da ANDRÉA PIMENTA MATOS TAGLIA*
La violenza è un maltrattamento della nostra ostilità, l’ostilità che nutriamo verso noi stessi, fonte e origine delle guerre a venire
“Se la disposizione alla guerra è il risultato della pulsione di distruzione, allora sarà naturale ricorrere, contro di essa, all’antagonista di questa pulsione, Eros. Tutto ciò che produce legami emotivi tra le persone ha l’effetto opposto alla guerra. (…) Tutto ciò che promuove l’evoluzione culturale funziona anche contro la guerra” (Sigmund Freud, Perché la guerra?, 1932).
Ci troviamo nella confusione, in tempo di guerra. Siamo stupiti dallo scoppio, dalla distruzione e dalle morti causate dalla guerra che stiamo attraversando nel XNUMX° secolo, quando non credevamo che una guerra potesse accadere in un mondo, presumibilmente, abitato da intelligenze lucide che consentono il dialogo, per soluzioni elevate ; per la ricerca scientifica avanzata in tutti i campi del sapere.
Perché è stata scelta la guerra come mezzo più efficace per risolvere i conflitti, ed è stato così nel corso della storia dell’Umanità?
Sappiamo che ci sono correnti sotterranee della storia, acque turbolente che scorrono senza essere viste, che emergono come cataclismi, comprese le guerre.
Perché la guerra? Questo è il titolo di un testo di Freud (1932), lettere scambiate tra Einstein e Freud, dove lo psicoanalista viene interrogato dal fisico con questa domanda. Freud aveva già scritto del tema della guerra nel suo articolo, Riflessioni sui tempi di guerra e di morte (1915), dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, dove furono espresse alcune idee.
Questo testo è più strettamente correlato ai suoi scritti contemporanei su temi sociologici; Il futuro di un'illusione"(1927), I malesseri della civiltà"(1930). Nonostante novant’anni di distanza, le idee contenute in questo testo sono attuali e rilevanti per la nostra riflessione.
Albert Einstein, rispondendo a una proposta della Società delle Nazioni e del suo Istituto Internazionale per la Cooperazione Intellettuale di Parigi, embrione dell'attuale ONU, conferì con Freud su uno dei problemi che la civiltà si trovava ad affrontare (il periodo tra le due guerre mondiali) così mettere: “Esiste un modo per liberare l’umanità dalla minaccia della guerra?”
C’era la preoccupazione di creare un’istituzione globale che potesse creare una legislazione per impedire alle nazioni di entrare in guerra tra loro, un’illusione, come abbiamo scoperto.
Einstein invita Freud a essere suo interlocutore perché lo ritiene profondo conoscitore della vita istintiva dell'uomo, capace quindi di suggerire metodi fuori dall'ambito della politica le cui attribuzioni si erano già rivelate impotenti.
Freud sviluppa il suo pensiero attraverso le categorie teoriche, i concetti con cui ha lavorato, per comprendere il funzionamento della mente umana. Una di queste categorie riguarda l'opposizione tra le pulsioni; Eros, pulsione di vita e Thanatos, pulsione di morte.
Freud attribuisce la genesi del conflitto all'opposizione tra gli opposti; amore e odio, mondo interno e mondo esterno, sadismo e masochismo, inconscio e conscio, per fare alcuni esempi, e mantiene questa conformazione fino alla fine della sua opera.
La pulsione di vita, la forza vitale e la pulsione di morte, la forza distruttiva, condensano queste opposizioni. Sono amalgamati, sono inseparabili e presenti in tutte le manifestazioni umane. Eseguono una danza in cui il ruolo di ciascuno si alterna con l'obiettivo di preservare la vita. Quando si disconnettono, le conseguenze sono disastrose.
L'uomo non è un essere pacificato, è in costante conflitto. Le loro soluzioni di vita possono essere pacificanti se deviano, sublimano lo scopo delle pulsioni verso altre creazioni, culturali per esempio; sopportano una certa quantità di frustrazione e infelicità, stati che fanno parte della vita.
