da FABIO BONAFINI*
Commento al libro di Axel Honneth
Em reificazione, Axel Honneth (p. 40) intende fornire una nuova base al concetto lukacsiano, da intendersi ora come “atrofizzazione o distorsione di una prassi originaria, in cui gli esseri umani adottano una relazione partecipativa con se stessi e il mondo che li circonda” . Con una descrizione positiva di tale prassi, variamente caratterizzata come “partecipazione attiva”, “coinvolgimento esistenziale”, “cura”, Axel Honneth spera di colmare l'abisso infame da cui enuncia la teoria critica di estrazione dialettica con una (altra) ontologia sociale.
A differenza dei tentativi di fornire un terreno sicuro alla critica che si basano sulla ricostruzione di un paradigma argomentativo-razionale universale, Axel Honneth sostiene che la percezione neutra e oggettiva del mondo e dell'altro, la “mera comprensione delle ragioni”, è preceduta dal riconoscimento, un atteggiamento di “impegno affettivo, di identificazione preventiva” (p. 76). È nella prospettiva di una tale ridescrizione in termini di affetti dell'atteggiamento originario dell'uomo che il suo recupero della nozione di mimesi che pervade l'opera di Theodor W. Adorno — un contesto in cui, non a caso, tale nozione non ha mai ricevuto una concettualizzazione positiva.
Ciò non a discapito dei principi teorici che Axel Honneth non esita a esplicitare: a proposito della posizione 'idealista' e 'totalizzante' del giovane Lukács, aveva convenuto che “per ragioni di efficacia” il “sociale ambiti in cui il comportamento osservante e indifferente ha un posto perfettamente legittimo» (ibid., p. 41).[I] Si prevede quindi che, rispetto all'argomentazione adorniana contro il ragionamento ultimo ea favore della costellazione come forma logica, vengano portati in sala anche gli adulti. Comunque sia, se la reificazione sarà ammessa in certi casi sotto il nome di oggettivazione, non guasta scoprire brevemente come verrà trattato il campo degli oggetti che meglio si adatta alla nuova terminologia, quel campo la cui trattazione, peraltro, rivela in tutta la sua pienezza la distorsione operante della nozione Adorniana di mimesi: la natura.
Rivediamo le menzioni di Adorno. Di particolare importanza per Honneth è il seguente aforisma: “L'umano aderisce all'imitazione: l'uomo diventa uomo solo imitando altri uomini. In questo comportamento, prima forma di amore, i sacerdoti dell'autenticità fiutano le tracce di quell'utopia che riuscirebbe a scuotere la struttura del dominio». (ADORNO 2008, p. 151) Elencandolo inizialmente al termine di una rassegna di ricerche in psicologia dello sviluppo, Axel Honneth ne afferma la somiglianza con una tesi attribuita a Tomasello e Hobson. In generale, è accettato in questo campo di studi che l'assunzione della prospettiva dell'altro sia il meccanismo che fornisce al bambino "un'istanza correttiva che gli consente di creare, per la prima volta, una rappresentazione oggettiva degli oggetti" ( pagina 63).
Tuttavia, contrariamente alla tendenza cognitivista, questi autori sostengono che tale apprendimento non può avvenire se lei “non ha sviluppato in precedenza un sentimento di legame con la sua persona di riferimento; perché solo tale identificazione preventiva permette al bambino […] di comprendere con interesse i suoi cambiamenti di atteggiamento” (p. 66). L'anteriorità temporale dell'identificazione affettiva con la persona di riferimento indicherebbe, anche se solo in termini ontogenetici e non logici, il primato del riconoscimento rispetto alla conoscenza. Mentre la sezione discussa è più specificamente rivolta a una teoria del riconoscimento intersoggettivo, con un nuovo riferimento all'aforisma, l'autore delinea una teoria del riconoscimento della natura. Il punto è che l'assunzione della prospettiva dell'altro trattata dalla psicologia dello sviluppo rende conto solo del riconoscimento antecedente, affettivo, di un'altra persona.
