Perché la guerra?

Carla Barchini, Fragile, Tecnica mista su tavola, 106 x 156 cm, 2018
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da ELISA ZWICK*

La conclusione di Freud a Einstein, nella sua tipica inclinazione critica, può essere riassunta nella domanda sul perché gli esseri umani vorrebbero tenersi in pace l'un l'altro

Sebbene la prima offensiva tra Russia e Ucraina sia stata lanciata il 24 febbraio 2022, mesi prima, stranamente, ho iniziato a pensare alla questione di cui sto scrivendo. Come anticipando qualcosa di importante per il presente, l'ho inserito come tema nell'insieme dei dibattiti da svolgere durante una disciplina insegnata nella laurea magistrale.[I] In primo luogo mi sono interrogato sulla pertinenza del tema, ma il momento in cui siamo giunti è venuto a coincidere con lo scoppio dell'attuale guerra, fornendo purtroppo concreti elementi di analisi a questo datato scambio epistolare, sul quale condivido con la comunità accademica le impressioni, in difesa di una psicoanalisi che pensa politicamente.

Premio Nobel per la fisica nell'anno 1921 all'età di 42 anni, Albert Einstein (1879-1955) ha dato un grande contributo al campo scientifico dell'umanità. Fu persino ricevuto dal presidente Arthur Bernardes, nel 1925, quando venne in Brasile in viaggio con lo scopo non solo di diffondere la sua produzione intellettuale, ma anche di lottare per la pace, cosa che aveva fatto con insistenza ovunque andasse. Tuttavia, la sua voce a favore della vita era diventata innocua contro il potere del nazismo e, nel 1933, Einstein fu costretto all'esilio negli Stati Uniti. Vale la pena ricordare che non solo gli viene attribuita la “Teoria della Relatività”, ma Einstein abbozzò anche, intorno al 1922, quella che chiamò la “Teoria della Felicità”.[Ii].

Neurologo, Sigmund Freud (1856-1939) ruppe epistemologicamente con la propria area di formazione, mettendo a disposizione del mondo una delle scoperte più entusiasmanti del XX secolo, l'inconscio, che lo elevò al rango nobiliare di “Padre di Psicoanalisi”. La sua influenza è stata tale che fino ad oggi la teoria dialoga in modo interdisciplinare con diversi campi del sapere. Postulando il protagonismo dell'analizzando, Freud ha perseguito la questione dell'autoricerca del soggetto nella scoperta della sua sofferenza.

Ha sostenuto che non era qualcosa di individuale, ma una teoria dialettica che trascende lo spazio clinico e tocca aspetti della vita nella società. Come Einstein, anche Freud fu costretto a fuggire dal nazismo, cosa che accadde alle soglie della seconda guerra mondiale, nel 1938, quando riuscì a farlo con gran parte della sua famiglia, rifugiandosi a Londra.

Ma, oltre alla riuscita fuga da quella barbara guerra, cos'altro hanno in comune queste due icone del pensiero mondiale?

Appena terminata la Prima Guerra Mondiale, nel 1920, con il Trattato di Versailles, fu creata la “Società delle Nazioni” come organismo che doveva risolvere diplomaticamente gli attriti e promuovere la pace nel mondo. I lavori di questo forum internazionale si conclusero nel 1942, dando luogo, nel 1945, alla creazione di quelle che oggi conosciamo come Nazioni Unite (ONU). Anche se poco ha assicurato il raggiungimento dei suoi scopi, è istigato sotto i riflettori della Società delle Nazioni che è nata, a Parigi nel 1926, “l'Istituto Internazionale di Cooperazione Intellettuale” (IICI), per “rafforzare la collaborazione tra intellettuali culturali e nazionalità diverse, al fine di creare le condizioni favorevoli alla nascita di un nuovo umanesimo, con lo scopo di sostenere gli sforzi della SDN [Società delle Nazioni] a favore della pace” [Iii].

È in questo contesto che si svolge questa importante interlocuzione sulla guerra, registrata nelle lettere scambiate tra Albert Einstein e Sigmund Freud. L'unione di due percorsi scientifici molto diversi, da un lato il padre pessimista della psicoanalisi e, dall'altro, lo scopritore della relatività, nel suo umanesimo realista, ha avviato un dialogo che ha portato a uno sforzo singolare che rimane registrato negli annali della storia, e continua fino ad oggi a rispondere alla domanda: dopo tutto, “Warum Crieg?” o “perché la guerra?”[Iv].

