Vietato per cani e italiani

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da ANNATERES FABRIS*

Considerazioni sul film di Alain Ughetto

Credito immagine: Gebeka Films.

Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, il neonato Regno d'Italia (1861-1946) conobbe un accelerato processo di modernizzazione, concentrato in tre regioni del Nord: Liguria, Lombardia e Piemonte. L'attrazione esercitata dai tre poli industriali provoca, da un lato, un consistente esodo rurale e, dall'altro, la sottrazione di capitale all'agricoltura e la riduzione dei salari contadini.

A partire dagli anni '1870 dell'Ottocento, l'ascesa di una borghesia capitalista fu controbilanciata dall'inizio di un consistente flusso migratorio verso l'Europa (Belgio, Svizzera e Francia) e verso le Americhe di contadini e operai, le cui motivazioni principali erano la mancanza di lavoro, il basso livello industriale e salari agricoli e la delusione causata dalla rivoluzione frustrata che molti si aspettavano dal processo di unificazione nazionale. Il malcontento del proletariato e dei ceti medi si acuì con la guerra doganale con la Francia (1888-1892), la crisi immobiliare di Roma (1889-1890) e la sempre più netta differenza tra i proprietari terrieri del Nord industriale e del Sud, con la conseguente nelle insurrezioni, nelle manifestazioni contro il governo e nei primi tentativi di scioperi generali, violentemente repressi dallo Stato.

È in questo clima di inquietudine e mancanza di prospettive che inizia la narrazione del film d'animazione. Proibito per cani e italiani (Interdit aux chiens e aux italiens, 2022), di Alain Ughetto,, ambientato, dapprima, nella Borgata Ughettera, situata a mille metri di quota, ai piedi del Monviso, non lontano da Torino, principale polo industriale del Piemonte e sede della FIAT, fondata nel 1899. Era l'inverno del 1899-1900 che buona parte della popolazione del piccolo paese, compresi i bambini, emigrò a piedi in Francia a causa di una grave carestia. Tra questi migranti stagionali ci sono i fratelli Luigi, Antonio e Giuseppe Ughetto, che trovano lavoro poco dopo aver varcato il confine.

In quell'occasione Luigi (il nonno del regista) conosce Cesira, figlia di un capomastro, che sposa ed emigra in Svizzera in cerca di un altro lavoro temporaneo. Dopo la nascita di Marie-Cécile, la coppia torna in Italia, dove Cesira dà alla luce altri tre figli.

Mentre Cesira rimane in paese, Luigi e i fratelli continuano la loro vita di emigranti stagionali, oltre a partecipare a due sanguinosi episodi: la guerra italo-turca (29 settembre 1911-18 ottobre 1912), e il primo conflitto mondiale.

La conquista del potere da parte dei fascisti e la continua mancanza di prospettive generano in Luigi e Cesira il desiderio di emigrare in America, ma il naufragio che stava trasportando i loro averi li fa rinunciare al progetto e stabilirsi definitivamente nel Sud della Francia. Lì nascono altri tre figli, uno dei quali, Vincent, sarà il padre del regista dell'animazione. Con tanto lavoro, Luigi riesce ad acquistare un terreno e costruirsi la propria casa (Paradis), dove morì nel 1942.

Per raccontare questa saga, in cui c'è una ricerca personale delle proprie origini e una visione sociologica dell'universo di persone dimenticate dalla grande storia, Alain Ughetto si avvale di fonti orali e di un libro di Nuto Revelli pubblicato nel 1977, Il mondo dei vini [Il mondo dei vinti]. Come rivelato nell'intervista a Benshi, il progetto ha cominciato a prendere forma dopo aver scoperto che la famiglia Ughetto era naturalizzata francese nel 1939,, poco prima dell'occupazione di quattro dipartimenti nel sud del Paese da parte delle truppe italiane.,

Comincia quindi a interrogare i familiari – sorelle, fratelli e cugini – e riesce a stabilire una cronologia. Parla anche con persone anziane che conoscevano i nonni o che hanno vissuto le stesse esperienze, scoprendo, ad esempio, come venivano assunti i lavoratori stagionali. La spinta decisiva per la realizzazione del film viene dal ritrovamento di “testimonianze raccolte dal sociologo Nuto Revelli, che registravano contadini, uomini e donne, che avevano la stessa età di mio nonno e mia nonna e che vivevano nello stesso luogo. Hanno assistito alla miseria e alla guerra con grande dignità e questi archivi sono magnifici”.

