Pier Paolo Pasolini – la fase corsara

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da GIOVANNI ALVES*

Nella fase finale della sua vita e della sua opera, Pasolini assume la postura del “corsaro”, del pirata letterario che attacca senza sosta le istituzioni, la cultura e i valori di un’Italia in profonda trasformazione.

Il 2 novembre 1975 moriva uno dei più grandi scrittori e registi italiani del XX secolo: Pier Paolo Pasolini. Fu assassinato a Ostia, vicino Roma, in circostanze ancora controverse e non del tutto chiarite. Pasolini è stata una figura poliedrica, nota in Italia come poeta, regista, scrittore e intellettuale pubblico. La sua prematura scomparsa rappresentò una grande perdita per la cultura e l'arte. In questo articolo prenderemo in considerazione l'ultima fase dello scrittore e regista italiano.

La “fase corsara” di Pier Paolo Pasolini si riferisce al periodo finale della sua vita e del suo lavoro, in particolare agli anni Settanta, durante i quali divenne un critico ancora più energico e controverso della società italiana, del capitalismo, del consumismo e della politica contemporanea. Il termine “corsaro” trae ispirazione dai testi da lui pubblicati sul quotidiano “Corriere della Sera", che furono poi raccolti nel libro Scritti corsari (Sceneggiatura Corsari, 1975).

Pasolini assume in questa fase la posizione del “corsaro”, del pirata letterario che attacca senza sosta le istituzioni, la cultura e i valori di un’Italia in profonda trasformazione. Ci sono precedenti cinematografici di questa fase – Teorema e Porcile, ad esempio, può comporre con salò, quella che possiamo chiamare la Trilogia della Morte (in contrapposizione alla Trilogia della Vita).

Durante la “fase corsara”, Pasolini intensificò la sua critica al consumismo e alla società dei consumi che, a suo avviso, stavano distruggendo l’autenticità culturale e umana dell’Italia. Egli vedeva il consumismo come una forma di “fascismo morbido”, più insidioso e pericoloso del fascismo storico perché non utilizzava la forza bruta per imporsi, ma piuttosto la seduzione, la manipolazione dei media e la mercificazione di tutti gli aspetti della vita. Pasolini credeva che il consumismo trasformasse le persone in semplici consumatori, alienati e conformisti, incapaci di resistere a un sistema che plasmava i loro desideri e la loro identità. Sosteneva che la nuova cultura di massa stava uniformando la società italiana, cancellando le differenze regionali, popolari e di classe che, per lui, erano fonte di autenticità e ricchezza culturale.

La “fase corsara” è segnata anche dalla denuncia della crescente presenza del neofascismo nella società italiana, da lui vista come sintomo della crisi del capitalismo. Per Pasolini, il neofascismo contemporaneo non era solo espressione di movimenti politici di estrema destra, ma manifestazione di un sistema di potere che si esprimeva attraverso i media, la pubblicità e il consumismo. Egli vedeva la trasformazione della società italiana come una forma di “omologazione”, dove tutti gli aspetti della vita erano sottoposti alla logica del mercato e all’imposizione di valori borghesi e consumistici.

Da questa prospettiva, Pasolini sosteneva che la vera violenza del fascismo moderno non risiedeva nelle manifestazioni esplicite del potere o della repressione, ma nel modo in cui la cultura di massa e il consumismo colonizzavano la coscienza delle persone, portandole ad accettare passivamente un sistema che le alienava e le trasformava in oggetti di consumo.

L'atteggiamento “corsaro” di Pasolini si caratterizza anche per l'audacia e la volontà di confrontarsi con tabù, ipocrisie e argomenti controversi. Attaccò sia la destra che la sinistra, criticando il Partito Comunista Italiano (PCI) per aver ceduto al conformismo e all'imborghesimento e accusando intellettuali e politici di non riuscire a percepire o affrontare la vera natura del fascismo moderno.

La sua posizione controversa si manifestava anche nella critica alla liberalizzazione dei costumi e alla rivoluzione sessuale degli anni '1960 e '1970, che vedeva come un'estensione della logica del consumo. Per Pasolini la liberazione sessuale non rappresentava la vera libertà, ma piuttosto un modo per trasformare il corpo e la sessualità in merci, rafforzando l'alienazione e la disumanizzazione da lui tanto criticate.

Gli articoli che compongono il scritti corsari[I] sono chiari esempi di questa fase. In essi Pasolini affronta temi quali la distruzione delle tradizioni popolari, l'omogeneizzazione culturale, la repressione statale, la corruzione politica e l'ipocrisia della società italiana. Scriveva in modo diretto, schietto e spesso provocatorio, sfidando il lettore ad affrontare le scomode verità che esponeva sulla società contemporanea. Questa posizione portò Pasolini a essere considerato una figura controversa e spesso emarginata, ma anche uno dei critici più lucidi e visionari del suo tempo.

La sua analisi del rapporto tra consumismo, cultura di massa e neofascismo anticipò molti dei problemi che sarebbero diventati centrali nei decenni successivi, in particolare la crescente mercificazione della vita quotidiana e l'insidiosa influenza dei media e della pubblicità nel plasmare la coscienza e i desideri individuali.

La “fase corsara” è, per molti versi, l’ultimo atto di resistenza di Pasolini contro un sistema che considerava irreversibilmente corrotto e disumanizzante. Il suo rifiuto di sottomettersi al conformismo e la sua volontà di attaccare il consumismo, il neofascismo e l’ipocrisia della società italiana lo hanno reso un “corsaro”, un intellettuale che, come un pirata, attacca le navi del potere costituito e sfida le certezze e le illusioni che sostengono lo status quo. La sua tragica e violenta morte nel 1975, in circostanze ancora oggi avvolte nel mistero, ha conferito ai suoi scritti e ai suoi film di quel periodo una dimensione ancora più profetica e disperata, confermando il suo ruolo di uno dei critici più implacabili e visionari della società contemporanea.

La “fase corsara” di Pasolini è quindi il periodo in cui egli diviene uno dei più feroci critici della società dei consumi, del neofascismo e dell’alienazione culturale. La sua posizione provocatoria, controversa e spesso solitaria lo ha reso una voce indispensabile per comprendere le trasformazioni del capitalismo, della politica e della cultura in Italia e nel mondo. È un momento in cui Pasolini abbandona ogni speranza di riconciliazione con la società e assume la posizione di “corsaro”, critico radicale disposto a combattere fino alla fine contro le forze che vede come distruttrici di umanità e autenticità.

