da HENRY BURNET*
Considerazioni sul libro postumo di Roberto Machado
Roberto Machado ha rilasciato non di rado a sortita: diceva che i suoi libri non erano “uspiani” e che, anzi, li scriveva come reazione a quel “modello”, che forse considerava serio, o sinonimo di un accentramento che, anche quando Roberto Machado era ancora tra noi , non ha più parlato molto della filosofia brasiliana nel XNUMX° secolo. Quello che ci ha divertito è stato che la tirata provocatoria si è scontrata con l'opinione di un'altra insegnante, anche lei “anti-USpiana”, a modo suo, per la quale i libri di Roberto Machado erano soprattutto… USPian.
È stato il primo ricordo che mi è venuto in mente quando ho iniziato a leggere Proust e le arti, pubblicazione postuma di questa grande figura che ci ha lasciato nel 2021, lasciando un vuoto impossibile da colmare. Tutto indica che l'autore ha lasciato il libro pronto, ma il materiale è stato organizzato per la pubblicazione da Pedro Süssekind, che firma anche l'orecchio e al quale tutti dobbiamo un po'.
Per chi, come me e tanti della mia generazione, ha iniziato a studiare filosofia leggendo Nietzsche e la verità, apprese le sue prime lezioni su Michel Foucault leggendo il microfisica del potere, ha assimilato tesi ardite come quella da lui presentata Zarathustra: tragedia nietzschiana, o venerati monumenti di sintesi storico-critica come La nascita del tragico e tanti altri libri, per non parlare delle traduzioni e, come dimenticare, delle sue lezioni e dei suoi interventi pubblici – quando dominava la platea come un Ariano Suassuna –, Proust e le arti può essere letto solo come un'ultima lezione, un addio glamour, come tutto ciò che lo circondava. Parliamo dunque del libro, poiché la tentazione di parlare dell'autore è grande.
Nell'anno del centenario della morte di Proust, il 2022, il libro esce in contemporanea con una terza traduzione integrale del Cerca in Brasile, tradotto da Mario Sergio Conti e Rosa Freire D'Aguiar, Alla ricerca del tempo perduto (Companhia das Letras); indicandone il differenziale già nel titolo, che differisce dall'opzione di Globo ed Ediouro, tutto fa ritenere che la nuova traduzione dovrebbe avviare un rinnovato ciclo di letture e studi, in cui l'opera di Roberto Machado dovrebbe acquisire rilievo.
Parto da quanto indica anche lo stesso Roberto Machado nell'introduzione: “[…] oltre a presentare, in modo letterario, idee tradizionalmente considerate filosofiche – sulla realtà, il soggetto, il tempo, lo spazio, la conoscenza, la percezione, l'immaginazione, la memoria, pensiero… – c'è un'estetica metafisica in Proust, ispirata alla riflessione filosofica – logica, razionale, concettuale – sull'arte. Ma questa riflessione, che intende riflettere sul rapporto tra arte e realtà, si esprime artisticamente [...]” (p. 35). Per l'autore, è possibile leggere l'esito del Cerca come “dissertazione estetica”, “un saggio sulla filosofia dell'arte, con idee profondamente integrate nella trama del romanzo” (p. 10); questo è l'invito che ci ha lasciato Roberto Machado: una lettura estetico-filosofica di Alla ricerca del tempo perduto. I percorsi che suggerisce lungo questo percorso meritano qualche considerazione.
Come ogni cosa che ha fatto, qualcosa all'inizio sembra licenziosamente ardito, del resto, sarebbe anche possibile sostenere la tesi che il Cerca sarebbe un “romanzo di formazione” (in linea con il romanzo di formazione tedesco e Roman d'apprendistato francese) e che Marcel, l'eroe, scopre la sua vocazione letteraria attraverso i sette volumi, e ancora difende che la circolarità delle migliaia di pagine è rivelata solo nelle sue ultime righe dal narratore, che è, contemporaneamente, il personaggio centrale del libro?
