Religione e Stato: nella Scrittura e nella legge

Immagine: Luis Quintero
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da GENERE TARSUS*

Fascisti e traditori della Carta del 1988 stanno fianco a fianco, rafforzati dalla paura e perseguitati da un pericolo di cui non tutti sono consapevoli.

Stato laico e religioni del denaro

Stiamo cominciando a recuperare i valori della democrazia e della Repubblica o siamo sulla soglia dell’accettazione plebiscitaria del suo tradimento? Una volta ero ottimista nella prima ipotesi, ma ora non più. Non possiamo fare a meno di ricordare in questo momento Jorge Luís Borges che disse che “il traditore è un uomo dalle lealtà successive e opposte”. Il fascista, però, è un fanatico coerente. Fascisti e traditori della Carta del 1988 stanno fianco a fianco, rafforzati dalla paura e perseguitati da un pericolo di cui non tutti sono consapevoli.

Per porre fine, in pratica, alla secolarizzazione dello Stato prevista dall’articolo 5, capi VI, VII e VIII, e dall’articolo 19, capoverso I, della Costituzione federale, il discorso fondamentalista religioso vuole essere il discorso dominante nella critica allo Stato laico. Per raggiungere questo obiettivo occorre mettere all’ordine del giorno, senza clamori, la fine della “libertà di coscienza” nello Stato di diritto, poiché essa può essere esercitata solo come coscienza individuale, nei limiti determinati dalla Costituzione: se ciò genera una diritto pubblico che consente agli individui di essere liberi dall’oppressione statale sulla coscienza religiosa: nello Stato laico, lo Stato non può sostenere o rappresentare una religione dominante.

Se qualcuno riesce a “forzare” la propria religione a essere dominante nello Stato, tutti possono fare dello Stato un “luogo” controversia speciale, tra i fedeli di ciascuna fede, e costruire così un discorso totalitario: quello di una fede religiosa che sopprime la libertà e la legittimità di un'altra fede religiosa. La confusione tra politica e religione non è mai stata così grande come lo è oggi nel nostro Paese. E questa “confusione”, nel senso di sussunzione – dell’una all’altra – stimola la radicalizzazione delle dispute politiche irrazionali, nella crisi del sistema formale liberal-democratico, poiché la sussunzione della politica alla religione (o viceversa) tende annullare il discorso della ragione democratica.

Se lo Stato consente questa sussunzione, consentirà la sostituzione dell’argomentazione con la fede, che può così dominare e distruggere le categorie democratiche della politica nello Stato di diritto, che si basa su discorsi minimamente razionali e argomentativi. Le lezioni della storia mostrano che la religione è una trascendenza senza tempo e che, a differenza della politica, il suo contenuto non è incentrato su un presente storico verificabile.

Essendo laico, lo Stato regola entrambi i sistemi (politico e religioso), ma lo fa per riconoscere il “diritto alla religione” nell’ambito della sua regolamentazione, per lasciarlo libero dal controllo statale e libero di non obbedire alla fede di quei governanti, che eventualmente intendono determinare i “doveri” religiosi di fede nei confronti dello Stato. Affinché queste due possibilità di “prassi” coesistano nella società – prassi politica e pratica religiosa – lo spazio sociale dello Stato moderno deve essere dialogico, ma deve anche avere il potere di, attraverso norme legittime, non consentire la pressione della politica contro la religione, e questo sulla natura civile della politica.

Le religioni del denaro cercano di soggiogare la vita privata delle persone, non di guidarle verso un'idea trascendente, poiché producono insegnamenti che cercano principalmente di indebolirle per estorcere parte dei loro piccoli risparmi. Invece di avvicinarli ai messaggi di generosità e solidarietà contenuti nella maggior parte delle religioni, comprese quelle evangeliche, le religioni del denaro annientano lo spazio democratico nella politica.

Qui particolare attenzione va posta all'utilizzo del sentimento religioso come parte di una pratica sociale che ha una finalità chiaramente commerciale, il cui significato si espande all'“essere” politico-partitico. Vietando che l'apparato di potere statale e le sue risorse siano monopolizzate da una religione, lo Stato diventa neutrale rispetto alle religioni, ma, allo stesso tempo, anche attivo nella difesa della propria laicità.

Per valutare se le pratiche religiose siano pratiche puramente politiche, nel senso di faziosità elettorale dell'espressione, è sempre necessario rispettare criteri oggettivi, che non comportano l'esame della dottrina o della fede, che eventuali religioni propagano, ma la verifica del loro evidente collegamento collegamenti con attività commerciali, alcune delle quali legate addirittura all'esercizio illegale della medicina.