L'ultima fase della filmografia di Pasolini è rappresentata dal suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), che segna un drastico cambiamento di tono e contenuto. Questo film è un libero adattamento dell'opera del Marchese de Sade, ambientato nella Repubblica di Salò durante la seconda guerra mondiale, e offre una critica violenta e disperata della società dei consumi, del fascismo e della corruzione del potere. Rispetto a Accattone, Salò rappresenta la fase finale del pessimismo di Pasolini nei confronti della società capitalista. Mentre Accattone aveva ancora una dimensione di umanità e una ricerca di autenticità, Salò ritrae un mondo in cui la brutalità, il dominio e la disumanizzazione sono portati all'estremo, senza alcuna possibilità di redenzione.

Salò – Pasolini critico del sociometabolismo della barbarie

Salò ou I 120 giorni di Sodoma è un libero adattamento del romanzo del Marchese de Sade, ambientato nella Repubblica di Salò, ultima roccaforte fascista in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale.[Ii]. La trama segue quattro potenti personaggi – un duca, un vescovo, un magistrato e un presidente – che rapiscono 18 giovani (nove ragazze e nove ragazzi) e li portano in una villa isolata. Lì sottopongono i giovani a un regime di torture fisiche, psicologiche e sessuali che si svolge in tre “cerchi”: il Cerchio delle Manie, il Cerchio della Merda e il Cerchio del Sangue.

Nel corso di 120 giorni, i giovani vengono brutalizzati e trattati come oggetti per il piacere sadico dei fascisti, che li riducono a semplici “merci”. Il film culmina in una serie di torture ed esecuzioni, che ritraggono esplicitamente l'orrore, la disumanizzazione e l'esercizio assoluto del potere sotto l'influenza del capitale.

Il Duca (Paolo Bonacelli) è una delle figure del potere, simbolo della nobiltà fascista e della corruzione della classe dirigente. Il Presidente (Umberto Paolo Quintavalle) rappresenta il potere politico ed esercita la sua autorità in modo tirannico e sadico. Il Magistrato (Aldo Valletti) è una figura della magistratura che partecipa attivamente alle torture e dimostra la connivenza della giustizia con il potere oppressore. Il Vescovo (Giorgio Cataldi) rappresenta la Chiesa e l'ipocrisia religiosa, collaborando agli orrori commessi nella villa. Le Dame (Caterina Boratto, Hélène Surgère ed Elsa De Giorgi) sono le donne anziane che narrano storie erotiche per stimolare i fascisti, rivelando come la narrazione dell'oppressione e del piacere siano intrinsecamente legate.

L’estetica di Salò è volutamente fredda, clinica e distaccata. Pasolini rifugge ogni tentativo di romanticizzazione o abbellimento, filmando le scene di tortura e violenza in maniera diretta e quasi documentaristica. I colori sono neutri e la telecamera mantiene una distanza impersonale, rafforzando il senso di estraneità e disumanizzazione. L'uso della musica di Ennio Morricone crea un contrasto ironico con la brutalità delle scene, intensificando l'impatto della narrazione.

Salò è una critica feroce al potere assoluto – il potere del capitale nella sua fase di espansione globale – e al modo in cui corrompe e disumanizza. I quattro signori fascisti esercitano il loro potere illimitato sui giovani, trasformandoli in oggetti per la loro soddisfazione e rivelando l'essenza distruttiva e sadica del dominio. Non è una questione di mero Potere assoluto, della forza quasi metafisica del Male. Non possiamo dimenticare la natura storica del fascismo. Il fascismo fu la risposta della borghesia alla lotta di classe e all'ascesa del bolscevismo nelle condizioni storiche di crisi sociale e di declino del capitalismo liberale subito dopo la prima guerra mondiale.

Il fascismo nasce quando le classi dominanti temono la rivoluzione proletaria, utilizzandola come mezzo per reprimere i movimenti sociali e mantenere il controllo. Il fascismo – secondo Lev Trotsky – non era solo un’ideologia, ma una forma di governo che si nutre dell’insoddisfazione della piccola borghesia e del popolo nei confronti della democrazia liberale.[Iii]

Pasolini aggiunge una nuova percezione del fascismo: il fascismo è il mezzo di manipolazione della soggettività – corpo e mente – nella sua forma biopolitica o forma di governamentalità che si espande con il neocapitalismo, la fase più alta del capitalismo totale, il capitalismo manipolativo.[Iv] e – allo stesso tempo – la fase storica iniziale della crisi strutturale del capitale[V] . Il neoliberismo esacerberebbe le tendenze manifestatesi agli albori del neocapitalismo, con una manipolazione ulteriormente approfondita dalla nuova base tecnologica informativa. Il neofascismo denunciato da Pasolini diventerebbe così il nuovo metabolismo sociale: il sociometabolismo della barbarie.

Il film salò esplora il modo in cui il corpo umano, sotto il capitale, viene ridotto a un oggetto di consumo, una merce da usare, abusare e scartare. Questa mercificazione è una metafora del tardo capitalismo e del neocapitalismo, che Pasolini vedeva come un sistema che trasformava le persone in oggetti di consumo. Salò denuncia il legame tra neofascismo e consumismo moderno. salò Non è un film storico, sebbene utilizzi riferimenti storici alla Repubblica fascista di Saló.

Pasolini vedeva il consumismo – l’ideologia del nascente neocapitalismo – come una nuova, più sottile e insidiosa forma di fascismo, che imponeva la sua logica di dominio attraverso il piacere e il desiderio, piuttosto che attraverso la coercizione fisica. Il film presenta un mondo in cui ogni moralità e valore sono stati distrutti, riflettendo la visione di Pasolini della disintegrazione culturale ed etica della società neocapitalista. La totale mancanza di empatia e compassione dei signori fascisti è una rappresentazione dell'estrema alienazione e della perdita di umanità che Pasolini vedeva nel neocapitalismo.

salò Fu prodotto in un momento precoce della crisi strutturale del capitale che si manifestò nella crisi dell'economia capitalista all'inizio degli anni Settanta e nelle sue ripercussioni politiche in Italia e nel mondo occidentale in generale. Gli anni '1970 furono caratterizzati da recessione, disoccupazione, inflazione e dalla crisi petrolifera del 1970, che scosse le economie capitaliste.

