da DENILSON CORDEIRO*
Commento al libro con articoli di Sigmund Freud, Sándor Ferenczi, Karl Abraham, Ernst Simmel, Ernest Jones
“È allo stesso tempo vero che il mondo è ciò che vediamo e che, tuttavia, bisogna imparare a vedere il mondo” (Merleau-Ponty. Il visibile e l'invisibile).
George Steiner, celebre professore, poliglotta, critico letterario e uomo di rara erudizione, si riferiva, più o meno così, all'ambito delle cosiddette discipline umanistiche, comprese le arti. È un regno peculiare, in cui il riconoscimento dei titoli nobiliari dipenderebbe, in larga misura, dalla capacità aggiornata di salvare i libri dall'oblio. Così, nella salvaguardia maître à penser, i giovani (indipendentemente dall'età cronologica) troverebbero aiuto nel difficile compito di inventarsi nuovi occhi mentre imparano a vedere. Come, in fondo, elaborare il presente se non con l'indispensabile aiuto di chi, generosamente, ha registrato per iscritto i propri tentativi nel passato?
La prima metafora forse non è – soprattutto attualmente – delle migliori, per il grado di impegno e di inadeguatezza che l'idea di nobiltà ha già subito, ma contiene comunque il senso di una posizione meno scontata da ricercare rispetto al sapere e riflessione. Attraverso la metafora della visione, è possibile individuare l'ipotesi che ogni recupero del nostro potere immaginativo dimenticato – l'arte del vedere come arte del conoscere – debba necessariamente passare attraverso una sorta di riscoperta e rivalutazione delle idee e delle pratiche, che, sembra, sono archiviati oggi.
Uno dei risultati più immediati di questa dimenticanza è stata la mancanza di immaginazione sepolta dall'ipnotismo delle immagini, da un lato, e la depoliticizzazione da parte dell'ideologia prevalente del capitalismo come ordine naturale del mondo. In quale altro modo concepire risposte alla domanda: che cosa è venuto a significare l'illuminazione?, se non imparando a pensare concretamente con qualcuno che l'ha già esercitata a un certo punto?
Immaginiamo, per un momento, che il nostro argomento di interesse attuale possa essere – viste le contingenze del nostro presente – come comprendere la sofferenza? Se non sbaglio, una sorta di indagine umana e senza tempo. Sotto questa domanda, diciamo così, metafisica, si nasconde la preoccupazione legittima e concreta di eliminare, in linea di principio, ogni sofferenza. Tra l'una e l'altra opera una tradizione di pensiero e di prassi che spazia dalle prospettive religiose (la punizione del peccato originale, per esempio) alle elaborazioni metafisico-filosofiche (la storia dell'umanità è stata la storia della crudeltà) e giuridiche (la giustizia dipende da la paura di soffrire) a studi e formulazioni di carattere clinico (“tutti i nevrotici sono finti, fingono senza saperlo e questa è la loro malattia”). A proposito di quest'ultimo, possiamo specificare le sofferenze causate dalle cosiddette nevrosi di guerra.
Il libro Psicoanalisi delle nevrosi di guerra, recentemente pubblicato da Quina Editora, raccoglie una serie di studi e punti di vista sull'eziologia di questi tipi di sofferenza. Come chiarisce la nota redazionale, questa è la prima edizione in portoghese del libro Sulla psicoanalisi delle nevrosi di guerra [Zur Psychoanalyse der Krigsneurosen], 1919, risultato del 5°. Congresso Internazionale di Psicoanalisi, tenutosi a Budapest, tra il 28 e il 29 settembre 1918.
Ci sono i testi delle lezioni di Sándor Ferenczi e gli interventi di Karl Abraham e Ernst Simmel, durante il congresso. C'è anche, come nella prima edizione tedesca, il testo di una conferenza di Ernest Jones sull'argomento, tenutasi a Londra, pochi mesi dopo il congresso. L'edizione critica brasiliana va oltre e costituisce anche un dossier sull'argomento (un'edizione critica meticolosa, nelle esatte parole di Renato Mezan). Comprendeva una presentazione del ricercatore, psicoanalista e traduttore, Bruno Carvalho, che situa storicamente i testi ei dibattiti, oltre a sviluppare interessanti ipotesi sull'impatto della prima guerra sull'opera di Freud; c'è ancora una parte del libro che offre un supporto critico: una recensione anonima del 1922 (firmata solo con la sigla DB), basata sull'edizione inglese del libro; due brani di Sándor Ferenczi e un'opinione di Freud su “nevrosi di guerra, elettroterapia e psicoanalisi”. La postfazione è scritta dal professor José Brunner, dell'Università di Tel Aviv.
