dalla grazia ottenuta

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da TESSUTO MARIAROSARIA*

Considerazioni sullo scrittore e artista italiano Dino Buzzati

Nel 1970 gallerista Il Naviglio da Venezia, commissiona a Dino Buzzati una serie di dipinti che, distribuiti sui quattro piani del piccolo locale, costituiranno una sorta di racconto. Pensando a come tradurre, in una trentina di opere, una storia con inizio, svolgimento e fine, l'artista ha finito per decidere di raccontare, in trentaquattro dipinti concepiti come tavolette votive, miracoli attribuiti a Santa Rita de Cássia. Così è nato lo spettacolo I miracoli di un santo, il cui catalogo (XNUMX copie) è stato stampato in bianco e nero.

Sebbene Dino Buzzati sia conosciuto soprattutto come scrittore, attività che svolse parallelamente a quella di giornalista, la sua incursione nel campo della pittura non fu una novità. L'inaugurazione della sua prima mostra, al Galleria dei Re Magi, a Milano, avvenne il 1° dicembre 1958, quando presentò anche un libro con lo stesso titolo della mostra, La storia dipinta, le cui storie erano praticamente scritte a pennello, poiché i testi letterari funzionavano da corollari di opere pittoriche. Nel maggio 1966 espone ancora a Milano, alla galleria Gian Ferrari, e, nel gennaio dell'anno successivo, alla Il Porchetto, a Rho (piccolo comune vicino al capoluogo lombardo). L'ultima mostra si tenne nel novembre 1971, poco prima della sua morte (28 gennaio 1972), presso la galleria Lo Spazio di Roma quando è stato rilasciato buzzati pittore, volume sulla sua attività di artista visivo.[1]

Dopo la mostra di Venezia (inaugurata il 3 settembre), il complesso delle opere è stato raccolto in una pubblicazione, I miracoli di Val Morel, con aggiunte e modifiche nell'ordine dei dipinti, ognuno dei quali ora accompagnato da un racconto, come in La storia dipinta. Lanciato nel novembre 1971, il libro ebbe nuove edizioni: l'edizione del 1983 (intitolata per grazia ricevuta) e quella del 2012, su cui si basa il presente testo. In questa edizione, che riprende quella del 1971, con una spiegazione dello stesso scrittore e una prefazione dell'amico Indro Montanelli – che considerava il volumetto “uno dei suoi più magici racconti” –, una postfazione di Lorenzo Viganò e un ritratto di Santa Rita. , dipinto per un oratorio, che attualmente si trova nel municipio di Limana, piccola comunità nei pressi di San Pellegrino (provincia di Belluno, in Veneto), dove nacque Dino Buzzati, il 16 ottobre 1906 . [2]

Anche il dialogo tra arti visive e letteratura nell'opera di Buzzat non era nuovo, come si era consolidato fin dalle prime pubblicazioni dell'autore: i romanzi inviati al periodico I lombardi (1931), Barnabo delle Montagne (1933) e Il segreto di Bosco Vecchio (1935). Parlando dei disegni di questi due romanzi, Viganò scriveva in un'introduzione a un'opera successiva: “Piccoli e semplici, quasi grandi come francobolli, usati anche come maiuscole, quelle di Barnabo delle Montagne – per mostrare il volto del giovane guardia forestale, protagonista del racconto, la rivista dove deve fare la guardia, lo scenario montano –, più elaborati e pittorici quelli di Il segreto di Bosco Vecchio".

Caratterizzata anche la combinazione testo-immagine La famosa invasione degli Orsi in Sicilia (La famosa invasione dell'orso in Sicilia), pubblicato cinque anni dopo il suo romanzo più famoso Il deserto ho dato tartari (il deserto dei tartari, 1940).[3] La storia raccontata in questa favola era accompagnata da disegni in bianco e nero e da illustrazioni a colori, integrate da didascalie, nelle quali venivano riassunti i dati forniti nel testo principale. Destinata apparentemente a un pubblico di bambini, la storia degli orsi torna a temi e atmosfere cari all'autore fin dall'inizio. Come ha sottolineato Francesca Lazzarato: “la storia che si snoda attraverso i dodici capitoli del famosa invasione è anche una rappresentazione delle età della vita. Dalle montagne dell'infanzia si passa alla valle ricca dell'adolescenza, e poi alla città dove si conosceranno le delusioni della maturità, per tornare finalmente da dove si è venuti e scomparire in un silenzio illimitato e definitivo”.

La Sicilia descritta nell'opera non era reale, ma inventata, e le sue “montagne maestose”, “innevate” (secondo il testo), rimandavano ai paesaggi dolomitici dell'infanzia di Dino Buzzati, quelle “montagne appuntite, regno del mistero e purezza” (così descritto nella presentazione di La boutique misteriosa). Come nota l'autore, in un brano citato da Giulio Carnazzi in “Cronologia”: “Le impressioni più forti che ho avuto da bambino appartengono alla terra in cui sono nato, la Val Bellunese, le montagne selvagge che la circondano e le Alpi Dolomitiche quindi in arrivo. Un mondo nordico, nel suo insieme”.

Le passioni che lo accompagneranno per il resto della sua vita sono la montagna, la scrittura e il disegno, passioni che si erano manifestate nella sua adolescenza, quando iniziò a girare per le montagne e scrisse il suo primo testo letterario, la prosa poetica. La canzone alle montagne (1920), e già nell'infanzia, quando incantato dalle opere dell'acquarellista inglese Arthur Rackham, illustratore di opere per bambini, come le fiabe dei fratelli Grimm (1900, 1909), i viaggi di Gulliver (1900, 1909), di Jonathan Swift, Peter Pan nei giardini di Kensington (1906), di James Matthew Barrie, Alice nel paese delle meraviglie (1907), di Lewis Carroll, I Cavalieri della Tavola Rotonda (1917), di Howard Pyle, e Cenerentola (1919), di Charles Perrault. Come affermava Dino Buzzati, con le parole riportate da Viganò nella citata introduzione: “La sua capacità di rappresentare le atmosfere misteriose, gli spiriti dei monti e dei boschi, le vecchie case incantate, le nuvole, la nebbia, gli incantesimi del Natale era […] amore a prima vista. Era la piena realizzazione delle […] fantasie più intime”.