Agendo in questo modo, nel sistema di classe del capitalismo, le religioni che si comportano come istituzioni mercantili segregano in una “seconda classe”, le altre religioni che accettano la diversità, la libera vita civile degli esseri umani, così come mancano di rispetto alle differenze culturali di ciascuna comunità di la razza umana.

Non è gratuito che la visione della “via unica” in economia venga fatta propria dalle religioni del denaro come “cosa loro”, perché questa via si basa anche su una dogmatica fondamentalista intollerante, che difende la soppressione dello Stato come organizzatore della vita economica e dei rapporti tra capitale e lavoro. Vale anche la pena ricordare che i partiti di estrema destra tendenti al fascismo sono generosi nel presentarsi in nome di Dio, della Patria e della famiglia, per sostenere la loro identità totalitaria, che cerca di fondare la propria autorità nel dominio dei corpi e delle idee.

Con il predominio del fondamentalismo religioso mercantile, trasformato in “fede”, qualsiasi elezione può diventare una guerra, non perché la politica divida necessariamente le persone in bande armate, ma perché nei conflitti prevale l’irrazionale, come la guerra provocata soprattutto dal fondamentalismo. Questo fondamentalismo è il materialismo esercitato dalla fede, mantenuto dal rapporto con il denaro. Il discorso fondamentalista neoliberista trova, a sua volta, una via comune con le religioni, per l’accumulazione privata irregolare, trasformando i pastori della fede in “pastori” dell’accumulazione di capitale.

La vittoria dell’oppressione di classe, che deriva dal dominio del rentierismo ultraliberale e delle guerre mondiali “parziali”, è radicalmente contraria alla ragione, alla libertà di spirito e alle libertà politiche della democrazia liberale rappresentativa. Non c’è dissimulazione che possa impedire allo Stato di agire – all’interno della democrazia politica “contrattuale” oggi in crisi – contro la naturalizzazione del fascismo e il suo passaggio dalle religioni del denaro, al culto del mercato, come consenso, e alla distorsione della fede, come arma di egemonia.

I mercanti della fede contro il vangelo di Cristo

Frugando negli archivi di oltre mezzo secolo di insegnamento universitario, mi sono imbattuto nell’“Annuario 2004” della Scuola Superiore di Teologia della Chiesa evangelica della Confessione Luterana in Brasile (IECLB), dove ho insegnato per cinque anni. Ho rivisto, con emozione, le immagini e i testi della mia Mostra ecologica e ho letto l'articolo “Musica, religione, piccola istituzione”, della professoressa Oneide Bobsin, eccellente ricercatrice sul tema della religione e della politica. Ho poi letto l'articolo di Joachim H. Fischer dal titolo “Luterani, riformati, uniti, evangelici: chi sono?”.

Spiegando cosa sono le Chiese evangeliche, commenta: Gli evangelici “sono chiese con orientamento evangelico” (…). L’autore aggiunge un’informazione che si attiene più direttamente al tema di questo articolo: “Il “banco evangelico” del Congresso Nazionale è formato da membri di tali chiese” che non vengono qui menzionate per nome perché non hanno pratiche identiche in ogni regione del paese. Questa presenza è nota a tutta la società brasiliana, essendo ampiamente documentata dalla stampa, che esiste, nel Congresso brasiliano, un “Fronte evangelico”, contestato e distribuito in diversi partiti di destra.

Questo articolo si propone di riflettere su cosa significhi questa presenza, in termini di Vangelo di Cristo. Il teologo Oneide Bobsin, già menzionato, in un’intervista ha affermato: “La partecipazione degli evangelici alla politica priva le chiese”. Come esempio di tale deprivatizzazione, possiamo citare un resoconto giornalistico dell’insediamento dell’ex presidente Jair Bolsonaro. Nel giornale Ora zero del 3 e 4 novembre 2018 (p. 10) è evidenziato: “Assemblea di Dio Vittoria in Cristo”.

Accanto a Jair Bolsonaro, con la mano destra pateticamente tesa, il pastore Silas Malafaia indica le parole: “con il sostegno degli evangelici”, come quelle dell'“Assembleia de Deus”: Vitória em Cristo, del pastore Silas Malafaia (foto). Jair Bolsonaro arriva poi al Palazzo Planalto sostenuto da un forte discorso religioso che lo pone davanti alla “missione di Dio” al comando della nazione. Quasi mezza pagina più sotto, c'è un articolo di Itamar Melo, con il titolo in maiuscolo, in grassetto: “Il Vangelo sale sulla rampa”. Nell'articolo, oltre a Silas Malafaia, vengono citati i seguenti pastori: Valdemar Figueiredo e Magno Malta, che hanno aperto la sessione di insediamento di Bolsonaro con la preghiera: “La tua parola dice che colui che consacra l'autorità è Dio. E il Signore ha consacrato Jair Bolsonaro”.

