da LUIZ WERNECK VIANNA*
Si tratta di riportare il Paese sui sentieri che ci ha fatto deviare un governo criminale
La riconquista della democrazia, processo apertosi con la vittoria dell'ampio fronte politico intorno alla candidatura Lula-Alkmin, si afferma ogni giorno nonostante la sedizione di settori della categoria dei camionisti che occupavano le strade in rivolta per il risultato di le urne, chiedendo a gran voce l'intervento militare. A questo punto è già chiaro il carattere metodicamente concertato di questo movimento sedizioso, che i padroni di casa bolsonaristi avevano come pallottola d'argento per promuovere il tumulto e il caos con cui avrebbero giustificato il golpe nelle istituzioni che avevano tramato.
A causa della mancanza di sostegno politico e militare, la cospirazione sfociò nell'ennesimo tentativo frustrato dello storico golpista di Jair Bolsonaro, costretto, ancora una volta, a disfare la sedizione da lui ispirata, chiedendo ai suoi camionisti di abbandonare le strade e tornare alla loro routine , molti dei quali alla portata dei rigori della legge. La sconfitta di questa sconsiderata incursione antidemocratica ha l'effetto di allertare sui rischi che la nostra democrazia andrà incontro nella sua imposizione: i semi perversi dell'autoritarismo fecondati in quattro anni dalla predicazione fascista hanno trovato terreno per dare i loro frutti, come si è visto nel processo elettorale e ora in questa ribellione.
L'orizzonte che si apre per il governo Lula-Alkmin, di fronte a questa cultura antidemocratica che è germogliata tra noi, richiede azioni ancora più inventive e audaci di quelle mobilitate nella vittoriosa disputa elettorale. In questo obiettivo, il raggio d'azione del fronte politico a sostegno del governo deve sondare, senza alcuna limitazione, tutte le possibilità di allargarne l'ambito, nel senso di inglobare chiunque rifiuti il fascismo come ideologia politica. In questo senso, il raggruppamento politico noto come Centrão e altre forze rappresentative del conservatorismo brasiliano, comprese quelle che nella disputa elettorale si sono schierate con la candidatura di Jair Bolsonaro, dovrebbero essere oggetto di interpellanze in apposite agende da parte del governo democratico.
Il fascismo ha radici storiche nel nostro Paese, talvolta presenti in partiti e movimenti sociali, come negli anni '1930 con l'integralismo, che attirò ampi settori degli strati medi, intellettuali e militari, talvolta come ideologia nascosta dello Stato, come nel 1937 costituzione che bandì i partiti politici e giurò a morte gli ideali liberali, sottoscrivendo le argomentazioni di Carl Schmitt, ideologo del nazismo hitleriano, ispiratore dell'allora ministro della Giustizia Francisco Campos, autore di quel celebre testo.
Questa costituzione libertaria fu revocata con il rovesciamento di Vargas, ma molte delle sue disposizioni sopravvissero nella Carta del 1946, in particolare la sua legislazione sindacale, che non solo criminalizzava gli scioperi ma poneva anche la vita associativa dei lavoratori sotto la tutela dello Stato, in franco importazione del Carta del Lavoro del fascismo italiano. La costituzione democratica del 1988, pur epurando da questa legislazione disposizioni autoritarie, ha mantenuto legami che conservano ancora i sindacati nell'orbita dello Stato, compromettendone la piena autonomia.
Soprattutto, le radici più profonde del nostro autoritarismo derivano dal processo di modernizzazione qui avvenuto dal 1930 in poi, operato a partire da Getúlio Vargas, nel senso di rendere compatibili le vecchie élites agrarie con quelle emergenti nate dall'industrializzazione. Ne è un esempio lampante il fatto di tenere i lavoratori del mondo agricolo fuori dal sistema di tutele creato dalla legislazione del lavoro. Come in Italia e in Germania, che subirono regimi politici fascisti dopo processi di modernizzazione conservativa a metà del diciannovesimo secolo, le diverse ondate di modernizzazione brasiliane, come negli anni '1930 e '1960, portarono al rafforzamento dei legami tra le élite e quelle dell'industria comunità imprenditoriale, da cui il moderno agrobusiness è il risultato. La modernizzazione ha impedito il nostro passaggio al moderno.
Nel caso brasiliano, questo processo di conservazione del potere delle élite agrarie si è manifestato anche nel processo di abolizionismo, nonostante la predicazione dei suoi principali leader, come André Rebouças e Joaquim Nabuco, a favore di una distribuzione della terra agli emancipati dalla schiavitù. L'abolizione ha aggirato la questione della terra, che ha frustrato il primo movimento per formare un'opinione pubblica effettivamente nazionale.
Togliere radici così profonde richiede tempo e richiede coraggio, saggezza e prudenza, virtù presenti negli articolatori, Lula in testa, che hanno saputo condurci alla vittoria sulle schiere fasciste nella successione presidenziale. Il nascente governo democratico deve guidare lo stesso percorso, guidando ogni passo verso il ritorno al Paese per i sentieri da cui eravamo stati deviati alla ricerca del reincontro con gli ideali civilizzatori da cui un governo criminale ha cercato di tenerci lontani.
*Luiz Werneck Vianna è professore presso il Dipartimento di Scienze Sociali del PUC-Rio. Autore, tra gli altri libri, di La rivoluzione passiva: iberismo e americanismo in Brasile (Revan).
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