Per questo, a proposito della tesi implicita in György Lukács che di per sé “il trattamento strumentale della natura viola un presupposto necessario delle nostre pratiche sociali”, Axel Honneth afferma di non vedere come dimostrarlo. Servirà allora una via indiretta, fondata sul primato del riconoscimento intersoggettivo, a difesa del quale sarà chiamato Theodor Adorno. Secondo la lettura di Honneth, Adorno comprenderebbe che, con la formazione della cosiddetta rappresentazione oggettiva dell'oggetto da parte del meccanismo prospettico, il bambino “conserva nella sua memoria la prospettiva della persona amata, alla quale si sente evidentemente legato , considerandolo come un aspetto aggiuntivo dell'oggetto fisso”; quindi, il riconoscimento della natura in Theodor Adorno sarebbe “solo rispettare in tali oggetti tutti gli aspetti e i significati singolari che sono sorti in relazione agli atteggiamenti di altre persone” (p. 93-94). Il riconoscimento della natura sarebbe solo riconoscimento della natura come essere-per-altro, per l'orizzonte intersoggettivo stabilito.
Per quanto intrecciate tra loro, lasciamo da parte la dimensione psicoanalitica di questa lettura per situarne il problema in termini epistemologici. Axel Honneth promette, dopo la sua argomentazione psicologica, “una prova sistematica o categorica” (p. 62) della precedenza del riconoscimento nell'interazione umana. Si propone che, per una corretta comprensione delle manifestazioni di un interlocutore, interpretarle “come richieste che suggeriscono un qualche tipo di reazione” (p. 74) sia una condizione preliminare per interpretarle argomentativamente correttamente. Anche accettando la discutibile premessa che “normalmente [non abbiamo] difficoltà a comprendere le espressioni emotive di altri soggetti” (p. 75), inizialmente sembra che ci troviamo di fronte solo a una pragmatica norma grammaticale delle interazioni umane che ammetterebbe la violazione in efficacia; cioè che la relazione logica immanente tra un tale dovere e le reali interazioni umane non è stata tematizzata.
Se così fosse, come presupposto non concettuale, affettivamente misurato, ma logicamente necessario di ogni logica, il riconoscimento assomiglierebbe al buon senso in Kant (2016, p. 134-135), che “non dice che tutti saranno d'accordo con nostro giudizio, ma che devono farlo”. Ciò però contrasterebbe con l'obiezione, che Axel Honneth (2003, p. 270) intende integrare nel suo progetto critico, all'inefficacia del must-be kantiano, che esso “lascia una questione decisiva senza risposta, poiché non è capace di individuare il fine della morale nel suo insieme negli obiettivi concreti dei soggetti umani”.
L'autore aggiunge, quindi, che “anche la semplice indifferenza o sentimenti negativi” sono espressioni di tale riconoscimento e che “dobbiamo affermare il valore dell'altro assumendo l'atteggiamento del riconoscimento, anche quando, a un certo momento, bestemmia o odialo ". (p. 76). Cioè, anche sotto l'atteggiamento di completa neutralità verso l'altro, dobbiamo vedere una valutazione che riconosce questo altro come soggetto, anche se tale riconoscimento viene dimenticato. In questo caso, però, non è chiaro quale criterio rimarrebbe per distinguere, in mezzo a ciò che appare come 'altro' per il soggetto, tra il mero 'oggetto' e quali 'valori' come soggetto reificato. Se ci poniamo nel cosiddetto punto di vista logico-categoriale, non è più possibile attivare la distinzione empirica, operata dal bambino, operante nella psicologia dello sviluppo: la distinzione tra cose legittime e illegittime resta indimostrata.
Se non viene fornito alcun criterio logico-categorico per la distinzione, qual è il suo contenuto di esperienza? Ciò può essere chiarito da un saggio in cui l'autore si dedica a recuperare la dimensione romantica dell'antropologia strutturale di Lévi-Strauss. Con la sua teoria del principio di reciprocità, con la quale fornisce una spiegazione funzionale delle strutture e dei miti di parentela, Lévi-Strauss sarebbe arrivato “un dato dato che non può essere ulteriormente spiegato sociologicamente”, un fatto che “non può essere ulteriormente ricondotto ai fatti sociali, perché essi, a loro volta, danno origine per primi al sociale”. (HONNETH 1995, p. 144) Sarebbe una nuova versione dello stato di natura, non più concepito come una fase storica, ma come un'invariante cognitiva. La sua fatticità empirica potrebbe essere spiegata causalmente solo dal presupposto che essa esprima l'attività inconscia della mente umana.
