da MARILIA PACHECO FIORILLO*
Il potere della religione deriva da qualcosa di molto più semplice, le sue verità incrollabili.
Se prendiamo il termine “immaginazione” nella sua prima accezione – fantasia, originalità – esso è quasi sinonimo di poesia: quel linguaggio, più che narrativo, in cui i dubbi, le esitazioni, le incongruenze e le incongruenze, gli ossimori, insomma, sono virtù, più che vizi...[I] L'immaginazione mette in moto il soggetto, inaspettato, imprevedibile. È inseparabile dall'individuo, dal singolare, dalla creatura che si afferma, condensando il suo potenziale, scintillante, unico, assertivo e inconfondibile. Da questa prospettiva, l'immaginazione è un insulto alle religioni.
Così visti, sono praticamente antitetici. Le religioni possono essere fortemente emotive, nel loro richiamo e nei loro riti, ma l'enfasi sull'emozione (personale o collettiva, catartica o silenziosamente intima), in modo che corrisponda a rituali e modelli devozionali, e, soprattutto, a dogmi e fondamenti, questo specifico l'emozione catalizzata nelle religioni non ammette l'intervento anarchico dell'immaginazione. In questo saggio svilupperemo riflessioni e ricorreremo ad esempi storici che possano illustrare questa ipotesi.
Difenderemo che l'immaginazione coesiste malissimo con le religioni istituzionalizzate, poiché diversa è la natura dell'emozione che esigono, il sentimento così frequentemente evocato, così diligentemente instillato nei cuori e nelle preghiere: l'emozione vertiginosa che le religioni esigono e suscitano è la paura. O per giustificare i mali del mondo, accomodandoli ad ogni teodicea,[Ii] che si tratti di confortare, è nella paura (come prudenza, estrema cautela o terrore, puro e semplice) che riposa il potere incrollabile delle religioni.
In questo senso l'immaginazione è la sua antitesi, un vero e proprio abominio alla forma mentis religiosa; è, nel migliore dei casi, sinonimo di eresia.[Iii]
La fantasia più comunemente evocata nelle religioni è quella a cui ricorre tremendo, risultato di numinoso[Iv]: fenomeno che provoca stupore, paura, terrore, il 'sentimento di essere creatura' di cui parlava Rudolf Otto, in cui la creatura sprofonda nel nulla di fronte alla terribile trascendenza, all'assoluta inaccessibilità della divinità, e viene annullata, schiacciata, polverizzandola se terrorizzato da ciò che sta sopra (di polvere in polvere). Di qui la vera vocazione dell'emozione religiosa: quella dell'essere, non la promessa dello stupore, (la promessa della felicità nell'arte[V]), ma il monito recriminante, la continua allerta e la continua vigilanza, il strombazzare sulla fine dei tempi – l'escatologia è l'emozione religiosa per eccellenza, e adempie perfettamente al suo ruolo, quello di incutere timore e di assicurare la disciplina dei fedeli.
potere incrollabile
Il potere della religione non risiede nei fondamentalismi (che sono così coinvolgenti) né nel suo considerevole ruolo temporale. Non è nel fasto e nel nepotismo dei papi rinascimentali, quel potere di commettere eccessi che fece del pontefice Alessandro VI – padre di Cesare e Lucrezia Borgia – il più importante, e micidiale, uomo politico del suo tempo. Né nelle gesta di Salâh Al Din Yusef ibn Ayyub, o Saladino il Grande, Leader musulmano curdo (è interessante notare che il più grande eroe dell'Islam non era un arabo) la cui diplomazia, unita all'arte della guerra, minò l'impresa delle Crociate (altro esempio tipico dell'alleanza pleonastica di potere e religione). Il potere della religione non sta nei jihad o nelle guerre sante che sponsorizza, nei monumenti che erige per immortalarsi, piramidi o cattedrali, né nelle fortune che le Chiese accumulano o dissipano, o nella capacità che hanno di sconvolgere il destino di interi popoli, confortare le persone (con doni di questo mondo e promesse per l'altro, eventualmente scambiando indulgenze a vista) o rovinarle brutte (eretici da licenziare).
Il potere della religione deriva da qualcosa di molto più semplice, nel suo cuore: dalle sue verità incrollabili.
Tutto il resto è mera conseguenza. Oro, incenso e mirra, gloria, magnificenza, influenza, longevità e anche la capacità di trasformare le persone semplici in fanatici (o, come ha detto il premio Nobel per la fisica Steven Weinberg, di "far fare cose cattive alle persone buone") sono il risultato di questa altezzosa sicurezza di sé, che non ammette repliche e che è al centro stesso delle religioni. Nelle religioni che si rispettino non c'è spazio per esitazioni (divagazioni, divagazioni, ossimori), né nelle loro dottrine né da parte dei loro seguaci.