ll libro di pipa, nonostante sia stato pubblicato nello stesso anno di La famosa invasione degli Orsi in Sicilia, era stato redatto nel 1935 e in esso lo scrittore si avvaleva della collaborazione del cognato Eppe Ramazzotti. In questa sorta di catalogo dettagliato di ogni tipo di pipa, vera o inventata, ancora una volta i disegni (eseguiti nello stile del secolo precedente) venivano integrati nelle descrizioni dei pezzi in modo da arricchirli. Come sottolineato nella presentazione di Sessanta racconti: “Dopo aver dato voce umana ai venti, alle cose della natura, ora Dino Buzzati cerca di infondere vita a oggetti apparentemente inanimati. Il modo iperreale di descrivere le pipe diventa allora segno della visione di Buzzati, del suo modo di fare dell'arte, in ogni sua manifestazione, un giudizio sugli uomini e sul mondo”.

Nel 1966, sulle pagine di Corriere d'Informazione, iniziò lo scrittore I miei misteri di Milano – Vecchie chronache raccontate da Dino Buzzati, una serie di fumetti, interrotta dopo la pubblicazione dei primi tre capitoli della prima trama.[4] Nonostante fosse frustrato, il tentativo ha aperto la strada poesia di fumo (1969), romanzo in cui disegna più che scrivere la saga di Orfeo ed Euridice, ambientata in una “città grande e nevrastenica” (come la chiamava lui), la Milano moderna, con gli angoli frequentati quotidianamente dall'autore base. Come ha osservato Viganò (nella citata introduzione), incorporando nell'opera su tela le stesse espressioni dello scrittore: “Ogni pagina, sia nelle parole che nei disegni, contiene tutti gli ingredienti che Dino Buzzati ha disseminato nei romanzi e nei racconti fin qui scritti, nei suoi disegni, nelle cronache giornalistiche. Ci sono i 'ricordi di ragazzo, le notti, i fantasmi, i pensieri strani, l'imbuto del tempo, i primi presagi di ciò che lo attende alla fine del cammino mal iniziato, per il momento illuminato dal sole'; c'è la 'divina angoscia mortale', 'la paura, il temuto tonfo, le palpitazioni […], il promettente fruscio del vento lungo il vecchio cimitero'; ci sono i 'strani rumori', provenienti dalle 'vecchie stanze deserte', e le grandi ombre dei 'maghi dell'autunno'. Ci sono desideri metafisici, paure, fantasie, solitudine, morte”.

"poesia di fumo è un inno alla vita attraverso il ritratto della morte”, riassumeva Viganò, nella stessa introduzione, e, infatti, avrebbe dovuto intitolarsi il volto della morte (La cara morte) – per ricordare che è ciò che dà senso all'esistenza degli esseri umani –, ma il curatore ha trovato il titolo troppo lugubre. Classificarlo è impresa ardua, perché non è né un fumetto (nonostante i rarissimi balloon) né un romanzo. rigoroso sensu, ma di un'opera in cui testo e illustrazione si amalgamano, si fondono, si integrano.[5] Come ha sottolineato lo stesso autore, in dichiarazioni riportate da Viganò – “Pittura e scrittura, in fondo, sono la stessa cosa per me. Quando dipingo o scrivo, perseguo lo stesso obiettivo, ovvero raccontare storie”. – e di Ruggero Adamovit: “È sempre letteratura. Qualcosa si conta con la penna e qualcosa si conta con i pennelli. Equivale. Io, sugli schermi, faccio anche cronaca”.

Questa simbiosi tra parola e immagine, che caratterizzerà gran parte della produzione futura dello scrittore, si era già affermata nell'infanzia e nell'adolescenza, nel suo diario, nelle lettere scambiate con un amico e con la sua prima fidanzata, e in un disegno eseguito a consonanza con il carattere gotico e fantastico del poema che lo ha ispirato, il palazzo stregato (1839), di Edgar Allan Poe, di cui ricopia a mano il testo sullo stesso foglio, inserendolo nell'illustrazione (1924). Dino Buzzati inizia ad interessarsi a Poe ed Ernst Theodor Amadeus Hoffmann intorno ai tredici o quattordici anni, prima di immergersi nella lettura di Fëdor Dostoevskij, mentre solo nel 1934 scopre Franz Kafka, autore con il quale la sua letteratura si è costantemente stato collegato. confrontato.

Se Albert Camus, nel 1955, in occasione della produzione parigina di Un caso interessante (un caso clinico, 1953), da lui adattato in francese, relativizzava la presenza di Kafka o di Dostoievski nella produzione di Buzzath[6], il poeta Eugenio Montale fu più esplicito riferendosi al capolavoro dello scrittore (in un passo riportato nell'introduzione di un amore): “Chi ha ricordato il nome di Kafka in relazione a Il deserto ho dato tartari merita di essere perdonato se non conoscevi il romanzo precedente, Barnabo delle Montagne, che sviluppa più o meno lo stesso tema (la grandezza e la dignità della vita in solitudine), e che introduce il primo personaggio veramente originale di Dino Buzzati: un corvo. Da allora doveva essere chiaro che gli animali (e gli uomini) di Dino Buzzati appartengono al mondo interiore di un uomo per il quale c'è una verità, per quanto celata, e c'è una vita, per quanto tradita dall'uomo, che merita di essere vissuto".

Nel marzo del 1965, durante un viaggio a Praga, Dino Buzzati visitò la residenza dell'autore di Il processo, per “esorcizzare” la sua presunta presenza nel suo lavoro, e gli ha dedicato l'articolo Il caso di Kafka, pubblicato in Corriere della Sera, in cui dichiarava: “Da quando ho iniziato a scrivere, Kafka è stata la mia croce. Non c'era racconto, romanzo, commedia scritta da me in cui qualcuno non trovasse somiglianze, derivazioni, imitazioni o addirittura palesi plagi a danno dello scrittore bohémien. Alcuni detrattori hanno denunciato colpevoli analogie anche quando ho inviato un telegramma o compilato la dichiarazione dei redditi” (estratto dalla presentazione a Sessanta racconti).