Come espressione di questo inconscio, al centro del dono o del sacrificio il cui scopo non è la ricezione di un valore equivalente, sarebbe “[a] sentimento di solidarietà e accordo primordiale con ogni forma di vita naturale (portando un'intima parentela con la dottrina della mimesi di Adorno)” (ibid., p. 148). Se il saggio si presenta in gran parte come una semplice esposizione della teoria, si può dedurre dalle note critiche che lo concludono l'affinità e la differenza con lo schema di riconoscimento delineato da Axel Honneth. Afferma che il metodo strutturale, che porta alla riduzione dei fatti sociali a una struttura logica, di natura conoscitiva, avrebbe reso impossibile per Claude Lévi-Strauss tenerne conto”la base affettiva del pensiero arcaico, verso la quale proprio i suoi interessi romantici portarono la sua attenzione” (ibid., p. 149). Dall'opposizione già vista tra cognitivismo e base affettiva, emerge che, per Honneth, la risposta alla domanda sull'inconscio a cui Claude Lévi-Strauss rimanda la spiegazione causale delle strutture simboliche sarebbe il suo concetto di riconoscimento affettivo antecedente.
Anche senza addentrarci nei meandri dell'antropologia strutturale, non è necessario ricordare quanto si è già insistito sul fatto che, se il principio di reciprocità di Claude Lévi-Strauss descrive la funzione del dono o del sacrificio come un'invariante strutturale che implica la primordiale apertura al alterità e natura, presuppone anche come invariante la distribuzione tra coloro che conteranno come scambiatori e coloro che conteranno come beni di scambio – e “le donne costituiscono il bene per eccellenza” (LÉVI-STRAUSS 1982, p. 102). Anche nello scambio dei doni, l'approssimazione con l'altro avviene a scapito dell'allontanamento di un terzo che cade nella condizione di oggetto naturale soggiogato, cosa scambiabile coperta dalla proiezione del rapporto intersoggettivo tra opposti, che contiene in germe la forma del rapporto giuridico.
Almeno questa è, in linea di massima, la tesi difesa nell'excursus sull'Ulisse del Dialettica dell'Illuminismo, il cui breve confronto mette in luce la cosiddetta parentela della reciprocità di Lévi-Strauss con il mimesi adorniano. Pur trattandosi di storicismo speculativo privo di fondamento antropologico empirico, gli autori in questione, nella loro riflessione sullo scambio dei “doni di ospitalità”, lo giudicano “a metà strada tra lo scambio e il sacrificio” (ADORNO; HORKHEIMER 2006, p. 50). In linea generale, l'interpretazione magico-religiosa del sacrificio lo assume come confluenza mistica con la natura e reimmersione nella collettività, come mimesi del divino da parte del sacrificato. Questa interpretazione appare per il rapporto come una semplice razionalizzazione da parte dei sacerdoti, un inganno con cui affermano il loro dominio.
La fede stessa degli individui sacrificati nel sacrificio, figura primordiale dell'apertura totale all'alterità, appare già permeata di riflessione sui fini di fronte alla pressione collettiva, secondo la quale essi “si infliggono ancora una volta l'ingiustizia che è stata inflitta a loro, per poterlo sopportare”. (ibid., p. 52) Tuttavia, portata alle sue ultime conseguenze, la stessa affermazione dell'io per l'autoconservazione implica un sacrificio: «l'ostilità dell'io al sacrificio includeva un sacrificio dell'io, perché il suo prezzo era il negazione della natura nell'uomo, in vista del dominio sulla natura extraumana e sugli altri uomini» (ibid., p. 53). Il rifiuto come esca della mimesi della natura operata nel sacrificio trasforma l'autoconservazione in un fine a se stesso, che è inizialmente un mezzo di protesta contro l'ingiustizia sociale implicita nel sacrificio. Infine, il vero rapporto dell'autoconservazione deve essere visto come mimetico: è la finzione della morte che è al centro dell'astuzia di Ulisse, che “si perde per guadagnarsi”, che costantemente avalla questo sacrificio di sé come “un presupposto formale della propria esistenza”. decisione razionale”.