Il resto, cioè la straordinaria potenza politica, finanziaria o militare, l'autorità morale, la capacità di persuasione e, infine, l'infinita resilienza delle religioni - sopravvissero intatte all'assalto dell'Illuminismo nel Settecento, alla frettolosa dichiarazione di Nietzsche ("Dio è morto") all'inizio del XX secolo e la concorrenza delle religioni laiche di sinistra e di destra, e dei loro profeti millenari Stalin e Hitler - in breve, la perennità e la sicurezza delle religioni sono dovute al semplice motivo che non hanno mai bisogno di essere ritenuti responsabili.
Non è nella natura delle religioni doversi spiegare. “Credo perché è assurdo”, diceva già nel II secolo uno dei primi teologi cristiani, il geniale Tertulliano di Cartagine.
A differenza della scienza, il cui motore è il dubbio – domande, discordie, diffidenze e rotture erano l'ossigeno di Galileo, Newton ed Einstein – la religione nasce, cresce, vive e si riproduce nel dogma.[Vi] E i dogmi sono incontestabili proprio in quanto significano letteralmente misteri.
I misteri non esistono per essere esaminati, come gli atomi, il genoma umano o la superficie di Marte. Ogni tentativo di analizzarli o di dar loro coerenza sarebbe un'ingerenza indebita, oltre che sciocco e inutile dal punto di vista religioso.
Fingere di svelare il significato di un dogma, o di un mistero religioso, è segno della totale impreparazione spirituale dell'intruso. Un mistero è un mistero solo perché è assolutamente impenetrabile, immune da ogni logica e, soprattutto, terreno proibito per interrogare o contestare. Come si potrebbe non essere d'accordo con l'ineffabile? Con quale argomento, se la fede, quando è legittima, fa a meno di frivolezze come la giustificazione o il ragionamento? Siamo proprio nella terra del “si fa così, perché così si fa”, un palazzo delle verità ovvie in cui i curiosi oi molto irrequieti non mettono piede. Per inciso, è noto che più il dogma è poco plausibile, oscuro o astruso, meglio è.
I misteri seducono perché operano come miracoli: tanto più potenti quanto più incredibili e, soprattutto, insondabili (un fatto curioso nel capitolo sui miracoli è che, in genere, non accadono mai dove ce n'è più bisogno, come ad Auschwitz o in Africa del 2009, ma a Fatima, e i suoi beneficiari sembrano essere scelti in modo un po' casuale, oltre ai suoi benefici che suonano un po' casuali; dopo tutto, cosa c'è di più urgente che far piangere sangue una statua?).[Vii]
C'è chi contraddice tutto ciò, e sostiene che il potere supremo della religione sia quello di elevarci in alto, dritti ai cieli della pura bellezza e trascendenza: le epifanie che scaturiscono dalla Passione secondo San Matteo di Bach, dal Requiem di Mozart , dalla Pietà di Michelangelo, della Divina Commedia, degli azzurri vaporosi e soffici di Giotto o del blu cobalto sbiadito di una cappelletta dimenticata su una strada sterrata. Ma questo è solo il potere dell'arte, che è nel mondo da quando la religione, ma ha sempre avuto un altro indirizzo, quello della promessa di felicità qui e ora. Anche l'arte, frutto della grazia, ci viene data gratuitamente. È una celebrazione disinteressata.
Nulla è più lontano dalla fantasia artistica, dallo slancio aggraziato, del rigido e calcolato sistema di castigo e premio, peccato e perdono, condanna e salvezza, di quella contabilità spietata che è alla base di tutte le religioni.
La vera vocazione del potere religioso non è risvegliare il sublime, ma risvegliare l'innominabile. Questa è la definizione di "numinoso",[Viii] concetto chiave negli studi di religione: un altro "oh!" terrorizzato che un "ah"! incantato. Prova ne è che le verità religiose (ogni credo con il suo rispettivo), generalmente gravi, non ammettono di essere contraddette. Nel territorio dei misteri ineffabili si sente poco la musica degli angeli (come in Bach) e molto, molto di più, il clamore dei richiami all'ordine e alla disciplina. Le religioni non si lasciano scuotere dai loro scontenti: se ne sbarazzano e basta. Le esitazioni nella fede sono ammesse solo come prove di resistenza della fedeltà del credente, vessato dalla tentazione del dubbio.