Invocare Kafka, Dostoievski, Hoffmann, Poe, Rackham o i fumetti significa entrare nella vasta gamma di riferimenti presenti nella produzione di Buzzath, che, con le loro citazioni (esplicite o rielaborate) alla propria opera o ad altri autori, mette alla prova il repertorio di ogni lettore-spettatore. Icone della cultura di massa e classici della letteratura convivono nel suo universo. Se in Dino Buzzati il ​​confronto tra il bene e il male può attecchire anche nella lettura delle avventure di Diabolik[7], l'antieroe creato dalle sorelle Angela e Luciana Giussani, nel 1962 – “il nostro contrario, il Mister Hyde nascosto in ognuno di noi, quel lato oscuro che ha sempre raccontato, cercato, strappato dall'ombra, mostrato (nella pittura, nel teatro, nella poesia), senza mai cadere in facili moralismi” (secondo Viganò) –, il fantastico, che permea tutta la sua opera, con le più diverse gradazioni e sfumature, appare associato alla quotidianità, alla cronaca, come In Alla divina commedia: “Perché Dante, all'Inferno, aveva incontrato non solo mostri inauditi o incredibili condizioni di morte, ma amici e vicini di casa, personaggi del suo tempo e conoscenze politiche, religiose e civili della sua storica contemporaneità”, come ha sottolineato Claudio Toscani fuori, riportando un'intervista dello scrittore. Il connubio tra reale e immaginario è costante in Dino Buzzati, che ha anche dichiarato: “Io, quando racconto un personaggio fantastico, devo cercare di renderlo il più possibile ed evidente possibile. La cosa fantastica deve avvicinarsi il più possibile alla cronaca”.

La scelta di un linguaggio chiaro, semplice, senza termini fantasiosi, quasi parlato, portava a volte i critici ad accostare la scrittura di Dino Buzzati al linguaggio giornalistico, fatto che, come riferisce Toscani, non dava fastidio all'autore, considerato che il giornalismo era solo uno delle sfaccettature del suo mestiere: “Certe esperienze di cronaca, tra l'altro, le ritengo estremamente vantaggiose ai fini artistici”. Come ha sottolineato Francesca Lazzarato, il linguaggio utilizzato dalla scrittrice non era “povero, statico e uniforme; puoi vederlo chiaramente nel Famosa invasione, dove Dino Buzzati si dimostra capace, pur senza rinunciare al criterio della rigorosa semplicità, di indubbia coloritura lirica”.

L'autore ha infatti saputo attribuire alle parole un'aura di ambiguità, mistero, illogicità, qualcosa di indecifrabile e incomprensibile all'intelletto a prima vista, come se ogni strato di significato ne nascondesse un altro, e un altro, e un altro ancora, per per risvegliare nel lettore sentimenti forti, sconosciuti e inquietanti. Per Toscani: “Basta un aggettivo intenso e opportuno, un gusto appropriato per il ritmo per trasformare una frase giornalistica, rapida e spontanea in un'espressione capace di evocare immagini, impressioni, premonizioni e indicazioni. […] Dino Buzzati scrive paura, se è paura, ma sa accostare o approssimare termini che precisino, ad esempio, il suo sentimento di angoscia o incubo, ossessione o vertigine, magia o favola”.

Nonostante questa scrittura apparentemente in minore, la padronanza delle parole gli ha permesso una profondità investigativa – sia nei testi di maggiore lunghezza, sia in quelli sintetizzati all'estremo –, ma senza precipitare o trascinare il lettore in abissi insondabili, preferendo lasciarsi andare delle catene della ragione attraverso il pregiudizio dell'immaginazione e della fantasia, senza mai perdere il contatto con la realtà.

Nella sua attività di scrittore Dino Buzzati non disdegnava i testi brevi, alternando alla pubblicazione di romanzi articoli, cronache, poesie, libretti, opere teatrali e racconti. Rispetto al romanzo, il racconto non era per lui un'opera meno significativa, era solo un testo più sintetico, in cui, rapidamente ma incisivamente, delineava situazioni, personaggi, atmosfere che portavano il lettore fuori dalla quotidianità per affrontare tanto con l'“esistenza dello straordinario” e con la “straordinarietà dell'esistere” (come diceva Toscani), da mostrargli che, al di là dell'“apparente normalità delle cose” (come riportato nella presentazione di Sessanta racconti), il mistero e il surreale erano in agguato.[8]

Ed è questo che ha caratterizzato anche il suo ultimo libro verbo-visivo, I miracoli di Val Morel, composta da trentanove testi brevi e brevissimi (da quattro a sedici versi, salvo uno di un verso e un altro di ventisette, in versi e in prosa) e la genesi dell'opera, appunto, la più lunga delle i racconti fantastici (sei pagine) che lo popolano, che fanno da cornice e da ormeggio agli altri. In esso Buzzati riferisce di aver scoperto, nel 1938, nella biblioteca del padre, un quaderno sui miracoli compiuti fino al 1909 da Santa Rita nella sua regione natale e la presenza di un oratorio, di cui era all'oscuro. Riesce a individuarlo e lì trova un uomo anziano, sintomaticamente chiamato Toni Della Santa, autore dei resoconti del taccuino e conoscitore di diversi altri miracoli, che, come i suoi antenati da tempo immemorabile, era il custode del piccolo santuario e dei suoi oggetti e tavolette votive, che dipinse su richiesta dei pellegrini. Tornato in regione nel 1946, Dino Buzzati, non trovando più l'oratorio o la casetta del suo custode, in base al taccuino e ad altri rapporti che ricordava, decise di dipingere quadri sui miracoli inediti di Santa Rita.

