da FERNÌ PESSOA RAMOS*
Considerazioni sulla critica cinematografica di Paulo Emilio Salles Gomes
1.
Paulo Emilio Salles Gomes, alla fine della sua carriera, ha reso omaggio al Cinema Novo, nonostante sia stato criticato per non aver assunto la sua parte di leadership. Tra i grandi critici degli anni Cinquanta, è stato lui a compiere con maggiore agilità il salto alla modernità degli anni Sessanta. Andando oltre, è riuscito ad approdare negli anni Settanta, affrontando frontalmente con i suoi strumenti critici la macchina delirante del cinema marginale (Sganzerla, Bressane, Tonacci, Rosemberg, Neville, Reichenbach, Jairo Ferreira e altri).
Ripensando al suo incontro con la generazione Cinemanovista (Glauber, Cacá, Joaquim Pedro, Hirszman, Saraceni, nel nucleo), forse è mancata effettivamente una critica più ampia del film che ha segnato la svolta del movimento e del cinema latinoamericani. Dio e il diavolo nella terra del sole1963, compiuta proprio nel momento in cui si occupava di giovani. È quello che sembrava naturale nel 1963/1964, anche se in quegli anni scrivevo già meno nel Supplemento letterario dello Stato di San Paolo, coinvolto con altri interessi.
Va notato, tuttavia, che Paulo Emilio era un critico in sintonia con i sospiri della nuova produzione fin dai suoi primi sguardi. Si distingue rispetto ad altri critici contemporanei, come Alex Viany, più pesante nel seguire la svolta e sfocato quando decide di unire anima e corpo. O anche la critica di Minas Gerais Rivista cinematografica (con l'eccezione di Mauricio Gomes Leite) che, con stupore del giovane Glauber quando passò per Minas, discuteva ancora dei dilemmi tra la sceneggiatura e il 'film specifico' (nella seconda fase di Rivista, la sintonia con il cinema giovane è più forte).
Paulo Emilio, evoluzione del 'maestro' Sussekind (come lo chiamava lui), riesce ad attraversare velocemente il ponte nel rapporto con il nuovo cinema (cosa non scontata), saltando tra le generazioni. È importante sottolineare il salto, poiché i critici con forti radici nella modernità degli anni Trenta tardarono a sintonizzarsi sull'ebollizione del grande momento del cinema brasiliano, che già dalla metà degli anni Cinquanta fermentava sulle tracce del realismo.
Di una generazione subito dopo il gruppo del Chaplin Club, Paulo Emilio fu, secondo la sua stessa testimonianza, portato al cinema dalle mani dell'amico Plinio Sussekind, nella Parigi dell'anteguerra. È notevole, quindi, la facilità con cui si libera dalle catene del cinema muto. Ciò avviene forse a causa di un altro soggiorno nella capitale francese, a partire dal 1946, quando entra in contatto con la critica realista del primo Cahiers del Cinema (fondata nell'aprile del 1951), in particolare André Bazin, che incontrò nuovamente in Brasile al Festival Internazionale di San Paolo del 1954, data che coincise con il suo definitivo ritorno nel Paese. È anche dal suo primo soggiorno parigino, e dal contatto con Henri Langlois, che ereditò (e portò qui, a metà degli anni Cinquanta) l'idea del cinema come arte degna di conservazione, canalizzando la sua innegabile capacità di articolazione nella creazione della Cineteca Brasiliana.
Quando irromperà Cinema Novo, Paulo Emilio sarà dunque al suo 'fronte' di critico maturo, con uno spazio di riflessione unico (per portata e ripercussione) in un quotidiano a larga diffusione nel Paese, la sezione culturale del settimanale. Supplemento letterario di O Estado de São Paulo, in cui scrisse tra l'ottobre 1956 e il dicembre 1965.
Mette il suo peso nel proteggere i giovani nella sua colonna, piegando le critiche in quella direzione (da qui il suo allontanamento da un altro critico di giornali, Rubem Biáfora), ricevendo rapidamente riconoscimenti dalla nuova generazione, incluso Glauber Rocha. Viene anche in parte da te, ancora influenzato dalla cinefilia francese e dal realismo baziniano (oltre all'estro cinematografico di George Sadoul), la riscoperta di Humberto Mauro (vedi Mauro e due altri Grandi nel "Il Cinema Brasiliano”, Silva Editore/1961, testo incentrato sull'opera di Humberto Mauro). Paulo Emilio (che poi, nel 1972, difenderà una tesi accademica sul regista[I]) è alla base del movimento che ha portato, culminando nel Rassegna critica del cinema brasiliano (libro del primo Glauber del 1963), a mettere sotto i riflettori il cineasta del Minas Gerais, e non Mario Peixoto, come predecessore nel pantheon del cinema brasiliano costruito dalla nuova generazione alla ricerca di parametri e radici.
Humberto Mauro colma in modo soddisfacente il divario tra il cinema muto, l'inizio del cinema sonoro negli anni Trenta, e il cinema della fine degli anni Cinquanta, ancora segnato dal realismo del dopoguerra, in cui si inserisce il primo Cinema Novo. Paulo Emilio ha avuto l'occhio per scoprire che il dimenticato Humberto Mauro, in fondo, aveva la forza motrice per svoltare una linea evolutiva.
Il suo 'maestro' Plinio Sussekind non riuscì a seguirlo con la stessa precisione, pur tenendosi in contatto, insieme a Otávio de Faria, con i primi passi compiuti dai giovani cineasti nella seconda metà degli anni Cinquanta (nell'attività di cineforum di Joaquim Pedro de Andrade e Paulo César Saraceni). Dall'iniziazione con Sussekind si respira ancora, nella prima recensione di Paulo Emilio, la ricerca dell'“assoluto” cinematografico della vecchia generazione nell'ineffabile sublime dell'immagine muta.