In Italia questo periodo divenne noto come “Anni di piombo” (Gli anni di Piombo), a causa della crescente violenza politica, con conflitti tra gruppi di estrema sinistra ed estrema destra, attacchi terroristici e repressione statale. Il neofascismo era in ascesa, con gruppi di estrema destra che promuovevano attacchi politici e omicidi, mentre lo Stato italiano rispondeva con misure repressive che minavano le libertà civili. Pasolini vedeva in questo contesto una manifestazione della crisi del tardo capitalismo e del crollo morale della società dei consumi.

Percepì la convergenza tra consumismo, alienazione e violenza fascista, e Salò divenne il suo manifesto conclusivo contro quella che considerava la totale decadenza della civiltà del capitale nella sua fase di crisi strutturale. La sua uscita, avvenuta solo pochi mesi prima dell'assassinio di Pasolini, non fa che rafforzare il carattere profetico e disperato del suo messaggio finale sulla condizione umana e sugli orrori del dominio e del consumo nel capitalismo manipolatore.

Pasolini e il neocapitalismo

In articoli di giornale degli anni Settanta – principalmente nel periodo 1970-1973 – Pasolini esprimeva il vero orrore del neocapitalismo. Alla vigilia della sua morte, assassinato dai fascisti, Pasolini raggiunse l'apice della sua critica all'ordine borghese italiano. Per lui, il neocapitalismo ha distrutto una delle più grandi potenze della società italiana: la Chiesa cattolica. Vale a dire che il nuovo potere del capitale fece ciò che neppure il fascismo di Mussolini riuscì a fare: svuotò lo spirito religioso.

nel giornale Corriere della Sera Il 17 maggio 1973 Pasolini fece una dichiarazione schietta e visionaria: “Il fascismo, come momento regressivo del capitalismo, era oggettivamente meno diabolico […] del regime democratico”[Vi] . Pasolini si occupa del fatto che la Chiesa, secondo lui, «ha stretto un patto col diavolo, cioè con lo Stato borghese». Egli afferma: “Il fascismo era una bestemmia, ma non ha minato la Chiesa dall’interno, perché era una falsa nuova ideologia […] se il fascismo non ha nemmeno scalfito la Chiesa, il neocapitalismo oggi la distrugge. L’accettazione del fascismo fu un episodio atroce: l’accettazione della civiltà borghese capitalista è un fatto definitivo, il cui cinismo non è una macchia tra le tante nella storia della Chiesa, ma un errore storico che la Chiesa pagherà probabilmente con la sua decadenza”. [Vii].

Per Pasolini, quindi, l’accettazione della civiltà borghese capitalista o del regime democratico era peggiore del fascismo, perché faceva ciò che neanche il fascismo poteva fare: svuotare lo spirito della religione – e nel caso della Chiesa: “La borghesia – dice – rappresentava uno spirito nuovo che non è certo lo spirito fascista: uno spirito nuovo, che dapprima avrebbe fatto concorrenza allo spirito religioso (salvo il solo clericalismo) e poi avrebbe finito per sostituirlo per dare agli uomini una visione totale e unica della vita (senza aver bisogno del clericalismo come strumento di potere)”.[Viii]

E ha sottolineato: “Il futuro non appartiene ai vecchi cardinali, né ai vecchi politici, né ai vecchi magistrati, né ai vecchi poliziotti. Il futuro appartiene alla giovane borghesia, che non ha più bisogno degli strumenti classici per detenere il potere; che non sa più cosa farsene di una Chiesa già stremata dal fatto di appartenere a quel mondo umanista del passato, che costituisce un ostacolo alla nuova rivoluzione industriale. Il nuovo potere borghese, infatti, esige dai consumatori uno spirito totalmente pragmatico ed edonistico: solo in un universo tecnico e puramente terreno il ciclo di produzione e consumo può svolgersi secondo la sua natura. Per la religione, e soprattutto per la Chiesa, non c’è più spazio”.[Ix]

Nel marzo 1974, in un altro articolo pubblicato sulla rivista dramma, intitolato “Gli intellettuali nel 68: manicheismo e ortodossia della “Rivoluzione del giorno dopo”, Pasolini metteva in luce l’emergere di “una nuova forma di civiltà e di un lungo futuro di “sviluppo” programmato dal Capitale”. Per lui il neocapitalismo “ha compiuto la sua rivoluzione interna, la rivoluzione della scienza applicata” – cioè Pasolini faceva inconsciamente riferimento a quella che Marx chiamava “grande industria” caratterizzata dal predominio del plusvalore relativo e dalla sussunzione reale del lavoro al capitale.

Karl Marx considerava la grande industria come la “rivoluzione completa (che si approfondisce e si rinnova costantemente) nel modo di produzione capitalistico stesso, nella produttività del lavoro e nel rapporto tra capitalista e lavoratore”.[X] Questa “rivoluzione della scienza applicata”[Xi] per Pasolini era pari per importanza alla “Prima semina, su cui si fondava la millenaria civiltà contadina”[Xii]. Il capitale fondò così una nuova forma di civiltà che, per esso, stava perdendo “ogni speranza di una rivoluzione operaia”.

Dice: “Ecco perché la parola Rivoluzione è stata gridata così tanto. Inoltre, non solo era chiara l’impossibilità di una dialettica, ma anche l’impossibilità di definire la commensurabilità tra capitalismo tecnologico e marxismo umanista.”[Xiii] Pasolini era davvero pessimista riguardo al nuovo corso storico del capitalismo e del suo “sviluppo”, cioè il consumismo, il benessere e l’ideologia edonistica del potere.

Nell'articolo del 10 giugno 1974 in Corriere della Sera, intitolato “Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia”, Pasolini affronta il tema forte dei suoi scritti corsari: la mutazione antropologica provocata dal neocapitalismo in Italia. Egli ha osservato che (i) “le ‘classi medie’ sono cambiate radicalmente, direi addirittura antropologicamente: i loro valori positivi non sono più valori reazionari e clericali, bensì i valori (non ‘nominati’ e vissuti ancora solo esistenzialmente) dell’ideologia edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernista di tipo americano. È stato il Potere stesso – attraverso lo 'sviluppo' della produzione di beni superflui, l'imposizione del consumo frenetico, della moda, dell'informazione (e soprattutto, in maniera imponente, della televisione) – a creare tali valori, scartando cinicamente i valori tradizionali e la Chiesa stessa, che di questi valori era il simbolo.”[Xiv] .