Prima di iniziare il suo discorso, Jair Bolsonaro ha detto al giornalista televisivo: “Senza certezza, questa è la missione di Dio”. Due giorni dopo il suo insediamento, ha fatto la sua prima apparizione pubblica, partecipando a un servizio evangelico presieduto dal pastore Silas Malafaia. Nell'articolo di Ora zero si legge: “Nell’occasione Jair Bolsonaro si è definito “scelto dal Signore”. Al centro del suo articolo, Itamar Melo sottolinea, con un sottotitolo: “Il banco della Bibbia avanza al Congresso”. Nel Congresso Nazionale si formò un “Fronte evangelico”, contestato e distribuito tra diversi partiti di destra.

Per quanto riguarda la questione teologico-biblica, è opportuno chiarire che tutta la predicazione di Gesù, a partire dalla famosa Sermone della Montagna (Mt., 5-7; Lc., 20,45), è l'annuncio o la proclamazione del Regno di Dio, o Regno dei Cieli. Nella sua incomparabile pedagogia, Gesù spiegava pazientemente, poco a poco, qual era il messaggio centrale. La grande attesa del Regno era la promessa che permeava tutta la storia del popolo di Dio, e quindi tutti i messaggi dei profeti. La predicazione di Gesù era chiarissima, inconfondibile: Regno di Dio, Regno dei Cieli. Nessuna terra.

Nell'intervista al teologo Bobsin mi ha colpito una frase: «Dopotutto Gesù ha rinunciato alla sua religione per essere fedele a Dio». Sapeva benissimo che c'erano molte confusioni. Anche se aveva già scelto i suoi discepoli più vicini, che sarebbero poi diventati i suoi dodici apostoli, la confusione fu evidente quando la madre di Giacomo e Giovanni chiese a Gesù di riservare fin dall'inizio i primi posti ai suoi figli: uno a destra e l'altro sulla sinistra. Gli altri erano gelosi. La confusione è durata. Anche quando Gesù fu arrestato, tutti scomparvero. Peter lo aveva rinnegato tre volte. Giuda lo aveva tradito. E gli altri, dov'erano? Solo Giovanni lo accompagnò al Calvario. Forse sentendo che qualcuno aveva bisogno di accompagnare la madre di Gesù, nel suo dolore profondo, di fronte alla morte certa del figlio Gesù crocifisso.

Tutto il percorso di Gesù, dall'inizio, fino alla morte sul Calvario, è stato accompagnato dalla stessa tentazione che i profeti denunciavano. Tentazione alla quale si piegarono fino alla fine gli apostoli da lui scelti. Tutta la grande folla venuta alla festa di Pasqua, quando seppe che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palma e gli uscì incontro, gridando: «Osanna! Beato colui che viene nel nome del Signore e del re d'Israele».

La tentazione di Gesù, dopo 40 giorni di digiuno nel deserto, riportata in vangeli, era un'allegoria, attraverso la quale Egli assumeva la tentazione del popolo d'Israele, già riportata in Deuteronomio, e denunciato dai profeti, nel corso della storia, da quando Dio ha liberato il suo popolo dalla schiavitù dell'Egitto. Come Israele, anche Gesù fu accompagnato dalla stessa tentazione, sia da parte dei suoi discepoli che del popolo che lo seguiva, pensando che finalmente il Messia promesso avrebbe instaurato il Regno d'Israele. La frase di Oneide Bobsin, citata sopra, è forte e provocatoria: “Dopo tutto, Gesù ha rinunciato alla sua religione per essere fedele a Dio”. Egli “rinunciò” anche alla religione ufficiale quando assistette allo spettacolo scandaloso in cui era stato trasformato il tempio.

Per tutti i suoi seguaci, compresi quelli che scelse come futuri apostoli, la religione ufficiale era la convinzione che il messia promesso sarebbe stato il Re che avrebbe finalmente liberato i popoli dal dominio degli altri imperi. Negare la religione ufficiale era anche negare la triplice tentazione del deserto, tentazione che lo accompagnò fino al processo di Pilato. Lo stesso giorno in cui la folla lo acclamò “Re d'Israele”. Egli con tutta autorità negò la religione ufficiale, espellendo i venditori dal tempio. I quattro evangelisti riportano l'espulsione coraggiosa e solenne, giustificata con il grido, momento radicale in cui Egli separa la religione dalla preghiera e la fede dal potere terreno: «La mia casa è una casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto un covo di ladri» (Mt. 21, 13).