I desideri di cambiamento – come la Riforma protestante, lo indica già il nome –, che sarebbe il sale dell'immaginazione, nella religione diventano sedizioni. Gli sforzi di modernizzazione, o di adattamento ai nuovi tempi, finiscono in quella storia di un passo avanti, due indietro (si confronti il neofondamentalismo di Benedetto XVI con l'ecumenismo di Giovanni XXIII, Il papa buono, Il Papa Buono, come veniva chiamato[Ix]). E i dialoghi interreligiosi, in pratica, sono chimere. Il progetto propagandato di coesistenza pacifica delle religioni è, parafrasando Clausewitz, solo la continuazione della guerra tra credenze, con altri mezzi.
Perché? Semplice, francescanamente semplice, ancora: per l'ovvia ragione che l'adesione a una religione richiede, a titolo definitivo, l'esclusione di tutte le altre. [X] Ciò può avvenire con la forza, con la violenza o, se gli dèi ei loro rappresentanti sono di buon umore, con un certo disprezzo mascherato da condiscendenza. I gradi di intolleranza variano, ma il dono dell'inclusione non è mai stato il punto di forza della Chiesa.
L'esclusivismo è sempre stato la virtù cardinale delle religioni, almeno di quelle monoteistiche – che, paradossalmente, sono cugine di sangue.
Un'altra questione è scoprire quale motivazione (psicologica, etica, culturale o inerziale) rende le persone così attaccate alle proprie convinzioni e così irritate quando qualche persona ignara osa contrabbandare un "ma davvero?" nell'interno ristretto e ordinato delle sue certezze. C'è chi dice che la propensione umana per le religioni, così antica, sia frutto più della biologia che del soprannaturale[Xi]. La propensione a credere sarebbe un effetto indesiderato, quasi un danno collaterale, di un'altra abitudine, questa volta frutto di un'esigenza vitale per la sopravvivenza della specie: l'abitudine all'obbedienza, inculcata nell'infanzia.
Affinché il bambino esca indenne dalla moltitudine di pericoli che lo circondano, deve imparare fin da piccolo ad accettare senza protestare (o protestare, ma cedendo) certe verità elementari che gli vengono trasmesse dai suoi genitori. Ad esempio che non può pendere dal terrazzo del 3° piano altrimenti cadrà, oppure non deve mettere il dito nella presa, oppure deve credere che la Terra sia rotonda. Se così non fosse, ogni generazione reinventerebbe la ruota. Immagina se ognuno di noi, di 3 o 13 anni, dovesse testare personalmente, invece di limitarsi ad aderire, al corpus più o meno consensuale di conoscenze disponibili. Ciascuno dovrebbe circumnavigare il pianeta con la propria barca e solo allora concordare sul fatto che la Terra non è piatta; o lancia la tua mela, rimuginaci sopra per un po' e, eureka, arrivare alla legge di gravità. Sarebbe irrealizzabile, oltre che un enorme spreco.
Ecco perché obbedire ciecamente e credere con tutto il cuore durante l'infanzia è generalmente vantaggioso e sensato. Ma se questa abitudine continua nell'età adulta, diventa una dipendenza: quella della credulità sistematica. Così, quello che era stato utile a 3 o 13 anni, dopo i 30 anni diventa dannoso: un residuo parassitario. Da questo punto di vista la credenza – la porta delle religioni – non è altro che la ripetizione pigra e comoda di qualcosa che ha già perso la sua ragion d'essere, un talento (elaborare precocemente informazioni trasmesse) che è diventato automatismo, una mania ossessiva , che gira nel vuoto.[Xii]
Nessuno ha illustrato con tanta cura e acutezza questa peculiare natura del potere religioso: amore dell'obbedienza, orrore del dubbio; adorazione del dogma, disprezzo per l'immaginazione - come Tertulliano di Cartagine, il teologo effervescente, feroce e (nonostante se stesso) delirantemente fantasioso del Nord Africa. Vale la pena ricordare che, nel II secolo, Alessandria, Antiochia e Cartagine erano altrettanto o più importanti di Roma per il nascente cristianesimo.[Xiii]
Nato in Tunisia nel 150, da una famiglia prestigiosa della società romana, Quinto Settimio Fiorente Tertulliano si convertì tardi, intorno ai 40 anni, ma recuperò gli anni perduti con la sua combattività. All'epoca era il critico più temuto dei dissidenti cristiani. Il suo obiettivo non erano i pagani ma i compagni dissidenti. Intorno all'anno 200 compose il manuale più famoso per individuare e combattere gli eretici, il classico Da Praescriptione haereticorum. [Prescrizioni contro gli eretici] che ha inaugurato una nuova arte di argomentare, senza mezzi termini. La sua verve e il suo metodo fecero scuola, attraversando il tempo, le faide degli innumerevoli Concili, lo scisma tra Roma e Bisanzio e resistendo anche alla propria scomunica, visto che Tertulliano fu punito in fin di vita per essere stato più realista del re . Il suo lavoro ha un aroma inconfondibile, un misto di ironia, truismo, dogmatismo e veemenza invidiabile. Ha lasciato innumerevoli imitatori. Il suo stile può essere visto nel successivo dibattito tra cattolici romani e bizantini nel XIII secolo, un tentativo imperfetto di copiare il maestro: i cristiani occidentali bollarono gli orientali "facce di feci, indegne della luce del sole", mentre gli orientali chiamavano i loro fratelli dall'ovest di “figli delle tenebre”, allusione al fatto che il sole non tramonta mai a occidente.