Autodidatta che sviluppa un proprio metodo di ricerca, affinato dall'esperienza e adattato alle diverse situazioni affrontate, Revelli registra nel suo libro il crollo della civiltà contadina, “condannata ad una lenta agonia”, dovuta all'esodo dei più giovani tra gli estremi degli anni Cinquanta e dei primi anni Cinquanta. La ricerca si concentra sulla provincia di Cuneo, situata su un altopiano piemontese, e i suoi protagonisti sono gli anziani, portatori di “un patrimonio di storia e cultura che non poteva e non doveva andare perduto”, nelle parole di Francesca Loi.

Delle 270 testimonianze raccolte, Revelli ne cura e pubblica 85, che ribadiscono un insieme di informazioni su un passato fatto di rinunce e sacrifici: “La fame di pane, le genti emigrate in Francia e nelle Americhe, […], la maschera,, il curato, i lunghi inverni e le lunghe veglie, questo era il mondo dei miei testimoni. Aggiungi anche le guerre e il quadro è completo.

Questo universo senza tempo è recuperato nel film di Alain Ughetto che, come dimostra Claudio Panella, si avvale in maniera testuale di diverse testimonianze. È il caso di due affermazioni di Cesira – “la terra era tutto”; “eravamo affamati di terra” –, in cui riecheggiano due testimonianze raccolte da Revelli. È il caso anche del consiglio dato ai bambini di mangiare la polenta con la forchetta “per far durare più a lungo il latte”, estratto da due interviste pubblicate nel libro. E anche un episodio emblematico, citato di sfuggita nell'animazione: la fiera della Barcelonnette (Alta Provenza), in cui bambini tra i 5 e i 13 anni, piemontesi, venivano “assunti” dai genitori per un massimo di sei mesi per svolgere il le più svariate attività, incarichi per un importo che va da 80 a 100 franchi.,

La tradizione orale, a sua volta, è presente nell'episodio del reclutamento di Luigi, sottoposto alla prova delle zollette di zucchero. Per verificare se l'operaio fosse effettivamente un muratore, i capomastri gli chiesero di costruire un muro con zollette di zucchero, separando così i tuttofare dai veri professionisti. La prova viene riproposta in una divertente sequenza, in cui Luigi, andato a reclutare manodopera in Italia, costruisce con il pensiero due solidi muri per aiutare i colleghi inesperti.

Affidando a nonna Cesira il ruolo di depositaria delle memorie familiari, Ughetto compie un doppio movimento. Riafferma, da un lato, questa funzione tradizionalmente delegata all'universo femminile. Rimette in discussione, invece, un atteggiamento patriarcale registrato da Revelli: ad eccezione delle vedove, le donne non amano partecipare alle interviste; quando lo facevano, venivano quasi sempre interrotte dai mariti, che prendevano la parola.,

“Più francese dei francesi”, la nonna non parlava mai la lingua madre, ma “le sue abitudini erano italiane: gli gnocchi, la polenta…”. A questi dati registrati nell'intervista rilasciata a Benshi si aggiunge la presenza dell'immancabile Moka Express.,, con cui Cesira prepara il caffè che offre al nipote durante la conversazione immaginaria che fa da filo conduttore al film.

