Rapporto speculativo sulle gioie e le disgrazie dell'Università

Isaac Witkin, Angola I, 1966
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da NOÉ JITRIK*

L'Università è un puledro difficile da domare

spostamenti

Nell'antichità la conoscenza – nell'antichità c'erano dei sapienti, antichi forse, ma buoni – prima di essere scritta, era orale: Socrate, senza andare oltre, parlava e i suoi discepoli ascoltavano, tranne Platone, che scrisse ciò che Socrate – è un ipotesi - ha detto. Questa pratica di quella che oggi chiameremmo "estensione" costò la vita al vecchio filosofo e, a coloro che lo precedettero, l'umiliante designazione di presocratici.

Un po' più tardi, sempre all'interno di quella che generalmente si chiama Antichità, la conoscenza fu confinata in dolorosi libri scritti a mano su fogli di protocarta; i libri, invece, venivano rinchiusi nelle biblioteche un po' perché preziosi e utili, un po' anche perché prematuramente corrosivi; forse per questo, nei viaggi tristi, a volte venivano incendiati, come accadde con l'indimenticabile Alessandria. Si dice, ed è probabile che sia vero, che ciò abbia ritardato lo sviluppo scientifico dell'umanità di diversi secoli, ma che importanza può avere il tempo per un piromane.

A poco a poco, e forse per effetto di questi caldi antecedenti, il sapere, inteso come produzione di sapere, si è rifugiato, sotto forma di libri, in luoghi più segreti, adatti a conservarlo; Intendo i monasteri, anche se non è molto certo che i monaci li leggessero o, se non fosse per mancanza di informazioni da parte mia, li scrivessero. Alcuni lo fecero, senza dubbio, come sant'Agostino ei cosiddetti “padri della chiesa”, ma certamente la loro propagazione non andò oltre le mura dei luoghi santi. Umberto Eco, come sicuramente ricorderete, descrisse questa situazione libresca in O non mi dà il rosa, utilizzando un'ardua metafora sul carattere letale della parola scritta, per quanto gelosamente custodita.

Quasi intuendo che il Medioevo stava per finire, molti – alcuni religiosi, altri mondani – concepirono strutture, chiamate “Università”, destinate non solo a conservare il sapere ma anche a produrlo e, inoltre, a diffonderlo. , con una convinzione: questo sistema potrebbe essere molto utile per aiutare la società turbolenta e mal formata a comprendersi, organizzarsi, a uscire dall'oscurità che la anestetizzava; la filosofia, la medicina, la teologia, la grammatica, potevano salvare l'umanità dagli evidenti rischi che correva, dagli abusi imperiali, dalle pestilenze, dalle utopie gerosolimitane, dai misticismi suicidi, dall'ignoranza assoluta, dalle iniquità sociali e da tante altre calamità; In qualche modo poco chiaro, queste istituzioni hanno democratizzato la conoscenza, ma questo, proprio il fatto di aver cercato di creare una rete su cui si reggesse la vita sociale, ha dato loro un potere che, nei primi momenti, non poteva emergere perché non poteva competere. con il potere degli imperi o delle monarchie e della Chiesa, ciascuno separatamente o entrambi insieme. Entrambi avevano compreso le potenzialità delle Università e, quindi, pensavano di metterle al loro servizio.

In questa situazione, il potere conferito dalla produzione, riproduzione e diffusione del sapere non aveva altra scelta che rivolgersi a se stesso, consolidandolo diventava programma, e uno dei suoi punti era il compito appassionato di dargli una guida, dirigerlo, usarlo, controllarlo: essere rettore di un'Università diventava così un traguardo, anche se esteriormente non poteva competere con gli altri poteri.

La disposizione di un potere interno, di conseguenza, determinò uno spostamento i cui effetti si fanno ancora sentire; in altre parole, se la conoscenza è stata l'oggetto della creazione delle Università e queste sono diventate il recinto del sapere, ben presto la cosa più importante è stata il recinto e non il sapere in esso custodito. L'istituzione, il cui nucleo significativo di base è la volontà di perdurare, anche se il suo oggetto essenziale non è quello, si concentra sulla sua struttura e su ciò che la struttura richiede, il che, a sua volta, genera una molteplicità di domande che imitano le lotte per il potere, spesso per se stessi, spesso, come avrebbe detto Nietzsche, per la volontà di potenza.

