da ANDREA ZHOK*
Il sistema di sinistra non ha una reale capacità o volontà di opporsi al degrado del sistema
Per definire il nostro spazio storico di possibilità, è necessario comprendere il posto che occupiamo nella traiettoria della nostra civiltà. Tutti noi, italiani, europei, occidentali, ci troviamo in una fase di crisi epocale, potenzialmente terminale, del mondo liberale che si è delineato poco più di due secoli fa.
A metà del diciannovesimo secolo, era già diventato chiaro dall'analisi marxista che questa forma di civiltà, a differenza di tutto ciò che l'aveva preceduta, era afflitta da contraddizioni interne controproducenti. Da allora sono emersi i principali elementi di contraddizione interna, sebbene Karl Marx abbia concentrato lo sguardo sulla faglia sociale (tendenza alla concentrazione oligopolistica e all'impoverimento di massa), mentre, per ovvie ragioni storiche, gli è mancata la percezione di altri sbocchi critici insiti nella stessa contraddizioni (non c'era la consapevolezza della possibilità di estinzione della specie per guerra, che divenne una possibilità dopo il 1945, né l'idea della rilevanza dell'impatto degenerativo del progressismo capitalista sul sistema ecologico).
Un sistema che vive solo se cresce e che, crescendo, consuma individui e popoli come mezzi indifferenti per la propria crescita produce sempre, necessariamente e sistematicamente, tendenze al collasso. La lettura marxista, forse molto condizionata dai propri desideri, prevedeva un crollo rivoluzionario come forma del prossimo crollo, in cui maggioranze impoverite si sarebbero ribellate contro gli oligopoli plutocratici. La rovina che si presentò agli occhi della generazione successiva fu la guerra, una guerra mondiale come conflitto finale nella competizione imperialista tra Stati che erano diventati realmente “comitati d'affari della borghesia”.
La fase attuale presenta tendenze molto simili a quelle dei primi del '1900: una società apparentemente progressista e opulenta, secolarizzata e scientifica, in cui i margini di crescita ("plusvalore") si erano però ristretti e avevano portato alla ricerca di sempre più lontane fonti di risorse alimentari e materie prime nei paesi colonizzati. Questo fino a quando le ambizioni individuali di crescita cominciarono – sempre più spesso – a scontrarsi a livello internazionale, spingendo a preparare un possibile conflitto, attraverso trattati segreti di alleanze militari che dovevano essere attivate in presenza di un casus belli.
Che il risultato dell'attuale crisi sia una guerra mondiale totale, sul modello della seconda guerra mondiale, è solo una delle possibilità.
Potrebbero prevalere le pressioni per fare una guerra più simile alla Prima, dove il fronte è l'Ucraina e le retroguardie, incaricate di fornire i mezzi per la guerra, sono l'Europa e la Russia. Nella prima guerra mondiale i civili non furono direttamente coinvolti negli eventi bellici, se non nelle zone di contatto, ma il coinvolgimento complessivo in termini di impoverimento e carestia fu enorme. Tra il 1914 e il 1921 l'Europa perse tra i 50 ei 60 milioni di abitanti, di cui “solo” tra gli 11 ei 16 milioni (a seconda del metodo di conteggio) morirono direttamente durante il conflitto.
Dalla guerra emerse una specifica classe industriale, più ricca e potente di prima, direttamente o indirettamente coinvolta nell'approvvigionamento del fronte. I paesi più lontani dal fronte, e non direttamente coinvolti, uscirono dalla guerra ancora più ricchi e relativamente più potenti.
Questa è, naturalmente, anche la prospettiva e la speranza di coloro che oggi alimentano il conflitto a distanza.
L'esperienza dell'entrata in guerra, con la complicità di fatto di quasi tutti i partiti socialisti e socialdemocratici, ha rappresentato un trauma da cui trarre un insegnamento fondamentale, un insegnamento che, se aggiornato, si potrebbe tradurre così: il sistema di sinistra non ha capacità o reale volontà di opporsi al degrado del sistema. In risposta a questo trauma, Antonio Gramsci, nel 1919, fondò una rivista dal nome altamente simbolico, A Nuovo ordine; e due anni dopo, sulla base dell'apparente successo della Rivoluzione Russa, nasce il PCI, con l'intento di essere proprio un antidoto a quanto accaduto: una forza “antisistema” capace di rovesciare i paradigmi sociali e produttivi che avevano portato alla guerra (e che rimase intatto).
Nello stesso anno, il movimento di Fasci di Combattimento,[I] la cui Manifesto “Sansepolcrista”.[Ii] (Giugno 1919) Può sorprendere chi conosce la successiva evoluzione del regime fascista, prese forma.
Anche qui l'ondata dell'esperienza prebellica e bellica spingeva nella direzione di un rinnovamento radicale dell'“antisistema”. Vi troviamo la richiesta del suffragio universale (anche femminile), la giornata lavorativa di 8 ore, il salario minimo, la partecipazione dei lavoratori all'amministrazione dell'industria, un'imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo con parziale espropriazione di ogni ricchezza, il sequestro dell'85% dei profitti di guerra, ecc.
