Repubblica del capitale: capitalismo e processo politico in Brasile

Immagine: Lin Baririe
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da ARTHUR SALOMONE

Commento al libro di Décio Saes

Svelare le interazioni tra il processo politico e le dinamiche dello sviluppo capitalistico è, senza dubbio, un compito primario del campo marxista. Alla fine del 2023, ai ricercatori interessati a tali collegamenti è stata presentata una nuova edizione di Repubblica del capitale: capitalismo e processo politico in Brasile, un'opera in cui l'azione politica delle classi sociali e le dinamiche di sviluppo del capitalismo brasiliano sono sottoposte all'accurata osservazione di Décio Saes.

Professore in pensione di scienze politiche all'Unicamp, Décio Saes è uno dei pionieri nell'introdurre le questioni althusseriane e la teoria politica poulantziana sul suolo brasiliano. Ha partecipato alla formazione di un gruppo significativo di marxisti ed è considerato dagli analisti della produzione intellettuale brasiliana il responsabile dell'inaugurazione della scuola poulantziana di Campinas (Berringer, 2020), un insieme di studi influenzati dagli strumenti teorici sviluppati da Nicos Poulantzas in Potere politico e classi sociali (2019[1968]).

Nella sua carriera, segnata dall'armonia tra rigore teorico e ampia ricerca storica, si dedicò, in primo luogo, allo statuto teorico e all'azione politica del ceto medio. Nella sua cattedra, dopo una “profonda assimilazione” del marxismo althusseriano (Martuscelli; Nucci Jr., 2020), ha formulato un’interpretazione innovativa della rivoluzione politica borghese e della formazione dello Stato borghese in Brasile. Negli ultimi anni ha intrapreso l'analisi dei regimi politici brasiliani, dell'evoluzione della cittadinanza e, più recentemente, della formazione del sistema educativo pubblico.

Il libro è il risultato di una ricerca a lungo termine dell'autore sulla politica brasiliana nelle sue dimensioni istituzionali, ideologiche e comportamentali. Décio Saes, come pochi altri in ambito accademico, unisce un linguaggio chiaro e obiettivo ad analisi ricche e sofisticate. I capitoli coprono un lungo periodo storico: dalla transizione dalla schiavitù moderna ai governi neoliberisti degli anni ’1990.

In totale, tredici articoli compongono la raccolta, sei dei quali erano già presenti nella prima edizione – lanciata nel 2001 – e sette inclusi grazie al prezioso lavoro di riorganizzazione e ampliamento portato avanti da Angelita Matos Souza e Danilo Martuscelli. In vista di questo sforzo, il lavoro è stato suddiviso in quattro blocchi di testi raggruppati per temi intersezionali e questioni teoriche correlate.

Il primo blocco, intitolato “Rivoluzione borghese in Brasile”, riunisce tre testi profondamente collegati sulla formazione dello Stato borghese in Brasile, sulla trasformazione della moderna struttura giuridico-politica della schiavitù e sugli agenti sociali che hanno innescato questo processo. In breve, la domanda che guida questo blocco è quando in Brasile sarebbe emerso un moderno Stato borghese. In questa triade, l'autore espone la sua originale lettura della rivoluzione politica borghese brasiliana basata sulle problematiche althusseriane, pienamente contenuta nella sua tesi del libero insegnamento.

Nel primo dei testi, “La partecipazione delle masse brasiliane alla rivoluzione contro la schiavitù e contro la monarchia (1889-1891)”, Décio Saes si oppone alla tesi secondo cui i coltivatori di caffè di Oeste Novo a San Paolo sarebbero stati i principali protagonisti della rivoluzione antischiavista e antimonarchica avvenuta tra il 1889 e il 1891.

Per l’autore, l’interesse del blocco repubblicano del caffè a rafforzare i meccanismi di dominio della sua forza lavoro ne ha limitato le azioni e lo ha portato ad adottare una strategia politica di compromesso con la vecchia classe dominante proprietaria di schiavi. Riposizionando il ruolo delle classi dominate in questo processo, Décio Saes sostiene che questa rivoluzione è stata innescata da un movimento sociale contro la schiavitù che ha riunito le rivolte delle masse schiavizzate e l’egualitarismo legale della classe media urbana.