I miracoli compiuti dal santo tra il 1500 e il 1936, infatti, non erano sconosciuti, ma inventati dallo scrittore, e sebbene si avvalga di un'espressione artistica estremamente popolare, l'ex-voto, il risultato finale è ben diverso e molto suggestivo . Ex-voto è la forma abbreviata della locuzione latina ex voto suscetto, cioè “il voto fatto”, formula posta su oggetti offerti a Dio, alla Madonna o ai santi, come ringraziamento, secondo la promessa fatta, per una grazia realizzata. Rappresenta il rinnovamento di un patto di fede. Nella sua versione pittorica, l'ex voto ritrae il fatto che ha motivato la richiesta – quasi sempre una malattia, un incidente, una calamità naturale –, la preghiera e l'intervento divino (presente in una sezione solitamente sospesa), e può essere accompagnato da un grafico che riassume l'accaduto.

Cosa è presente negli ex voti di Dino Buzzati? Calamità e incidenti naturali, che sono fantastici quando non sono la proiezione di un turbamento interiore: c'è una balena volante che provocò inondazioni (“2. La balena volante”, 1653); una torre tagliata a metà da un fulmine (“14. La torre dei dottori”, 1543); un'eruzione vulcanica di gatti (“17. I gatti vulcanici”, 1737); formiche che penetrano nel cervello facendo impazzire le persone (“19. Le formiche mentali”, 1871); droni che aggrediscono una fanciulla (“31. I vespilloni”, sec. XIX); un nugolo di serpenti, che decimano raccolti e bestiame («37. La nube di bisce», 1881); oppure una nave attaccata da un mostro (“1. Il colombre”, 1867); un'invasione di dischi volanti (“3. I dischi volanti”, 1903); uno spauracchio che aggredisce una donna (“4. Il gatto mammone”, 1926); un grosso serpente che minaccia una cannoniera (12. Il serpenton dei mari, 1915); una giovane donna che si precipita fuori dalla casa in fiamme (“21. Caduta dalla casa Usher”, 1832); Marziani che invadono una città (“39. I marziani”, 1527). Solo la tavola che rappresenta la moglie del guardalinee che evita un incidente sul treno (“24. La casellante”, 1914) rimanda a ex voto più canonici.

Quanto alle malattie, esse sono di origine psicologica, in quanto riguardano l'angoscia dell'essere umano e la manifestazione di desideri nascosti, di natura sessuale, prevalentemente femminile: un conte smarrito nel labirinto della sua magione (“8. Il Veneza ”, 1933) ; un uomo in fuga, inseguito da una figura indecifrabile, che ricorda l'uomo nero (“9. Uomo in fuga, 1522); un vecchio marchese querela per i rinoceronti uccisi nelle sue battute di caccia (“10. I rinoceronti”, 1901); il vecchio montanaro che minaccia un villaggio alpino (“13. Il vecchio della montagna”, 1901); la disperazione che coglie un gruppo di amici durante una serata di festa (“15. Serata asolana”, 1936); un negro che, con la sua ombra minacciosa, provoca la morte di chi lo incontra (“25. L'uomo nero”, 1836); un orso che insegue un uomo per tutta la vita (“32. L'orso inseguitore”, 1705); un dormitorio pubblico in cui il santo supera la disperazione e gli incubi notturni (“34. Il pio riposario”, 1860); un prete tentato da un porcospino diabolico, simile a una vagina dentata (“5. Il diavolo pigspino”, 1500); il tentato rapimento di una ragazza (“6. Una ragazza rapita”, sd); isteria collettiva in un collegio femminile (“7. Fattacci al collegio”, 1890); un branco di diavoli che tentano un vescovo (“11. Attacco al vescovo”, 1511); un uomo che perde la testa per il sorriso seducente di una ragazza ("16. Il Sorri Fatale", 1912); gnomi che aggrediscono una giovane donna che torna a casa dopo una notte d'amore (“18. Ironfioni”, 1892); un pettirosso che diventa gigantesco per rapire una sposa di cui è innamorato (“20. Il pettirosso gigante”, 1867); un'enorme formica che cerca di sedurre una ragazza (“22. Il formicone”, 1872); una guida alpina resa schiava dall'amore di una donna (“23. Schiavo d'amore”, inizio '26); una ragazza stuprata da un robot (“1920. Il robot”, anni '1930 o '27); Cappuccetto Rosso che sta per essere attaccato dal lupo (“28. Cappuccetto rosso”, nd); il santo che estrae diavoletti dal corpo di un'indemoniata (“1901. I diavoli incarnati”, 29); una giovane donna rapita da un diavolo a cavallo di una capra (“1899. Il caprone satanico”, 30); un demone che tenta una ragazza (“33. Il tentatore”, nd); una contessa e sua figlia che, viaggiando in carrozza, incontrano un branco di lupi (“1827. I lupi”, 35); una ragazza resa schiava dai pirati moreschi, che viene liberata da un mercante siciliano (“1892. Schiava dei mori”, 36); una donna vittima di un vampiro (“1770. Ilvampire”, 38); il santo che cura un alcolizzato (“1935. La bottiglia”, XNUMX) – con un approfondimento sull'erotismo nella parte finale del libro.

L'effigie dell'intercessore era dipinta in quasi tutti i dipinti, il più delle volte in modo statico, secondo la tradizione degli ex-voto, accompagnata dalla sigla PGR (grazie ricevuta, cioè per la grazia ottenuta) e per il cartiglio che riassume l'evento, sebbene manchino la rappresentazione della preghiera e dell'invocazione. In questo modo, mentre ogni ex-voto costituisce a sé un'unità narrativa, i racconti che accompagnano i dipinti finiscono per funzionare più da paratesto, in quanto ne hanno bisogno per completare il loro significato e non sempre rimandano all'intervento di Santa Rita: sono casi più connessi a leggende e tradizioni popolari, soprattutto della zona di Dino Buzzati, quando non divertimento testi intertestuali o resoconti carichi di erotismo (implicito o esplicito), quasi tutti trattati con fine ironia, che si contrappongono alla rappresentazione addomesticata di un evento.