I testi raccolti nell'edizione brasiliana trattano varie tesi psicoanalitiche e politiche, tra le quali sottolineo: contrariamente a quanto pensavano coloro che rifiutavano la psicoanalisi, i casi di nevrosi di guerra hanno confermato le tesi di Freud; gli isterici hanno continuato a soffrire di reminiscenze, soffrendo anche per le scosse di assestamento dei disastri bellici; l'esperienza e la sofferenza dei nevrotici di guerra ha portato i neurologi a scoprire qualcosa al di là della psiche (organismo?), vale a dire la psicoanalisi stessa e il suo campo di indagine, l'inconscio.
Il libro porta alla scoperta che gli shock causati da esplosioni, frane e seppellimenti subiti durante la guerra non portano di per sé alla nevrosi. È, piuttosto, la somma dei fattori che possono portare un soldato alla malattia, che, in generale, comprende le dinamiche e la gerarchia in caserma; si scopre anche che le nevrosi di guerra sono dispositivi di sicurezza, di difesa nella prevenzione di mali più gravi; che il riconoscimento del significato della tendenza alla cura della nevrosi risieda, in gran parte, nel sintomo e il conflitto attuale che la nevrosi rende esplicito può essere in relazione diretta con conflitti più antichi.
Con i testi presentati sotto forma di comunicazione per un congresso, abbiamo anche appreso che c'era un orientamento etico e politico nella cura dei feriti di guerra e che tali misure non erano solo una concezione scientifica alternativa alla medicina del tempo. Da lì è possibile verificare, ancora una volta, l'attualità delle discussioni.
Trattandosi di lezioni psicoanalitiche di sensibilità, conoscenza e formazione, il libro è anche, nell'edizione brasiliana, un modello di zelo editoriale, perché realizzano tanto l'ideale di nobiltà a cui si riferiva George Steiner di “salvare questo libro dall'oblio” (e con ciò, evidentemente, le questioni e le loro conseguenze etiche e cliniche) e, inoltre, il dibattito ancora attualissimo, con la preoccupazione di maître à penser per offrire una base più sicura (o forse meno frammentata) nell'elaborazione che il presente ci chiede.
Voglio dire, il compito essenziale di qualsiasi insegnante è quello di offrire onestamente una bibliografia affidabile che aumenti le possibilità di orientamento nel pensiero. Si richiama l'attenzione del lettore anche sulla forma stessa della discussione praticata durante il congresso, almeno dalla cronaca del libro presentato, perché gli interventi di Ferenczi, Abraham e Simmel e anche quello di Jones e Freud (seppur in un altro momento) sono così diplomatiche, circostanziali e sono in tal modo in sintonia da rafforzare l'ipotesi di un'elaborazione collettiva della psicoanalisi, in cui le differenze significative tra loro non fanno che rafforzarla.
Sotto la scomoda e persistente verità che viviamo in un tipo di società il cui tratto, tra i più eclatanti, è quello di essere in guerra permanente, spiegato in modo flagrante dal vocabolario corrente che spazia dai target di riferimento, alla lotta per la vita, alla sopravvivenza sul lavoro , dai ritorni di fiamma, dai proiettili vaganti, e finisce negli eserciti di riserva, nelle strategie, tattiche e manovre, in cui non si distingue più l'approccio delle aziende e delle politiche pubbliche, ogni sofferenza tende ad essere, in larga misura, misurata, anche una sorta di nevrosi di guerra.