In “Florestan Fernandes e la rivoluzione borghese in Brasile”, Décio Saes discute il classico “saggio di interpretazione sociologica” sulle origini del regime capitalista brasiliano e sulla formazione del nostro ordine sociale competitivo. In primo luogo, critica l'eclettismo teorico di Florestan Fernandes rendendo compatibili due distinte questioni teoriche: la questione marxista dell'attuazione del rapporto di lavoro salariato capitale con la questione weberiana della diffusione della razionalità nella vita sociale.

Si contrappone poi alle tesi di Florestan Fernandes riguardo: (a) la periodizzazione della rivoluzione borghese brasiliana; (b) la definizione dei protagonisti storici; e (c) la specificità della nostra rivoluzione. In sintesi: secondo l'analisi di Florestan Fernandes, la rivoluzione borghese in Brasile iniziò con la decolonizzazione del 1822 e trovò i suoi agenti sociali nel coltivatore di caffè e nell'immigrato. In un altro modo, dal punto di vista di Saes, l'inizio della rivoluzione avvenne con la rottura della schiavitù nel 1888 guidata dagli schiavi rurali e dalla classe media urbana.

Chiudendo il primo blocco, il testo “L’evoluzione dello Stato in Brasile (un’interpretazione marxista)” comprende un’analisi dei diversi schemi interpretativi del fenomeno statale in Brasile e una proposta alternativa guidata dalla funzione sociale dello Stato e dalla scoperta del contenuto della sua struttura giuridico-politica.

Décio Saes riassume innanzitutto due concezioni non marxiste sull’evoluzione dello Stato in Brasile: la preponderanza del potere privato sullo Stato e l’essenza patrimoniale dello Stato brasiliano. In comune, entrambi suggeriscono che lo Stato è un’entità che può esistere in qualsiasi società. Nonostante i molteplici approcci, il marxismo sostiene che ogni Stato ha una funzione sociale: garantire la coesione dell’attuale società classista e controllare il conflitto tra classi antagoniste.

Infine, Décio Saes caratterizza la successione di due strutture giuridico-politiche predominanti in Brasile, anche se i regimi politici nel periodo successivo al 1930 variarono: una moderna struttura schiavistica, dal XVI secolo fino al 1888, e un'altra struttura politico-giuridica borghese, dal 1888. fino ai giorni nostri.

Il blocco tematico “Bilancio degli impatti della rivoluzione borghese in Brasile sulla configurazione politico-istituzionale ed economica del periodo repubblicano” è l'unico con quattro testi. Nonostante la portata degli oggetti e dei temi, una delle sue tesi principali è che il modello di evoluzione della cittadinanza e dei diritti sociali sono, in ultima analisi, condizionati dal livello di sviluppo capitalistico di una formazione sociale, il che implica considerare la configurazione dell’egemonia politica all’interno il blocco del potere e il palcoscenico delle lotte popolari.

Il quarto testo del libro – il primo del secondo blocco – è intitolato “Capitalismo e processo politico in Brasile: il percorso brasiliano allo sviluppo del capitalismo”. In esso, Décio Saes delinea una panoramica del processo di transizione al capitalismo in Brasile e dei percorsi di sviluppo capitalista adottati nel Paese.

Inizialmente, si ricorda che la transizione brasiliana è avvenuta da una società schiavistica caratterizzata dal basso sviluppo delle forze produttive, senza una fase feudale e senza la distribuzione di grandi proprietà fondiarie. Tali caratteristiche ebbero ripercussioni sul successivo sviluppo capitalistico: un processo di industrializzazione più accelerato guidato dalla classe media urbana in cui una fragile borghesia industriale si trovò ad affrontare un mercato interno ristretto.

Nel testo “Democrazia e capitalismo in Brasile: equilibri e prospettive”, Décio Saes discute il carattere limitato e instabile delle esperienze democratiche brasiliane della Prima Repubblica e della Repubblica del 1945-1964. La sua tesi centrale è che il “deficit democratico” brasiliano, lungi dall’essere il risultato di tratti culturali originali, è strettamente correlato allo sviluppo del capitalismo in Brasile e alle crisi di egemonia all’interno del blocco di potere.

Nella prima esperienza emersero due limiti: l’assenza di un effettivo pluralismo partitico e il funzionamento più apparente che reale di un “sistema dei partiti dominanti”. Nella Quarta Repubblica, situata in un’altra fase della rivoluzione borghese, il sistema multipartitico occupa un posto secondario nel processo decisionale statale, poiché è la burocrazia a dirigere la politica di industrializzazione. Inoltre, le classi lavoratrici urbane saranno politicamente controllate dallo Stato, sia dai sindacati che dal partito laburista.