In altre parole, all'interno delle Università c'è una vita propria e peculiare, con relazioni proprie e peculiari, con forme e modi che si distinguono come propri e peculiari, con conflitti diversi da ogni altro, con eventi storici altamente significativi situazioni; ad esempio, l'Università come isola democratica, come rifugio privilegiato per alcuni privilegiati, al servizio della collettività o indifferente alle richieste della società, come luogo desiderabile dove stabilirsi e da lì predicare saggezza o competenza, come una caverna misteriosa in cui alcuni ricercatori e, in certe occasioni, come ricompensa per i loro successi, emigrano dai loro paesi presi da governanti benevoli che vogliono essere generosi con quelli di altri paesi; anche come titolari di biblioteche, che sono come resti di antiche tradizioni, che le accomuna al Medioevo, quando le Università iniziarono a vedere la luce ed emettere i loro primi gemiti. Insomma, le Università sono micromondi in cui accadono tante cose, che, appunto, incuriosiscono chi non ci sta, quasi morboso, oggetto di indagine e finzione, luogo segreto pieno di alcove, adatto alla fantasia, anche all'insegnamento e cerca, anche se non sembra contenere segreti interessanti.

 

finzione

La vita interna delle Università è stata, sin dall'inizio, un enigma per chi era fuori, che poteva immaginare che tra le loro mura accadessero le cose più strane, e intriganti o problematiche per chi era dentro. La letteratura è stata piuttosto sensibile a una posizione o all'altra. Per la prima basti ricordare che il mito di Faust è uscito dall'Università di Wittenberg, che, da prima di Goethe, permeava tutta la letteratura mondiale, o che la sinistra biblioteca dell'Università di Arkham, a Providence, dove un infausto Lovecraft aveva installato una copia di Necronomicon, un libro demoniaco dotato di poteri e spiegazioni sull'origine cetacea degli abitanti di questa tempestosa regione.

Per la seconda, da François Villon a Cervantes, lo studente diventa un personaggio, quasi un eroe picaresco, lo studente è un affamato che inventa trucchi di ogni genere per mangiare, stuprare servi, guadagnare soldi che subito perde in baldorie e, infine, , per perdere tempo invece di studiare. Non sappiamo quando, come e cosa studino, anche se possiamo presumere che se ne siano andati Trivium e Quadrivio o le questioni pietrose della teologia o della Kabbalah, ma è possibile sapere cosa facevano per sopportare il freddo inclemente delle aule: dal tanto muoversi durante le lezioni di Fra Luis de León, a Salamanca, lasciavano il pavimento di legno segnato, pieno di ferite, così come devono aver ricevuto gli insegnamenti di quel monaco angelico, che immaginiamo dire costantemente, come un disco graffiato, “come dicevamo ieri”, massima espressione di continuità accademica.

Furfanti questi studenti, amanti della movida e autori di canzoni procache, come la famosa “Studenti navarresi/ chin pun/ comen pan y queso/ chorizo ​​​​y jamón/ y el porrón”, come se non avessero nient'altro da fare. Assumendo questo ordine di rapporti, compare la cosiddetta “festa accademica”, quella bella opera di Brahms, i cui versi esaltano la gioia della giovinezza ma anche la fuggevole esistenza, e che alcuni malinconici universitari celebrano ancora, a discapito del rock, che poco o nulla ha a che fare con la vita universitaria, anche se si riferisce ai rischi della giovinezza.

La vita canaglia, lo straripamento, la sfida, l'offerta segreta, gli amori avventurosi si eclissano nell'immaginario dell'Illuminismo, successivo alla scoperta cartesiana che modifica ovviamente lo schema intellettuale delle Università: la ragione si fa faticosamente strada e le tenebre medievali si ritirano non senza resistenze, ma nell'Ottocento la malinconia romantica riprende il tema con tutta la tristezza del caso: scrive Espronceda Lo studente di Salamanca, Cechov, Lo studente, uno dei suoi migliori testi, e anche il furbo Raskolnikov è uno studente, anche se non si sa quale università frequenta. Quelli che invece non suscitano l'interesse della letteratura sono i professori, di scarso interesse per gli scrittori, la loro vita doveva essere monotona, come quella del professor Fausto prima del suo patto con il diavolo, o quella del professor Unrath , prima di cadere nelle reti dell'affascinante e perverso “angelo azzurro”, la divina Marlene Dietrich, anche se, in quel momento, non aveva la figura stilizzata che l'ha resa famosa.