La vicinanza rivela anche il fascino che esercita su Paulo Emilio, come nella generazione di André Bazin (che è la sua), la figura e il cinema di Charles Chaplin, mito integrale delle massime potenzialità della nuova arte. È in questo campo che limite (1931/Mário Peixoto) nuota a grandi bracciate – e proprio per questo è lontano dagli impulsi estetici del primo Cinema Novo, quando acquistano una propria colorazione. “Tipico aborto di una cultura sottosviluppata”, così Glauber riesce a concludere il suo capitolo limite ("Il mito limite") In Rassegna critica del cinema brasiliano, dopo qualche considerazione più ponderata.[Ii]
La sensibilità di Salles Gomes con il suo tempo andrà però oltre il salto verso il realismo baziniano e l'incontro con Nelson Pereira dos Santos di Fiume 40º/1954 e Rio Zona Nord/1957, un salto che i loro maestri del Chaplin Club non fanno più. Il suo ultimo respiro critico appare sintetizzato in Cinema: trajetória non subdesenvolvimento (1973)[Iii] quando mescola un'analisi evolutiva della produzione cinematografica brasiliana del XX secolo, con lo “spostamento dell'asse della creatività” nel 1968, con “la crisi individuale che sostituisce quella sociale e permette ai quarantenni di sperimentare una nuova giovinezza”[Iv]. Avanza, quindi, attraverso il cinema post-sessantottesco, trovando gli strumenti per tracciare un percorso che lo porti vicino al Tropicalismo, avvicinandosi con agilità alla vena più forte che deriva dal Cinema Novo: quella che entra nel Cinema Marginale, attraverso l'estetica della spazzatura e esasperazione, nell'orbita dei poteri dionisiaci dell'abbronzatura/abiezione.
Già nei dibattiti dei primi anni Sessanta la partecipazione di Paulo Emilio fu intensa nell'atmosfera dell'epoca che diede origine alla nascita del Cinema Novo. Mantiene un dialogo creativo con diversi registi (e in particolare con Glauber Rocha). Queste attività a San Paolo all'epoca ruotavano attorno al gruppo riunito nell'embrione della Cinemateca Brasileira, in linea con le pretese dei giovani cineasti di Rio de Janeiro/Bahia. Critici come Paulo Emilio Salles Gomes, Almeida Salles, Rudá de Andrade, Jean-Claude Bernardet e Gustavo Dahl (che non era ancora regista) hanno sostenuto il cinema emergente nelle pagine del Supplemento letterario, aperto nella rubrica di Paulo Emilio e in altri media.
Oltre a tenere il Primo Convegno Nazionale di Critica Cinematografica, nel 1960, in cui fermentarono idee libere, Paulo Emilio fu anche coinvolto nell'Omaggio al Cinema Brasiliano, che ebbe luogo durante la Bienal de São Paulo del 1961. prima volta con maggiore evidenza , alla vigilia dello scoppio maturo della trilogia del 1963 (Vite secche/ Nelson Pereira dos Santos; i fucili/Ruy Guerra; Dio e diavolo nella terra del sole/Glauber) e anche alla vigilia del successo inaspettato (Palma d'Oro a Cannes) di Oswaldo Massaini e Anselmo Duarte con Il pagatore di promesse/1962 (film fuori dal gruppo cinemanovista).
Nelle memorie presenti nell'autobiografia di Paulo César Saraceni,[V] le accese discussioni di quell'Esposizione del 1961 (a cui partecipò anche Glauber) e soprattutto gli aspri dibattiti con il duo César Mêmolo e Carlos Alberto de Souza Barros, della vecchia generazione paulista che visse all'interno degli studi, rimasero impresse nella memoria dell'autore. Le testimonianze convergono sul fatto che l'Omaggio al cinema brasiliano si svolga sotto l'ombrello di Paulo Emilio (una figura di spicco che si preserva dalle discussioni più forti), costituendo una sorta di lancio ufficiale del Cinema Novo. È il definitivo riconoscimento pubblico del movimento, che comporta anche una più ristretta autodefinizione del gruppo.
Da quel momento è Una situazione coloniale? testo che segna la svolta della critica verso il cinema brasiliano e il nuovo clima che, nel 1960, si delinea all'orizzonte.[Vi] In precedenza, gli articoli più significativi di Paulo Emilio avevano un profilo enciclopedico, trattando retrospettive e autori classici del cinema mondiale.
A partire da Una situazione colonialel? trova la buona vena di puntare sul cinema nazionale. Stabilisce un quadro in cui l'arte del cinema in Brasile è finalmente in grado di dialogare organicamente con la produzione artistica del suo tempo e del suo paese, nello stesso modo in cui altre arti dialogano con critici della loro generazione come Antonio Candido o Décio de Prato Almeida. In Una situazione coloniale?/1960 inizia il percorso che porterà, dodici anni dopo, a Cinema: traiettoria nel sottosviluppo/1973, chiudendo la carriera critica e teorica di Paulo Emilio. È il momento in cui gli strumenti sono fuori dagli schemi, ma non hanno ancora l'utilità che la forma matura consentirà.
Em Una situazione coloniale? Paulo Emilio compone il ruolo del nazionale attraverso la brasiliana, radicandosi nei dilemmi della posizione di inferiorità dello spettatore/critico. È qualcosa che sorge in prossimità speculare di un sé fratturato che forma una cultura di inferiorità e risentimento arrogante. La vicinanza al sé è inevitabilmente scissa e ciò che si vuole evitare sorge, portando con sé il sentimento della vergogna. Salles Gomes stabilisce quindi le posizioni che focalizzeranno il suo pensiero.
La struttura centrale sta nella nuova attrazione che il cinema nazionale esercita su se stesso. L'affetto di questo incontro appare per la prima volta nel saggio definito come uno “stato di angoscia”. Uno “Stato” che verrà salvato di lì a poco dal Cinema Novo, ma il cui salvataggio non era previsto nel 1960. Una situazione coloniale? (inizialmente una “tesi” presentata al Primo Convegno Nazionale della Critica Cinematografica)[Vii] è intriso di sentimenti negativi e ha un forte sottofondo depressivo.
L'approccio economicista, già con segni di sviluppismo in tinte isebiane (le "ambizioni evolutive nel terreno artistico e industriale"[Viii]), fa il suo esordio nel pensiero di Paulo Emilio. Una situazione coloniale? segna, dunque, l'incontro del critico maturo con il cinema brasiliano, incontro già delineato, ma che sembra evitato da anni (almeno nell'intensità che ora si pone), vuoi per i lunghi soggiorni all'estero, vuoi per o l'effettiva mancanza di interesse continuativo. I dilemmi del cinema brasiliano, all'inizio e alla metà degli anni Cinquanta, non toccarono il socialista Paulo Emilio come fecero i partecipanti marginali all'avventura industriale (Alex Viany, Nelson Pereira e altri), che presero il realismo di sinistra, vicino al PCB, dopo i Congressi Cinematografici di inizio decennio.
La vicinanza di Paulo Emilio al cinema brasiliano di cui Una situazione coloniale? è testimonianza data nella forma e nell'intensità delle passioni che esplodono nella maturità. Alla scoperta, abbandonerà tutti gli altri amanti e avrà occhi solo per la ragazza prescelta. La corrispondenza è reciproca e ha anche un feed back. Il cinema brasiliano emerse effettivamente con un bagliore distintivo e, dal 1961 in poi, trovò in Paulo Emilio un uomo anziano (il 'quarantenne' della metà del Novecento) a braccia aperte ad accoglierlo.