Più tardi, Pasolini osservò (ii) “che l’Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disintegrata, non esiste più, e che al suo posto c’è stato un vuoto che probabilmente attende di essere riempito da una completa borghesizzazione del tipo sopra menzionato (modernizzante, falsamente tollerante, americanizzante, ecc.)”[Xv] .

Il regista italiano ha riflettuto sullo scenario politico italiano, in cui il fascismo (o la destra), in considerazione della storia stessa dell'Italia, è una destra rozza, ridicola e feroce, e che "il neofascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale". Ma Pasolini riconosce che in Italia sta accadendo qualcosa di peggio. Egli afferma: “Tutte le forme di continuità storica sono state interrotte. Lo 'sviluppo', voluto pragmaticamente dal Potere, è stato storicamente istituito in una sorta di epoché[Xvi] che ha radicalmente 'trasformato', in pochi anni, il mondo italiano”.[Xvii]

Questo salto “qualitativo” riguarda allora tanto i fascisti quanto gli antifascisti: è infatti il ​​passaggio da una cultura, fatta di analfabetismo (il popolo) e di umanesimo lacero (le classi medie) di un’arcaica organizzazione culturale, all’organizzazione moderna della “cultura di massa”. Per Pasolini “la cosa, in realtà, è enorme” [Xviii]. Egli insiste sul fatto che il fenomeno della “mutazione” antropologica si è verificato.” Pasolini – quasi un Gramsci dell’“americanismo e del fordismo” – ha messo in luce che il capitale ha modificato i caratteri necessari del Potere, dando origine a un nuovo uomo borghese – l’uomo neofascista. Egli afferma: «La “cultura di massa”, ad esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, morale e patriottica: essa, infatti, è direttamente legata al consumo, che ha le sue leggi interne e la sua autosufficienza ideologica capace di creare automaticamente un Potere che non sa più cosa farsene della Chiesa, della Nazione, della Famiglia e di altre credenze simili».

Pasolini caratterizzerà il nuovo epoca del mondo italiano – l’epoca della totale borghesizzazione – che si caratterizza per la massificazione “culturale” che riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Pasolini chiarisce quella che egli intende come la “standardizzazione culturale” che caratterizza la mutazione antropologica italiana: “Il contesto sociale è cambiato, nel senso che è diventato estremamente unitario. La matrice che genera tutti gli italiani è diventata la stessa. Non esiste quindi più alcuna differenza sostanziale, al di là dell'opzione politica, uno schema morto da colmare con gesti vuoti, tra un cittadino italiano fascista e un cittadino italiano antifascista. Sono intercambiabili dal punto di vista culturale, psicologico e, cosa ancora più impressionante, fisico. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico, non c'è nient'altro che distingua, se non, ripeto, un comizio o un'azione politica, un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane, gli anziani possono essere differenziati in questo senso), e questo per quanto riguarda i fascisti medi e gli antifascisti. Per quanto riguarda gli estremisti, la standardizzazione è ancora più radicale."[Xix]

Pasolini giunge alla conclusione che “il fascismo, quindi, non è più il fascismo tradizionale”. E chiarisce: “I giovani dei gruppi fascisti, i giovani del SAM[Xx], i giovani che rapivano le persone e mettevano bombe sui treni, si definiscono e vengono chiamati fascisti; ma questa è una definizione puramente nominalista. In realtà, sono in tutto e per tutto identici alla stragrande maggioranza dei giovani della loro età. Culturalmente, psicologicamente, somaticamente ripeto, non c'è nulla che li distingua. Ciò che li distingue è solo una 'decisione' astratta e a priori che, per essere conosciuta, deve essere detta. È possibile chiacchierare tranquillamente per ore con un giovane estremista fascista senza rendersi conto che è un fascista. Mentre dieci anni fa mi bastava, ormai non dico più nemmeno una parola, basta uno sguardo per distinguerlo e riconoscerlo.”[Xxi]

Neofascismo e il nuovo potere

Per Pasolini il neofascismo è dunque “un fascismo nominale, senza una propria ideologia (svuotata dalla reale qualità della vita vissuta da questi fascisti) e, per giunta, artificiale”.[Xxii] Questa situazione è voluta dallo stesso Potere, che dopo aver liquidato – in modo pragmatico, come sempre – il fascismo tradizionale e la Chiesa (il fascismo clericale, che era in effetti una realtà culturale italiana), ha deciso di mantenere in vita alcune forze che potessero opporsi – secondo una strategia mafiosa e poliziesca – all’eversione comunista”. Dietro i “giovani mostri” neofascisti – questi giovani e il loro fascismo nominale e artificiale – che hanno piazzato le bombe, abbiamo, in realtà, il potere borghese, veramente “i suoi sinistri mandanti e finanziatori” responsabili delle “intollerabili condizioni di conformismo e nevrosi, e quindi di estremismo”.

Non viviamo quindi in un regime veramente democratico, ma in un regime fascista – “un fascismo ancora peggiore di quello tradizionale, ma non sarebbe più esattamente un fascismo. Sarebbe qualcosa che noi stiamo già vivendo nella realtà e che i fascisti vivono in modo esasperato e mostruoso, ma non senza ragione.”[Xxiii]

In un articolo del 24 giugno 1974 per il Corriere della Sera intitolato “Il vero fascismo e, perciò, il vero antifascismo”, Pasolini osservava che per molti secoli in Italia la cultura della classe dominante e la cultura della classe dominata – la cultura popolare degli operai e dei contadini – sono rimaste distinguibili, anche se storicamente unificate nella cultura della nazione. E osservava: “Oggi – quasi all’improvviso, in una specie di Avvento, la distinzione e l’unificazione storica sono state sostituite da una standardizzazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. Qual è il motivo di questa standardizzazione? Evidentemente, ad un nuovo Potere”.[Xxiv]