La letteratura ha impiegato un po', nel Novecento, a scoprire materiale narrativo all'Università; gli studenti sono diversi, ci sono quelli che prima venivano chiamati “beadles” e ultimamente non insegnanti, e anche, ultimo ma non meno importante, i re del creato, gli insegnanti, in modo che i rapporti tra tutti loro, oltre a integrare commissioni e luoghi di stipendio diversi, confronti ideologico-politici e spazi destinati a installare tossicodipendenti ed escludere disaffezioni, diano luogo a figure interessanti per il letteratura. In questo contesto non posso non citare alcuni testi importanti o, se non tanto, che almeno hanno catturato l'attenzione di un pubblico non universitario. Il mio elenco non sarà esaustivo, ma, spero, indicativo.

Cominciamo con un'opera teatrale che ha dato molto di cui parlare a suo tempo, negli anni '1950: Chi ha paura di Virginia Wolf?, di Edward Albee. Lui mette in gioco la tradizionale figura del rettore, ma, ed è questo il punto, questo rettore ha una figlia e la figlia ha una relazione con un professore che al rettore non piace. Immagino il preside: proprio come i ritratti di ex presidi statunitensi che ricoprono le pareti delle sale riunioni; cappotto di tweed, pantaloni di flanella grigia, papillon su camicia celeste, folti baffi grigi, e un'aria di irriducibile impenetrabilità, sia per chi bussa alla sua porta sia per l'isteria della figlia che poco si cura della sua investitura del padre e la sua scienza, così come sembra non curarsi del rischio dell'incesto che aleggia come un uccello sulle liti rabbiose.

Ne deduciamo quindi che nelle Università ci devono essere conflitti che non passano per le scoperte scientifiche, ma anche, in altri testi successivi e nei film, le scoperte scientifiche possono uccidere, oltre che, ovviamente, provocare invidie, risentimenti, intrighi che sono oggetto di narrazioni più fantasiose e divertenti, come nel caso dei romanzi con cui David Lodge ci intrattiene.

Questo autore è stato molto celebrato perché ha deriso l'universo mentale degli studenti universitari, in particolare specialisti in certe materie incombustibili, come Shakespeare, Adam Smith, Dickens e altri membri di un gruppo promesso all'eternità. Lodge propone, è un'ipotesi, tre motivi per capire perché i professori vanno ai Congressi. 1. farsi sentire dai 200 o 2000 partecipanti, ognuno dei quali cerca di fare lo stesso; 2. per ottenere un lavoro migliore di quello che hanno; 3. per vedere se sono fortunati e riescono a lasciarsi coinvolgere in qualche avventura extraconiugale. La scienza, la conoscenza, diventa, d'ora in avanti, un mezzo, siamo in carne e ossa, anche se siamo studenti universitari.

L'ambiente universitario comincia ad essere rivendicato da chi cerca argomenti interessanti e proliferiamo romanzi che fantasticano delitti tra classi, professori malvagi che manipolano segretamente la vita degli altri, ricerche che da benefiche diventano letali, come mostra il famoso dialogo tra Niels Bohr e Werner Heisenberg al successo Copenhagencrimini notturni come crimini poco appariscenti, La narrazione intelligente di Guillermo Martínez, studenti astuti che smantellano le oscure manovre di insegnanti infidi, abusi nelle valutazioni, il mio romanzo Valutatoree laboratori che trafficano organi umani, acquisto di voti e ambienti favorevoli durante la notte, come mostrato nel romanzo Filo di Sergio Holguín, per sviluppare attività di guerriglia o, come nel caso di amuleto, il romanzo del cileno Roberto Bolaño, abitanti clandestini dei bagni universitari, per non parlare della fauna dei venditori di ninnoli e anche, perché no, di droga.