La nuova passione chiede l'esclusività e lui non esiterà a concederla, anche perché la bellezza giovanile che emerge attira l'attenzione di tutti. La cosa più interessante – e che giustifica le successive lamentele del nuovo amante – è che Paulo Emilio finirà per abbandonarla, a metà dell'altare, al culmine del suo splendore, per scegliere la cugina povera, la respinta pornochanchada (o, appunto, il “cattivo film” nazionale), seguendone la scia fino a sfociare nelle esacerbazioni del Marginal Cinema.
Paulo Emilio è incostante e Glauber, a volte, sarà amareggiato su questo punto. accusarlo di Nuova Rivoluzione Cinematografica, di aver aderito all''intento udigrudista' (Cinema Marginal) e di non dare per scontato chi lo ha chiamato a guidare: “Paulo Emilio non può, come John Reed, criticare il fenomeno con cui convive e lo chiama a guidare. Rifiuta più volte la corona, lascia il gruppo senza il Comando Imperiale (...) e quando il tentativo udigrudista del 1968, sostiene gli insorti come se il nuovo cinema fosse il Politburo".[Ix] Quando il Cinema Novo e i giovani, che tanto aveva stimolato nel 1960/1961, si affermano definitivamente (oltre alla già citata trilogia del 1963, tutto il gruppo è molto coerente quando si tratta del lungometraggio: Leon Hirszman, Joaquim Pedro, Cacá Diegues , Paulo César Saraceni, Gustavo Dahl, Walter Lima Jr), Paulo Emilio si occuperà di problemi personali. Tra Brasilia e São Paulo, dà l'impressione di non essere così concentrato sulla critica cinematografica, o aperto ad entusiasmarsi per il clamoroso riconoscimento del cinema che, da pioniere, avevo previsto e su cui avevo scommesso.
Anche il progetto della Cinemateca continua ad assorbire il suo tempo e le sue preoccupazioni. Quando torna e si sofferma sull'argomento, siamo già alla fine degli anni Sessanta, primi anni Settanta, e il contesto è diverso. Oh'impulso' era passato e ancora una volta Paulo Emilio mostra la sua personalità radicale che accetta rotture e shock senza paura, qualcosa che porta fin dalla sua giovinezza. Ora trova terreno per mantenere la difficile posizione altrove. Il Cinema Novo lascia il primo piano e l'estetica del Cinema Marginal appare accanto. Naturalmente, l'enfasi data a Cinema: traiettoria nel sottosviluppo per la "nuova" generazione Marginal.
2.
Paulo Emilio accetta, nella maturità, in modo ricomposto, l'influenza della sensibilità estetica del suo primo maestro giovanile, Oswald de Andrade. Non è più il 'pidocchio rivoluzionario', termine coniato da Osvaldo per rispondere a una recensione scritta da Paulo Emilio. O ancora il 'puledro' che scalcia senza essere un cavallo da ferire, altra descrizione aggettivale di Oswald de Andrade che qualifica il giovane ribelle ("Osvaldo, felice, spiegò agli amici che la mia vitale forma di espressione era il calcio, ma che lì non è stato un errore, non era un cavallo, ma un puledro”[X]). Paulo Emilio sembra nutrire, con il progredire degli anni Sessanta, una rinnovata vicinanza a colui che chiamò il suo primo 'maestro' e poi si pose come 'discepolo'.
La nuova vicinanza è influenzata dalla rivalutazione del lavoro di Oswald nell'ondata della controcultura e del tropicalismo. Alla fine degli anni Sessanta, Salles Gomes segue i venti ideologici del momento, abbandonando progressivamente il realismo del dopoguerra e le illusioni evolutive del cinema industriale presenti in Una situazione coloniale? (ma che respiriamo ancora Traiettoria). Si incammina sempre più verso la nuova contemporaneità frammentata e libertaria, scoprendo che è possibile affermare la nazionalità al contrario dell'industria culturale e del cattivo cinema, purché ci siano abbastanza denti per una deglutizione creativa spinta da un appetito antropofagico. Forse è il movimento opposto a quello compiuto negli anni '1930, quando, secondo Décio de Almeida Prado, passò dalla vicinanza adolescenziale all'iconoclastia modernista (“C'era un solo criterio. Tutto ciò che mi sembrava moderno aveva valore”[Xi]) per il pensiero sociale che, in realtà, vi era compreso anche.
La postura oswaldiana che ritorna in Paulo Emilio alla fine della sua vita è quella del giovane puledro, ma ora il calcio non cerca di colpire la schiena del poeta modernista. Paulo Emilio, da puledro, faceva parte del gruppo dei 'chato-boys', definizione di Oswald per i giovani, poi sulla rivista Clima, che lo cercò alla fine degli anni '1930, vicino al pensiero accademico emerso nel progetto dell'Università di San Paolo. Era un Oswald de Andrade già legato al Partito Comunista, segnato dall'influenza delle lotte sociali degli anni '1930 e dal sorgere delle preoccupazioni sociali regionaliste, ma che aveva ancora un piede eccessivamente bloccato nel 1922, secondo l'occhio critico del “duro” Paolo Emilio .
È così che il suo amico Décio de Almeida Prado traccia la sua personalità Paulo Emilio da giovane: “i romanzieri del sofferente Nordest incarnavano per noi la vera modernità, ampia, generosa, vicina al popolo, consapevole delle proprie responsabilità sociali, senza le sestras e i manierismi formali del 1922, sepolti nel 1929 insieme all'euforia economica. Siamo negli anni '30, non '20, questo è il duro monito che Paulo Emilio fa a Osvaldo, sul quale pensava di avere il vantaggio della giovinezza (...)”.[Xii]
Décio si riferisce alla critica positiva di Paulo Emilio Il ragazzo Ricardo/1935, il romanzo sociale di José Lins do Rego, e la lettura opposta, a malincuore (e pronta alla 'tangente'), di L'uomo e il cavallo/1934. La recensione è intitolata Moleque Ricardo e l'Alleanza di Liberazione Nazionale e se ne andò nel 1935, quando fu pubblicato il libro di José Lins, nonostante la sua amicizia con Oswald de Andrade. Secondo Paulo Emilio nella sua recensione, L'uomo e il cavallo è pieno di “inutili oscenità” motivate “dall'eccitazione che provava Oswald de Andrade nel voler vedere la faccia che farebbero i borghesi sentendo tanti brutti nomi. Quello che è successo è che Oswald non è riuscito a vedere il volto né del borghese né del proletario.[Xiii]
L'uomo e il cavallo era il dramma che Osvaldo cercava di placare con diversi riferimenti alle sue letture marxiste, forzando, nel nuovo spirito dei tempi, il tono libertario accanto alla rivolta socialista, con allegorie “high fantasy”. La critica dell'ardito giovanotto (poco più di 18 anni) provoca la risposta umorale del poeta che contiene, tra le altre diatribe, l'epiteto “pidocchio della rivoluzione” sopra citato: “(…) vi spiego cos'è L'uomo e il cavallo” (Oswald scrive a Paulo Emilio), “è un dramma di alta fantasia in cui metto l'uomo in transizione – tra il cavallo della guerra e del territorio (società borghese) e la potenza del cavallo (società socialista). Per far scontrare i due mondi, faccio passare il professore nella stratosfera e cerco le persone più reazionarie nel vecchio paradiso delle vergini e di Pedro. Questa gente viene qui per trovare prima il Fascismo, poi la Rivoluzione e la Socializzazione”.[Xiv]
È quindi in questo sfondo che il giovane Paulo Emilio trova Oswald de Andrade già segnato dall'esaurimento del 1922 e dall'ascesa della preoccupazione sociale regionalista – ma ancora mordace, e fuori misura, con la sua frammentaria vena sarcastica.