Campione di tautologie, una delle sue battute più famose è che tutto ciò che è conforme alla Chiesa è vero perché non potrebbe essere altrimenti; di conseguenza, tutto ciò che non viene dalla Chiesa non può che essere contraffatto. Tertuliano ha cementato il suo amore per le certezze assolute attraverso le contraddizioni. La migliore di esse è la sua frase più famosa, il “Credo, perché è assurdo”, un'argomentazione così misteriosamente dogmatica da diventare senza risposta. Di fronte a lui, non puoi nemmeno iniziare il dibattito.
I filosofi sono uno dei bersagli preferiti dell'ira di Tertulliano. Il suo anti-intellettualismo è di quelli nati da un passato di vita intellettuale; pertanto, come spesso accade con la resa dei conti autoinflitta, è particolarmente virulenta. Il suo elogio dell'oscurantismo viene dall'intestino: “Cosa c'entra Atene con Gerusalemme, l'Accademia [platonica] con la Chiesa, gli eretici con i cristiani? Il nostro insegnamento viene dal portico di Salomone, che insegnò personalmente che gli uomini dovrebbero cercare Dio nella semplicità dei loro cuori”. Ai filosofi e ai cristiani di altri gruppi non piace perché cadono nella tentazione della curiosità e dell'immaginazione. La presunzione di sapere, per Tertulliano, era più che leggerezza, era un insulto di lesa maestà alla vera fede, la quale, per essere sana, doveva letteralmente nutrirsi di povertà di spirito.
“Basta con tutti i tentativi di produrre un cristianesimo misto di composizione stoica, platonica o dialettica. Non vogliamo nessuna disputa curiosa dopo aver posseduto Gesù Cristo, nessun tipo di domanda dopo aver goduto del Vangelo. Con la nostra fede, non desideriamo un'altra credenza", ha scritto. La lotta condotta da Tertulliano, però, non è solo contro gli eretici; è contro ogni iniziativa di far lavorare il cervello (avversario dell'anima). Tertuliano voleva estrarre dalla mente ciò che gli asceti come Santo Antão estraevano dal corpo, cioè mortificarlo e lasciarlo nel bisogno. Un buon cristiano dovrebbe astenersi da qualsiasi esercizio mentale. Pensare è inquinare l'anima.
Nell'ansia di scongiurare il pericolo del pensiero, nemmeno i vangeli vengono risparmiati. Anche i passaggi canonici sono sospettati perché, se rimuginati troppo spesso, possono sviare il devoto. Al tradizionale “Cerca e troverai”, contrappone un “Via chi cerca dove non troverà mai”! La vigilanza non deve cedere nemmeno di fronte ai brani della Bibbia, perché se sono soggetti ad ambiguità, cioè ad interpretazione, certamente avveleneranno lo spirito. Poiché quasi tutto ciò che leggi può essere interpretato, anche i passaggi più innocui sono banditi. 'Bussate alla porta e troverete'? Niente di tutto ciò, dice Tertuliano: "Via chi bussa sempre, ché non gli sarà mai aperto, poiché bussa dove non c'è chi apre". 'Chiedi e ti sarà risposto'? Non c'è modo di pensare: “Via chi chiede sempre, perché non sarà mai ascoltato, poiché chiede a chi non ascolta”.