Potremmo interpretare questo interesse per ciò che accade all'Università come un fine deviante, perverso, un tentativo inconfessato di ridicolizzare ciò che l'Università rappresenta per la società? Può darsi, può darsi che non sia vero e che ciò che accade all'interno delle mura abbia caratteristiche attraenti, sfumature ricche come quelle offerte da qualsiasi ambito sociale e, di conseguenza, suscettibili come qualsiasi altro, l'aviazione, l'esplorazione, il viaggio, la discriminazione, la malavita, la vita pomposa dell'aristocrazia, la corruzione politica, facendo volare l'immaginazione e producendo opere, se non sempre trascendentali, almeno, in molti casi, divertenti, anche, a volte, critiche.

 

Vita di ogni giorno

In linea di principio, chi sta all'Università sembra esserci da sempre, è come l'acqua e l'aria. Ma non è così; Esistono diversi sistemi di reclutamento per insegnanti, studenti e personale non docente. Il caso di questi ultimi è il meno problematico: assumono il loro lavoro come potrebbero altrove, anche se le loro competenze possono variare. Gli studenti entrano spesso attraverso esami o corsi propedeutici o su semplice richiesta, a seconda della strategia occupazionale delle rispettive Università. La cosa più complicata si verifica nel contesto dell'insegnamento. Potremmo dire che ci sono tre forme di ammissione: la gara, il contratto e il finger. In ogni caso, ciò che conta è il merito e, nel caso del concorso, i cosiddetti “pari” che sono stati precedentemente ammessi con lo stesso atto procedurale. Essendo interpretabile il merito, si è creata l'istanza di impugnazione, a volte motivata, a volte solo un prodotto del risentimento per non aver vinto. Comunque sia, i risentimenti che ciò produce assumono molte forme diverse, dall'attacco all'ipocrisia. Il contratto è un modo per rimediare agli svantaggi della concorrenza e la sua conclusione non dipende più dai pari ma dalle autorità; a volte non c'è altro rimedio, a volte è un modo per bloccare i concorsi e l'accesso di professori non valorizzati intellettualmente, eticamente o politicamente. Anzi, un problema. Il dito è interessante ma la sua azione si biforca; nella prima direzione, può rispondere a una politica prestigiosa, l'Università è onorata di avere nel suo organico una figura chiave; il secondo è il regno dell'arbitrarietà. Quando Spinoza ricevette una lettera dal rettore di un'università che lo invitava ad entrarvi, rifiutò cortesemente perché quel rettore gli scriveva su raccomandazione di tale o tale principe o duca, ammiratore del filosofo, ma non perché egli personalmente e spontaneamente ha voluto prendere questa iniziativa.

La cosa più importante, ciò che è permanente nella vita dell'Università, è ciò che accade tra professori e studenti, anche se in tempi recenti gli ex scolari, oggi non professori, sono stati incorporati in questo schema e hanno in qualche modo alterato il carattere di basso continuo che ha. quella relazione. Nella loro forma primitiva, i docenti erano onnipotenti in termini di conoscenza e prestigio – in Francia i titolari di cattedra erano chiamati “mecenati” – e gli studenti li temevano o li veneravano o si vantavano di essere stati loro seguaci., quello era un titolo; le cose sono cambiate in meglio negli ultimi decenni, quindi anche gli insegnanti non sono il “finale” della conoscenza né gli studenti sono pagine bianche sottomesse; al contrario, molti di loro, ancor prima di aver contribuito a un libro, affrontano i professori, li smentiscono con convinzione e, sulla base di quella certezza, riescono, talvolta, a dirigere la vita accademica, l'universo della ricerca e il destino della ex proprietari di saggezza.

È evidente che il rapporto docente-studente è basilare ed essenziale all'Università e, in linea di principio, è ben visto ed è oggetto di passione, se non di aspettative per il futuro: un bravo studente può essere apprezzato da un bravo professore e questa può essere una buona cosa per dopo. Ma ha anche aspetti oscuri. Ad esempio quella che è stata designata come “molestie sessuali”, una figura che ha fatto furore qualche anno fa, soprattutto nelle università nordamericane e che, prevedibilmente, si è diffusa quasi subito anche da noi. Come pratica, come atteggiamento, deve essere sempre esistito.