Alla fine, l’autore elenca anche tre limiti del regime politico della Nuova Repubblica: la sopravvivenza del processo di militarizzazione dell’apparato statale, l’iperpresidenzialismo e l’ascesa della burocrazia statale nel processo decisionale statale.

Il testo “La questione dell’evoluzione della cittadinanza politica in Brasile” caratterizza le limitazioni imposte alla cittadinanza politica nei diversi periodi repubblicani e mette in relazione queste limitazioni con le lotte popolari e le configurazioni assunte dall’egemonia politica delle classi dominanti. Il contenuto centrale del testo è l’approccio all’evoluzione instabile e intermittente della cittadinanza e ai suoi limiti, costituzionali o pratici, tra il 1891 e il 1988.

Le limitazioni della cittadinanza nella Prima Repubblica, ad esempio, erano il risultato del controllo del voto da parte delle classi dominanti, ma non della costituzionalità dei diritti politici. D’altra parte, nel periodo dal 1930 al 1937, la dimensione borghese-liberale della cittadinanza si evolse con l’incorporazione del suffragio femminile e l’instaurazione della giustizia elettorale e del voto segreto, poi liquidati dall’Estado Novo.

Successivamente, la democrazia populista ripristinò il diritto di voto e vide l’inclusione di un elettorato ampio nelle grandi città, meno sottomesso alle pratiche coronelistiche. Infine, Décio Saes osserva anche che il trattamento della cittadinanza politica durante la dittatura militare era complesso, poiché la conservazione di un simbolismo liberal-democratico conferiva al regime un’aria di legittimità. Si percepisce così il carattere instabile e intermittente della cittadinanza, strettamente legato alle caratteristiche della formazione sociale brasiliana.

Lo schema teorico del capitolo precedente è testato empiricamente in “Diritti sociali e transizione al capitalismo: il caso della Prima Repubblica brasiliana (1889-1930)”, ultimo articolo del secondo blocco. La discussione iniziale sul concetto di diritti sociali spiega didatticamente come tali diritti siano soggetti a revoca e non siano universalmente distribuiti tra segmenti delle classi lavoratrici.

Décio Saes ci mostra poi come la configurazione dei diritti sociali nella Prima Repubblica fosse legata agli interessi delle forze sociali di quella situazione, essendo una legislazione sociale tipica di una formazione sociale nel processo di transizione dalla schiavitù moderna al capitalismo. La borghesia mercantile-esportatrice, sotto la pressione delle classi medie, accettò la legislazione sulla previdenza sociale per le categorie professionali strategiche per i suoi interessi. D’altro canto, la proprietà della terra adottò un atteggiamento difensivo – nonostante le libertà civili elementari – e la borghesia industriale si oppose alla legislazione sulle fabbriche, trattenendo la propria forza lavoro attraverso pratiche filantropiche e coercizione psicologica.

Il terzo blocco “Classi e conflitti di classe nella lunga storia della politica brasiliana (1889-1989)” riunisce tre testi meno allineati in termini di oggetti teorici o problemi di ricerca, ma temporalmente articolati nella discussione dei conflitti di classe in congiunture successive. I temi fondamentali di questo blocco sono l’egemonia politica nel blocco di potere, la funzione statale disorganizzante delle classi lavoratrici e il posizionamento politico della classe media.

In “Stato capitalista e classe dominante”, Décio Saes elabora brevi commenti al libro “Stato e capitale del caffè a San Paolo (1889-1930)” di Renato Perissinotto – un’opera dedicata al rapporto instauratosi tra la burocrazia statale di San Paolo e le grandi imprese capitale del caffè in questo periodo. In sintesi, i commenti si collocano su tre livelli:

(a) critica all'incoerenza teorica di Perissinotto nel coniugare il frazionamento poulantziano degli interessi della classe dominante con una “sociologia dei gruppi sociali”; (b) valutazione della tesi del lavoro sulla natura conflittuale tra la burocrazia statale di San Paolo e il grande capitale del caffè, suggerendo che i conflitti politici tra la frazione egemonica e la burocrazia sono comuni, dato il ruolo della burocrazia nel mantenere l'unità politica del gruppo del blocco di potere; (c) disaccordo con la premessa teorica secondo cui la burocrazia statale agisce in modo strumentale, cercando sempre di garantire l’espansione del settore economicamente più potente della classe dirigente.