Su molte tavole Santa Rita appare recitante, come quando, sospesa dall'alto, con il suo saio protegge un luogo dall'inondazione provocata da una balena; afferra la luna nel cielo, impedendo agli gnomi di attaccare una ragazza; fa uscire le formiche dal cervello di un uomo; estrae piccoli diavoli dal corpo di una signora; tira via un uomo da una gigantesca bottiglia di whisky; o vola per intercettare i dischi volanti che minacciano una fanciulla, per proteggere un prete da un istrice, per aiutare un conte in un labirinto, per scacciare ciò che spaventa un uomo in fuga, per scagliarsi contro i demoni che tormentano un vescovo, per affrontare il grosso serpente, battere il vecchio sulla montagna con una scopa, tenere la torre distrutta, trattenere i gatti vulcanici, impedire alla signorina Usher di cadere, prendere per la coda il lupo cattivo, convincere un sopportare di non inseguire un uomo, di allontanare l'angoscia notturna in una camera da letto, di fermare un nugolo di serpenti, di salvare una città dall'invasione dei marziani.

In questo modo Santa Rita, più che essere l'intermediaria tra l'uomo e Dio, è colei che effettivamente compie miracoli, spesso dotata di superpoteri, come se fosse un'eroina dei fumetti. La desacralizzazione della santa diventa evidente nel dipinto destinato all'oratorio, in cui appare con le unghie dipinte (nonostante la raffigurazione di quattro miracoli e rose, elemento che rimanda alla sua iconografia tradizionale), e nell'erotizzazione della sua immagine su due tavole e rispettivi racconti in cui esorcizza una donna (con un accenno all'eccitazione che deriva dalla pratica dell'esorcismo) e quando dissuade un uomo dal bere (mentre assale un'enorme bottiglia che si confonde con il corpo della suora).

Il riferimento ai fumetti ripropone, ancora una volta, la questione delle citazioni verbali o visive e delle autocitazioni nell'opera di Buzzat, presenti anche in I miracoli di Val Morel. Come già avvenuto in precedenza, anche questo libro comprende un recupero, totale o parziale (il più delle volte), di opere dello stesso Buzzati; questi, a loro volta, fanno riferimento a un vasto repertorio, il cui apprezzamento dipenderà dalla conoscenza di ciascun lettore-spettatore.

In campo visivo, il dialogo dello scrittore con altri autori ed espressioni artistiche spazia da Hieronymus Bosch[9] al Surrealismo (André Breton, Salvador Dalí, Paul Delvaux, René Magritte), da Giuseppe Arcimboldo alla Metafisica di Giorgio De Chirico e alla Nuova Figurazione di Francis Bacon, “che ammirava senza riserve” (secondo Carnazzi, in una introduzione); da Francisco Goya alla Pop Art, in particolare Roy Lichstenstein e Claes Oldenburg; da Caspar David Friedrich a Edvard Munch; da Arthur Rackham ad Achille Beltrame (illustratore di La Domenica del Corriere), senza tralasciare i fumetti, l'universo pubblicitario[10], le immagini servitù degli anni Cinquanta e figure erotiche del decennio successivo.

Punta questa finestra di dialogo su I miracoli di Val Morel non è impresa facile, per il poco materiale iconografico a disposizione, ma, anche così, è possibile azzardare delle ipotesi, sulla base di quanto si è potuto accertare. Se in alcune composizioni spicca la “prova formale”, come ha sottolineato Alessandro Del Puppo, in altre “il lavoro di recupero e rielaborazione delle fonti è più complesso e stratificato, e implica […] una certa dose di malizia: l'accettazione della sfida che l'autore lancia al suo pubblico”.

La rappresentazione di colombre, animale marino inventato da Dino Buzzati – che si era già integrato Miscellanea (1964) e riemerso in Il colombo (1966), con la duplicazione degli occhi del personaggio, che caratterizzerà altri quadri buzzathiani – mostra anche il contatto con l'opera di Katsushika Hokusai, in particolare la stampa la grande onda (1830 o 1831). La balena volante deriva direttamente da il volante (1957), mentre personaggi come l'uomo nero e il grande serpente, presenti in La famosa invasione degli Orsi in Sicilia, o come l'uomo nero,[11] già ritratto ne “Il babau” (1967) e in poesia i fumetti. Dal libro per bambini deriva anche l'orso, che si è trasformato in uno stalker, oltre al paesaggio montuoso in cui vivono gli gnomi molesti e la disposizione spaziale del piccolo paese invaso dai marziani.

Anche il bestiario di quest'opera del 1945 sembra riferirsi all'istrice che tenta il sacerdote, che può essere confrontato con la figura del cinghiale e con “Maiali volanti (1957) e gli esseri alati – siano essi demoni che istigano il vescovo a al peccato, bombi che infestano una casa, uccelli che accompagnano dischi volanti o una capra che trasporta un essere satanico e la sua preda – che hanno una somiglianza con gli uccelli che sorvolano la cittadella indemoniata e hanno un ascendente illustre negli animali volatili che circondano un uomo che riposa Il sonno della ragione produce mostri (1797), di Goia. Altri esseri costanti nel bestiario buzzathiano, i lupi – che inseguono Cappuccetto Rosso o la carrozza con le due donne – hanno affinità con quello ritratto nell'opera del 1969 (così come i cavalli), tutti legati a colui che bussa sulla porta in “Toc, toc” (1957) o i persecutori de “I lupi nuotatori” (1958). Le sagome nere del lupo e degli alberi nel suddetto dipinto sembrano ispirarsi all'illustrazione. Cenerentola (1919), di Arthur Rackham, e, prima di apparire in “Cappuccetto rosso”, erano già tornati in poesia i fumetti, anche se in questo libro la composizione ha dialogato principalmente con Collina e campo arato vicino a Dresda (1824), di Federico. Anche quest'ultima opera di Dino Buzzati sembra derivare “Il pio riposario”.

L'uomo nero, con la sua ombra minacciosa e funesta, disegnato da poesia di fumo, era già apparsa nel racconto degli orsi, in cui la suddivisione di una composizione in immagini più piccole sembra anche rendere conto di una sequenza narrativa più duratura, espediente presente all'incontro di amici nella magione asolana e, già nel libro del 1969 e in alcuni dei racconti dipinti: “Il delitto di Via Calumi” (1962), “Il visitatore del mattino” (1963), “La vampira” (1965), “La casa dei misteri” ( 1965), “I misteri dei condomini” (1967), “Il pied-à-terre dell'on. Rongo-Rongo” (1969), per esempio.