Pasolini scrive questo “Potere” con la lettera maiuscola solo perché – dice – “sinceramente non so in che cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che esiste. Non lo riconosco più né in Vaticano, né nella potente Democrazia Cristiana, né nelle Forze Armate. Io non la riconosco più neppure nella grande industria, perché essa non è più formata da un certo numero limitato di grandi industriali: a me, almeno, appare piuttosto come un tutto (industrializzazione totale) e, per giunta, come un tutto non italiano (transnazionale). Conosco anche perché li vedo e li vivo alcuni tratti di questo nuovo Potere, ancora senza volto: per esempio, il suo rifiuto del vecchio reazionarismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata dal successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccola borghesia, e soprattutto la sua ansia, per così dire cosmica, di andare fino in fondo allo “Sviluppo”: produrre e consumare.[Xxv]

Pasolini cerca di descrivere i tratti del nuovo Potere che emerge con il neocapitalismo consolidatosi negli anni Sessanta in Italia. Egli afferma che presenta alcuni tratti “moderni” dovuti alla tolleranza e all’ideologia edonistica “perfettamente autosufficiente”, ma percepisce, d’altro canto, “alcuni tratti feroci, essenzialmente repressivi”. Ma Pasolini svela la falsità del nuovo Potere borghese: “la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo è mai stato costretto a essere così normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso evidentemente nasconde una decisione di preordinare ogni cosa con una crudeltà senza precedenti nella storia”[Xxvi].

Questo nuovo Potere, egli dice – “non ancora rappresentato da nessuno e frutto di una 'mutazione' della classe dirigente, è in realtà, se vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma 'totale' di fascismo”. Per Pasolini il fascismo è un Potere che si impone sugli altri in modo repressivo. Come in salò, i giovani sono costretti a servire le personalità del Potere che comandano la scena del terrore. Per Pasolini la tolleranza è repressiva perché impone una “standardizzazione” culturale. Questo Potere – egli dice – ha culturalmente “standardizzato” l’Italia: si tratta dunque di una “standardizzazione” repressiva, anche se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e joie de vivre. La strategia della tensione è un’indicazione, anche se sostanzialmente anacronistica, di tutto questo”[Xxvii].

Come ha scoperto Pasolini il nuovo potere del neofascismo che si sta imponendo nell’Italia neocapitalista? Qual era il metodo di Pasolini? Conosceva la semiologia: Pasolini osservava le persone e il loro comportamento. Sapeva che la cultura produce certi codici, che i codici producono certi comportamenti, che i comportamenti sono un linguaggio e che in un momento storico in cui il linguaggio verbale è del tutto convenzionale e sterilizzato (lui dice, tecnocratizzato), il linguaggio dei comportamenti assume un'importanza decisiva.

Egli riteneva, quindi, che vi fossero buone ragioni per sostenere che la cultura di una nazione (in questo caso l'Italia) si esprimesse (nel 1974) soprattutto attraverso il linguaggio del comportamento, o linguaggio fisico. Lui dice: “[…] una certa quantità – linguaggio verbale completamente convenzionalizzato ed estremamente povero”. Vale a dire che l'espressione avviene attraverso il linguaggio del comportamento, con l'obiettivo di svuotare il piano della comunicazione linguistica. Così Pasolini percepisce la mutazione antropologica degli italiani, cioè la loro completa identificazione con un “modello unico”:

Quindi, decidi di lasciar crescere i capelli fino alle spalle o di tagliarli e farti crescere i baffi (stile anni '1900); decidere di legare una fascia intorno alla fronte o di tirare un cappello sugli occhi; decidi se sognare una Ferrari o una Porsche; seguire attentamente i programmi televisivi; conoscere i titoli di alcuni best-seller; indossare pantaloni e camicie eccessivamente alla moda; mantenere relazioni ossessive con ragazze trattate come semplici ornamenti, ma, allo stesso tempo, presumibilmente “libere”, ecc. ecc. ecc.: tutti questi sono atti culturali.

Oggi tutti i giovani italiani compiono questi stessi identici gesti, hanno lo stesso linguaggio fisico, sono intercambiabili: cosa vecchia quanto il mondo, se si limitasse a una classe sociale, a una sola categoria; ma il fatto è che questi atti culturali e questo linguaggio somatico sono interclassisti. In una piazza piena di giovani, nessuno riesce a distinguere, dall’aspetto, un operaio da uno studente, un fascista da un antifascista, cosa che era ancora possibile nel 1968.”[Xxviii]

Pasolini si sente impotente di fronte al nuovo Potere. Non può fare nulla. Combattere lo sviluppo, il mito del neocapitalismo, significherebbe provocare una recessione. Tuttavia è possibile tentare di correggere questo sviluppo – è ciò che tenta di fare il Partito comunista italiano – Pasolini passa dal pessimismo al realismo politico: “Se i partiti della sinistra non sostenessero il Potere attuale, l’Italia crollerebbe semplicemente; se invece lo sviluppo continuasse al ritmo con cui è iniziato, il cosiddetto “compromesso storico” sarebbe senza dubbio realistico, perché sarebbe l’unico modo per tentare di correggere questo sviluppo, nel senso indicato da Berlinguer nella sua relazione al Comitato centrale del Partito comunista (cfr. Unità del 4/6/1974).[Xxix]

Tuttavia, il fatto di essere pessimista o realista non gli impedì di fare un’autocritica: “non abbiamo fatto nulla per impedire ai fascisti di esistere”. Pasolini critica il modo in cui la sinistra trattava i giovani fascisti, comportandosi come loro, cioè razzista, feticizzandoli come rappresentazioni del male: “Ci siamo limitati a condannarli, gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione, e quanto più forte e petulante era l’indignazione, tanto più calma si faceva la coscienza. In realtà, ci siamo comportati nei confronti dei fascisti (mi riferisco soprattutto ai giovani) in modo razzista: abbiamo cioè voluto credere frettolosamente e spietatamente che fossero predestinati dalla loro razza a essere fascisti e che di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse nulla da fare. E non nascondiamolo: sapevamo tutti, sani di mente, che era stato un puro caso che uno di quei giovani avesse deciso di diventare fascista, che si era trattato di un gesto immotivato e irrazionale; Forse sarebbe bastata una sola parola per evitare che ciò accadesse. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro, o almeno non ci ha mai nemmeno rivolto la parola. Li accettiamo rapidamente come inevitabili rappresentanti del male. E forse erano ragazzi e ragazze di diciotto anni, che non sapevano nulla di niente, e che si sono lanciati a capofitto in questa orribile avventura per pura disperazione."[Xxx]