“Deve riconoscere come un dato di fatto i cerimoniali sacrificali con cui finisce sempre per essere coinvolto, perché non ha la forza di violarli. […] nella società di classe ogni potere è legato alla scomoda consapevolezza della propria impotenza di fronte alla natura fisica e ai suoi eredi sociali, la maggioranza. Solo l'adattamento coscientemente controllato alla natura la pone sotto il potere del fisicamente più debole. UN rapporto, che reprime la mimesi, non è semplicemente il suo contrario. Lei stessa è una mimesi di ciò che è morto. Lo spirito soggettivo, che esclude l'anima dalla natura, domina questa natura priva di anima solo imitandone la rigidità e includendosi come animista. L'imitazione è messa al servizio del dominio nella misura in cui anche l'uomo diventa un antropomorfismo per l'uomo» (ibid., p. 55).[Ii]
Se l'umano stesso appare come antropomorfo, è perché, per rapporto, anche l'autorelazione dei soggetti deve essere rappresentata come quella di una cosa con le sue proprietà. Di fronte a tale sacrificio di sé, ci troviamo di fronte a una forma iniziale del fenomeno che Axel Honneth (2018, p. 102), sulla scia di György Lukács, definisce autoreificazione, secondo cui “l'auto- la relazione dei soggetti deve essere pensata secondo lo stesso standard con cui ci rapportiamo al mondo oggettivo. Axel Honneth non ha difficoltà a riapplicare lo schema elaborato per il riconoscimento intersoggettivo, che presuppone la distinzione tra cosa e persona, e a spiegare l'auto-reificazione come dimenticanza del riconoscimento: “Al fine di sapere cosa significa, in fondo, avere desideri, sentimenti e intenzioni, dobbiamo prima sperimentarle come una parte degna della nostra stessa vita» (ibid., p. 113).[Iii]
Axel Honneth afferma, tuttavia, che il fatto che i nostri sentimenti e desideri non appaiano nella loro interezza come risultato di decisioni attive, ma anche come oggetti che percepiamo passivamente “non significa dover assumere, come fonte di quell'impulso sensibile , un oggetto che era libero da ogni genesi concettuale e che improvvisamente, nella condizione di vestigio della prima natura, ha fatto effetto su di noi” (p. 108). A questo punto, bisognerebbe chiedersi se tale affinità con ciò che appare nella forma del “mondo oggettivo” o della “natura prima” non indichi un rapporto costitutivo con il naturale.
Come è diventato chiaro, c'è per Adorno una continuità tra la reificazione del sé e quella degli oggetti naturali, cioè tra il sé e la natura. La stessa distinzione tra i due, lungi dall'essere naturalizzata, è assunta come il nucleo mitico all'interno dell'Illuminismo, che rivela una sovrapposizione tra imitazione e dominio, oltre che tra naturale e storico.[Iv] Tuttavia, la nozione di Honneth di auto-riconoscimento neutralizza solo astrattamente, attraverso il ricorso alla nozione di identificazione affettiva come unità immediatamente precedente, la contraddizione che, nella riflessione solitaria, il sé appare contemporaneamente come pura attività che mette in relazione con se stesso, soggetto, e come qualità immediate percepite passivamente, oggetto.
È proprio questa rappresentazione di sé che è oggetto di critica nell'aforisma del Minima Moralia citato da Axel Honneth: “Proprio come assoluto, l'individuo non è altro che un riflesso dei rapporti di proprietà [struttura proprietaria]. Solleva l'affermazione fittizia che l'unità biologica [di Biologisch Eine] precede la totalità sociale, dalla quale è solo forzatamente isolata, e la sua contingenza si presenta come misura della verità. L'ego non solo è inscritto nella società, ma deve ad essa la sua esistenza nel senso più letterale. Tutto il suo contenuto viene da esso, o dal rapporto con l'oggetto senza di più” (ADORNO 2008, p. 150; 1951, p. 291).
L'unità biologica non precede, ma è il momento dell'insieme sociale. L'isolamento violento, attraverso il quale si astrae il suo contenuto, si conserva nella forma che l'individuo assume: la forma della riflessione sui rapporti di proprietà. Infatti, per recidere la sua affinità mimetica con la natura e assoggettarla alla condizione di proprietà, il soggetto ha bisogno di rappresentare il suo rapporto con un altro soggetto come un rapporto tra cose: ha bisogno di fingere di essere morto e di dare il suo contenuto, mimeticamente riempito, la forma da una collezione di strani oggetti. Pertanto, anche nel suo rapporto con se stesso – che nasce dal rapporto con la società o dal rapporto con l'oggetto – l'individuo non può non rappresentarsi come proprietario di se stesso.
Questo rapporto intersoggettivo come rapporto tra cose è proprio il “rapporto contrattuale come persone giuridiche”, che Axel Honneth (p. 211), al contrario, assume fin dall'inizio che “parla contro la possibilità della reificazione”. Qui si raggiunge il nucleo critico del concetto di reificazione, senza il quale, di fatto, non resta che l'affermazione trionfalistica del fondamento che «sotto la superficie messa in scena, rimane sempre cosciente la differenza ontologica realmente esistente tra persona e cosa». (pag. 210). Questa differenza ontologica, lungi dall'essere un'innocente 'oggettivazione', è il segno della reificazione della natura che sfocia nell'auto-reificazione e nella reificazione dell'altro. Alla fine del suo percorso, lo stesso Axel Honneth riconosce che il suo tentativo di recuperare il concetto di reificazione senza la critica radicale della proprietà e dello scambio crolla su se stesso. Se non altro, ha almeno rivelato che, come una piccola teoria critica, una piccola reificazione è una cosa pericolosa.