Per comprendere oggettivamente alcuni dettagli di vangeli, ci è conveniente o addirittura necessario conoscere certi fatti storici. In questo senso mi sono accorto che Wikipedia contiene diverse conferenze o interviste di carattere storico. Alcuni dettagliano la storia di Ponzio Pilato, la sua posizione di prefetto della Giudea, una delle tante province dell'Impero Romano. Un dettaglio fondamentale è la sua responsabilità nella condanna di Gesù. Sia la Giudea che la Galilea, governate da Erode Antipa, la Samaria e altre province, furono luoghi di frequenti e violente rivolte di popoli che cercavano di liberarsi dalla crudele dominazione romana.

Ponzio Pilato aveva affrontato, durante i dieci anni del suo governo, la sfida di far fronte, generalmente in modo crudele, alle diverse rivolte degli ebrei. Di fronte ad un personaggio presentatogli dai capi ebrei per essere giudicato e condannato, Pilato, interrogando Gesù, si preoccupava se non fosse un altro dei capi rivoluzionari a dargli mal di testa. Questa preoccupazione di Pilato spiega la sua domanda: “Sei tu il re dei Giudei?” (Mt., 27,11). Gesù risponde: “Dici così”. Di fronte alle ripetute accuse e al silenzio di Gesù, «…il governatore rimase molto colpito» (Mt 27). Era, infatti, convinto che non ci fosse davanti a sé nessuno dei fanatici o dei rivoluzionari che avesse dovuto reprimere per consolidare la sua posizione.

Il silenzio di Gesù è testimoniato sia da Matteo che da Marco e Luca. Solo Giovanni scriverà che, di fronte alle insistenze di Pilato, Gesù garantisce: «Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei sudditi avrebbero combattuto affinché non fossi consegnato ai Giudei. Ma il mio regno non è di qua” (Jo, 18, 36). Anche così Pilato non era calmo. La folla gridava: “Se non lo condanni, non sei amico di Cesare”. La sua preoccupazione non era se la condanna di Gesù fosse giusta, ma di eliminare ogni minaccia che arrivasse alle orecchie di Cesare. E così, dopo essersi lavato vigliaccamente le mani, Pilato lo consegnò alla furia crudele della folla.

La tavoletta che Pilato fece affiggere, per ironia della sorte, in cima alla croce: “Gesù re dei Giudei”, suscitò una lamentela generale perché fosse rimossa. La stessa folla che lo aveva acclamato all'ingresso di Gerusalemme gridò davanti a Pilato: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!” Per tre anni lo avevano seguito, ascoltando con entusiasmo la sua predicazione, pensando che li avrebbe liberati dal dominio romano, instaurando finalmente il Regno che Israele aspettava da 2000 anni.

Per gli apostoli era la fine. Solo con la venuta dello Spirito Santo, nella festa di Pentecoste, hanno compreso il vero significato del suo annuncio, fin dal Discorso della Montagna e durante i tre anni della sua predicazione. E la folla accorsa alla festa da diversi paesi, sentendoli parlare nelle loro lingue, capì ciò che il Regno Gesù aveva annunciato. E in quel giorno fu costituita la Chiesa del Regno di Dio, del Regno dei Cieli.

Secondo l'articolo di Itamar Melo apparso sul quotidiano Zero Hora, già citato: “La Panca Biblica, progressi al Congresso”, e con le citazioni quasi teatrali dell'insediamento di Jair Bolsonaro, si denuncia con totale chiarezza che l'affermazione di Cristo: “Il mio Regno è non di questo mondo”, non si applica alle Chiese evangelica, pentecostale o neo-pentecostale”, poiché la loro strategia è la lotta per il potere politico, secondo la “teologia della prosperità”, che potrebbe, nel tempo, trasformare il Brasile, una repubblica democratica e laica, in un Paese teocratico permeato dal settarismo, come è oggi l’Iran.

* Tarso in legge è stato governatore dello stato del Rio Grande do Sul, sindaco di Porto Alegre, Ministro della Giustizia, Ministro dell'Istruzione e Ministro delle Relazioni Istituzionali in Brasile. Autore, tra gli altri libri, di possibile utopia (arti e mestieri).


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