Se consideriamo la metafora dello “scavo”, forse è il caso di pensare che la metodologia di lettura di Roberto Machado segua le orme del percorso archeologico di Michel Foucault, diversa dalla ricezione del romanzo riconosciuta dalla maggior parte di noi attraverso la critica di Benjamin. Non essendo inedita – la difendeva ad esempio Paul Ricouer, anche Maurice Blanchot –, la tesi del romanzo di formazione tedesco, “tradotto” come “romanzo di apprendimento” in francese, fu ripresa in modi diversi da Paul Ricouer – perché, quando At alla fine del romanzo, abbiamo una “disillusione” e in altro modo ancora di Gilles Deleuze, che la definisce “ricerca della verità”, prendendo le distanze dalla lettura che enfatizza la memoria, per esempio. Bisogna riflettere sui motivi che hanno portato Roberto Machado a scommettere su questa strada, diciamo così, non canonizzata.
I sensi, o meglio quelle che l'autore chiama “impressioni sensoriali”, sono fondamentali per comprendere la sua proposta di lettura. Così, informa: “Ho rilevato una trentina di queste esperienze”. In cosa consistono? Nelle “condizioni del progetto letterario esposto nell'opera” (p. 37). Pertanto, quando si seziona il file Cerca Con rigore, Roberto Machado ci conduce lungo strade che chiamerò nuove, suggerendo, attraverso le stesse strade che siamo abituati a seguire nel romanzo, un'interpretazione globale dell'insieme proustiano da una nuova prospettiva. Non sarebbe il caso qui di decidere per giusto o sbagliato; siamo letteralmente sul terreno nietzscheano-foucaultiano, cioè Roberto Machado potrebbe aver suggerito che l'opera di Proust inaugura una nuova episteme del XX secolo; i lettori specializzati diranno se questa è un'esagerazione, ma vale la pena ricordare quanto Roberto Machado apprezzasse le impressioni, per questo basta ricordare il libro immediatamente precedente, intitolato Impressioni di Michel Foucault (n-1 edizioni, 2017); tra l'altro, come lui stesso registra, una metafora musicale. Quello che sottolineo è la capacità di Roberto Machado di leggere il romanzo da una chiave che fonde sensazioni e rivelazione letteraria, impressioni sensibili ed estetica filosofica.
Intermezzo: ad un certo punto del libro Roberto scrive quanto segue: “Ciò che caratterizza questo momento in cui Marcel ha tante impressioni concatenate è che, facendo uno sforzo, in solitudine, riesce a scoprire la causa, il motivo dell'intensità sente vivendo queste esperienze e, da lì, scopre qual è l'opera letteraria che intende fare” (p. 55). È impossibile leggere questo e non pensare a quanto Roberto Machado apprezzasse la solitudine [mai l'isolamento]. Proust e le arti non potrebbe essere altrimenti; sebbene radicale nella sua portata, è il risultato di un lavoro faticoso e solitario, compresa, a quanto pare, la radicalità della sua lettura.
Queste sono le arti che Roberto Machado evidenzia come essenziali per il romanzo. La grande passione di Marcel Proust, la musica, soprattutto quella wagneriana, le arti plastiche e la letteratura che tutto permea; Facciamolo per gradi. Se Marcel persegue la sua vocazione letteraria attraverso i sette volumi, la musica è una parte fondamentale del suo apprendistato, Proust la considerava addirittura superiore alla letteratura. Per avvicinarsi ad esso, Roberto Machado segue da vicino il libro di Jean-Jaques Nattiez, Musicista di Proust (Christian Bourgois, 1984). A questo punto del libro, un nome diventa inevitabile e forse scontato quando si tratta di Roberto Machado, per il quale Proust “è un moderno, qualcuno segnato dalla 'morte di Dio', per usare un'espressione di Nietzsche” (p. 73 ). .
Con questo spunto, Roberto Machado mostra come Marcel riesca a liberarsi della frivolezza di un personaggio la cui cultura ha una grande importanza fino a un certo punto del romanzo: Charles Swann; qualcosa che accade ad altri personaggi mentre Marcel continua il suo percorso di apprendimento. Tuttavia, Swann risulta essere un ascoltatore mediocre, il cui decadimento e frustrazione è graduale e fatale. È curioso notare che, non di rado, Roberto Machado parla della posizione di Marcel Proust sulla musica: “A Proust non interessano gli aspetti tecnici della teoria musicale” (p. 79); “Proust inizia la sua riflessione presentando come Swann sente e pensa la musica” (p.82); “Se ho studiato la comprensione della musica di Swann, è stato soprattutto per contrapporla alla concezione del narratore, che è sostanzialmente quella di Proust” (p. 103).