Chiedere, chiedere o aspettare è una violazione del decoro. Chiedere è il più minaccioso, poiché suggerisce che c'è qualche dubbio nell'aria, qualcosa da chiarire, e i dubbi sono la via inconfondibile verso la perdizione. Perché chiedere se è sufficiente accettare? "La prova di una disciplina più severa tra di noi è un'ulteriore prova della verità". Il dubbio apre la strada all'inferno; disciplina, la via del Paradiso.
Se chiedere è indecente, inventare è un abominio. La grande diversità interna dei gruppi cristiani del suo tempo è ridicolizzata da Tertulliano, che descrive i suoi oppositori come artefici di folli cosmologie (data la libertà con cui ogni gruppo interpretava il messaggio cristiano), in cui i cieli si succederebbero “come stanze ammucchiate in cima alla stanza, ciascuna designante un dio per tante scale quante sono le eresie: ecco l'universo trasformato in stanze in affitto!”. L'immagine dell'universo come un ammasso di stanze in affitto non è solo sensazionale (Tertulliano odiava l'immaginazione dei suoi avversari ma non poteva fare a meno della propria) ed è abbastanza pertinente. Le stanze sono accatastate; questo indica che devono essere della stessa taglia o di misura ravvicinata, e che offrono uguale comfort; non c'è una suite imperiale o un attico VIP, nessun vantaggio. Di più: nessuno dei residenti è proprietario, in quanto le stanze sono in affitto, e se l'ospite è insoddisfatto, deve solo trasferirsi. Questo è un edificio anarchico, non quello che lui, Tertulliano, vuole per la Casa del Signore.
“Ciascuno di loro – dice dei suoi avversari cristiani – a seconda del suo temperamento, muta le tradizioni che ha ricevuto, così come le ha cambiate anche colui che le ha trasmesse plasmandole secondo la sua volontà”. La mania di polemizzare lo stordisce. E lo spaventa questa continua reinvenzione della tradizione, che dovrebbe essere intoccabile. Tertulliano enumera i principali difetti dei cristiani che non sono del suo gruppo: plasticità delle idee, disprezzo per la gerarchia; la netta preferenza per le posizioni a rotazione; l'assenza di distinzione tra clero e laici; parità di trattamento tra donne e uomini, o veterani e nuovi arrivati.
Queste caratteristiche, dice, non possono che portare alla rovina: “Le loro ordinanze sono dispensate con noncuranza, piene di capricci e mutevoli; in un momento sono i novizi che svolgono le funzioni, in un altro sono persone con lavori secolari… in nessun luogo è più facile la promozione che tra i ribelli… così che oggi un uomo è vescovo, e domani saranno altri; chi oggi è diacono, domani leggerà le Scritture; chi oggi è sacerdote, domani sarà laico, perché anche ai laici impongono le funzioni del sacerdozio». E prosegue, in difesa dell'unica verità: «Non è chiaro chi sia catecumeno e chi sia già inserito tra i fedeli; tutti sono ugualmente ammessi, tutti ascoltano allo stesso modo, tutti pregano allo stesso modo... condividono il bacio della pace con tutti coloro che vengono, poiché non si preoccupano di come ciascuno concepisce gli argomenti della fede, poiché sono riuniti per precipitarsi contro la cittadella di colei che è l'unica vera".
Nella schiera dei loro avversari cristiani, i novizi officiano come sacerdoti, i sacerdoti agiscono come novizi; chiunque può essere vescovo, anche per un giorno; tutti partecipano al servizio e possono farsi carico della predica del giorno; sacerdoti e laici sono uguali, e da nessuna parte è così facile essere promossi, cioè essere accettati ad armi pari. Tale insubordinazione, tale 'umanità', sembra a Tertulliano una degenerazione al massimo grado. "Com'è frivolo, mondano, quanto semplicemente umano, senza serietà, senza autorità, senza disciplina, come si addice bene alla loro fede!" Di tutte le sovversioni, quella che lo fa più inorridire è l'emancipazione delle donne. Misogino anche per gli standard patriarcali dell'epoca, Tertulliano definì il sesso femminile "la porta del diavolo".
Marcione e Marco, due suoi concorrenti cristiani, avevano ordinato diverse donne sacerdoti e vescovi, e la rappresentante della setta dei cristiani gnostici a Roma era una donna, Marcelina. Questa permissività fece infuriare Tertulliano. Le donne, non contente del disordine che la loro antenata aveva causato in paradiso, continuavano a turbare l'ordine terreno: “Queste donne eretiche, come sono ardite! Mancano di modestia e hanno l'audacia di insegnare, discutere, esorcizzare, guarire e forse anche battezzare! Sarebbe meglio che facessero a meno di gioielli e ornamenti e, "secondo la legge di S. Paolo, coprirsi di veli". Ma, sia fatta giustizia, Tertulliano non era molto liberale neanche con il sesso forte: l'atto di radersi, per lui, era empio, come è mancanza di rispetto verso il Creatore cercare di migliorare il volto concesso dalla Sua volontà. I Talebani avevano un dotto predecessore.