In quali circostanze possono dimettersi? Il discorso amoroso postulato da Freud e legato all'eros, come forza vitale essenziale alla vita, è forse più legato all'industria dello spettacolo dei nostri tempi? La violenza e l’aggressività sono parte intrinseca della nostra soggettività, ma la pura distruttività, la spinta al dominio, superano l’Eros come forza vitale e la possibilità di combattere la guerra?
La violenza è un maltrattamento della nostra ostilità, l’ostilità che nutriamo verso noi stessi, fonte e origine delle guerre a venire. Non si tratta del postulato: “L'uomo è il lupo dell'uomo” (Thomas Hobbes), ma l'uomo è il suo avversario.
L'essere umano è abitato anche da stati mentali primitivi in cui le nozioni di bene e di male sono frammentate, dissociate. Tende a proiettare il male fuori di sé, sugli altri, nel mondo esterno. Man mano che lo sviluppo psichico progredisce diventa possibile l'avvicinamento ad una condizione di maggiore maturità psichica.
Il bene e il male coesistono in entrambi i mondi, interno ed esterno. Altre posizioni, responsabili ed etiche, sono vicine e possono essere fatte proprie da ciascuno. Gli uomini si appropriano di se stessi?
Freud considera la civiltà, la vita in società, una buona misura, la più significativa, che agisce per controbilanciare la forza pulsionale. Viene stipulato un patto; la rinuncia al godimento in favore dei rapporti sociali. Ma la civiltà ha un involucro sottile e tenue che si rompe facilmente e permette alla pulsione di morte di emergere con la sua travolgente forza distruttiva.
Un altro germe di guerra? Fino a che punto la civiltà ha perso a causa della barbarie?
Per quanto riguarda gli ideali, Freud parla della loro utilità per coprire le forze distruttive presenti. L’ideale della supremazia ariana che diede origine alla Seconda Guerra Mondiale bussava alla porta; oltre alle ambizioni di espansione territoriale e di accesso alle risorse naturali.
Sviluppa inoltre la nozione di leader e seguaci e il ruolo storico di queste posizioni nell'esito dei conflitti.
Vediamo come l'impoverimento soggettivo di questi soggetti indichi un esito immaturo, dove la forza fisica (muscolare), che costituiva un vantaggio nei tempi primitivi, è ancora vigente, nonostante la straordinaria evoluzione degli strumenti di comunicazione e conversazione.
Ci sono altri scenari di guerra, in altri luoghi e di altro tipo, oltre alla guerra; nell'economia, nella padronanza e nell'uso delle tecnologie, nell'istruzione, nella sanità; quelli che producono condizioni di vulnerabilità umana. In queste guerre, in cui i leader si mettono dietro le tecnologie, muoiono più civili che in qualsiasi altro conflitto.
Si dice che ciò che si perde nelle guerre, in prima istanza, è la verità. Cosa dice la psicoanalisi e cosa hanno da dire gli psicoanalisti di fronte a questo triste scenario?
Ogni capacità di pensiero, di produzione di conoscenza, di creazione, di connessione nei rapporti umani, placa la forza della pulsione e indica una via opposta a quella della guerra. Nella vita siamo costantemente toccati dall'alternanza tra civiltà e barbarie; internamente, in questo gioco tra pulsioni, esternamente, in questa ricerca di egemonia tra paesi, proprio quelli cosiddetti più sviluppati.
La guerra finisce dove iniziano le parole. Quelli prodotti dal pensiero, che sostituiscono agli atti il linguaggio, la possibilità di parlare; passaggio dall'atto al resoconto. Le scienze che fanno appello al pensiero, alla possibilità amorosa di conoscere, sono una forma di ribellione contro la natura cruda e rozza dell'umano.
La psicoanalisi è il reliquiario delle parole, luogo prezioso del linguaggio, possibilità di parlare e di trovare senso, in contrapposizione all'insensatezza del passaggio all'atto distruttivo, al campo disorganizzato delle guerre.
*Andrea Pimenta Sizenando Matos è psicoanalista.
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