Così Pasolini identifica il neofascismo, in contrapposizione al vecchio fascismo: il nuovo fascismo è qualcosa di completamente diverso: non è “umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico”. Il suo scopo è la riorganizzazione e la standardizzazione brutalmente totalitaria del mondo." Ma la critica più feroce è quella di considerare i giovani fascisti come “rappresentanti fatali e predestinati del Male”. Pasolini esclama: «[loro] non sono nati per essere fascisti. Quando sono diventati adolescenti e hanno potuto scegliere, chissà per quali ragioni e necessità, nessuno, in modo razzista, li ha etichettati come fascisti. È una forma atroce di disperazione e di nevrosi quella che spinge un giovane a fare una scelta del genere; e forse anche solo una piccola esperienza diversa nella tua vita, anche un semplice incontro, sarebbe bastato perché il tuo destino fosse diverso."[Xxxi]

La scomparsa del mondo contadino

In un articolo datato 8 luglio 1974, pubblicato in Il paese sarà e intitolato “Esiguità della storia e immensità del mondo contadino”, Pasolini afferma che la mostruosità del neocapitalismo significa – d’altra parte – la scomparsa del mondo contadino e di conseguenza del mondo sottoproletario e del mondo operaio. Tutti hanno ceduto alla borghesizzazione del mondo. Coglie l’occasione per parlare del suo ideale dell’universo contadino (cui appartengono le culture sottoproletarie urbane e, fino a qualche anno fa, quelle delle minoranze operaie che erano – dice Pasolini – “minoranze pure e vere, come nella Russia del 1917”).

Per lui l'universo contadino è un universo transnazionale, che semplicemente non riconosce le nazioni. Egli afferma: “È il residuo di una civiltà precedente (o di una somma di civiltà precedenti, tutte molto simili tra loro), e la classe dominante (nazionalista) ha modellato questo residuo secondo i propri interessi e obiettivi politici. È questo sconfinato mondo contadino pre-nazionale e pre-industriale, sopravvissuto fino a pochi anni fa, che mi manca (non c'è da stupirsi che io trascorra quanto più tempo possibile nei paesi del Terzo Mondo, dove sopravvive ancora, sebbene il Terzo Mondo stia anch'esso entrando nell'orbita del cosiddetto "Sviluppo")”.[Xxxii]

Gli uomini dell'universo contadino non vivevano in un'epoca d'oro di abbondanza e consumismo, bensì nell'epoca del pane. Vale a dire, dice Pasolini, “erano consumatori di beni estremamente necessari. E fu forse questo a rendere la sua vita povera e precaria estremamente necessaria. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita (per essere molto elementari e concludere con questo argomento)”.

Pasolini critica la modernizzazione occidentale promossa dall’acculturazione del “Centro consumistico” che ha distrutto diverse culture del Terzo Mondo. Egli afferma che il modello culturale offerto agli italiani (e a tutti gli uomini del globo, è unico. Pasolini, quindi, è critico dell'americanismo e del modello unico di stile di vita americano che hanno imposto al mondo: “La conformità a questo modello si presenta prima di tutto nell’esperienza vissuta, nell’esistenziale e, di conseguenza, nel corpo e nel comportamento. È qui che vivono i valori, non ancora espressi, della nuova cultura della civiltà dei consumi, cioè del nuovo e più repressivo totalitarismo mai visto.”

Pasolini critica – ancora una volta – la massificazione culturale, la riduzione comportamentale e linguistica promosse dal nuovo Potere. È ciò che viene denunciato come impoverimento dell’espressività con la scomparsa dei dialetti e delle diversità culturali regionali (penultimo film di Pasolini – I racconti delle Mille e una Notte (1974) – è una vera e propria ode alla diversità umana che il nuovo potere del capitale distrugge). Probabilmente, se Pasolini fosse vivo oggi, sarebbe un difensore del mondo multipolare contro l’unipolarità egemonica dell’Occidente espanso – o del Centro consumistico: “Dal punto di vista del linguaggio verbale, c’è una riduzione di ogni linguaggio a linguaggio comunicativo, con un enorme impoverimento di espressività. I dialetti (lingue madri!) sono diventati lontani nel tempo e nello spazio: i giovani sono costretti a non usarli più perché vivono a Torino, a Milano o in Germania. Laddove vengono ancora parlate, hanno perso completamente il loro potenziale inventivo. Nessun ragazzo della periferia romana sarebbe in grado di capire il gergo dei miei romanzi di dieci o quindici anni fa; e ironia della sorte! – sarebbe obbligato a consultare il glossario allegato come ogni buon borghese del nord!”[Xxxiii]

Il tema dell'omologazione culturale è forte in Pasolini. Egli lamenta la standardizzazione di tutti i giovani, a causa della quale non è più possibile distinguerli l'uno dall'altro per il loro corpo, per il loro comportamento e per la loro ideologia inconscia e reale (edonismo consumistico): non si riesce a distinguere un giovane fascista da tutti gli altri giovani. In realtà, tutti questi giovani infelici hanno una sola ideologia reale e inconscia: l'edonismo consumistico. Egli distingue il conformismo odierno da quello del passato: in passato gli uomini erano conformisti e il più possibile uguali in base alla loro classe sociale.

E, all'interno di questa distinzione di classe, secondo le loro particolari e concrete condizioni culturali (regionali), oggi, egli dice (nel 1974) – “al contrario (ed ecco la “mutazione antropologica”), gli uomini sono conformisti e tutti uguali tra loro secondo un codice interclassista (studente uguale a lavoratore, lavoratore del Nord uguale a lavoratore del Sud) almeno potenzialmente, nell'ansioso desiderio di uniformarsi”.[Xxxiv]

In un'intervista rilasciata a Guido Vergani l'11 luglio 1974 dal titolo “Ampliamento dello 'schema' sulla rivoluzione antropologica in Italia” e pubblicata in Il Mondo, Pasolini discute la questione delle scelte morali: essere marxisti o fascisti. Discutere di scelte morali e di cultura è una discussione politica, secondo, ad esempio, Antonio Gramsci.