Oltre a leggere il libro di Revelli e ricorrere alla memoria orale, Alain Ughetto si reca nel villaggio originario della famiglia, che trova in rovina. Lì recupera ciò che rappresentava la quotidianità dei suoi nonni: “broccoli, carbone, castagne, terra…, i broccoli diventano alberi, il carbone diventa montagne”. Con loro crea un “piccolo teatro minimalista” (Olivier de Bruyn), animato da 52 personaggi, realizzato con la tecnica del bricolage. Come dichiara lo stesso regista, la sua intenzione, fin dall'inizio, è stata quella di raccontare la storia dei suoi antenati “dall'interno di un laboratorio di bricolage. L'idea del bricolage era centrale. […] Volevo parlare della trasmissione corpo a corpo. Mio nonno faceva le cose con le sue mani, ha trasmesso questa conoscenza a mio padre, che poi l'ha trasmessa a me”.

L'idea del bricolage lo porta ad adottare la tecnica del stop-motion, in cui i modelli vengono mossi e fotografati fotogramma per fotogramma, rafforzando la sensazione di conoscenza trasmessa di mano in mano. A questo mestiere, che Ughetto sostiene di aver ereditato dal nonno e dal padre, si potrebbe aggiungere quello di Cesira, “instancabile produttore di gnocchi e polenta”, nelle parole di Panella.

La presenza della mano del regista in diverse sequenze rafforza questa idea di produzione artigianale, basata sull'uso di materiali come creta da modellare, elastomeri, resina e ferro. Florent Le Demazel ritiene che la scelta della pasta da modellare richiami “il carattere malleabile e fluttuante della memoria, dell'immaginario, come se i ricordi emergessero dalla creta”. La presenza della mano del regista ribadirebbe non solo una “appartenenza proletaria”, ma anche la sua soggettività, cioè la capacità di raccontare una storia segnata da tragedie con “un misto di empatia e distacco, senza attenuare la realtà dei fatti”. .

Questo aspetto sottolineato da Le Demazel è attribuito dal regista al suo fascino per due film specifici: Brutto, sporco e meschino (Brutti, sporchi e cattivi, 1976), di Ettore Scola, e seminando l'illusione (Lo scopo scientifico, 1972), di Luigi Comencini – e di registi come Dino Risi e Vittorio De Sica, che “hanno l'eleganza di usare l'umorismo per raccontare storie difficili. […] nel mio film ci sono tre guerre, uno stupro, persone costrette a lasciare il proprio paese”.

Alle “storie dure” citate da Alain Ughetto si aggiungono la morte di Antonio in Libia e di Giuseppe nella prima guerra mondiale in una buia trincea; l'epidemia di influenza spagnola; il dolore affrontato da Cesira e Luigi, che hanno perso alcuni figli; la lacerazione del capofamiglia dall'invasione fascista del dipartimento francese in cui vivevano; i tentativi di arruolamento alla causa italiana da parte di suore piuttosto aggressive; l'invasione di Paradis dai soldati nazisti.

Un discorso a parte merita il tema della discriminazione, perché Ughetto riesce a raccontare con leggerezza e ironia una problematica complessa e talvolta tragica. Come ricorda Le Demazel, la questione dell'immigrazione italiana è essenzialmente dialettica. La costruzione di grandi opere nelle regioni rurali richiede l'assunzione di manodopera straniera. La stampa, però, fomenta un sentimento di “italianofobia”,, creando un'opposizione tra nazionali e stranieri, che prende il posto della scissione tra borghesia e proletariato. Ughetto affida la denuncia del comportamento della stampa a una definizione del lavoratore italiano letta da Cesira su un quotidiano locale. La caratteristica principale dell'operaio peninsulare sarebbe “la condiscendenza: sopporta tutto [...], abbassa la testa e obbedisce”.