Lungi dall'essere un dialogo aperto nel vuoto, si basa su un precedente testo di Freud, intitolato “Zeitgemäßes über Krieg und Tod” (Considerazioni attuali sulla guerra e la morte)[V]. Questo testo, scritto nel 1915, è uno di quelli che precedono il dibattito di Freud sulla civiltà nel 1921, in “Das Unbehagen der Kultur” (Il malessere in cultura)[Vi] e che prevede ciò che si stabilirà come pulsione o impulso di morte nel 1920, negli scritti di "Jenseits de Lustprinzips” (Oltre le basi del piacere)[Vii]. In questo testo del 1920, Freud descrive quelle che sarebbero le “nuove basi per la teoria delle pulsioni”, avanzando nello studio dei loro movimenti psichici. La pulsione o impulso di morte sarebbe allora “un'energia che attacca la psiche e può paralizzare il lavoro del sé, mobilitandolo verso il desiderio di non desiderare più, che provocherebbe la morte psichica”.[Viii]

La discussione su uno dei concetti più controversi della psicoanalisi, la pulsione di morte, si fonda dunque sui fatti vissuti che devastarono la vita umana in quel momento. Nel 1915 Freud afferma che in tempi di male sproporzionatamente sentito non c'è modo di intravedere il futuro e che anche la scienza perde la sua imparzialità. Le conquiste sono soffocate e l'evidente delusione di fronte alla morte è il punto in cui inizia la guerra: dalle nazioni di razza bianca che dominano il mondo, le stesse che esigono dall'“individuo alti standard morali (...), un'ampia auto- limitazione e una netta rinuncia al soddisfacimento delle pulsioni. Emendamento che la guerra che promana dai popoli avanzati, la fanno gli uomini – letteralmente –, che confondono “straniero” con “nemico”. Deplorando questa condizione, Freud esalta addirittura l'armonia tra popoli diversi nello stesso territorio e riconosce la saga dello straniero che si avventura a valorizzare la propria cultura e un nuovo paese attraverso l'arte, la contemplazione della natura e delle leggi, così che in ogni persona vissuta una sorta di "Scuola di Atene"[Ix].

La guerra arriva a distruggere tutto questo, violando il diritto internazionale e, con esso, dalla proprietà privata alla necessaria distinzione tra soldato e civile, non c'è più legge della civiltà umana che possa fermare la rabbia scoppiata. Se nulla interrompe il suono dei missili, si tratta del monopolio dell'ingiustizia, con lo Stato che diventa il luogo dove essa si esercita per eccellenza, quasi mai risarcindo gli individui che si gettano nella davanti. Al massimo si dedica una medaglia ai defunti, che non ne hanno bisogno nel luogo dove sono deposti.

Freud mostra il disappunto per il ruolo che gli Stati assumono, poiché, da “custodi delle norme morali” passano alla “scarsa moralità” e, anche, il permissivismo di individui che, prima così colti, danno pieno sfogo alla brutalità primitiva .[X] Si commuove che un tale contesto si sia dispiegato in Europa, paladina della morale giuridica, etica e religiosa, costruttrice delle più svariate istituzioni, suscitando perplessità nel cittadino che diventa estraneo, degradato di fronte alla verità della violenza.

Ma ciò che lo muove non è sorprendente. Il padre della psicoanalisi ha fondato con le sue scoperte che l'essenza distruttiva dell'umano primordiale rimane, con l'impossibilità di porre fine al male, data la natura degli impulsi egoistici e crudeli che costituiscono la sua soggettività. Per quanto ci siano sviluppi reattivi agli impulsi primitivi, essi coesistono sotto la più raffinata patina culturale. Così amore e odio convivono, spesso verso lo stesso oggetto. Sono forze che, nella loro dialettica, lanciano la vita al miglior destino che il sentimento vincente di questa lotta possa scalare. Pertanto, gli impulsi egoistici possono essere incanalati nell'altruismo, oltre a provocare la riproduzione del male.