Alla fine degli anni '1960, in un momento in cui una certa verve del 1922 tornava a pieno ritmo per il Tropicalismo, Paulo Emilio (da vecchio…) non ebbe difficoltà a sintonizzarsi con i tempi attuali. Attraverso la controcultura, oscillante tra godimento e orrore, la pulsione antropofagica viene incorporata nel secondo vento di Cinema Novo (da terra in trance a Macunaima; Il drago del male contro il santo guerriero; Brasile Anno 2000; Pindorama e altri), radicalizzandosi al massimo nel cinema marginale.
La stessa bufera si abbatte su Paulo Emilio e lui la assume con una radicalità che può sembrare strana a chi guardi il critico dall'esterno. Ora è un “anziano” e, in fin di vita, come il “quarantenne” che il 1968 gli permette di “vivere una nuova giovinezza”, come scrive in Traiettoria. Si risveglia la postura iconoclasta del giovane 'pidocchio rivoluzionario', di nuovo in sintonia con il suo tempo. Il che forse spiega il distacco che i cinemanovista (ad eccezione di Saraceni) manifestano con se stessi, a seguito della serie di attenti articoli che Paulo Emilio rivolge, nei primi anni Settanta, ai “giovanissimi” esponenti del cinema marginale.
Questa è la svolta in cui respiriamo all'orizzonte Cinema: traiettoria nel sottosviluppo e questo dà la personalità differenziale del test. È la difesa di una discrepanza: quella che fagocita l'intertestualità e porta alla sorprendente incorporazione dell'«altra spazzatura», se nazionale, da parte della critica di Paulo Emilio. Testuale 'Altro' che, per i Marginais, è la chanchada, il film horror, il western, il film noir o la fantascienza, sempre in sintonia con la moderna sensibilità cinematografica della Nouvelle Vague che incastona l'intertesto nella scoperta dell'auteurismo hollywoodiano . Come il giovane Marginais da Boca, anche Paulo Emilio va oltre e, a suo modo, riesce a inghiottire non solo la chanchada, ma anche la pornochanchada, una volta aperta la porta del 'brutto film' che invita alla conversazione.
In questo senso, Paulo Emilio critica l'assenza del pregiudizio della deglutizione nel primo Cinema Novo: “il fatto di voler prendere le distanze completamente dalla chanchada, era qualcosa che, credo, non ha fatto bene al Cinema Novo”.[Xv] In dislocamento, Paulo Emilio riesce ad avvicinarsi alla sensibilità antropofagica, ora riciclata negli anni '1960, aprendosi affermativamente all'inghiottimento intertestuale del "brutto film" nazionale, sia attraverso il brutto film "chanchada", sia, ancora più scioccante, il "brutto film" pornochanchada'. Possiamo dire che pornochanchada è il vescovo Sardinha di Paulo Emilio: ingoiarla fonda la nazione e inaugura lo specchio del contrario, in modo affermativo e come potenza liberatrice. Diventa la radice di una brasilianeità non solo possibile, ma desiderabile in quel momento nel cinema brasiliano.
3.
Per un critico che ha vissuto l'ambiente cinematografico nazionale degli anni Cinquanta, il passo è stato lungo. la novità di Cinema: traiettoria nel sottosviluppo è nel progressivo abbandono (seppur sempre presente all'orizzonte) del vecchio contesto ideologico. Il tono del saggio rimane cupo, anche per il momento acuto della sua pubblicazione (1973). Paulo Emilio ha subito una persecuzione politica e professionale che ha colpito anche chi gli era vicino.
Ma la differenza tra i contesti di Una situazione coloniale? e Traiettoria va da sé. Veniamo da un testo che, nel 1960, mostra un critico stanco, sull'orlo di un esaurimento nervoso, che sembra arrendersi proprio mentre il giorno sta per spuntare. Dodici anni dopo, quando scrive Traiettoria,l'autore ha già vissuto e vissuto dall'interno il grande cinema brasiliano del 1963/1964 e della seconda metà degli anni Sessanta, con la sua costellazione di capolavori e ampi riconoscimenti internazionali.
Dettagliando il divario, c'è dentro Una situazione coloniale? la frustrazione retrospettiva di chi, nel 1960, guarda indietro e vede gli scarsi risultati ottenuti negli sforzi del tentativo industriale degli studi. L'alienazione della critica cinematografica descritta in Una situazione coloniale? è all'origine della visione di Paulo Emilio che il cinema brasiliano è l'altra cosa del film straniero, è l'altra come espressione di ciò che, contemporaneamente, è la cosa stessa dello spettatore/critico: “Il film nazionale è un elemento di disturbo per il mondo artificiale ma coerente di idee e sensazioni cinematografiche che il critico ha creato per se stesso. Come per il pubblico ingenuo, il cinema brasiliano è anche un'altra cosa per l'intellettuale specializzato”[Xvi].