Tocca anche a Cesira denunciare, con tono malinconico, la discriminazione subita dagli italiani attraverso la lingua: le prime parole imparate dai bambini a scuola sono, in realtà, un insulto, “Macaroní figlio di puttana”. In un'altra sequenza, il regista mostra come il pregiudizio può essere utilizzato da coloro che sono discriminati. Nino, il figlio nato in Italia, chiama “Macaroní” uno dei suoi fratelli minori. Quest'ultimo ricambia l'insulto e sottolinea di essere nato in Francia, quindi non all'altezza del soprannome.,

La denuncia del falso mito della rapida assimilazione dei migranti è trattata con una certa ironia nello spiegare le parole del manifesto che hanno ispirato il titolo del film. Luigi spiega ai figli che il cartello “Vietato ai cani e agli italiani” affisso sulla porta di un bar era una forma di protezione, in quanto i proprietari del locale non volevano che fossero morsi dagli animali. Con questa spiegazione da lui creata, Ughetto espone, ma in modo sommesso, una manifestazione definita “abominevole. Di un'incredibile ignominia” che, dal Belgio, si diffuse in Svizzera e nel sud della Francia, in particolare nella regione della Savoia.

In diverse sequenze il regista si lascia trasportare dall'ironia e dall'umorismo. È il caso del trattamento riservato all'ingordigia del curato che sembra sprofondare nella neve con il pacco di viveri sottratto ai contadini; alla mucca al pascolo, che non è altro che un giocattolo; all'affondamento della nave, che rimanda a una figura ritagliata; alla morte di sgranocchiando del villaggio e il suo tentativo di trasmettere poteri magici a Cesira, che interpone una scopa tra lei e la vecchia; la demistificazione della campagna libica, presentata come una vana lotta contro un vento insistente; alla vistosa e grottesca pubblicità esibita da alcuni veicoli che seguivano il giro ciclistico della Francia.

Alain Ughetto approfitta di uno dei passaggi dell'evento attraverso il Paradis per cogliere il discreto appoggio del nonno a “Gino” [Bartali]. L'evocazione del nome dello sportivo, vincitore della prova francese nel 1938, considerato “il secondo italiano più famoso del mondo”, acquista un significato politico, se si ricorda la sua opera a favore degli ebrei nell'Italia occupata dai nazisti truppe dal settembre 1943.,

Il dialogo tra presente e passato proposto da Alain Ughetto non è guidato dalla ricerca del patetico, ma da un sentimento poetico delicato e pudico, che non esclude una visione critica della dura realtà affrontata dalla famiglia paterna.

Cesira si fa portavoce delle attese, dei dubbi, delle incertezze, delle tristezze e, perché no, della gioia di un'immensa legione di lavoratori provenienti da Italia, Spagna, Polonia e Portogallo, che hanno lottato, subito pregiudizi, ma hanno resistito e alla fine sono stati riconosciuti da il paese prescelto come porto sicuro di arrivo. Il regista chiarisce questa intenzione quando afferma di voler mostrare come “gli immigrati italiani hanno contribuito alla grandezza della Francia. Sono stati loro a costruire la maggior parte delle infrastrutture – dai tunnel alle centrali idroelettriche – ma sono rimasti anonimi. Ho realizzato che il film mostrasse anche come venivano accolti gli italiani e tutti gli stranieri in generale in quel periodo”.

Guidato dall'idea che “l'universale si radica nel profondo”, che “più siamo personali, più ci apriamo agli altri”, il regista trasforma la memoria familiare in uno strumento poetico e critico, capace di portare lo spettatore a riflettere sul trattamento riservato dalle società benestanti ai nuovi flussi migratori, che ne modificheranno radicalmente le convinzioni ei modi di vivere. L'opzione per un processo di animazione fatto a mano fa parte di questo quadro di riferimento, oltre a riferirsi a un problema evocato all'inizio della narrazione.

L'artigianato, simboleggiato dalla presenza della mano di Alain Ughetto in diverse sequenze, rappresentava una sorta di tabù per il padre, che voleva che il figlio mettesse da parte le pretese artistiche e si dedicasse a qualche lavoro che richiedesse l'uso del cervello. Con Vietato per cani e italiani, Alain dimostra a Vincent che non c'è dissociazione tra i due,, perché nessun tipo di creazione umana può fare a meno della mano che plasma la materia e del cervello che concepisce l'azione.