Per il filosofo italiano Franco Berardi, in un'intervista al quotidiano portoghese economico, “è stata proclamata la fine della società e l'inizio di una guerra infinita: la competizione è la dimensione economica della guerra. Quando la competizione è l'unico rapporto che esiste tra le persone, la guerra diventa il 'punto di arrivo', l'apice del processo. […] Se non siamo in grado di provare empatia, il futuro non esisterà”.
Pertanto, nulla è più urgente e quotidiano che avere a che fare con le schegge delle granate, letteralmente e figurativamente; quindi, l'urgenza di comprendere le cause e gli effetti di questa ricorrente sofferenza sulla vita sociale. Un nuovo modo di vedere ciò che sembra essere una tragedia è in nuce nello stesso sfinimento che la sofferenza rafforza, da qui la tormentosa e opportuna attualità del Psicoanalisi delle nevrosi di guerra.
Attraverso il campione di autori raccolti nel libro, la psicoanalisi ha unito ciò che la guerra ha separato in termini di forza critica e cultura, perché, in fondo, sono autori che rappresentano, diciamo, le due parti della guerra, ma difendono le stesse cause . È chiaro dalla lettura che non c'era un consenso stretto e nemmeno una grande accettazione delle tesi della psicoanalisi tra gli psichiatri, ancor meno tra le altre specialità mediche, come evidenzia il testo della presentazione, ma ciò che risalta per i lettori di oggi è ciò che era (e sembra essere ancora) ) in gioco nelle controversie che il trattamento psicoanalitico deve affrontare in relazione alle pratiche mediche.
Da una parte la tecnica, i protocolli, le finanze e la potenza militare dello Stato; dall'altro, la preoccupazione per la salute, le condizioni di vita e il malato. Mentre i primi miravano a riportare i soldati al fronte, gli psicanalisti rimasero fermi nel restituire condizioni di salute e dignità alle persone.
La padronanza della scrittura di Freud sembra raggiungere i suoi colleghi, perché la composizione dei loro testi segue la chiarezza, l'obiettività, il carattere informativo e impegnato con cui Freud ha praticato le sue ricerche e le sue formulazioni sulla psicoanalisi con rigore ed esigenze scientifiche. L'inserimento degli allegati ha contribuito a chiarire l'esposizione della prima parte e, fortunatamente, ha permesso a Freud di apparire in un'altra prospettiva e, ancora una volta, di dimostrare intelligenza ed eleganza anche nel dibattito e nel combattimento delle atrocità cliniche commesse negli ospedali militari (come , ad esempio, le pratiche di elettroshock, bagni freddi e minacce).
Le divergenze presentate nella scelta dei testi (mi riferisco alla recensione di DB, dicendo che è "un peccato" che il testo di Simmel sia stato inserito nel libro) confermano l'impressione di serietà della pubblicazione, più attenta ai disaccordi come fattore di raffinatezza , costituzione e onestà intellettuale con l'argomento piuttosto che la mera celebrazione della pubblicazione.
Sono sicuro che sarà di grande valore per chiunque sia interessato a leggere, studiare e ricercare la psicoanalisi; corsi di formazione, discipline universitarie, corsi liberi, liberi pensatori e passaparola troveranno in questo libro un forte alleato dell'apprendimento e della conoscenza, sia in senso stretto alla psicoanalisi sia in relazione agli atteggiamenti eticamente conseguenti a difesa della dignità psicoanalitica e, quindi, della umanità.
Il libro conferma che il presente ha avuto molto più di un passato – il meno nobile, nel senso di Steiner – di quanto saremmo disposti a vedere e riconoscere. È importante, quindi, prendere posizione e avere il coraggio di pensare con chi si agisce, nel senso nobile e antico del pensiero, poi, chissà, possiamo rivendicare la concezione di un presente che sia di fatto attuale con le dinamiche reumanizzate del tempo.
Denilson Cordeiro Docente di Filosofia presso il Dipartimento di Scienze esatte e della Terra dell'Unifesp, campus Diadema.
Riferimento
Sigmund Freud, Sándor Ferenczi, Karl Abraham, Ernst Simmel, Ernest Jores. Psicoanalisi delle nevrosi di guerra. Traduzione: Bruno Carvalho. San Paolo, 2023, 240 pagine. Quina Editore
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