Em Traiettoria la formulazione del nazionale come “un'altra cosa” è già matura e trova la sua definitiva definizione in opposizioni divenute note, come il ritrovamento della “dialettica rarefatta”: “Non siamo né europei né americani, ma privi di cultura originaria, niente ci è estraneo, perché tutto lo è. La costruzione dolorosa di noi stessi si sviluppa nella dialettica rarefatta tra il non essere e l'essere altro. Il cinema brasiliano partecipa al meccanismo e lo altera attraverso la nostra incompetenza creativa nel copiare”.[Xvii]
Nella dialettica dell'altro per la cosa stessa, tra il non essere e l'essere-altro della cultura, Paulo Emilio sottolinea nella tropicalista “incompetenza creativa nel copiare” l'originalità strutturale del nazionale. La cosa-essa stessa è l'identità impossibile Brasile senza fessura, quella del noi-noi che rivela necessariamente la cupola protettiva che il critico si è costruito in prossimità del modello estraneo della cosa-altro. La cupola della critica è definita dalla cicatrice che inaugura (secondo un altro termine che diventerà classico, nel tono isebiano-sviluppista dell'epoca): il “marchio crudele del sottosviluppo”. Cicatrice che appare già dentro Una situazione coloniale? definito in espressioni come “alienazione”, “esaurimento”, “insoddisfazione”, “amarezza”, “atmosfera avvelenata”, “meschinità”, “capitale fatiscente”, “una certa aridità”, “disagio”, “umiliazione”.
Nello scarto tra ciò che si intende essere e ciò che si è, emerge il “sentimento dell'umiliazione”. La diagnosi è acuta quando si rapporta questa posizione di “umiliazione”, bastarda, al “sarcasmo demolitore” del critico cinematografico allo specchio nazionale che lo tormenta. La posizione inferiore è il tratto centrale della brasiliana in cui si delinea Paulo Emilio Una situazione coloniale/1960 e che evolve, nel modo che stiamo descrivendo, in Traiettoria/1973. In quest'ultimo saggio, l'inferiorità del 'cattivo' nazionale trova, attraverso la “dialettica rarefatta” dell'essere-altro, uno spiraglio per uscire dal vicolo cieco della feroce critica. Ora, essendo sintomo, si apre nella modalità affermativa di inghiottire l'incorporazione intertestuale. Se il primo realismo del dopoguerra non trovava ossigeno per respirare la vena 'citazionale', il cinema nuovo di zecca (e la sua critica) coniugano, inglobando, il verbo 'avacalhar' nella dialettica rarefatta dell'incompetenza creativa nel copiare – quella di non-essere essere qualcun altro.
Le due vedute panoramiche del cinema brasiliano, scritte sotto l'influenza del contesto della modernità neorealista degli anni Cinquanta, Introduzione al cinema brasiliano/1959 di Alex Viany e Rassegna critica del cinema brasiliano/1963 di Glauber Rocha, sono ancora legate allo strano orizzonte della deglutizione e, quindi, del vomito. La chanchada è menzionata di sfuggita per essere messa in secondo piano, in quanto non rientra nella sceneggiatura. Per Viany, critico che scrive a Rio de Janeiro, esiste quando si avvicina alla composizione popolare che ha come parametro (Moacyr Fenelon), ma il duo Oscarito/Grande Otelo, in film ormai classici, passa praticamente inosservato.
Le menzioni restrittive e screditanti del genere rimangono fino a tardi nelle critiche di Alex Viany. Nel caso di Glauber Rocha, la chanchada è la grande assenza del Recensione critica. Il panorama che Glauber traccia nel 1963 è ancora segnato dalla generazione precedente di Alex Viany, dal primo realismo degli anni Cinquanta, più le ambizioni del cinema giovane di costruire un pantheon autoriale.
Lo stimolo nello spirito tropicalista aperto all'assorbimento citazionale della cultura di massa (raggiungendo pornochanchada come la canzone raggiunge “le reliquie del Brasile”, trasformandosi in “superbacana superhist-superflit”), mostra la postura di Paulo Emilio in sintonia con il nuovissimo Marginal Cinema . Il suo posizionamento lascia spazio al dialogismo intertestuale viziato dal B-movie hollywoodiano e dai mass media (televisione e radio) che, nel cinema brasiliano, è inaugurato da Il bandito a luci rosse/1968 o, ancora più radicalmente, dalla spazzatura di Tutti sono donne/1969 (entrambi di Rogério Sganzerla).
la chanchada dentro Traiettoria è già visto come un “punto di riferimento” (“il fenomeno cinematografico che si è sviluppato a Rio de Janeiro dagli anni Quaranta in poi è una pietra miliare”[Xviii]) perché “produzione ininterrotta per circa vent'anni” e “è stata lavorata estranea al gusto dell'occupante e contraria all'interesse straniero”[Xix]. La frase serve da introduzione a un lungo paragrafo di elegia in cui si respira già il contemporaneo recupero del genere, uscendo definitivamente dal contesto di Viany del 1959 (“un fiume finora ininterrotto di chanchadas musicali, sempre affrettate e quasi sempre sciatte "[Xx]).
La descrizione cronologica del cinema brasiliano in Cinema: Traiettoria nel sottosviluppo fa un passo avanti. Respirate profondamente la crisi che il cinema brasiliano stava attraversando nel pieno degli anni di piombo, in piena forza della dittatura militare nel suo periodo più duro. Non finisce però nel vicolo cieco in cui si è trovato il Cinema Novo. Si parte dalla Bela Época, si attraversano le chanchadas “antologica”, la “grande” Vera Cruz, il realismo del “comunismo politico” e il “sentimento socialista diffuso” degli anni Cinquanta, e si finisce in un Cinema Novo che era già “disintegrato” (nel 1950) e che “non ha mai raggiunto l'auspicata identificazione con l'organismo sociale brasiliano”. L'analisi prosegue fino alla massima contemporaneità. Raggiunge le ultime increspature dell'ondata contemporanea, chiamata da Paulo Emilio 'Cinema do Trash'. Il traguardo del treno dalla storia in Traiettoria è teso lì.
Già dentro 70 anni di cinema brasiliano: 1896/1966,[Xxi] In un testo pubblicato nel 1966 in coautore con Adhemar Gonzaga (di cui curerà le illustrazioni e i sottotitoli), l'accento della critica sembra essere posto sul recupero storiografico della produzione dei primi anni del Novecento, apportando solo un schema del primo Cinema Novo “nei primi cinque anni '60”, praticamente ridotto a un “fenomeno Bahia”[Xxii]. Si potrebbe sostenere che, in Panorama come in Traiettoria, Paulo Emilio deve una visione più ampia del Cinema Novo. In entrambi appare schiacciato, senza il dovuto spazio.