In tutte queste opere, così come in “Il circo Kroll” (1965), “Uno strano furto” (1966), “L'urlo” (1967) e “Un utile indirizzo” (1968), il tema della sottomessa sessualmente donne è presente. Il corpo contorto, che riappare in poesia di fumo, è la rielaborazione di un disegno servitù di Adolfo Ruiz, Rapito e ridotto in schiavitù (anni '1950). Nel caso de “Il visitatore del mattino”, il dialogo si riallaccia con l'opera citata, con “Un invadente parlamento” (1964) e con “Il formicone” e “Il robot”, in cui i predatori sessuali si somigliano prima di ai manufatti meccanici che agli animali; mentre “Il circo Kroll” e “Un utile indirizzo”, così come alcune pagine del libro del 1969, rimandano direttamente a “Schiava dei mori”. Il sadismo permea tutte queste opere.

La rappresentazione della vittima femminile del vampiro, tradotta da poesia i fumetti – così come quello della giovane schiava dei Mori e quello de “La vampira”, in cui si insinua il lesbismo – ha ancora somiglianze con diverse eroine sexy fumetti degli anni '1960, ai quali lo scrittore si è interessato: Barbarella, creato da Jean-Claude Forest, Valentina, di Guido Crepax, Satanik, di Max Bunker (Luciano Secchi) e Magnus (Roberto Raviola), Selene, di Paul Savant (Marco Rostagno) e Victor Newman (Corrado Farina).

Entrare nell'universo dei fumetti significa anche fare riferimento alla Pop Art, che tanto ha affascinato Dino Buzzati. All'inizio del 1964, dopo un soggiorno negli Stati Uniti, lo scrittore si entusiasmò per questa manifestazione artistica, che sarebbe uscita vittoriosa alla Biennale di Venezia dello stesso anno. Un nuovo viaggio a New York, nel dicembre 1965, lo porta negli studi di diversi suoi esponenti, tra cui Andy Warhol. Va da sé che lo scrittore fu un convinto sostenitore dell'arte figurativa.[12]

Il volto della sorella della ragazza rapita, in primo piano, rivela l'ammirazione per Lichstenstein, già manifestata in "La vampira", "Un utile indirizzo" e "Un amore" (1965), mentre il mantello vuoto dell'uomo schiavo del l'amore di una giovane donna è un omaggio ad Oldenburg, già reso nell'ultimo dipinto citato, in “Laide” (1966) e “Ritratto di un vecchio nobile austriaco” (1967). Non è raro che le donne Buzzatee vengano colte in pose lascive (derivate dal languore di madonna di Munch nelle sue varie versioni), come la già citata “Laide” e quelle che occupano innumerevoli pagine di poesia di fumo (alcuni dei quali si ispirano ai periodici erotici francesi degli anni '1960, o offrono le loro labbra tentatrici, come quelle che predominano nell'illustrazione de “Il Sorri Fatale”.[13]

Nel campo della letteratura, la menzione dei romanzi Moby Dick (1851), di Herman Melville, e Il fuoco (1900), di Gabriele D'Annunzio, rispettivamente in “Il colombre” e “Il Veneza”; al racconto “La caduta della casa Usher” (1839), di Poe, in “La caduta dalla casa Usher” [14]; alla favola di Cappuccetto Rosso, in “Cappuccetto rosso”, e al pensiero di Pierre Klossowski, in “Il formicone”[15], è spiegato dall'autore stesso, anche se potrebbe essere un falso indizio. Tra le opere letterarie, potrebbero essere elencate anche L'invenzione di Morel (1940), di Adolfo Bioy Casares, nel titolo del libro, il rinoceronte (1959), di Eugène Ionesco, in “I rinoceronti”, e Schiavitù umano (1915), in “Schiavo d'amore”, poiché questa era la traduzione in italiano del titolo del romanzo di William Somerset Maugham.

In ogni caso, il tema dell'uomo che soccombe al fascino di una donna, presente anche ne “Il Sorri Fatale”, era già stato affrontato da Dino Buzzati in Un amore (1963), romanzo a cui, per parte della critica, era affiliato Acqua e Sapone (1955), di Vladimir Nabokov, che narra la storia di un architetto maturo e di successo, che si innamora di Laide, una giovane donna del villaggio che lavora come prostituta in un luogo di ritrovo.

L'allusione al teatro dell'assurdo sarebbe data non dalla trama stessa, ma dalla stessa atmosfera di straniamento, creata da una situazione insolita (come nella commedia), fatto rafforzato dall'uso di caratteri geroglifici nei palloncini che registrano i pensieri dei rinoceronti, in cui Dino Buzzati recupera una delle sue passioni adolescenziali: la scoperta dell'egittologia. Non sarebbe la prima volta che il nome di Dino Buzzati viene associato a quello di Ionesco e Samuel Beckett, se ricordiamo che Martin Esslin, creatore del concetto di teatro dell'assurdo, comprendeva anche un caso clinico tra i pezzi rappresentativi della “drammaturgia della crisi” (informazioni fornite da Carnazzi nella “Cronologia”).[16]

Sebbene le carte geografiche italiane registrino Valmorel (paese nei pressi di Belluno) e non Val Morel, che nella “narrativa letteraria, in realtà, comprende i territori della Val Bellunese” (secondo Viganò nella sua postfazione), si potrebbe suggerire quell'ipotesi che, nel toponimo che integra il titolo del libro, Buzzati abbia voluto rendere omaggio al romanzo argentino, uscito in Italia nel 1966, per lo stesso sentimento di spiazzamento rispetto alla comune percezione della realtà che i due libri aumentare.

Tra le opere letterarie citate, la favola è forse quella che offre una chiave di lettura I miracoli di Val Morel. l'avventura di Cappuccetto Rosso, raccolto da Charles Perrault nel XVII secolo e rielaborato dai fratelli Grimm nel 1812, prima di essere metaforizzato, era una leggenda comune a diverse culture europee in cui i lupi erano una presenza reale. Ed è quello che sembra aver fatto Buzzati quando ha proposto la sua “versione” di storie essenzialmente legate al folklore della sua regione: ha forgiato una serie di piccole favole, introdotte da una più grande, basate su storie che, come quella di cappellino rosso, fanno parte di una tradizione della cultura popolare[17]: la trasmissione orale di storie ed eventi, straordinari e non, che si perdono nella notte dei tempi.