C'è un aspetto, però, su cui Freud richiama l'attenzione: la cultura, che qui possiamo trattare come “formante”, porta a deformazioni del carattere umano, in quanto sfocia nell'ipocrisia che si generalizza come tratto culturale intrinseco (arriveremo torniamo a parlarne dopo). avanti). È per la diagnosi di questa precaria concezione della civiltà che non è affatto ammirevole, per Freud indegna e deludente il fatto che la regressione derivante dall'incorruttibilità della psiche primitiva si esprima nella violenza della guerra. Quasi nessuno riesce ad attribuire ragionevolezza agli atti che ne derivano quando la fulminante passione per l'orrore termina la sua ondata. Infine, in risposta a questa delusione, Freud afferma, nel testo del 1915, la veridicità e la sincerità come capaci di trasformare i rapporti tra persone e governanti.

Ovviamente, la pratica continuava ad essere l'opposto del suo desiderio. L'umanità non raggiunge le qualità che le avrebbero portato un'elevazione culturale trasformativa, e l'impulso di morte si stava annunciando qualche tempo dopo quando, il 30 luglio 1932, Einstein scrisse una lettera a Freud.[Xi] Attribuendogli il posto di un'autorità scientifica che conosce gli impulsi istintuali umani, Einstein esordisce parlando dell'urgenza della questione se esista un modo per l'umanità di liberarsi della guerra. Lanciando a Freud la sfida di rispondere dal lato delle scienze mentali, la prima soluzione di Einstein per comprendere il problema che chiamò amministrativo o superficiale.

Vale a dire, a prima vista, la guerra potrebbe essere annullata da ciò che chiamiamo, nelle moderne scienze dell'amministrazione, “gestione del conflitto”. Si propone qui una sorta di “accordo internazionale”. Ma, nel caso di qualcosa che deve essere sviluppato dagli esseri umani, Einstein riconosce l'impasse nel far rispettare una tale organizzazione sovranazionale, poiché crea una minaccia alla sovranità delle nazioni. La superficialità dell'amministrativismo è aperta.

Nel limite di questa prima constatazione e, ovviamente, pensando anche al suo interlocutore, Einstein vede il peso dei fattori psicologici che fanno nascere la fame di potere politico, soprattutto di quel gruppo che guadagna con la guerra.[Xii]. Questa questione è modificata dalla questione di come la volontà della maggioranza si pieghi ad accettare tale distruttività a favore dell'ambizione di pochi. UN "psicologia delle masse e analisi del sé”.[Xiii] qui appare interpretata ed Einstein tenta una risposta: “l'attuale classe dirigente, ha in suo potere le scuole, la stampa e, in generale, anche la Chiesa. Questo permette di organizzare e dominare le emozioni delle masse e farne uno strumento di questa minoranza”. Ma questa non è una risposta soddisfacente, in quanto il padre della Fisica moderna approfondisce la questione e conclude che “l'uomo contiene in sé un desiderio di odio e di distruzione”[Xiv].

Come contenere l'impulso distruttivo umano, sia esso proveniente dagli incolti, ma anche dai colti, è l'impasse che Einstein, infine, getta al padre della psicoanalisi, rivendicando elementi per la costruzione della pace nel mondo.

D'altra parte, sempre a Vienna, Freud indicò, nel settembre 1932, la risposta dove fu sorpreso dalla domanda ricevuta, su come “proteggere l'umanità dalla maledizione della guerra”[Xv]. Comincia a intenderla come lanciata alla psicologia da risolvere e non ai governanti, anche se il rapporto tra legge e potere è stato delimitato da Einstein, che Freud rilancia come opposti tra “legge e violenza”[Xvi]. Così, per spiegare questo percorso che l'umanità ha costruito dalla violenza alla legge, il padre della psicoanalisi ricorre all'analisi dal vivo nella sua opera, incentrata sulla filogenesi umana. Dalla sostituzione della forza muscolare dell'uomo primordiale con gli strumenti e da questi all'uso della superiorità intellettuale, gli obiettivi di uno scontro restano quelli di superare l'avversario e, al limite, di eliminarlo. Resta inteso, per Freud, che le norme del diritto nascono dall'unione in comunità attraverso il pensiero razionale, nel tentativo di soppiantare la violenza primitiva.