In un caso, è abbozzato in una fase molto precoce, e nell'altro, dopo che è finito, senza sensibilità per la forza duratura delle sue opere nel cinema brasiliano. Il nuovo cinema di Traiettoria, pur essendo caratterizzato “dopo Bela Época e Chanchada” come il “terzo evento mondiale di importanza nella storia del nostro cinema”[Xxiii], è impedito dalla dittatura di muoversi liberamente e “orfano di un pubblico catalizzatore”. I suoi principali partecipanti “si sono dispersi in singole carriere guidate dal temperamento e dal gusto di ciascuno”.[Xxiv]
Per Paulo Emilio, gli sviluppi individuali dei Cinemanovistas non hanno, in questo momento, l'organicità autoriale che acquista il cinema fatto dalla generazione che li segue, quella del 'Cinema do Garbage': “Nessuno di loro (dei Cinemanovistas) , tuttavia, si stabilì nella mancanza di speranza che circondava l'agonia di questo cinema. La linea della disperazione fu ripresa da una corrente che si opponeva frontalmente a quello che era stato il Cinemanovismo e che si faceva chiamare, almeno a San Paolo, Cinema do Lixo”[Xxv]. La “linea della disperazione” – così ben prevista alla fine della “traiettoria” del cinema brasiliano – arriva sulla cresta dell'onda generata da un movimento che immagina sovrapporsi al Cinema Novo, seguendo una sensibilità generazionale.
L'intuizione del critico individua chiaramente, nel 1973, i due assi strutturali di Cinema Marginal: l'esasperazione esistenziale nell'abiezione e la rappresentazione dell'orrore; e il dialogo intertestuale con la brega, ovvero la spazzatura/cattivo oggetto. La descrizione che fa è aggettivo. I giovani, che "avrebbero potuto, in altre circostanze, prolungare e ringiovanire l'azione del Cinema Novo di cui riprendono in parte universo e tema", acuiscono questo orizzonte "in termini di avvilimento, sarcasmo e una crudeltà che nelle opere migliori diventa quasi insopportabile con neutrale indifferenza”.[Xxvi]
Il vecchio critico, ancora formato dall'etica del bene, rimane stupito dalla rappresentazione radicale dell'estrema abiezione ('quasi insopportabile') operata dai Marginali. I film nel loro insieme sono percepiti nella loro unità, cosa che molti ancora oggi si ostinano a negare. Sentiamo che la penna di Paulo Emilio si ravviva a contatto con gli slanci disordinati del Cinema Marginal, emergono così le belle figure del suo stile di maturità, che avrà ancora come ultimo frutto la letteratura: “agglomerato eterogeneo di nervosi artisti della città e artigiani dalle periferie” (certamente riferendosi qui a Boca), “Lixo propone un anarchismo senza rigore né cultura anarchica e tende a trasformare la plebe in marmaglia, gli occupati in spazzatura. Questo mondo sotterraneo degradato, attraversato da entourage grotteschi, condannato all'assurdo, mutilato dalla criminalità, dal sesso e dal lavoro da schiavi, senza speranza o contaminato dalla fallacia, è però animato e redento da una rabbia inarticolata. O Lixo ha avuto il tempo, prima di realizzare la sua vocazione suicida, di produrre un timbro umano unico nel cinema nazionale”[Xxvii].
Ed è a questo 'timbro umano unico' del suicidio e della spazzatura come residuo esasperato dell'autoritarismo militare, manifestazione di una 'rabbia sociale inarticolata', che Paulo Emilio dedicherà la parte migliore dei suoi ultimi scritti incentrati sul cinema.
4.
Alla fine della sua carriera, in riviste pubblicate principalmente nel 1973/75, seguono Traiettoria, viene ribadita la posizione di incorporare il 'cattivo', evidenziata al di là del cinema marginale. Paulo Emilio non solo afferma che “lo spettatore stimolato dal prodotto straniero è morto in me”[Xxviii], ma, che all'epoca suscitò molto scalpore, scelse il “cinema brasiliano di scarsa qualità” come forma d'arte che si apre creativamente alla percezione di sé, componendo così un universo incrollabile: “il sottosviluppo è noioso, ma la sua coscienza è creativo”[Xxix].
O ancora: “Lo spettatore stimolato dal prodotto straniero è morto in me e vedo che non si tratta di un fenomeno personale”.[Xxx] L'entusiasmo per la posizione appena scoperta è evidente nelle recensioni del 1974 e del 1975, le ultime pubblicate prima della sua morte: “dall'analisi di un brutto film brasiliano, emana una gioia di capire che il consumo dell'arte di un Bergman, per esempio, non prevede uno spettatore brasiliano”.[Xxxi]
Questa “gioia di capire” racchiude, quindi, al suo centro, la posizione critica di Paulo Emilio sulla nazionale che abbiamo visto evolversi da Una situazione coloniale? Ora si ricarica in un'empatia che possiede, nella sicurezza della maturità, lo slancio necessario per diventare esclusivista e affermare la brasiliana in una sorta di promiscuità carnale. C'è, quindi, una comprensione prevalentemente felice e affermativa del nazionale, come potenza che porta con sé un'ermeneutica dell'esperienza: l'essere-sé dell'interpretazione irrompe nell'incapacità creativa, quando si riflette nell'essere-altro. Incapacità affermativa che solo la fusione degli orizzonti nella comune non appartenenza può offrire: “troviamo tanto di noi stessi in un brutto film che può rivelare tanto dei nostri problemi, della nostra cultura, del nostro sottosviluppo, della nostra stupidità inseparabile dalla nostra umanità, che in ultima analisi è molto più stimolante per lo spirito e per la cultura prendersi cura di questi mali piuttosto che consumare nel massimo benessere intellettuale e nella massima soddisfazione estetica i prodotti stranieri”.[Xxxii]
La soddisfazione estetica con lo straniero è classificata come “intimità del ramo” (superficiale), in quanto manca l'elemento essenziale per l'appartenenza comune nella fusione di orizzonti che è la lingua: “(intimità) maggiore con inglese, francese, cinema minore evidentemente con il cinema giapponese, per il quale ci sono tanti specialisti, quindi a volte senza nemmeno conoscere la lingua. È il caso del cinema svedese (…) Sento molto chiaramente come siamo, all'interno del cinema straniero, spettatori ridotti”.[Xxxiii] La singolarità della conoscenza che porta l'identità nell'espressione attraverso la parola (che nel cinema va oltre la conoscenza attraverso il segno), diventa il parametro unico e differenziato della comunicazione nei film nazionali. È un elemento strutturale dell'interpretazione, su cui ritorna Paulo Emilio.
