da ENRICO BRAGA & MARCELLO MODOLO*
Le affermazioni ironiche sono pericolose, fraintese e, più recentemente, devono essere accompagnate dall’avvertimento “contiene ironia”
Nelle sue “Memorie postume”, c'è un passaggio in cui il narratore Brás Cubas – l'illustre “autore defunto” machadiano – racconta la sua sepoltura, alla quale parteciparono solo undici amici. Ad un certo punto, uno di loro decide di tenere un discorso elogiativo, pieno di luoghi comuni, per onorare il defunto. Dopo aver citato questo omaggio, Brás Cubas dice: “Amico buono e fedele! No, non mi pento delle venti polizze che ti ho lasciato”.
Questo è uno dei tanti passaggi in cui si individua la celebre ironia di Machado de Assis, il nostro più grande prosatore: nel passaggio, collegando il discorso funebre all'eredità lasciata a chi parla, il narratore suggerisce che la motivazione dell'elogio non deriva esattamente dalla gentilezza o dalla lealtà dell'altro: sebbene l'enunciatore verbalizzi “amico buono e fedele”, lui stesso fornisce indizi, come se ci strizzasse l'occhio, in modo che il lettore interpreti la sua affermazione alla rovescia.
Se il nostro più celebre scrittore ha come tratto distintivo l'ironia, potremmo suggerire che tale risorsa espressiva fosse un simbolo nazionale, un segno della brasiliana, un nostro patrimonio immateriale, no? No. Al contrario, ci sono prove che le affermazioni ironiche siano pericolose, fraintese e, più recentemente, che dovrebbero essere accompagnate dall'avvertenza “contiene ironia” – qualcosa di simile a quanto è stato fatto, in questo caso correttamente, sulla confezione di alcuni alimenti, con le diciture “alto contenuto di sodio”, “alto contenuto di zuccheri”, ecc.
Un piccolo esperimento
Abbiamo fatto una prova. In un esercizio d'amore per le scienze del linguaggio, ci siamo confrontati con l'universo dei commenti sui social network. Per questo esperimento abbiamo scelto a posta da Folha de S. Paul, con un appello quantomeno curioso: “Un nero viene denunciato per insulti razzisti dopo aver detto che lo zio bianco ha la 'testa di uno schiavista europeo'”. Senza entrare nei dettagli giuridici della questione, abbiamo preparato un commento che, a nostro avviso, sarebbe senza dubbio ironico.
Prima di condividere i risultati dell'esperimento, alcune considerazioni sull'ironia. Attraverso tale risorsa retorica, l’enunciatore “finge di dire una cosa per dire esattamente il contrario”, come ci insegna José Luiz Fiorin (in Figure retoriche, dell'editore Contexto). Sempre secondo Fiorin, nell'ironia ci sono “due voci in conflitto, l'una esprime il contrario di ciò che ha detto l'altra; una voce invalida ciò che dice l’altra”.
Nell'esempio di Machado, di cui abbiamo parlato all'inizio, una persona ignara potrebbe credere che il discorso funebre fosse frutto di sentimenti più nobili. Questa voce direbbe sinceramente che era un “amico buono e fedele”. Nel contesto della narrazione, però, la voce di Brás Cubas invalida quest'altra voce, inserendo elementi affinché il lettore comprenda tra le righe: poiché l'elogio è legato all'eredità ricevuta, si instaura l'ironia.
Il problema, per molti lettori, è che l’ironia è una sorta di “non detto”. L’etimologia greca del termine (arrivata a noi attraverso il latino) già suggerisce questo: eirōneia significa “l'azione di interrogare fingendo ignoranza; dissimulazione” (come riportato nel Dizionario Houaiss). Ci si aspetta, quindi, che il lettore o ascoltatore dell'ironia faccia un'inferenza, ricorra cioè a elementi contestuali (intra o extratestuali) per accedere al significato, per rendersi conto che la voce implicita annulla ciò che è stato esplicitamente verbalizzato. Nel nostro esperimento, non tutti i lettori lo hanno fatto.
“PS.: contiene ironia”
Nel post sul nipote accusato (per aver dichiarato che suo zio aveva la “testa di uno schiavista europeo”) abbiamo inserito il seguente commento: “Ora dirai che gli schiavisti erano europei bianchi? Oh, abbi pietà!”
Con un certo ottimismo, speravamo che i potenziali lettori si rendessero conto che stavamo negando un fatto ovvio: che il processo di riduzione in schiavitù dei neri africani è stato guidato dagli europei bianchi. A questo si aggiunge il contesto interno, il rapporto tra commento e post: negare il fatto ampiamente documentato, conosciuto e studiato che esistessero schiavisti europei sarebbe un argomento assurdo anche in tempi di negazionismo, incapace di sostenere la denuncia contro il nipote. Si è cercato, insomma, di creare una caricatura che dimostrasse disapprovazione per la fragile tesi del presunto “razzismo al contrario”.
Nonostante tutte queste evidenze, abbiamo ricevuto aspre critiche da parte di chi certamente sarebbe d'accordo con noi, ma non ha individuato la invalidazione della voce verbalizzata, non riuscendo a trarre la deduzione richiesta dall'ironia. “Ti sei perso le lezioni di Storia?”, “Se non loro, chi?”, “Leggi il libro Schiavitù da Laurentino Gomes e poi torna qui e potrai rispondere tu stesso alla tua domanda” sono state alcune delle risposte che abbiamo ricevuto.
Tra i commenti ce n'è uno che ci ha lasciato particolarmente pensierosi: “La gente ha molta difficoltà con l'ironia… per semplificare aggiungo un PS: contiene ironia, per aiutare la gente”. Se adottassimo questa funzionalità (già praticata nei post sui social media), forse il prossimo passo sarebbe proprio quello di inserire l'avvertenza “ad alto contenuto di ironia” sulle copertine dei libri di Witcher di Cosme Velho. L'idea non è cattiva: con l'avvertimento, nessun lettore incallito, con accesso a un'istruzione di qualità, crederebbe che Marcela abbia davvero amato Brás Cubas durante quei quindici mesi e undici storie...
*Marcello Modolo è professore di filologia all'Università di São Paulo (USP).
*Henrique Santo Braga Ha conseguito un dottorato di ricerca in filologia e lingua portoghese presso l'USP.
Una prima versione di questo articolo è stata pubblicata in Journal da USP.
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