In questo senso, I miracoli di Val Morel finisce per essere una sorta di summa dell'intera opera dello scrittore, che torna idealmente nella sua terra natale, sulle montagne della sua infanzia, per salutare la vita, dopo aver attraversato le altre tappe della sua esistenza (la pianura della giovinezza e la città della maturità), come i protagonisti di La famosa invasione degli Orsi in Sicilia.

Nonostante il tema apparentemente religioso, che si rivela piuttosto popolare e fantasioso, ciò che l'autore cercava non era tanto un'approssimazione di Dio di fronte all'imminenza dell'esito fatale, quanto un modo per esorcizzare le proprie paure, superare l'angoscia di attesa metafisica e andare sereni verso colei che inevitabilmente attende ogni uomo alla fine del suo viaggio: colei che ha chiamato “il volto della morte".

*Mariarosaria Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Lettere Moderne della FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Neorealismo cinematografico italiano: una lettura (Edusp).

Versione riveduta e ampliata del documento presentato al VI Incontro Nazionale Unusual in Question in Fictional Narrative, Rio de Janeiro, UERJ, 30 marzo-1 aprile 2015.

Riferimenti


ADAMOVIT, Ruggero. “La foresta delle tele parlanti” (2013). Disponibile in .

AQUILA, Giulia Dell'. “Cronaca di una visione: Dino Buzzati e Hieronymus Bosch”. Italianistica: scrittore di lettere italiane, Pisa-Roma, anno 38, n. 3, sett.-dic. 2009.

BUZZATI, Dino. La famosa invasione dell'orso in Sicilia. Trans. Nilson Moulin. San Paolo: Berlendis & Vertecchia Editores, 2001.

BUZZATI, Dino. I miracoli di Val Morel. Milano: Mondador, 2012.

BUZZATI, Dino. poesia di fumo. Milano: Mondador, 2010.

CARNAZZI, Giulio. "Cronologia". In: BUZZATI, Dino. poesia di fumo, cit.

CARNAZZI, Giulio. "Introduzione". In: BUZZATI, Dino. Scelte commerciali. Milano: Mondador, 2002.

COGLITORE, Roberta. “L'espediente dell'ex Voto ne I miracoli di Dino Buzzati”. Rivista Sans Soleil – Estudios de la imagen, v. 5, n. 2, 2013.

“Dino Buzzati”. In: BUZZATI, Dino. un amore. Milano: Mondador, 1985.

“Dino Buzzati”. In: BUZZATI, Dino. La boutique misteriosa. Milano: Mondador, 2015.

“Dino Buzzati”. In: BUZZATI, Dino. Sessanta racconti. Milano: Mondador, 2015.

FABRIS, Mariarosaria. "La favolosa incursione di Dino Buzzati nella letteratura per ragazzi". pensa alla rivista, São Gonçalo, n. 9, 2016.

FARIA, Almeida. La passione. San Paolo: Cosac Naify, 2014.

LAZZARATO, Francesca. “Un libro per tutti”. In: BUZZATI, Dino. La famosa invasione dell'orso in Sicilia, cit.

MONTANELLI, Indro. "Prefazione". In: BUZZATI, Dino. I miracoli di Val Morel, cit.

PUPPO, Alessandro Del. “Fonti visive e intezioni narrative nel Buzzati illustratore” (2013). Disponibile inhttps://www.academia.edu.8287751t/Fonti_visive_e_intenzioni_narrative_nel_

Buzzati_illustratore>.

TOSCANI, Claudio. "Introduzione". In: BUZZATI, Dino. Il colombre e altri cinquanta racconti. Milano: Mondador, 1992.

VIGANÒ, Lorenzo. “Introduzione – La discesa nell'Aldilà: l'ultimo viaggio di Dino Buzzati”. In: BUZZATI, Dino. poesia di fumo, cit.

VIGANO, Lorenzo. “Postfazione – Dino Buzzati e il miracolo della sua vita”. In: BUZZATI, Dino. I miracoli di Val Morel, cit.

note:


[1] Buzzati è stato anche scenografo e costumista del balletto Gioco di carte (1936-1937), di Igor Stravinskij, presentato al Teatro alla Scala di Milano, alla fine degli anni Cinquanta; e scenografo di due opere liriche in un atto, su suo libretto e musiche di Luciano Chailly: il mantello (Firenze, Teatro della Pergola, 1960) e Era proibito (Milano, Piccola Scala, 1962-1963).

[2] In relazione alla mostra, sono state aggiunte Il colombo, Il gatto mammut, Il gigante pettirosso, Gatto di casa Usher e io marziani. Per Roberta Coglitore, le tavolette votive “dovrebbero aggiungersi anche a quella dipinta nell'estate del 1971 per il dottor Giovanni Angelini, che si prese cura dell'autore nei suoi ultimi mesi”.

[3] La prima versione, intitolata La famosa invasione degli Orsi, è stato parzialmente divulgato nei capitoli del periodico per bambini Corriere ne ho dati piccoli, tra il 7 gennaio e il 29 aprile 1945, quando la pubblicazione fu interrotta per la fine della guerra. Per essere pubblicata in un libro, la favola è stata rielaborata dall'autore. Per ulteriori informazioni su questo lavoro, vedere il mio testo pubblicato in pensa alla rivista, disponibile su Internet.

[4] La storia completa di Alberto Olivo – che da Milano si recò a Genova per gettare in mare il corpo smembrato della moglie, trasportato in una valigia (1903) – è stata pubblicata integralmente nel volume Delitti, che fa parte del lavoro La “nera” di Dino Buzzati (2002).

[5] Il libro di Buzzati contribuì ad affermare il grafico romanzo, un genere che divenne popolare alla fine degli anni '1970.