Da lì è solo un passo, certamente riprovevole, in quanto implica un uso poco delicato da una posizione di superiorità. Inoltre, le molestie erano legate a questioni accademiche, vale a dire, se il giovane avesse resistito alla mano tremante del molestatore, la sua promozione sarebbe stata a grande rischio. Ciò ha dato molto da discutere e ha avuto conseguenze pratiche: molti insegnanti, accusati o colti in flagranza di reato, sono dovuti emigrare, altri hanno lasciato le porte delle aule aperte per ogni evenienza e, infine, molti studenti hanno trovato divertente accusare senza ragione insegnanti ostili, al solo fine di rendere loro la vita impossibile o costringerli a modificare i voti che meritavano o che sembravano loro ingiusti. Voci sommesse di questa situazione correvano per i corridoi tanto che molti professori, per farla finita, ricorrevano all'unico mezzo idoneo, alla migliore difesa, e, applicandola, organizzavano, di sfuggita, la loro vita; Mi riferisco al matrimonio tra insegnanti e studenti, raramente tra insegnanti e studenti.

Le relazioni tra gli studenti hanno molteplici possibilità. In primo luogo, nelle grandi città latinoamericane, gli studenti dell'interno del paese tendono a vivere in determinate zone, in pensioni che vengono loro consigliate, a volte condividendo appartamenti, in altri luoghi, in residenze dove, di volta in volta, sorgono conflitti a causa di vari divieti come, ad esempio, visitare le stanze dell'altro sesso: come ricordiamo, questo divieto generò il movimento noto come “Maggio 68”, con grandi conseguenze sociali e, forse, un'enorme produzione di bambini.

Poi, su un altro piano, si raggruppano per studiare, dando vita a rivalità di ogni genere, soprattutto quelle legate alle citazioni: ci sono stati casi di studenti che sono riusciti a procurarsi un certo libro e che, preso in prestito perché potesse anche essere citato, rispondere con ogni sorta di argomenti per lasciare orfano colui che non ha ricevuto il libretto di risparmio. In una fase successiva, dopo essere arrivati ​​all'ambiente, si integrano, almeno in America Latina, in gruppi politici, la ragion d'essere all'Università cambia radicalmente o, perlomeno, diventa molto più sfumata; molti scoprono, in quel momento, una forte vocazione pittorica e/o grafica, non figurativa, ma lirica, seguendo un'importante corrente della pittura contemporanea che dipinge lettere. Finalmente riescono a intervenire nel governo dell'Università, ma tutto finisce quando si laureano e li attende il faticoso cammino delle decisioni: “lo” studente si allontana e, a volte, l'atteggiamento nei confronti della vita che si sta delineando è molto diverso da quello che era durante il periodo studentesco.

 

Conclusione

L'Università è un puledro difficile da domare; nei suoi recinti vi sono varie abitudini, una certa dose di corruzione, vi si sono infiltrati la politica e i venditori di ninnoli, e, sovrapponendo queste note, vocazioni all'insegnamento, vocazioni all'apprendimento, spazio di critica e termometro di questioni, relazioni che tendono a stabilirsi per tutta la vita. Al di fuori dei suoi recinti, i pregiudizi contro di essa sono numerosi e si esprimono con la franchezza che normalmente è caratteristica dei pregiudizi; inoltre è una preda ambita e un film sensibile, ogni volta che ha un problema nascono idee per abbandonarlo o distruggerlo. Ma l'Università va avanti, non c'è, per ora, niente di meglio. Dopotutto, difenderlo non è un compito vano. Spero che il resoconto che ho appena fatto scaturisca da questa idea e che voi lo consideriate coerente con quanto ho cercato di mostrare.

* Noè Jitrik, critico letterario, è direttore dell'Istituto di Letteratura Ispanoamericana dell'Università di Buenos Aires. Autore, tra gli altri libri, di Storia critica della letteratura argentina (Emece).

Testo letto in apertura del V Incontro Nazionale e II Latinoamericano: “L'Università come oggetto di ricerca”, a Tandil, il 30 agosto 2007.

Traduzione: Fernando Lima das Neves.

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