Razzismo

Immagine: Kim Ryu
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da LUCIANO NASCIMENTO*

Il razzismo brasiliano è tale, così perverso e camuffato, che si corre il rischio che lo sfondo prenda il posto della figura.

"La lingua è una merda così sinixxtra, Fessô!" Ho sentito alcune volte questa frase, pronunciata da studenti e studentesse dell'educazione di base (della frizzante regione metropolitana di Rio de Janeiro), dopo che avevano compreso meglio l'idea che il linguaggio è una facoltà mentale umana, quella che promuove la nostra interazione (neppure sempre cosciente) con noi stessi (sia soggettiva che intersoggettiva) e con l'ambiente che ci circonda.

Parlando così, in modo così astratto, il concetto inibisce un po', ma immagino che il piccolo stupore di questi studenti derivi, in una certa misura, dall'intuizione che il linguaggio è per il cervello umano più o meno come un sistema operativo (DOS, Windows, IOS, Android…) è per il processore di un computer o smartphone: senza di essa è più complicato per noi “correre”.

Viviamo immersi nell'aria e nel linguaggio. Questo spiega la relativa difficoltà di percepirli e riflettere sulla loro importanza per la nostra esistenza bio-psicosociale. Per la maggior parte delle persone, a quanto pare, loro – aria e lingua – ci sono e basta, perché soffermarsi su queste cose? milioni di morti per malattie polmonari causate dall'inquinamento, cambiamenti climatici derivanti dalla distruzione delle foreste, effetto serra.. Ironia della sorte, la fatalità del linguaggio, zingara obliqua e camuffata, tende a essere più silenziosa. Vediamo.

Nel ciclo evolutivo dell'alta cucina sul marciapiede di Rio, tra il giurassico “hamburger” e il postmoderno “podrão” c'è “X-tudo”. Cos'è "X-tutto"? Si tratta di un panino a base di pane e carne di manzo o di pollo ultra lavorata (si spera!), a cui si aggiunge una più o meno grande varietà di ingredienti, tra i quali spicca, per antichità, il formaggio - o meglio, il formaggio. formaggio. Pertanto, per legame ancestrale, il moderno "X-tudão" (cugino del "podrão") è un diretto discendente dell'onorevole hamburger al formaggio.

Deviando un po' dalla confusione gustativo-genealogica provocata dal paragrafo precedente, e prestando attenzione all'aspetto linguistico del fenomeno descritto, si può concludere quanto segue: dal punto di vista culinario, l'hamburger ha continuato ad essere la base di diversi panini che vengono mangiati come spuntini veloci per le strade intorno; tuttavia, dal punto di vista linguistico, il formaggio (il formaggio, la “X”) venne ad occupare questo posto fondamentale, nucleare. Vale a dire: per chi prepara e/o mangia il panino, la (presunta) carne è, insieme al pane, il primo ingrediente al quale si aggiungono tutti gli altri; per chi si riferisce alla delicatezza, invece, la “X” è la cosa principale, e il resto è il resto (compresa la “carne”). Da qui i classici “X-bacon”, “X-egg”, “X-picanha”, “X-pepperoni” eccetera, fino ad arrivare al neofita “X-tudão”, “mutador de munchies” dei più competenti.

Essendo solo un po' più rigorosi, quello che si vede è che, nel caso della denominazione popolare di questi panini, lo sfondo ha preso il posto della figura. La figura è il modo in cui la fotografia e gli studi sulla psiche si riferiscono all'elemento in primo piano in un'immagine (reale o simbolica) in mostra; cioè, nel nostro esempio, l'hamburger, la “carne”. Lo sfondo è il componente di sfondo della stessa immagine; nel caso, il formaggio, trasformato morfofonemicamente in “X”. Non fa male ricordare, ad esempio, che in diversi nomi di queste prelibatezze non si fa menzione burger. Per non parlare dell'evidente tratto socioeconomico e culturale insito in questa etichettatura, perché, all'altro capo della corda, simbolicamente distanziato dalla “droga” proletaria, c'è l'”hamburger artigianale” offerto dagli “hamburger” borghesi…

Come a volte dicono gli studenti, "la lingua è una merda sinixxtra".

E cosa c'entra tutto questo parlare con il titolo di questo testo? Mi spiego: il razzismo brasiliano è tale, così perverso e camuffato, che, anche rispetto ad esso, si corre il rischio che lo sfondo finisca per prendere il posto della figura. A mio modesto parere – in cui qualcuno può anche cogliere falsa modestia, ma non illegittimità –, è quello che tenta di fare buona parte dei media nazionali, guidati sempre dal Folha de S. Paul, creando una controversia inesistente tra intellettuali, ricercatori, scrittori e professori Muniz Sodré e Sílvio Almeida.

Nel tentativo di nascondere la maldestra volgarizzazione del dibattito su uno dei temi fondamentali del nostro Paese, il Folha de S. Paul crea un'arena retorica in cui cerca di far scontrare due dei più importanti intellettuali neri del Brasile. Tutto questo per la gioia di una borghesia prevalentemente bianca che, di regola, è troppo pigra per guardare in profondità tutto ciò che non è uno specchio, e si è abituata a pensare magro in patchwork – nella migliore delle ipotesi.