* Annateresa Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Arti Visive dell'ECA-USP. È autrice, tra gli altri libri, di Realtà e finzione nella fotografia latinoamericana (UFRGS Editore).

Riferimenti


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CERNIGLIA, Pietro. “Vietato ai cani e agli italiani: quando eravamo noi a esser trattati male” (2 agosto 2022). Disponibile in: . Accesso: 26 giugno. 2023.

DEL GIUDICE, Luisa. “Revelli, Nuto. L'anello forte (La donna: storie di vita contadina)”. Carta Italiana, v. 1, n. 7, 1986. Disponibile presso:https://escholarship.org/uc/item/3k294463>. Accesso: 3 lug. 2023.

GIROUD, Nicole. “La foire aux enfants de Barcelonnette” (28 ottobre 2018). Disponibile in: . Accesso: 5354 giu. 30.

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“La storia della moka”. Disponibile in: . Accesso: 3 lug. 2023.

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LE DEMAZEL, Florent. “Interdit aux chiens et aux Italiens, Alain Ughetto” (15 febbraio 2023). Disponibile in: . Accesso: 26 giugno. 2023.

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note:


[1] Durante l'anno in corso, il film è stato proiettato a San Paolo con due titoli: Vietato per cani e italiani (“28° It’s All True – Festival Internazionale del Documentario”, 13-23 aprile) e Vietato ai cani e agli italiani (“81/2 Festa do Cinema Italiano”, 22-28 giugno).

[2] Conosciuta anche come Guerra di Libia, il conflitto tra il Regno d'Italia e l'Impero Ottomano portò alla creazione della prima colonia peninsulare in Africa. La guerra è caratterizzata da diverse innovazioni tecnologiche: la presenza di auto blindate, motociclette e servizio di radiotelegrafia e l'utilizzo dell'aereo come strumento di ricognizione e mezzo offensivo. Il 1° novembre 1911 ebbe luogo il primo bombardamento aereo della storia con il lancio di una bomba a mano su un accampamento turco.

[3] Il processo di naturalizzazione per gli stranieri è facilitato dalla legge del 10 agosto 1927 per compensare la diminuzione della popolazione francese a seguito della prima guerra mondiale. Tra il 1927 e il 1940 furono naturalizzate 320.000 persone, di cui più della metà nate in Italia o di nazionalità italiana.

[4] Dopo l'armistizio del 24 giugno 1940 l'Italia occupa 800 km2 di territorio francese, sulla cosiddetta “linea alpina Maginot”, che comprendeva i dipartimenti delle Alpi Marittime, delle Basse Alpi, delle Hautes-Alpes e della Savoia. In questo processo avvenne anche la riitalianizzazione di Mentone, che era stata posta sotto la protezione di casa Savoia tra il 1848 e il 1861. L'occupazione terminò l'8 settembre 1943, con l'annuncio dell'armistizio di Cassibile.

[5] Come maschera erano donne anziane, brutte, gobbe e dai capelli bianchi, alle quali veniva attribuita una natura capricciosa, dispettosa e vendicativa. Dotati di poteri soprannaturali, erano caratterizzati dalla bilocazione e dalla capacità di trasformarsi in animali, piante e oggetti. Quando un sgranocchiando deciso di morire, i suoi poteri venivano trasmessi a una creatura vivente (figlia, nipote, giovane donna, animale o pianta). La chiamata "sgranocchiando benefico” aveva il potere di curare malattie e ferite di persone e animali e di salvare vite in pericolo.

[6] C'era una fiera simile a Prazzo (Piemonte).