In quanto comunista, Pasolini vuole comprendere le scelte politiche degli italiani. Non ha mai smesso di essere un attivista per la cultura dei subalterni. Pasolini osserva che tali scelte, come sempre accade, si innestano su una cultura come quella degli italiani che, dice, nel frattempo è completamente cambiata. Afferma: “La cultura italiana è cambiata in termini di esperienza, in termini di esistenza, in termini di concretezza. Il cambiamento consiste nel fatto che alla vecchia cultura di classe (con le sue nette divisioni: cultura della classe dominata o popolare; cultura della classe dominante o borghese, cultura delle élite) si è sostituita una nuova cultura interclassista: quella che si esprime attraverso il modo di essere degli italiani, attraverso la loro nuova qualità di vita. Scelte politiche, innestate sul vecchio humus culturali, erano una cosa; innestato su questo nuovo humus culturali, sono un'altra. L'operaio o il contadino marxista degli anni Quaranta o Cinquanta, in caso di vittoria rivoluzionaria, avrebbe cambiato il mondo in un modo; Oggi, nella stessa ipotesi, lo cambierei con un altro”[Xxxv].

Pasolini non nasconde di essere “disperatamente pessimista” di fronte a un nuovo potere che – dice – “ha manipolato e cambiato radicalmente (antropologicamente) le grandi masse di contadini e operai italiani”. Ha difficoltà a definire il nuovo potere. Lui sa che esiste e che è “la più violenta e totalitaria che sia mai esistita: cambia la natura delle persone, raggiunge le coscienze più profonde”.

Riesce a discernere i mezzi del totalitarismo neocapitalista: la pubblicità televisiva, “perfettamente pragmatica”, come dice lui, rappresenta il momento indifferentista della nuova ideologia edonista del consumo: ed è quindi enormemente efficace. Lei non è al servizio della Democrazia cristiana o del Vaticano, «a livello involontario e inconsapevole era al servizio del nuovo potere, che non coincide più ideologicamente con la Democrazia cristiana e non sa più cosa farsene del Vaticano». Pasolini si rende conto che la pubblicità televisiva contribuisce all’uniformità delle masse – sottolinea: “[…] non si percepisce alcuna differenza sostanziale tra i passanti (specie i giovani) nel modo di vestire, nel modo di camminare, nel modo di essere seri, nel modo di sorridere, nel modo di gesticolare, insomma nel modo di comportarsi. E si può perciò dire […] che il sistema dei segni del linguaggio fisico-mimetico non ha più varianti, che è perfettamente identico in tutti”.

E conclude: “Il potere ha deciso che siamo tutti uguali”[Xxxvi] Pasolini individua la radice dell’uniformità culturale nel feticismo della merce, cioè nel desiderio di consumo – “un desiderio di obbedire a un ordine taciuto. Ogni persona […] prova l’angoscia degradante di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero: perché questo è l’ordine che ha ricevuto inconsciamente, e al quale “deve” obbedire, pena il sentirsi diverso. Mai la differenza è stata un crimine così orribile come in questo periodo di tolleranza: l’uguaglianza non è stata di fatto conquistata, ma è una “falsa” uguaglianza ricevuta in dono.”[Xxxvii]

Dopo aver esposto – più chiaramente – la radice della rivoluzione antropologica in Italia, Pasolini passa a descriverne le manifestazioni vitali come, ad esempio, la “fossilizzazione del linguaggio verbale” – dice, “gli studenti parlano come libri stampati, i giovani del popolo hanno perso la capacità di inventare gerghi”; la gioia è sempre esagerata, ostentata, aggressiva, offensiva. La tristezza fisica è profondamente nevrotica perché deriva dalla frustrazione sociale. In ogni caso, i giovani sono infelici.

Dice: “Non è forse la felicità che conta? Non è forse attraverso la felicità che si fa la rivoluzione? La condizione contadina o sottoproletaria sapeva esprimere, nelle persone che la vivevano, una certa felicità “reale”. Oggi questa felicità con lo Sviluppo è andata perduta. Ciò significa che lo sviluppo non è affatto rivoluzionario, nemmeno quando è riformista. Provoca solo angoscia. […] i ragazzi del popolo sono tristi perché hanno preso coscienza della propria inferiorità sociale, poiché i loro valori e modelli culturali sono stati distrutti”.

L'ideologia del neofascismo secondo Pasolini

Per Pasolini il consumismo non era solo uno stile di vita o una tendenza economica, ma un sistema totalizzante di controllo sociale, capace di plasmare le soggettività e trasformare gli individui in oggetti. Per lui il consumismo moderno non era solo un insieme di pratiche di acquisto e vendita di beni, ma un'ideologia che permeava tutti gli ambiti della vita, eliminando l'autonomia dell'individuo e riducendolo a un essere alienato, guidato da desideri indotti e manipolati dal mercato.

Em Salò, questa logica è rappresentata in modo estremo e letterale. I quattro fascisti che governano la Repubblica di Salò sottopongono le loro vittime a una serie di rituali di consumo del corpo umano, dove il piacere sadico e il dominio totale sostituiscono ogni forma di autentica relazione umana. I giovani vengono privati ​​della loro dignità e trattati come meri oggetti di consumo, manipolati e distrutti a seconda della volontà dei potenti. Questa dinamica di consumo del corpo e della vita è una metafora diretta del modo in cui il tardo capitalismo tratta gli individui, riducendoli a merci e strumenti di profitto.

Pasolini riteneva che il consumismo fosse diventato una forma di fascismo più efficace e insidiosa del fascismo storico stesso, poiché operava in modo invisibile, penetrando nella mente e nel cuore delle persone senza bisogno di coercizione fisica. Mentre il fascismo classico utilizzava la forza bruta per imporre la propria volontà, il neofascismo consumistico seduce e persuade, facendo sì che gli individui accettino volentieri e persino celebrino la propria sottomissione e alienazione.

Pasolini era consapevole che il capitalismo si era evoluto fino a un punto in cui l'alienazione e la disumanizzazione erano diventate parte integrante della vita quotidiana, anche nelle democrazie liberali. Il film ritrae un futuro distopico, ma che stava già prendendo forma in quel momento, in cui consumo, edonismo e violenza sono inscindibili e in cui la differenza tra libertà e oppressione diventa indistinguibile. Il radicalismo pessimista di Pasolini ci ha permesso di percepire la verità dell'esagerazione di Saló: il mondo della barbarie sociale.