Tertulliano era un autore prolifico e appassionato: trentuno delle sue opere sopravvivono. Ha scritto di tutto ciò che vale la pena, monogamia, verginità, modestia, pazienza e paradiso. Riguardo allo spettacolo pubblico, il fervente africano ammoniva: “Voi che amate gli spettacoli, aspettate il più grande di tutti, il Giudizio Universale”. La sua missione è squalificare i suoi concorrenti, ma questo non gli toglie il senso dell'umorismo. Quando i cristiani furono accusati del crimine di non adorare l'imperatore, rispose che l'accusa era inverosimile: i cristiani non avevano bisogno di adorare l'imperatore, poiché già pregavano per lui.
Dopo anni di vigorosa militanza sul fronte ortodosso, intorno al 207 ruppe con i cattolici e divenne uno dei capi del montanismo, movimento apocalittico in Asia Minore. L'adesione a un'eresia era la cosa meno attesa dall'instancabile cacciatore di eretici. Ma il confine tra eresia e ortodossia, come purtroppo ha potuto dimostrare, è una questione di chi deve raccontare la storia. In tarda età, il patrono del dogma si rivoltò contro il suo reggimento. Tertulliano morì combattendo i cattolici, che aveva difeso con accanimento per tutta la vita, accusandoli di essere la “Chiesa di pochi vescovi”, troppo ristretta per le 'persone spirituali', quelle fantasiose come era sempre stato lui.
simmetria storta
Le religioni sono la migliore prova che le asimmetrie sono alla base, alla vertebra, e anche alla superficie obbligata di quella che si chiama civiltà. Dall'inizio del mondo non c'è stata civiltà senza religione, così come non c'è stata società senza potere, o almeno un tentativo di farlo. E se escludiamo i culti greco-romani, quella luminosa religione di dèi ubriachi, ubriaconi, gelosi, combina guai ma anche superlativamente generosi – Olimpo totalmente simmetrico al nostro piano sottostante, specchio del meglio dei nostri vizi e virtù –, dal nome paganesimo, la storia delle religioni è quella della vittoria inconfutabile, anche se non sempre ineffabile, delle asimmetrie. Vittoria politica, logica, antropologica.
Antropologico: in ognuno di essi, dai culti di Vanuatu (in Melanesia), ai corposi monoteismi o alla danza per chiamare la pioggia al Diktat dal Vaticano la religione funziona solo perché c'è una radicale asimmetria tra chi chiede e chi concede. Sciocco dire che alcune sono superstizioni primitive e altre una sublime ricerca della trascendenza. Sono tutti un convincente sistema di scambio tra disuguali. Nel battito del tamburo o nella preghiera, nel sonaglio o nella candela, nel talismano o nell'elaborata liturgia di una messa, è il pensiero magico che è all'opera, e per operare un conveniente commercio di dissimili. Tra un potere supremo e imperscrutabile, da un lato, e noi, supplici, dall'altro.
La religione è la continua e continua sostituzione dell'eteronomia. Ecco perché le religioni sono l'opposto dell'ideale classico della filosofia, quello della ricerca autarchia,[Xiv] l'autonomia con cui Socrate ci salutava quando ci proponeva di ascoltare il daimon interno, senza prestare attenzione alla divinità del tempo. Socrate fu condannato a bere la cicuta per il reato di empietà, per aver esortato il giovane a seguire i consigli dettati dalla voce interiore (virtù), non sempre coerenti con i dettami degli dei, e amministratori, della polis.
Bussare alla legna per scongiurare la sfortuna è un gesto inequivocabilmente religioso, tanto quanto la preghiera o il mantra. Dal momento che non bussiamo sul legno per fare un passo pratico (come bussiamo a un chiodo per inchiodare un quadro), l'atto è simbolico, la convocazione di qualcuno o qualcosa per risolvere i nostri problemi, recitando la nostra parte. La contrizione, l'adorazione o la supplica sono riti contrattuali, e un contratto più hobbesiano che rousseauiano (un contratto stipulato non tra noi, ma con il quale cediamo tutto al Leviatano).