[6] Carnazzi annota nella “Cronologia” i detti di Camus: “Anche quando gli italiani passano per la porta stretta mostrata loro da Kafka o Dostoievski, passano con tutto il peso del loro corpo. E la sua oscurità, tuttavia, risplende. Questa semplicità tragica e familiare l'ho ritrovata nel dramma di Buzzati e, come adattatrice, ho cercato di mettermi al suo servizio”. Anche per Francesca Lazzarato l'autrice veneziana “non veste, in fondo, i panni di un Kafka in piccolo (un approccio insistente e proprio sgradevole per la scrittrice, ben lontano dalla negazione senza vie d'uscita che sta alla base dell'opera di Kafka)”.

[7] Nel 1967, Buzzati aveva dipinto il personaggio su tela. Diabolik, sotto l'impatto del lavoro di Roy Lichstenstein (l'artista che aveva reinventato il fumetto), apprezzato, allora, alla Biennale di Venezia dell'anno precedente.

[8] Per attestare l'importanza dei brevi testi dell'autore, basti ricordare che, riferendosi agli scritti di quella specie di diario che Buzzati va aggiornando fin dalla sua prima edizione del 1950, In quale momento preciso, Eugenio Montale li definì “coriandoli di poesia” (espressione citata da Viganò).

[9] Nel 1966 Buzzati scrive il racconto fantastico “Il maestro del Giudizio Universale”, che fa da introduzione al volume dedicato a Bosch nella raccolta “Classici dell'arte” dell'editore Rizzoli di Milano. Secondo Giulia Dell'Aquila: “L'opera del pittore quattrocentesco – così legata a una vastissima gamma di fonti erudite e popolari (libri di sogni e visioni, trattati alchemici e astrologici, testi anche propriamente letterari) – ben si concilia con la scrittura buzzathiana, che è sempre stata sostenuta da interessi e fonti assai varie”.  

[10] Come la casa del cantoniere ne “Il vecchio della montagna”, ripresa dall'etichetta del digestivo Braulio.

[11] “Gatto mammone"E"babau” corrispondono, in portoghese, a “bogeyman”. Nel primo caso si è preferito optare per “gatto spauracchio”, vista la presenza del felino nella storia.

[12] Buzzati non nascose la sua avversione per l'arte astratta, scrivendo anche racconti per deridere i suoi seguaci, come “Battaglia notturna alla Biennale di Venezia” e “Il critico d'arte”, che fanno parte di Sesanta racconti (1958).

[13] Le opere citate in questo paragrafo così come nel penultimo e terzultimo fanno parte del volume del 2013 di La storia dipinta: “Il delitto di Via Calumi”, “Il visitatore del mattino”, “Un parlamentare invasore”, “La vampira”, “La casa dei misteri”, “Un amore”, “Il circo Kroll”, “Uno strano furto” , “Il babau”, “Ritratto di un vecchio nobile austriaco”, “Laide”, “I misteri dei condomini”, “L'urlo”, “Un utile indirizzo” e “Il pied-à-terre dell'on. Rongo”. Per le date, della pubblicazione del 1958 dovevano far parte anche “Toc, toc”, “Maiali volanti” e “I lupi nuotatori”.  

[14] “Il colombre” deriva in realtà da un altro racconto con lo stesso titolo pubblicato in La boutique misteriosa (1968). Buzzati scarta il paragone con la balena immortalata da Melville, in quanto il suo mostro marino non è malvagio. Quanto a “La caduta dalla casa Usher”, si tratta di una battuta da parte del narratore: nel testo stesso, precisa che quanto accaduto alla signorina Usher, quando è caduta dalla casa in fiamme, non ha nulla a che fare con la racconto dello scrittore americano. Legato all'opera di Poe, infatti, è “Il crollo della Baliverna” (1954), poi pubblicato in Sesanta racconti. Narra la storia di un edificio costruito nel XVIII secolo, una casa per senzatetto, che un ignaro passante fa crollare strappando accidentalmente una sbarra di ferro. La descrizione della facciata posteriore della Baliverna, con le sue finestre più simili a feritoie, ripresa da Buzzati nell'illustrazione della casa in fiamme, era già stata utilizzata in “Ragazza che precipita” (1962), elaborazione pittorica dell'omonimo storia, che integra La boutique misteriosa, da cui l'autore sembra aver tratto la caduta di Bernardina Usher (seguita dalla santa), lungo un edificio che ricorda un grattacielo.

[15] Principalmente le prove Il bagno di Diana (1956).

[16] Dentro La storia dipinta, “Le sedie” (1965) alludeva già all'opera di Ionesco e, più precisamente, all'opera teatrale del 1952, che lo stesso autore definì “farsa tragica”: Le sedie (Le sedie), rappresentata per la prima volta in Italia nel luglio 1956, al Piccolo Teatro di Milano. Le sedie buzzathiane allineate in cima a una pedana, ai cui piedi giace una figura umana che non può più parlare, mentre si sussurrano vecchie storie, rimandano alla scena del montaggio teatrale, in cui il silenzio dei sordi- l'oratore muto è interrotto, alla fine, dal mormorio crescente e decrescente di una moltitudine invisibile.   

[17] Anche gli ex voto sono una manifestazione della cultura popolare. Lo scrittore portoghese Almeida Faria, nel suo romanzo La passione (1965), li definì “quadri fatti di persone”: “l'eremo è un silenzio del sole, vicino al cielo come agli uomini […]; ogni giorno là le persone fanno promesse a un Dio che non le ascolta e le perseguita; in sagrestia ci sono trecce, mani, piedi in cera, ritratti di famiglia, effigi di soldati e immagini fatte di persone, con il letto, l'infermo (a volte una donna, che soffre i dolori del parto, il ventre che si gonfia sotto le lenzuola, grande matrice di malavita, terra feconda e prodiga) e nutrici di coca e la bella Vergine avvolta in una nuvola, scendendo in volo facile oltre le pareti della stanza, davanti all'afflitta famiglia piena di stupore, e in didascalie in versi con errori e verità: a santanossasenhora per avermi salvata dalla morte quando ero infelice e soffrivo i dolori del parto”.


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