L'elegia del 'brutto film', del film nazionale 'stupido', calza dunque come un guanto in questo contesto e non sorprende vederne la confluenza nella discussione dell'estetica che circonda il cinema marginale. Sintonizzandosi sulla vena intertestuale che deriva dall'incorporazione del 'brutto film', attira l'ammirazione dei giovani di Boca che hanno fatto il 'cinema spazzatura'. Non per niente, dunque, il tono polemico che il critico assume per difendere il cinema cafajeste/boçal brasiliano in un'intervista che ha concesso a esponenti di questa generazione (Carlos Reichenbach, Eder Mazini e Inácio Araújo), pubblicata nel numero solitario del rivista cinematografia, in 1974.[Xxxiv]
La sintonia con la sensibilità del Cinema Marginal da Boca sembra essere più forte per la presenza del trio di intervistatori, che in certi momenti assume toni acuti. Vengono rese esplicite le argomentazioni che troviamo sfumate Traiettoria e anche nelle recensioni dei giornali tra il 1974 e il 1975. Il risultato finale potrebbe aver spaventato Paulo Emilio, al punto da classificare il set, in una nota inviata successivamente alla redazione, come “un caotico agglomerato di parole e frasi”, “caos” da cui finiscono 'idee emergenti che riconosco, mi sono care e forse mie'[Xxxv]. Le dichiarazioni nell'intervista sono dirette ad affermare dove, in quel momento, la linea progressista del cinema brasiliano, immaginata in Traiettoria. E compare nella generazione che, nei primi anni '1970, ha raccolto il testimone lasciato dal Cinema Novo.
La difesa della fruizione della nazionale e della brasiliana, compresa la spazzatura del brutto film, è controversa. In una lunga lettera del 3 ottobre 1974, indirizzata all'“amico” Paulo Emilio (così si firma) e poi pubblicata, nel 1978, nel volume 6 di Test di opinione[Xxxvi], Mauricio Segall esprime serie riserve sulla visione del cinema brasiliano di Paulo Emilio. Il tono della missiva rasenta l'indignazione. Mostra una reazione comune nel campo ideologico della sinistra tradizionale alle buffonate del Cinema Marginal e alla sensibilità tropicalista, vicina al tipo di atteggiamento che convenzionalmente si chiama 'disbunde'.
Paulo Emilio sarebbe 'sbucato'? sembra chiedere l'autore della lettera. Questa è la carica che si avverte dietro la lettera di Segall. L'interrogatorio è forte, accusando anche Paulo Emilio di tendenze fasciste. Si sente che l'apertura al fagotto antropofagico dell'industria culturale, affermando il brutto film, tocca una corda intima. Segall vuole riscattare il nazionale da un asse che può essere giustamente ricondotto alla sensibilità cepecista (CPC – Centro Popular de Cultura) dei primi anni Sessanta, prima del golpe del 1960, disconnesso, o in aperta opposizione, alle sfumature di incorporazione multipla intertestualità senza asse gravitazionale, direzione alla quale Paulo Emilio strizza l'occhio con tutti gli occhi nella sua ultima recensione.
Elegia che, per Mauricio Segall, non è altro che 'nazionalismo pessimista e disperato'. Pessimista, in quanto valorizza ciò che non va bene (il brutto film) in un momento politico delicato, verso il quale non alza la voce della speranza ideologica. Disperato, in quanto va contro la rappresentazione dell'esasperazione e della dissolutezza negli anni di piombo, sembrandovi sprofondare. Paulo Emilio non solo tralascerebbe l'esigenza di un impegno esistenziale ma, al contrario, considera sporco ciò che può essere classificato solo come “alienato”.
Un altro aggettivo usato per designare il contesto è “irrazionalità”, una forma accusativa molto presente nel discorso critico dell'epoca – e non solo nel cinema. La richiesta riecheggia in tutta la lettera di Mauricio Segall, caratteristica del ritaglio a cui, un giorno, Paulo Emilio era vicino. Ora, tuttavia, la natura radicale della svolta tra gli anni Sessanta e Settanta viene messa in discussione. Il campo in cui vive Mauricio Segall vuole esercitare una sorta di diffusa cattiva coscienza sulla deviazione del collega, qualificando la sua direzione come appartenente alle acque torbide dell'“irrazionalità” – espressione che serve a designare le potenze sfrenate dell'eccesso e della pura affermazione, senza il giro di vite della colpa.
Al di fuori del pensiero e della rappresentazione, al di là dell'identità e della somiglianza, ciò che respira nella designata “irrazionalità” sono le forme intense del godimento/estasi e dell'abiezione/orrore, figurazioni che non rigurgitano attraverso il cerchio della negazione, ma affondano il varco della differenza.
L'accusa di pratica responsabile è un tentativo di tirare l'orecchio a Paulo Emilio, accusato di portare sulla strada sbagliata non solo se stesso, ma anche coloro che influenza come critico e insegnante. Come abbiamo notato, Paulo Emilio sembra aver risvegliato nella maturità lo spirito anarchico che aveva nutrito nei suoi primi anni. Nonostante dichiari esplicitamente di non considerarsi moderno (nel senso che aveva l'espressione negli anni '1920 e '1930), e di non condividere, in gioventù, la sensibilità dei moderni nei confronti del cinema (come condivisa da Plínio Sussekind Rocha o Otávio de Faria), alla fine della sua vita la ritrova in quello che la scoperta del vortice modernista antropofagico ha significato per i giovani cineasti degli anni 1960 e 1970. La verve più acida e creativa di Paulo Emilio è rimasta intensa fino alla fine.
* Fernao Pessoa Ramos È professore all'Institute of Arts di Unicamp. Autore, tra gli altri libri, di Marginal Cinema (1968-1973): la rappresentazione al suo limite (brasiliano).
note:
[I] Poi il libro, Gomes, Paulo Emilio Salles. Humberto Mauro, Cataguas e Cinearte. San Paolo, Prospettiva, 1974.
[Ii] Roccia, Glauber. Rassegna critica del cinema brasiliano. Rio de Janeiro, Civiltà brasiliana, 1963. Pag. 45.
[Iii] Gomes, Paulo Emilio Salles. Cinema: traiettoria nel sottosviluppo. NEL Gomes, Paulo Emilio Salles. Cinema: traiettoria nel sottosviluppo. Rio de Janeiro. Paz e Terra/Embrafilme, 1980. Originariamente pubblicato su Revista Complotto. Rio de Janeiro, nº 1, ott. 1973, pp 55-67.
[Iv] Idem, pag. 86.
[V] Saraceni, Paulo Cesar. Dentro il Cinema Novo – Il mio viaggio. Rio de Janeiro, Nova Fronteira, 1993.
[Vi] Gomes, Paulo Emilio Salles. Una situazione coloniale? IN Gomes, Paulo Emilio Salles. Critica cinematografica nel supplemento letterario. Rio de Janeiro, Paz e Terra, 1981. Vol. II, pp 286-291. Originariamente pubblicato in O Estado de S. Paulo, Supplemento letterario, 19 novembre 1960, pag. 5.