In questa curiosa operazione di scambio di favori, sembrerebbe che noi siamo in vantaggio, poiché in genere chiediamo l'impossibile, o almeno l'improbabile, in cambio di piccole cose come una novena o una promessa. Il peso e la fatica sono lasciati all'Onnipotente; i dividendi, con il mendicante. Illusione: in questo scambio asimmetrico, tra esseri abissalmente asimmetrici, il risultato finale è che diventiamo ostaggi cronici. Il divario si è approfondito.
Logica: se non bastasse questa asimmetria di principio tra l'Onnipotente e ciò che può solo chiedere, anche la contabilità spirituale delle religioni ha un venerabile fondamento logico. Le prove più famose dell'esistenza di Dio, quelle ontologiche e cosmologiche, o il disegno intelligente, mettono al tappeto ogni desiderio di ridurre questa distanza, questa asimmetria polare. La prova del design, o creazionismo, attualmente in voga tra i nemici neoconservatori di Darwin, postula che solo un Essere perfetto potrebbe costruire un universo così ben equiparato, millimetricamente funzionale, e per di più sprizzante di bellezza nel colore delle piume degli uccelli e nell'architettura dei fiori.
"Guarda fuori dalla finestra!" direbbe il creazionista Leibniz. "A condizione che il tetto non goccioli e che la lunga contemplazione non si traduca in un raffreddore", risponderebbe lo scettico Hume[Xv]. La tradizionale prova ontologica dell'esistenza di Dio, inventata da Sant'Anselmo, era più semplice e diretta. Se Dio è perfetto, onnisciente, onnipresente e onnipotente, se condensa tutto ciò che è stato, è e deve venire, allora, poiché ha tutti gli attributi, è chiaro che non gli può mancare... l'attributo elementare dell'esistenza. Pascal era meno rocambolesco e più pragmatico, e la sua spiegazione rivela un'altra forma di asimmetria, tra chi non ha niente da perdere e noi, che rischiamo tutto se non facciamo la scommessa giusta.
Si chiama, tra l'altro, “la scommessa di Pascal”, ed elenca quattro possibilità e le loro combinazioni. O Dio esiste o non esiste; o ci crediamo, o no. Se non esiste e non ci crediamo, nessun problema. Se non esiste e noi ci crediamo, una perdita di tempo, ma senza grosse conseguenze. Se esiste e noi ci crediamo, per nostra fortuna, ma se esiste e noi non ci crediamo, il fuoco dell'inferno. Nel dubbio, quindi, è meglio credere.
C'era chi, come Epicuro, poneva la domanda ovvia: se Egli è buono e potente, da dove viene il male? Perché il male – guerra, sofferenza, malattia, ingiustizia – è innegabile. La sua ipotesi (motivo per cui Epicuro è un filosofo, non un teologo) è che o Dio è davvero buono, ma non può fare molto, oppure può fare tutto, ma non ha intenzioni così buone.
Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi che ha vinto il Premio Goethe per la letteratura, ha affrontato l'asimmetria intrinseca delle religioni in almeno tre saggi: totem e tabù, in cui scruta il giudaismo (le sue radici), Il futuro di un'illusione, in cui passa in rassegna il cristianesimo (la società del suo tempo e del suo ambiente), e O disagio della civiltà, un testo che avrebbe potuto essere concepito nel XXI secolo, data la sua rilevanza.[Xvi] La conclusione è la stessa: la religione era indispensabile per la costruzione dell'edificio civilizzante, sia con i suoi riti (per placare le nostre angosce) sia con i suoi divieti (per mantenere coese le nostre società, per impedirci di cannibalizzarci), ma dovrebbe, se il mondo prende un corso migliore, essere sostituito dall'istruzione.
Per lui la religione nasce da un'arcaica asimmetria psichica, tra padre e figlio, tra il detentore della legge e colui che deve essere addomesticato e addomesticato, tra il super-io giudizioso e un inconscio caotico e selvaggio. Freud non si faceva illusioni sulla maggioranza degli uomini: la comunità umana è asimmetrica, sì, e la maggioranza doveva essere frenata da comandamenti altamente coercitivi, (leggi: religioni) altrimenti la civiltà sarebbe affondata in un minuto. Ma Freud sperava anche che venisse un tempo in cui gli uomini, tutti adeguatamente istruiti (cioè autorepressi), avrebbero potuto fare a meno della superstizione (la dipendenza da quell'asimmetria esterna che, attraverso la paura, frena la ferocia), e basare le proprie azioni sulla regola morale, sulla semplice soddisfazione di fare il bene, e non sul timore della punizione.
