata integrata, formando, con OSPAAAL, un abbozzo di un'internazionale rivoluzionaria.

[Xx]Il caso di Cuba è emblematico. I leader politici civili divennero "comandanti", militarizzando il regime nel quadro della dittatura politica. Anche in Algeria, dal golpe del 1965, subentrerà Houari Boumediene, capo dell'esercito algerino.

[Xxi] Negli anni '1980, sulla base delle letture di A. Gramsci, Carlos Nelson Coutinho proporrà una sintesi tra i due termini in quello che chiamò riformismo rivoluzionario, formulazione molto vicina alle proposte che stiamo considerando. Cfr. NC Coutinho, 1980.

[Xxii]Vedere https://www.google.com/search?q=fidel+castro+voltando+ao+harlem&tbm=isch&tbo=u&source=univ&sa=X&ved=2ahUKEwj_zraQ1ffdAhWnpFkKHQrcD60Q7Al6BAgGEA0&biw=1280&bih=621. Estratto l'8 ottobre 2018.

[Xxiii] Cfr. M. Margairaz e D. Tartakowski, op. cit., 2010.

[Xxiv] Tra i tanti leader politici dell'epoca se ne possono evidenziare due: R. Kennedy, negli USA; e Valéry Giscard d'Estaing in Francia.

[Xxv] La convenienza di questa osservazione è stata proposta in discussione da Marcelo Ridenti.

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