[Vii] Il testo pubblicato presenta piccole differenze rispetto alla “tesi”. Vedi Gardnier, Ruy. http://www.contracampo.com.br/15/umasituacaocolonial.htm
[Viii] Gomes, Paulo Emilio Salles. Una situazione coloniale. Operazione. Citazione, pagina 288.
[Ix] Roccia, Glauber. Nuova Rivoluzione Cinematografica (Roberto Pires 80). SP, Cosac Naify, 2004. Pag 462.
[X] Gomes, Paulo Emilio Salles. Un discepolo di Osvaldo nel 1935. NEL Gomes, Paulo Emilio Salles. Critica cinematografica nel supplemento letterario. Vol II. Operazione. Cit. 25 ottobre 1964. Pag 443.
[Xi] Idem, pagina 440
[Xii] Prado, Decio de Almeida. Paulo Emilio da giovane. IN Calil, Carlos Augusto e Machado, Maria Teresa (org.). Paulo Emilio – Un intellettuale in prima linea. San Paolo, Brasiliense, 1986. Pag 23.
[Xiii] Gomes, Paulo Emilio Salles. Moleque Ricardo e l'Alleanza di Liberazione Nazionale. A Platéia, San Paolo, 21 settembre 1935. IN Calil, Carlos Augusto e Machado, Maria Teresa (org.). Paulo Emilio – un intellettuale in prima linea. Operazione. Citazione, pagina 36.
[Xiv] Andrade, Osvaldo. Piccola nota a Paulo Emilio. Il pubblico. San Paolo, 25 settembre 1935. IN Idem, pagina 38.
[Xv]Intervista a Carlos Reichenbach, Eder Mazini e Inácio Araújo. Paulo Emilio – Mi piaceva solo il cinema straniero. Revista Cinegrafia nº1, 1974. Riprodotto in Caetano, Maria do Rosário (org.). Paulo Emilio Salles Gomes – l'uomo che amava il cinema e noi che lo amavamo così tanto. Brasilia, Festival de Brasilia do Cinema Brasileiro, 2012. Pag 81.
[Xvi] Gomes, Paulo Emilio Salles. Una situazione coloniale?. Operazione. Citazione, pagina 291.
[Xvii] Gomes, Paulo Emilio Salles. Cinema: traiettoria nel sottosviluppo. NEL Gomes, Paulo Emilio Salles. Cinema: traiettoria nel sottosviluppo. Op.Cit. Pag 77.
[Xviii] Gomes, Paulo Emilio Salles. Cinema: traiettoria nel sottosviluppo. NEL Gomes, Paulo Emilio Salles. Cinema: trajetória non subdesenvolvimento. Idem, pagina 79.
[Xix] Idem, pag. 79-80.
[Xx] Viani, Alex. Introduzione al cinema brasiliano. Rio de Janeiro, Revan, 1993. Pag 121.
[Xxi] Gonzaga, Adhemar, Salles Gomes, PE 70 anni di cinema brasiliano. Rio de Janeiro, Expressão e Cultura, 1966. Questo stesso testo, ampliato, viene ripubblicato con il titolo di Panorama del cinema brasiliano: 1896/1966. NEL Gomes, Paulo Emilio Salles. Cinema: traiettoria nel sottosviluppo. Op.Cit, pp 38-69.
[Xxii] Gonzaga, Ademaro; Salles Gomes, P.E 70 anni di cinema brasiliano. Op.Cit., pag. 117.
[Xxiii] Gomes, Paulo Emilio Salles. Cinema: trajetória non subdesenvolvimento. Operazione. Cit. Pag 82.
[Xxiv] Idem, pagina 84.
[Xxv] Idem, Ibid.
[Xxvi] Idem, Ibid.
[Xxvii] Lo stesso, lo stesso.
[Xxviii] Gomes, Paulo Emilio Salles. La spiegazione presenta. Jornal da Tarde, San Paolo, 10 aprile 1973. NEL Calil, Carlos Augusto. Machado, Maria Teresa (org.). Paulo Emilio – Un intellettuale in prima linea. San Paolo, Brasiliense/Embrafilme, 1986. Pg 262.
[Xxix] Idem, pagina 263.
[Xxx] Idem, pagina 262.
[Xxxi] Cinema brasiliano all'Università/ La gioia del cattivo film brasiliano. Movimento, 1 settembre 1975. IN Calil, Carlos Augusto. Machado, Maria Teresa (org.). Paulo Emilio – Un intellettuale in prima linea. San Paolo, Brasiliense/Embrafilme, 1986. Pg 308.
[Xxxii] Intervista a Carlos Reichenbach, Eder Mazini e Inácio Araújo. Paulo Emilio – Mi piaceva solo il cinema straniero. Revista Cinegrafia nº1, 1974. IN op. Cit. Pag 79.
[Xxxiii] Lo stesso, lo stesso.
[Xxxiv] Intervista a Carlos Reichenbach, Eder Mazini e Inácio Araújo. Paulo Emilio – Mi piaceva solo il cinema straniero. Revista Cinegrafia nº1, 1974. Pg 74/92. NEL op. Cit.
[Xxxv] Nota riprodotta insieme all'intervista Paulo Emilio – Mi piaceva solo il cinema straniero. Operazione. Cit. Pag 75.
[Xxxvi] Segal, Maurizio. Cinema brasiliano X Cinema straniero. Test di opinione. Vol 6 (o 2+4), 1978. San Paolo. pp 30/36.
la rivista/libro Test di opinione, perseguitato dalla censura e dalla dittatura militare dal 1973, fu inizialmente pubblicato come argomento.Ha avuto la partecipazione attiva di Paulo Emilio Salles Gomes nella sua redazione, dal primo numero fino alla sua morte. La particolare numerazione della pubblicazione, così come i cambi di nome, erano strategie per sfuggire a persecuzioni e censura. È lì che Paulo Emilio pubblica Cinema – Traiettoria nel sottosviluppo, nel primo numero di argomento. Nel 1978 (dopo un interregno in cui argomento Si voltò Libri di opinione poi, Test di opinione, a cura di Fernando Gasparian e Florestan Fernandes Junior), prove porta un dossier dedicato alla memoria di Paulo Emilio, curato da Jean-Claude Bernardet. Sulla rivista, come polo di resistenza alla dittatura, vedi Candido Jefferson. Argument (1973-1974) e Cadernos de Opinião (1975-1980): pietre miliari di un passaggio. Rivista Linguagem & Ensino, Pelotas, vol. 24, n. 1, gennaio-marzo 2021.
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