Ma riconosce che tali norme funzionano solo quando si creano legami emotivi, attraverso l'identificazione. Inoltre, la distribuzione ineguale del potere allontana i governanti dai governati, fino a quando questi cercano di sfuggire allo stato di diritto, lasciando l'applicazione della sua forza su di loro. Freud riconosce le lotte delle classi oppresse, così come l'influenza della cultura per cambiare la legge e che, tuttavia, non c'è una totale eliminazione della violenza. La violenza è da lui ben diagnosticata come una risorsa paradossalmente utilizzata da chi vuole la pace, la cui crescita è graduale e la cui intensità porta spesso alla distruzione totale.

Riguardo all'autorità centrale, additata da Einstein come una soluzione amministrativa, Freud si chiede se sarà mantenuta dalla forza delle idee, aggiungendo che “attualmente non c'è idea che, si spera, eserciterà un'autorità unificatrice di questo tipo”. Alla tesi sui mercanti di guerra, suggerita dal fisico, associata alla non cancellazione della pulsione distruttiva, Freud integra spiegando la sua teoria degli istinti, “una formulazione teorica dell'opposizione universalmente nota tra amore e odio”.[Xvii]. L'istinto di morte, di cui l'odio e la distruzione sono le sue espressioni, è diretto al di fuori del soggetto e provoca il possibile livello di aggressività a cui assistiamo.

Qualificando l'istinto di morte come un processo “positivamente folle”, Freud[Xviii] riconosce, sulla falsariga di Theodor Adorno e Max Horkheimer [Xix] a "Dialettica dell'Illuminismo”, che la psicoanalisi può sembrare mitologia, così come tutte le scienze, compresa la fisica. Infatti, in questo cammino di risposte a domande irrisolvibili, il pericolo sta nel rinchiudersi in nuovi miti che, anche con il passaggio dei secoli bui, ne consentono la riedizione attraverso la scienza, soprattutto quando non è assicurata la riflessione critica.

Oltre ad essere una nuova mitologia, come suggerisce lo stesso Freud, possiamo dire, seguendo Dunker,[Xx] che la psicoanalisi contiene un'analisi politica ben definita della società. Quando Einstein sostiene che trasferire la violenza alle parole, sfidando la psicoanalisi ad analizzarne le possibilità, avvalora la tesi secondo cui stabilire una posizione politica è inerente alle sue pratiche. Posto che la violenza è riconosciuta da Freud come tratto inestirpabile dell'essere umano, in quanto legata alla dimensione pulsionale, trattarne i destini sollecita ad essere un tema sociale e, quindi, politico, non solo riservato all'ufficio dell'analista.

Cioè, mediando i legami sociali, la psicoanalisi può mitigare i possibili danni politici distruttivi che ne possono derivare. Oserei dire che il ruolo politico della psicoanalisi, se ben condotto, sarebbe una sorta di politica per prevenire la barbarie. Ovviamente, questo ruolo non dissolverà il contenuto e il contesto caotico in cui è inserita la maggior parte della popolazione.

D'altra parte, la tesi contenuta in Psicologia dei gruppi e analisi dell'Io si conferma come nel nazismo e nel fascismo il ciclo della guerra trovi il sentimento dell'identificazione come malta, oltre all'inasprimento di Thanatos e la minaccia fatale a Eros. Ma spiegando meglio quanto detto prima, non dobbiamo dimenticare che agli elementi soggettivi si aggiunge l'andamento delle forze produttive quale importante sostegno della società. Del resto, la materialità delle relazioni umane, organizzate gerarchicamente, è ciò che ha garantito la sopravvivenza oggettiva della specie. E dico sopravvivenza perché nel capitalismo condurre una vita piena è un ideale riservato alla sfera dei suoi miti, che si creano e ricreano in ogni momento. Tra i nomi che tali miti assumono, in epoca post-neoliberista, possiamo citare, a titolo esemplificativo, meritocrazia e imprenditorialità.

Anche con tutti i problemi dell'era moderna, Freud[Xxi] considera il dominio della ragione per controllare gli istinti distruttivi, riconoscendolo, tuttavia, come qualcosa di utopico. Alla fine del suo testo accenna alla rivolta contro la guerra, come atto di chi è in campo pacifista. I sostenitori di questa squadra sono favorevoli al progresso della civiltà attraverso atti di cultura, lo stesso di Walter Benjamin[Xxii] si qualificheranno come atti di barbarie, non lasciando molto di ciò che si produce nell'umanità al di fuori del registro negativo. Tali note possono offrirci una lettura talvolta simile, se vogliamo avvicinarci all'obiettivo, a quanto prevalse nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, delimitando, qui, gli autori della teoria critica accennata. Ma anche Freud non è spiazzato dal pessimismo.