Lo spazio di una recensione è certamente limitato a discutere “la posizione del narratore” nel Cerca. Nell'introduzione, Roberto Machado affronta questo tema e prende posizione, motivo per cui lascio questo piacere al lettore. È importante non perdere di vista il fatto che “essa [la concezione del narratore (di Proust!?)] compare in vari momenti della storia. Cerca, dimostrando una progressione, un apprendimento che, a poco a poco, il protagonista fa della natura della musica, e sarà fondamentale per la scoperta della sua vocazione letteraria” (p. 103).
A Cerca, quindi, non è solo il percorso di apprendimento di Marcel, il racconto di come le arti lo toccano, lo commuovono, fanno traboccare la sua “memoria involontaria”, ma anche [o soprattutto?] il modo che Proust ha trovato per lasciarci in eredità un insegnamento contro la tempo della modernità, essendo, come sottolinea Roberto Machado, un autore nietzschiano, non platonico, interessato alle proiezioni metafisiche, piuttosto uno scrittore preoccupato di ciò che stava accadendo nel suo tempo; non a caso Baudelaire è il poeta e uno dei riferimenti fondamentali di Proust. Così, come “romanzo di formazione”, Alla ricerca del tempo perduto è anche un romanzo ambientato nel tempo coevo a quello del suo autore, il tempo del capitalismo. Ma il libro non è una guida alla lettura, e dubito che il suo autore ci perdonerebbe se lo leggessimo in modo elogiativo, cioè rimangono molte domande che, purtroppo, non potremo porre.
Quando si richiama nuovamente la voce di Proust, nel passaggio in cui Roberto Machado afferma che «riferendosi al 'progresso, se non nel valore degli artisti, almeno nella società degli spiriti', Proust suggerisce che, per il fatto di essendo successivo, un artista non è necessariamente superiore” (p. 105), sorgono diverse domande, ma l'autore le ignora. Forse stanchi delle discussioni su “Nietzsche vs Wagner”, dal libro sono assenti tutti i passaggi in cui Proust si schiera letteralmente dalla parte del compositore. Quando questo appare, è in modo generale: “[…] per sostenere che Proust difende il progresso nell'arte, è necessario chiarire che ciò significa per lui che il grande artista, l'artista geniale, crea sempre un nuovo, opera originale, che rompe con il passato […] (p. 106).
Roberto Machado prende Kant e Schopenhauer come fonti di sostegno per la sua argomentazione, ignorando le critiche di Nietzsche a Baudelaire e Wagner, perché, per lui, “[…] Proust riprende una tradizione moderna che definisce il grande artista come un creatore originale” (p. 125), così, “[…] Kant, uno dei primi a difendere questa posizione, dice, al paragrafo 46 di Critica della facoltà di giudizio, che genio 'è a talento produrre ciò per cui non si può dare alcuna regola determinata […]; di conseguenza, originalità deve essere la tua prima proprietà'” (p. 125). Tutto questo si spiega con il fatto che Roberto non ha scritto un libro per promuovere un dibattito sulla filosofia dell'arte, ma per mostrarci come [un] romanzo possa essere, di per sé, fonte di miglioramento estetico, e, quindi, ha senso, mi piacerebbe credere, affermazioni come questa: “Proust sembra tornare a questa concezione moderna del genio, seguita dai romantici e da Schopenhauer” (p. 125). Come potrebbe Proust essere “nietzscheano” e seguire Schopenhauer e Kant?