In pochi anni, però, il movimento di Fasci di Combattimento perderà tutte le istanze socialmente più radicali e verrà riassorbito dal sistema, ottenendo in cambio il sostegno economico degli agrari e della grande industria, che lo utilizzeranno in operazioni anticomuniste e antisindacali. Ad una lettura aggiornata (e naturalmente forzata, data l'ampiezza delle differenze storiche), si potrebbe dire che la scissione della contestazione antisistema (fomentata dal capitale) è riuscita a neutralizzare il carattere di minaccia al capitale stesso, mantenendo solo una carattere di rivoluzione esterna.
In quasi perfetto parallelismo con la pubblicazione del Manifesto “Sansepolcrista”., Antonio Gramsci ha aperto le pagine di Il Nuovo Ordine (maggio 1919) con un famoso appello: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Emozionatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutte le nostre forze”.
Antonio Gramsci aveva perfettamente chiaro che le possibilità di successo per una forza che voleva il rovesciamento di un sistema capitalista, uscito quasi indenne dal più grande conflitto di tutti i tempi, richiedevano certamente agitazione e protesta (non difficili da ottenere in un italiano dove il post -il malcontento bellico era enorme), ma richiedeva soprattutto “studio” (formazione) e “organizzazione”.
È passato un secolo. Molte cose sono cambiate, ma il sistema socioeconomico è lo stesso e la fase è simile: dopo una profonda revisione dopo il 1945, è tornato rapidamente sui vecchi binari dagli anni Ottanta in poi.
Oggi ci troviamo in una situazione che ricorda per molti aspetti il 1914: l'inizio del tutto inconsapevole di una crisi lunga e distruttiva.
Uscirne più o meno come nel 1918, con una condizione di impoverimento diffuso e una società più violenta, ma senza la distruzione della guerra direttamente in casa è lo scenario che ritengo il più ottimista. Con pochi anni di crisi energetica, alimentare e industriale, l'Europa si ridurrà ad essere un fornitore di manodopera qualificata a basso costo per le industrie americane. Questo è lo scenario migliore.
Le possibilità di frenare il treno in movimento sono minime. Quello che puoi fare è prepararti ad essere all'altezza della situazione, a guidare i pezzi in caduta libera in modo che diventino le fondamenta per un edificio futuro.
E ciò richiede, come diceva Antonio Gramsci, prima di tutto un'adeguata “formazione” per interpretare gli eventi, per uscire dal dogmatismo e dalla rigidità che impediscono di comprendere la forza e il carattere del “sistema”. In questa fase, chi rimane ancorato ai riflessi condizionati di destra e di sinistra, con i relativi dogmi, santi e demonizzazioni a bizzeffe, fa parte del problema. Il sistema di dominio del capitalismo finanziario mondiale su base anglo-americana è sì una potenza in crisi, ma è ancora la più grande potenza del pianeta ed è sopravvissuta ad altre grandi crisi.
È capace di persuadere quasi chiunque, di quasi tutto, attraverso un meticoloso controllo delle principali articolazioni mediatiche. È capace di corrompere chi ha un prezzo e di minacciare chi non ce l'ha.
Può cambiare rapidamente pelle anche su temi “decorativi” e “sovrastrutturali”, come tutti i vari diritti civili e diritti umani, che a volte brandisce come mazze quando servono, ma che può far sparire in un attimo con una favola ad hoc, se una strategia diversa è utile.
Avere una consapevolezza culturale di ciò che è essenziale e ciò che è contingente qui è cruciale.
E in secondo luogo, sempre con Antonio Gramsci, occorre “organizzazione”. Chi aspira a non “rovesciare il sistema” (oggi nessuno ce l'ha fisico del ruolo farlo direttamente, "rivoluzionario"), ma assecondare il parziale collasso endogeno, realizzare una nuova forma di vita, ha qualche possibilità di farlo solo se prende terribilmente sul serio gli obblighi di un'organizzazione collettiva.
Ciò che il “sistema” alimenta consapevolmente è l'incoscienza (ignoranza, disorientamento) e la frammentazione (caduta nel privato, diffidenza reciproca). Chi cerca di sfidarlo deve remare con tutte le sue forze nella direzione opposta.
*Andrea Zok Professore di Filosofia all'Università degli Studi di Milano.
Traduzione: Giuliana Haas
Originariamente pubblicato in L'anti-diplomatico.
Note del traduttore
[I] Travi da combattimento italiane.
[Ii] Comunemente noto come Manifesto Fascista. Il termine “sansepolcrismo” si riferisce alle origini del fascismo in Italia, ispirato ai principi enunciati da Benito Mussolini, il 23 marzo 1919, nell'atto istitutivo del Fasci Italiani di Combattimento, durante il comizio in Piazza San Sepolcro a Milano, poi pubblicato sul giornale Il Popolo d'Italia.
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