Comunque sia, la produzione umana è sospinta dai cambiamenti psichici prodotti nel processo di civilizzazione, in cui, a scapito degli impulsi aggressivi, l'intelletto viene ceduto. La guerra testimonia contro questo processo e ci rimanda con tutta la sua forza all'anacronismo odierno, dove le crudeltà presentate ci riportano ai primi passi dell'uomo sulla terra, facendoci dimenticare che "tutto ciò che stimola la crescita della civiltà opera simultaneamente contro la guerra". .[Xxiii]

Per ironia della vita, lo stesso Einstein che aveva così fondamentalmente provocato il padre della psicoanalisi, quando gli fu chiesto di sostenere la candidatura al Premio Nobel tanto desiderata da Freud, si rifiutò di farlo, dicendo di non essere convinto della validità della psicoanalisi. Sarebbe una grande ironia per Freud averlo vinto quando ricordiamo che la più grande invenzione del chimico Alfred Nobel fu la dinamite. A maggior ragione se ricordiamo che, forse spinto da un senso di colpa, analizzato anche da Freud, Nobel destinerà gran parte della fortuna conquistata con l'invenzione per promuovere il benessere dell'umanità. Nasce così la Nobel Foundation, che dal 1900 ad oggi distribuisce il tanto ambito premio in tutto il mondo.[Xxiv].

Chissà, dialetticamente, possiamo leggere da qui"Götzen-Dämmerung oder Wie man mit dem Hammer philosophirt”, ("Crepuscolo degli idoli: o come filosofare con il martello")[Xxv], la diagnosi nietzscheana del fallimento degli idoli e verificare, come l'autore, la necessità di una vera e propria guerra contro tutti i falsi culti che ci limitano, che noi stessi produciamo. Sono idoli che vanno dalle istituzioni concrete ai sistemi simbolici, rappresentati dagli “ismi” più diversi – liberalismo, autoritarismo, nazismo, fascismo, industrialismo, positivismo, cristianesimo – e si stabiliscono come dogmi che ci circondano come piccoli circuiti di voragini. Quindi uniti per pensare perché la guerra avremo nuovi elementi per interpretare questo nuovo ritorno di barbarie represse nell'umanità, a cui porre altre domande, quali:

Per quanto tempo sosterremo l'argomento della parzialità che promuove le più terribili creazioni scientifiche umane, come le armi atomiche? Fino a quando potremo disprezzare la ricchezza culturale di un altro popolo a favore di conquiste territoriali e guadagni finanziari e aziendali? Come possiamo permetterci un'alienazione tale da dividere il mondo in "noi" e "loro", questa pratica comune del fascismo?[Xxvi], eleggendone un altro come nemico permanente, da sterminare? Riusciremo mai a costruire Stati che praticano la stessa moralità che predicano le loro leggi ben scritte? Non ne sappiamo abbastanza per costituire altri modi di vivere capaci di accogliere le differenze, qualunque esse siano? Infine, cosa ci spiega ancora Freud sull'autodistruzione umana per placare l'angoscia che ci invade, di fronte a questa guerra che oggi ci colpisce?

La conclusione di Freud su Einstein, nella sua tipica inclinazione critica, può essere riassunta nella domanda sul perché gli esseri umani vorrebbero mantenersi in pace. L'antica distinzione tra borghesi e proletari, coniata dal Moro, nonostante tutte le variazioni che il corso della storia le ha dato, ha ancora molto da dirci sulle lotte umane.

*Elisa Zawick è professore presso l'Università Federale di Alfenas (Unifal-MG).

 

note:


[I] Ringrazio pubblicamente gli studenti che hanno partecipato alle discussioni costruite nella disciplina Temi speciali nella gestione pubblica e nella società II: Teoria critica - psicoanalisi e attualità, insegnata da me nel 2021.2, presso PPGPS/Unifal-MG. Ovviamente, li esento da tutti gli errori e le esagerazioni che possono essere stati registrati qui.