Queste e altre tensioni su cui il libro ci propone di riflettere alimenteranno sicuramente buone discussioni nelle nostre aule, ma insisto un po' di più sulla posizione che Roberto Machado assume nel libro ignorando passaggi come questo: “Non avevo, in la mia ammirazione per il maestro di Bayreuth, nessuno degli scrupoli di coloro verso i quali, come Nietzsche, è loro dovere rifuggire l'arte come nella vita dalla bellezza che li tenta, e che, strappandosi da Tristano proprio come negano Parsifal, per ascesi spirituale, di mortificazione in mortificazione, giungano, seguendo la più cruenta delle vie della croce, a elevarsi alla pura conoscenza e alla perfetta adorazione del Postiglione di Longjumeau"[Marcel Proust, il prigioniero (São Paulo, Globo, 2011, p. 180.] In questo e in altri passaggi troviamo, forse con sorpresa di alcuni, Proust schierarsi con Wagner, in una discussione che non sapevamo fosse così importante da essere immortalata nel romanzo.
Ne cito ancora una: “Ho già detto […] quello che penso dell'amicizia, e cioè: che vale così poco che stento a capire che uomini di un certo talento, come Nietzsche, per esempio, avevano la ingenuità di attribuirle un certo valore intellettuale e, di conseguenza, di rifiutare amicizie alle quali non fosse legata la stima intellettuale. Sì, mi ha sempre stupito vedere che un uomo che portava dentro di sé la sincerità fino a ritrarsi, per questione di coscienza, dalla musica di Wagner, immaginava che la verità potesse compiersi in quel modo di espressione, confuso e inadeguati per natura. , che sono generalmente azioni e, in particolare, amicizie, e che potrebbe avere un significato il fatto che qualcuno lasci il lavoro per andare a trovare un amico e piangere insieme quando sentono la falsa notizia dell'incendio del Louvre” [ Marcello Proust, La via dei Guermantes].
La curiosità di conoscere le ragioni del percorso scelto da Roberto Machado porterà ancora a molte conversazioni e il libro non perde il suo merito perché si continua a discutere di qualcosa che pensava fosse forse superato. Di grande interesse anche i passaggi sulla pittura, gli artisti veri e quelli inventati da Proust, il “sapere superiore” che Marcel provava contemplando il quadro di Vermeer, Vista di Delft, che Proust “aveva visto all'Aia nel 1902” e considerato “il quadro più bello del mondo”.
In questo senso, quando arrivo alla fine del libro capisco che la scommessa sull'idea di Cerca come “romanzo di formazione” ha molto a che fare con quest'ultimo termine, tanto caro al dibattito germanico, il Bildung. Roberto Machado indicherebbe in modo definitivo un ultimo soffio di integrità, qualcosa come un ritorno alle arti come via d'uscita dalla barbarie, a prescindere da piccole liti e, quindi, come antidoto contro il Paese che ha lasciato e il cui soffio di speranza poteva non sentire? Come un buon romanzo, solo alla fine il libro di Roberto si rivela pienamente e questo piacere non può essere tolto ai lettori.
Ci sono molte domande che non potremo porre al nostro autore. Quando una figura come Roberto Machado scompare, è normale che venga invocata la nostra vicinanza a loro, con orgoglio e vanità. Non è diverso nel mio caso, anche se quanto sto per riferire vuole illuminare la lettura, più che esaltare una falsa intimità. Quando l'ho invitato a far parte del mio Comitato di abilitazione, la sua risposta diretta è stata più o meno questa: “Non voglio più partecipare a nessun comitato, a nessun congresso, voglio solo dedicarmi a un progetto di scrittura diverso da tutto ciò che ho fatto , qualcosa tra letteratura e filosofia.
Lo ha fatto nel suddetto Impressioni di Michel Foucault e forse ha ripetuto la dose in questo postumo, nonostante il libro sembrasse più vicino ai suoi lavori precedenti. Comunque, Roberto Machado ci ha lasciato un altro libro USP, cioè, a quanto ho capito la battuta, meticoloso, esigente, rigoroso, ma con i piedi di un uccello.
*Henry Burnett è critico musicale e docente di filosofia all'Unifesp. Autore, tra gli altri libri, di Specchio musicale del mondo (Fi Editore).
Riferimento
Roberto Machado. Proust e le arti. San Paolo, Tuttavia, 2022, 240 pagine (https://amzn.to/3KHFtxn).
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