Perché l'anno 1968 non è ancora finito?

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da PAOLO SILVEIRA*

Appunti per un'altra opposizione, ora riferita al tempo civilizzante: l'opposizione dell'ideologia all'etica

Questo titolo è un esplicito riferimento a quello che ci ha regalato tanto tempo fa Zuenir Ventura. Quante piste sono state aperte, fili già tirati e altri ancora in attesa di chi si avventura.

Qui mi avventuro in uno di quei fili che, come una finestra spalancata, resta aperta, in attesa del futuro. A mio avviso, uno degli aspetti più profondi di quell'interminabile momento storico del 1968: il suo carattere “civilizzato”; un tempo storico più lento, più strutturale e senza dubbio più profondo, anche se lo si può notare solo in superficie, cioè in una data congiuntura storico-sociale. Anche se non fu direttamente al tavolo dei dibattiti del 1968, che giustamente preferirono discutere temi più scottanti, non c'è dubbio che in fondo ai dibattiti, a volte e accesi, c'era l'avanzata di civiltà che plasmava i dibattiti e gli slogan , rompendo i tabù.

Qua e là, ad esempio in Francia, non sono mancati gesti esemplari di risorse estreme per fungere da potenti freni per arrestare il progresso in atto. De Gaulle chiede sostegno alla Germania (chi lo sapeva?); Ecco, niente di meno che l'Atto Istituzionale n. 5, che, paradossalmente, ha contribuito a sancire, come un inno, il “Per non dire che non parlavo di fiori” di Geraldo Vandré. Oggi, retroattivamente, e forse proprio così, vale la pena ricordare il tanto fischiato, ma premonitore “Vietato vietare” di Caetano Velloso.

Non tanti, ma non per questo meno qualificati, hanno già messo il dito su questa ferita di civiltà aperta dall'attuale governo brasiliano, come se fosse il figlio bastardo di quell'Atto Istituzionale n. rapporti umani. Umani sì, perché fino ad oggi non si sapeva che animali di altre specie praticassero atti del genere. E, (sorprendentemente!) un bastardo che deriva dal fatto che questo governo è stato scelto dalla maggioranza degli elettori brasiliani. Scelta terribile, quella di far girare la ruota della storia all'indietro. Un percorso tanto triste quanto codardo per la paura di affrontare il futuro. Non credo che abbiamo il diritto di impedire ai nostri figli e nipoti di andare nel futuro. A meno che non vogliamo lasciare loro un'eredità maledetta (non c'è altra parola).

La borghesia brasiliana, salvo pochissime eccezioni, ha insistito (e insiste tuttora) a rivelare il suo carattere, che Gunder Frank, con rara precisione, un tempo chiamava lumpem, lumpem-bourgeoisie, per mostrare che il denaro e il profitto, come tante altre volte , o meglio, sempre, ha avuto la precedenza su ogni senso etico. Etico, sì, perché il progresso della civiltà dipende da una dimensione etica. A volte, a destra ea sinistra, si assume come soggetto il capitale – capitale questo, capitale quello, cioè una soggettivazione che incrimina il capitale senza impegno di precisione. Qui invece è la borghesia stessa a proporre il capitale come soggetto, come soggetto civilizzante: la civiltà del capitale.

Non c'è dubbio, la storicità del capitale ha un posto chiave nella formazione della società moderna; il feticismo delle merci, è un'eloquente attestazione di quella storicità, mentre indica una dimensione cruciale del suo carattere ideologico, quella di essere il fondamento dell'ideologia. In teoria, l'ideologia si è già opposta alla scienza (Althusser); qui indico un'altra opposizione, ora riferita al tempo civilizzatore: l'opposizione dell'ideologia all'etica.

Ma in questa marcia inversa di civiltà, la borghesia brasiliana è stata accompagnata anche da altri autori: militari, polizia militare, evangelici, ampi settori della classe media. Nessuno come quest'ultimo ha i piedi che sembrano piantati per terra e per i quali il futuro è già avvenuto nel passato. Luiz Marques, sul sito web la terra è rotonda, in un'elegante filippica, richiama l'attenzione sui “risentiti” il cui posto sarebbe segnato soprattutto dalla distanza che separa l'eguaglianza formale dalla disuguaglianza reale.

Étienne Balibar, qualche anno fa, ha proposto la suggestiva nozione di “égalibertè”, che qui interpreto liberamente. Immediatamente, echi della Rivoluzione del 1789 e del Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Questa affiliazione diégalibertè” implica l'idea di una nuova rivoluzione o almeno la direzione da seguire per realizzarla. L'ordine delle tue parole chiave è invertito, libertà e uguaglianza si scambiano di posto. L'uguaglianza diventa l'obiettivo principale; la libertà come mezzo necessario per raggiungere questo obiettivo.

Libertà per l'uguaglianza; uguaglianza con la libertà. Il percorso di questa libertà è strettamente legato alla democrazia: la democrazia come suo fondamento. Balibar lo mette in relazione con un processo storico: la democratizzazione della democrazia. La rivoluzione è immaginata, quindi, come questo processo – come un processo che è sempre incompiuto, sempre a venire.

Percorrere questa strada richiede almeno un impegno inflessibile per la democrazia.

In Brasile, dal 1985, i presidenti che si sono succeduti, nonostante tante differenze, hanno mantenuto questo impegno, compreso il governo Collor. Oggi però la società brasiliana sta pagando cara, molto cara, per aver scelto l'ex capitano per governarla. Circondati da generali stellati, evangelici di dubbia natura e dal carattere vampirico del cosiddetto Centrão che hanno goduto, soprattutto i primi, nel lasciare aleggiare nell'aria lo spettro della dittatura. Così, gli ideali più profondi di quell'anno, quello del 1968, vengono definitivamente colpiti, ma come una fenice si ostinano in tanti modi a chiedere il passaggio. Egaliberté forse ora è il tuo motto. Chi vuole salire a bordo.

* Paolo Silveira è psicoanalista e professore in pensione presso il Dipartimento di Sociologia dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di Dalla parte della storia: una lettura critica dell'opera di Althusser (Polizia Stradale).

 

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