[Ii] https://www.ebiografia.com/albert_einstein/

[Iii] SEITENFUS, Ricardo Antonio Silva. Il contesto storico del dialogo tra Einstein e Freud: un dibattito nato dal suo tempo, da tutti i tempi. In: VENTURA, Deisy de Freitas Lima e SEITENFUS, Ricardo Antônio Silva (Apres.). Un dialogo tra Einstein e Freud: perché la guerra? Santa Maria: FADISMA, 2005 (p. 7-11). (Citazione da p. 9).

[Iv] FREUD, Sigmund. Warum Crieg? Der Briefwechsel con Albert Einstein. Reclam, Universal-Bibliothek: Stoccarda, 2012a.

[V] FREUD, Sigmund. Zeitgemäßes über Krieg und Tod. Reclam, Universal-Bibliothek: Stoccarda, 2012b; FREUD, Sigmund. Considerazioni attuali sulla guerra e la morte. In: SIGMUND, Freud. Scritti sulla guerra e sulla morte. Università di Beira Interior: Covilhã, 2009 (p. 4-35).

[Vi] FREUD, Sigmund. Malessere culturale. Porto Alegre: LP&M, 2010.

[Vii] FREUD, Sigmund. Oltre le basi del piacere. Porto Alegre: LP&M, 2018.

[Viii] ENDO, Paulo; SOUSA, Edison. Itinerario per una lettura di Freud. In: FREUD, Sigmund. Malessere culturale. Porto Alegre: LP&M, 2010 (p. 7-19). (Citazione da pp. 16;18).

[Ix] FREUD (2009, p.7).

[X] Idem (pagina 10).

[Xi] FREUD (2012a).

[Xii] La pellicola "Il signore delle armi” (2005), la cui sceneggiatura si concentra proprio sul lucroso commercio di armi e sul mantenimento della guerra come sfondo per fare grandi somme di denaro. Disponibile in: https://www.youtube.com/watch?v=hEBA277Rl0U

[Xiii] FREUD, Sigmund. Psicologia dei gruppi e analisi dell'Io. Porto Alegre, LP&M: 2017.

[Xiv] EINSTEIN, Alberto. Documento numero. 1: Corrispondenza con Freud. In: VENTURA, Deisy de Freitas Lima e SEITENFUS, Ricardo Antônio Silva (Apres.). Un dialogo tra Einstein e Freud: perché la guerra? Santa Maria: FADISMA, 2005 (p. 21-25). (Citazione da p. 24).

[Xv] FREUD, Sigmund. Documento numero. 2: La risposta di Sigmund Freud ad Albert Einstein. in: In: VENTURA, Deisy de Freitas Lima e SEITENFUS, Ricardo Antônio Silva (Apres.). Un dialogo tra Einstein e Freud: perché la guerra? Santa Maria: FADISMA, 2005. (p. 29-47). (citazione da p. 29).

[Xvi] “Legge e violenza” fu il primo titolo proposto da Einstein per le lettere tra i due, che accettò la modifica proposta da Freud per apparire come “Perché la guerra?” (VENTURA e SEITENFUS, 2005).

[Xvii] FREUD (2005, pp. 37-38).

[Xviii] Idem (pagina 41).

[Xix] ADORNO, Teodoro. W.; HORKHEIMER, Max. Dialettica dell'illuminismo: frammenti filosofici. 6. reimp. Rio de Janeiro: Zahar, 1997

[Xx] https://www.youtube.com/watch?v=FOgTVeh5S1Q

[Xxi] FREUD (2005).

[Xxii] BENIAMINO, Walter. Magia e tecnica, arte e politica: saggi di letteratura e storia culturale. 12. ristampa São Paulo: Brasiliense, 2010. (Opere scelte, v. 1).

[Xxiii] FREUD (2005, pag. 47)

[Xxiv] https://mundoeducacao.uol.com.br/curiosidades/premio-nobel.htm

[Xxv] NIETZSCHE, Friedrich. Crepuscolo degli idoli: (o come filosofare con il martello). Porto Alegre: LP&M, 2022.

[Xxvi] STANLEY, Giasone. Come funziona il fascismo: la politica di "noi" e "loro". 5. ed. Porto Alegre: LP&M, 2020

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