La psicoanalisi non incensa Dio, ma ammette che le religioni hanno fatto di più che narcotizzare, erano più che “l'oppio del popolo”. I monoteismi, con la loro definitiva polarizzazione tra il Protagonista del cosmo e noi, meri comprimari, sarebbero stati un anticipo rispetto al più inquieto e anarchico politeismo e panteismo, in cui l'asimmetria si stempera e praticamente scompare nell'identificazione tra natura e Creatore, generando una pericolosa simmetria tra pietra e fiore, uomo e animale, un'azzardosa insinuazione che da tutto promana lo stesso slancio divino, una divinità distribuita con equità, quindi abbastanza dispendiosa.
Questa sarebbe stata la grande impresa compiuta dai monoteismi contro le religioni semplicistiche e dolcissime che li hanno preceduti: la distruzione della religiosità individualistica, sia essa quella dell'animista, del credente tiratore libero o del mistico egocentrico.
Ma l'asimmetria finale, la “politica”, è ciò che è stato consumato con l'epurazione dei poeti di Dio da parte dei burocrati della fede. È la persecuzione storica, in tutte le fedi, di mistici, dissidenti, credenti liberi di pensare. È con la vittoria politica delle Chiese intronizzate che si consolida la più banale delle asimmetrie religiose, quella delle cariche, delle funzioni, dei ruoli e, soprattutto, dei benefici (materiali). Fu solo con il consolidamento della religione come istituzione che si aprì lo spazio per l'Inquisizione, il Indice Librorum Prohibitorum, Jihad, estremismo telepredicatore, insomma, affinché i fondamentalismi di ogni genere potessero prosperare. Qui l'asimmetria ha raggiunto il suo culmine, diventando, paradossalmente, il suo contrario. Divenne una simmetria storta: la lotta di tutti contro tutti, la guerra santa in nome di Colui che, a ben vedere, è lo stesso.
*Marilia Pacheco Fiorillo è professore in pensione presso la USP School of Communications and Arts (ECA-USP).
note:
[I] Si veda la chiara e illuminante argomentazione di Suzanne Langer, discepola di Ernst Cassirer, in Filosofia in una nuova chiave: uno studio sul simbolismo della ragione, del rito e dell'arte, Pressa dell'Università di Harvard, 1957.
[Ii] Da Anselmo a Cartesio a Leibniz, da Pascal (la prudenza) a Kant, in quest'ultimo la sofisticata soluzione della Ragion Pratica che esige un Essere Supremo come fondamento della moralità e lo slancio per la virtù, la felicità e la giustizia.
[Iii] Fiorillo, Maria, Il Dio esiliato: breve storia di un'eresia. Rio de Janeiro, Civiltà brasiliana, 2008.
[Iv] Otto, Rodolfo. il sacro. Edizioni 70, Lisbona, s/d.
[V] A 'promessa di bonheur' di cui parlava Stendhal.
[Vi] Boyer, Pasquale, Religione spiegata, Libri di base, Perseus Books Group, 2001
[Vii] Bertrand Russell fa una lamentela di questo genere nel brano in cui chiede perché nei vangeli ci sia così poca carità e amore per gli animali e le piante: i poveri maiali, indemoniati, non vengono risparmiati dall'abisso, e l'albero è condannato a seccarsi su. (“Perché non sono cristiano”. In: prove, Mostra del libro Ed Livraria, 1965).
[Viii] Ottone, Rodolfo, idem
[Ix] Arendt, Hannah: vale la pena rivedere il suo splendido saggio su “Il papa buono” in uomini in tempi bui.
[X] Chi arriva più sinteticamente a questa definizione è il drammaturgo nordamericano Arthur Miller, autore, tra le altre commedie, di La seduzione del male, in cui riprende l'episodio storico del processo e dell'assassinio delle presunte streghe di Salem, magnifico studio della nevrosi religiosa e delle sue nefande implicazioni politiche.
[Xi] ragazzo, idem
[Xii] Boyer non è il solo a collegare religione e ossessione; la psicoanalisi, sin dal maestro fondatore S. Freud, associa tradizionalmente la nevrosi ossessiva al comportamento rituale religioso.
[Xiii] Fiorillo, M. Il dio esiliato: breve storia di un'eresia. Rio de Janeiro, civiltà brasiliana. Le citazioni nella sequenza sono tratte dal libro.
[Xiv] In Aristotele l'uomo felice è l'uomo libero che partecipa alla vita della città
[Xv] Hum, D. Dialoghi sulla religione naturale. Londra: Dover Philosophical Classics, 2006.
[Xvi] freud, s. Opere complete, Editoriale Biblioteca Nueva, 1981.