Gli anni Settanta ci hanno proiettato nella nuova temporalità del capitale globale. Salò si dimostra profetico nell'anticipare tendenze oggi evidenti. L'ascesa dei movimenti neofascisti in diversi paesi, spesso alimentata dal malcontento verso il neoliberismo e la globalizzazione, dimostra come il neofascismo possa mimetizzarsi all'interno di sistemi democratici ed economici che promuovono un consumismo sfrenato. L'uso della propaganda, del marketing e della manipolazione dei media da parte di questi movimenti riflette esattamente ciò che Pasolini vedeva come il nuovo volto del fascismo: un potere che non ha bisogno di dittature per imporsi, ma che si infiltra nella cultura e nei desideri delle persone, sfruttandone insicurezze e paure.

Inoltre, la cultura di massa e la società dello spettacolo, che trasformano tutto in merce – compresi i corpi, le identità e perfino la politica stessa – riflettono la visione di Pasolini di un mondo in cui il consumo diventa la forma dominante di controllo e oppressione. Il culto del piacere immediato, della soddisfazione personale e la mercificazione di tutte le relazioni umane a cui oggi assistiamo nei social network, nei reality show e nella stessa economia digitale è la realizzazione di quanto Pasolini suggeriva in “Salò”: la trasformazione totale dell’individuo in oggetto di consumo.[Xxxviii]

*Giovanni Alves È professore in pensione di sociologia presso l'Universidade Estadual Paulista (UNESP). Autore, tra gli altri libri, di Lavoro e valore: il nuovo (e precario) mondo del lavoro nel 21° secolo (Progetto editoriale Praxis). [https://amzn.to/3RxyWJh]

note:


[I] PASOLINI, Pierpaolo. Scritti corsari. Editora 34: São Paulo, 2020. In Brasile, nel 1990 è stata pubblicata una prima antologia di saggi corsari curata da Michel Lahud, intitolata “Os jovens felicidadees” (Editora brasiliense, 1990). La prima edizione di Corsair Writings (Sceneggiatura Corsari), di Pier Paolo Pasolini, fu pubblicato nel 1975, poco dopo la sua morte. Questo libro raccoglie articoli e saggi critici in cui Pasolini affronta temi quali la politica, la cultura di massa e gli effetti dello sviluppo economico in Italia.

[Ii] La Repubblica di Salò, ufficialmente chiamata Repubblica Sociale Italiana, era uno stato fantoccio nazista creato nel 1943, dopo la caduta del regime fascista di Mussolini. Con sede a Salò sul lago di Garda, questo governo fu istituito sotto una forte influenza tedesca e cercò di mantenere il controllo sull'Italia settentrionale fino alla resa delle truppe tedesche nel 1945. Sebbene proclamasse la sovranità, dipendeva in gran parte dalla Germania e non aveva alcun riconoscimento internazionale, fatta eccezione per alcuni alleati dell'Asse. Il regime incontrò una forte resistenza, che culminò con l'esecuzione di Mussolini nel 1945.

[Iii] MANDEL, Ernest (1974). Introduzione: La teoria del fascismo secondo Lev Trotsky. Disponibile su: https://www.marxists.org/portugues/mandel/1974/mes/fascismo.htm. Consultato il 01/11/2024.

[Iv] ALVES, Giovanni. Il trionfo della manipolazione: Lukács e il XXI secolo. Progetto editoriale Praxis: Marília, 2022.

[V] ALVES, Giovanni. Il concetto di crisi strutturale del capitale. Progetto editoriale Praxis: Marília, 2025 (in stampa).

[Vi] PASOLINI, Pier Paolo. “Analisi linguistica di uno slogan”. Scritti corsari. Editore 34: San Paolo, 2020, p. 44.

[Vii] Ivi, p. 44

[Viii] Ivi, p. 45

[Ix] Ivi, p. 45

[X] MARX, Karl. Capitolo VI (inedito). Boitempo Publishing: New York, 2022, p.104.

[Xi] PASOLINI, Pier Paolo. “Uno studio sulla rivoluzione antropologica in Italia”. Scritti corsari. Editore 34: San Paolo, 2020, p. 58

[Xii] Op.cit., PASOLINI, p. 58

[Xiii] Ivi, p.58

[Xiv] PASOLINI, Pier Paolo. “Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia”. Scritti corsari. Editore 34: San Paolo, 2020, p. 73

[Xv] op.cit., PASOLINI, p. 73

[Xvi] Termine greco della filosofia scettica traducibile come “sospensione radicale del giudizio”.

[Xvii] Ivi, p.74

[Xviii] op.cit. pag.76.

[Xix], P. 81 Ivi, p.75

[Xx] Equivalente italiano delle SS naziste, che iniziarono a svolgere la funzione di forza di polizia parallela nella Repubblica di Salò, a partire dal 1943, durante il fascismo. (N.T.)

[Xxi] Ivi, p.76

[Xxii] Ivi, p.77

[Xxiii] Ivi, p.77

[Xxiv] PASOLINI, Pier Paolo. “Vero fascismo e quindi vero antifascismo.” Scritti corsari. Editore 34: San Paolo, 2020, p. 78

[Xxv] Ivi, p.79

[Xxvi] Ivi, p.79-80

[Xxvii] Ibid, p. 80

[Xxviii] Ivi, p.81

[Xxix] Ivi, p.82

[Xxx] Ibid. p.83

[Xxxi] PASOLINI, Pier Paolo. “Esiguità della storia e immensità del mondo contadino”. Scritti corsari. Editore 34: San Paolo, 2020, p. 89

[Xxxii] Ivi, p. 86

[Xxxiii] Ivi, p.87

[Xxxiv] Ivi, p. 91-92

[Xxxv] PASOLINI, Pier Paolo. “Ampliamento dello 'schema' sulla rivoluzione antropologica in Italia”. Scritti corsari. Editore 34: San Paolo, 2020, p. 92

[Xxxvi] Ivi. pag.93-94

[Xxxvii] Ivi, p.95

[Xxxviii] Estratto dal capitolo intitolato “Accattone e Saló: l’alfa e l’omega di Pasolini”, di Giovanni Alves pubblicato nel libro I prismi di Pasolini, organizzato da Giovanni Alves e Ana Celeste Casulo (Praxis Publishing Project, 2024).


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