*Fabio Bonfini laureato in lettere presso l'Università Federale di Rio de Janeiro (UFRJ).
Riferimento
Axel Honneth. Reificazione: uno studio della teoria del riconoscimento. Traduzione: Rúrion Melo. San Paolo, Editora Unesp, 2018, 224 pagine (https://amzn.to/3E34wqN).
Bibliografia
ADORNO, TW Minima Moralia: Riflessioni dalla vita ferita. Traduzione: Gabriel Cohn. Rio de Janeiro, Azougue (https://amzn.to/3DWlkjl).
______. Minima Moralia: Reflexionen aus dem beschädigten Leben. Francoforte sul Meno: Suhrkamp Verlag, 1951
ADORNO, TW; HORKHEIMER, M. Dialettica dell'illuminismo: frammenti filosofici. Traduzione di Guido Antonio de Almeida. Rio de Janeiro: Jorge Zahar Ed., 2006.
HONETH, A. Lotta per il riconoscimento: la grammatica morale dei conflitti sociali. Tradotto da Luiz Repa. San Paolo: Ed. 34, 2003 (https://amzn.to/3OzcqgM).
______. Il mondo frammentato del sociale: saggi di filosofia sociale e politica. New York: State University of New York Press, 1995 (https://amzn.to/3OU1f3o).
KANT, I. Critica del Collegio del Giudizio. Tradotto da Fernando Costa Mattos. Petrópolis, RJ: Voci; Bragança Paulista, SP: Editora Universitária São Francisco, 2016 (https://amzn.to/3sgSs2y).
LEVI-STRAUSS, C. Le strutture elementari della parentela. Tradotto da Mariano Ferreira. Petrópolis, Voci, 1982 (https://amzn.to/3DSTHYB).
note:
[I] Se non fosse già chiaro, un'osservazione proprio all'inizio di lotta per il riconoscimento non lascia dubbi su quali ambiti abbia in mente l'autore: esponendo la filosofia politica del giovane Hegel, afferma che la sua lettura dell'economia politica inglese lo aveva già portato “al temperato discernimento che ogni futura organizzazione della società dipende inevitabilmente da un ambito della produzione” e distribuzione dei beni mediata dal mercato, in cui i soggetti non possono essere inclusi se non dalla libertà negativa del diritto formale” (HONNETH 2003, p. 38).
[Ii] Senza addentrarci nella questione delle donne, è interessante ricordare che la loro affinità socialmente affermata con gli oggetti naturali, elemento organizzativo dello scambio, non passa inosservata alle autrici: “In quanto rappresentante della natura, la donna è divenuta nella società borghese il image immagine enigmatica di irresistibile seduzione e impotenza. Rispecchia così al dominio la vana menzogna che sostituisce la riconciliazione alla sottomissione della natura”. (DE, pag. 65)
[Iii] Tale affermazione del valore delle proprie esperienze è dovuta al fatto che la nozione di riconoscimento affettivo a priori operante in tutto il reificazione intende assorbire dalla teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali (cfr. LpR p. 159-177) il suo concetto di “fiducia in se stessi”, una sedimentazione affettiva fondante di protezione materna e di amore che condiziona la “capacità di essere soli” all'immediato certezza di protezione — del mondo riconciliato.
[Iv] Questa è una tesi che attraversa il lavoro di Adorno, a partire dal convegno Idea di storia naturale (“[…] la storia paralizzata è natura, o l'essere vivente paralizzato della natura è un mero essere storico” p. 8) agli aforismi sulla naturale bellezza della natura. Teoria Estetica (“La bellezza naturale, presumibilmente astorica, ha il suo nucleo storico, che insieme la legittima e ne relativizza il contenuto.” TE, p. 105). Si tratta, secondo Adorno, “solo di un'interpretazione di alcuni elementi fondanti della dialettica materialista”, cioè della tesi di Marx secondo cui l'umano è un essere naturale e “la natura interagisce con se stessa” attraverso l'uomo.
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