[7] Come ricorda Francesca Loi, convinta che le donne fossero “l'ultimo anello di una lunga catena di sofferenze silenziose”, Revelli dedica un libro specifico alle loro “preziose testimonianze”. Riguarda L'anello forte. La donna: racconto di vita contadina) [Il legame forte. La donna: storie di vita contadina, pubblicato nel 1985. In esso, Revelli registra confidenze su una sessualità vissuta con ignoranza e paura, casi di incesto, tirannia familiare e matrimoni forzati; Sente storie di morti infantili precoci, lavoro minorile e una dieta basata principalmente su polenta, patate e castagne. Le donne intervistate ricordano anche pratiche magiche e fenomeni come le guerre e l'emigrazione. L'autore registra anche l'incontro delle “due Italie contadine”, propiziato dal matrimonio di donne del Sud con uomini del Nord molto più anziani.

[8] Creata nel 1933 da Alfonso Bialetti e Luigi de Ponti, la caffettiera prende il nome dalla città yemenita di Mokha, uno dei primi centri di produzione del caffè. Il successo della caffettiera di design Art Deco nelle famiglie peninsulari è dovuto, in parte, al Brasile, che ignorò l'embargo economico della Società delle Nazioni imposto all'Italia dall'invasione dell'Etiopia nell'ottobre 1935. Chiusa durante la seconda guerra mondiale, la fabbrica Bialetti fu riaperta nel 1946 dal figlio del fondatore, Renato; la macchina da caffè fu nuovamente prodotta negli anni '1950 e il suo utilizzo fu ampiamente pubblicizzato in campagne pubblicitarie.

[9] L'”italianofobia” si sviluppò tra il 1875 e il 1914, in un periodo in cui i nazionalismi europei erano in aumento. I lavoratori immigrati diventano i capri espiatori delle ricorrenti polemiche diplomatiche tra Francia e Italia e della crisi del mercato del lavoro transalpino. L'ascesa al potere del fascismo aumentò ulteriormente questo sentimento e gli italiani furono accettati dalla società francese solo dagli anni '1950 in poi.

[10] Dentro Macaronì: romanzo di santi e delinquenti [Macaroní: romanzo di santi e delinquenti, 1997], Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli evocano le umiliazioni subite dai lavoratori italiani in Francia, con epicentro il massacro di Aigues-Mortes, avvenuto tra il 16 e il 17 agosto 1893. 8 morti di italiani per linciaggio, percosse, annegamento e fucilazione, ma la stampa peninsulare parlò addirittura di 150 occorrenze. Il numero dei feriti è stato stimato tra 150 e 400.

[11] Approfittando della sua fama, Bartali trasportò alla Rede Assis (gestita da un settore della Chiesa cattolica) documenti di identità contraffatti che salvarono la vita a più di 800 ebrei. Oltre a questa impresa, che utilizzava la struttura della bicicletta come nascondiglio, ospitò nella sua abitazione la famiglia dell'amico Giacomo Goldenberg. Per questa performance, il Memoriale dell'Olocausto Yad Vashem (Gerusalemme), gli conferisce, nel 2013, il titolo di "Giusto tra le nazioni". Queste azioni, note solo dopo la sua morte avvenuta il 5 maggio 2000, sono state ricordate nel film d'animazione La bicicletta di Bartali [Bartali's Bicycle], diretto da Enrico Paolantonio e coprodotto da Lynx Media Factory, Toonz Media Group, Telegael e Rai Ragazzi, la cui prima era prevista per l'inizio del 2023.

[12] La risorsa delle “mani sulla materia malleabile” era già stata utilizzata in una produzione del 2013, Jasmine. Attraverso animazioni in creta, film in super-otto, filmati d'archivio, lettere e disegni, il regista rivive la sua storia d'amore con una giovane conoscenza iraniana ad Aix-en-Provence e il suo trasferimento a Teheran in un momento particolarmente drammatico. Completamente innamorato, il giovane Alain quasi non si accorge di ciò che accade intorno a lui: scioperi e manifestazioni che hanno paralizzato l'Iran per tutto il 1978; esilio di Shah Mohammad Reza Pahlavi (16 gennaio 1979); ritorno dell'ayatollah Ruhollah Khomeini (1 febbraio 1979); istituzione della Repubblica islamica dell'Iran (1 aprile 1979), su base teocratica e antioccidentale.


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