In un'intervista a quel giornale, Muniz Sodré ha dichiarato di non essere d'accordo con l'aggettivo “strutturale” posto accanto al sostantivo “razzismo” – una costruzione proposta da Sílvio Almeida nel suo libro più famoso. Il sociologo Muniz non ha mai detto di essere in disaccordo con il filosofo Sílvio riguardo all'esistenza del razzismo; semplicemente non è d'accordo con quell'aggettivo. Si tratta di una riflessione che non può dirsi strettamente linguistica solo perché le argomentazioni dei due professori trascendono la linguistica. Ma proprio per questo è indubbiamente una questione di linguaggio, cioè di capacità umana plastica e produttiva di attribuire senso al mondo.

Sílvio Almeida parla di “struttura” proprio perché vede nel razzismo una caratteristica fondamentale, fondante (e quindi strutturante) della società brasiliana; Muniz Sodré sostiene che si parli di una “forma sociale di schiavitù”, poiché, dopo l'abolizione, non esistono più, in Brasile, istituzioni o norme legali ufficiali sostenute da criteri razziali. Va notato che, se da un lato la divergenza tra i due va ben oltre una mera scelta lessicale (e coinvolge concetti specifici del campo della sociologia e della storia, per esempio), dall'altro il minimo accenno di ombra di negazione dell'ostentata presenza del razzismo in Brasile.

E questa è la vera “X” della domanda, voglio dire, questa è la figura, non lo sfondo; ed è attorno a questo fatto evidente, innegabile che il Folha de S. Paul sembra voler suscitare polemiche. Perché, al limite, la conclusione di innumerevoli lettori (e, poi, commentatori sui social network) sarà stata: “nemmeno gli intellettuali neri sono d'accordo tra loro in relazione al razzismo, quindi non c'è razzismo in Brasile”. Qualche anno fa, Sua Eccellenza, il generale-ex-vice-presidente-e-attuale-senatore-della Repubblica Hamilton Mourão ha letteralmente detto questo, che in Brasile non c'è razzismo, qui chiunque può andare ovunque; Sì, negli Stati Uniti c'è il razzismo lì, ha vissuto lì, l'ha visto...

Scusate, ma è proprio il contrario, Eccellenze. Non ci vuole un genio della logica per capire che, anche se non è un tavolo da pranzo, un tavolino è un tavolo. Sono caratteristiche diverse, funzioni diverse, ma la natura è la stessa in termini generali e, soprattutto, le tabelle esistono. È innegabile. Palloncini per feste, dirigibili e palloni di ossigeno sono tutti piuttosto diversi, ma sono pur sempre palloni ed esistono. È un dato di fatto, non si discute.

Sono ben lungi dall'essere eccellente in qualsiasi cosa, ma, da parte mia, con tutto il rispetto per gli insegnanti Sílvio Almeida e Muniz Sodré (che era in realtà il mio insegnante, tra l'altro), penso che viviamo in una forma sociale schiavista , sì, e anche che il razzismo brasiliano è strutturale, ma, secondo me, è soprattutto organico. Come un cancro. È apparso sotto forma di mutazione cellulare nel nostro neonato corpo sociale, è cresciuto, ha corroso un primo organo, si è diffuso ad altri, ha compromesso tutti i sistemi che ha raggiunto... e potrebbe finire per guidare l'"organismo collettivo" che stiamo per bancarotta totale, fino alla morte. Il razzismo è un cancro in fase avanzata, che distrugge il già indebolito corpo storico e sociale brasiliano. Un corpo sempre più pieno di graffi, lividi, fratture e persino crepe.

Per questo, e perché ho imparato a provare a pensare il mondo dal punto di vista di ciò che la lingua mi permette o mi costringe a vedere, capisco che poco importa quale caratterizzazione (teorica o anche letteraria) venga fatta del razzismo in Brasile , sia che si tratti di "X", "Y" o "Z". Importa che non venga più trasformata dai media mainstream in uno sfondo per eventuali discussioni su figure con caratteristiche più epistemologiche che etico-politiche. Per me, infatti, è ancora più importante la costruzione e l'attuazione di politiche e pratiche antirazziste capaci di diffondersi nel nostro organismo collettivo, liberando i nostri sistemi, recuperando i nostri organi, fino a fondare una salute insolita nel nostro tessuto e, con esso, la reale opportunità di una vita dignitosa per ciascuno di noi, cellule nere trascinate qui nel salasso dell'Africa.

In attesa di quel giorno tanto atteso, stiamo attenti a ciò che c'è di più antico e sordido del razzismo brasiliano: l'abitudine di (noi) sfondare (tanto) per dominarci.

Oppure, per non sprecare la X o il gioco di parole, l'abitudine di essere sempre lo stesso cinico RaXiXmo.

Luciano Nascimento Ha conseguito un dottorato in letteratura ed è professore al Colégio Pedro II.

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