L'articolo successivo può essere considerato una sintesi degli studi di Saes sul ceto medio. In “Classe media e politica in Brasile (1930-1964)”, l'autore affronta le posizioni politiche assunte dalla classe media brasiliana dalla Rivoluzione del 1930 fino al colpo di stato del 1964, oltre a fornire una descrizione precisa del concetto di classe media e del suo frazionamento. La sua tesi generale è che la classe media, pur unita nel culto comune della gerarchia del lavoro, tende a dividersi politicamente.

Fatta eccezione per un'unità temporanea nella crisi politica del 1930, la Prima Repubblica e il periodo 1930-1964 confermano questa affermazione. Da un lato, lo strato superiore della classe media, basato su un discorso liberale e anti-interventista, ha sostenuto la politica condotta da – e per – la borghesia commerciale egemone e, nel periodo successivo, ha resistito all’ascesa del protagonismo politico delle classi popolari. D’altro canto, i ceti medio-bassi sono passati da una critica diffusa alla politica oligarchica, presente nei disordini popolari e nelle manifestazioni spontanee, al rafforzamento del ruolo dello Stato come promotore del loro benessere materiale, soprattutto attraverso il loro attaccamento all’azione sindacale. .

Infine, il saggio si conclude discutendo il predominio dell’alta borghesia e il suo discorso antipopolare e anticomunista nella crisi politica del 1964, anche se la paura della proletarizzazione, la difesa dell’ordine e la propaganda anticomunista attirarono anche segmenti della classe medio-bassa.

L'ultimo testo del terzo blocco tocca due aspetti del ruolo svolto dallo Stato rispetto alle classi sociali: (i) l'organizzazione dell'egemonia di una frazione della classe dominante nel blocco di potere; e (ii) la disorganizzazione politica delle classi dominate. Nella prima parte di “Stato e classi sociali nel capitalismo brasiliano negli anni '1970/'1980”, Décio Saes analizza l'oligopolizzazione delle banche durante il regime militare e la ripresa della forza politica di questo settore. In opposizione alle tesi che puntano all’egemonia della borghesia industriale nel periodo successivo al 1964, esso sostiene che è il capitale bancario a detenere l’egemonia nel blocco di potere.

Tuttavia, data la visione socialmente negativa della sua attività “parassitaria”, la sua egemonia viene esercitata in condominio con la frazione monopolistica industriale, responsabile dell’organizzazione ideologica sulle classi lavoratrici. Nella seconda parte del testo, Décio Saes discute le modalità con cui lo Stato brasiliano, durante il regime militare, ha disorganizzato le classi dominate. Oltre alla tradizionale individualizzazione degli agenti produttivi, ciò è avvenuto attraverso la corporatizzazione dei lavoratori attraverso il sindacalismo statale, l’aperta repressione delle rivendicazioni e l’attrazione delle masse verso politiche localizzate spazialmente e professionalmente.

Il titolo dell’ultimo blocco tematico del libro è preciso nella temporalità degli articoli: “Dalla transizione al regime democratico negli anni Ottanta alla politica neoliberista negli anni Novanta”. I suoi testi, più brevi dei precedenti, delineano le riflessioni di Saes sulla ridemocratizzazione, i resti della dittatura militare, l'introduzione del neoliberismo in Brasile e il ritorno del populismo sulla scena politica brasiliana.

Il testo che apre il quarto blocco – “La questione della 'transizione' dal regime militare alla democrazia in Brasile” – affronta le critiche alle tesi che individuavano, già nel 1988, un processo di ridemocratizzazione il cui risultato sarebbe stato necessariamente l'avvento di una democrazia piena. Da questo punto di vista, la forma di Stato e il regime politico brasiliano dell’epoca sarebbero un misto di democrazia e dittatura. Al contrario, Saes riteneva che le Forze Armate esercitassero ancora un forte controllo sul processo decisionale statale, agendo attraverso una sorta di rete statale parallela che attraversava orizzontalmente i diversi rami dell'apparato statale.

Oltre a questo aspetto, Décio Saes mette in discussione anche la comprensione di questa dinamica come attuazione rigorosa di un progetto unico e intenzionale, sia esso della borghesia o delle Forze Armate. A suo avviso, dato che i processi sociali dipendono dalla correlazione delle forze e coinvolgono agenti collettivi nella lotta, il risultato sarà l'intersezione di molteplici progetti.

In “La politica neoliberista e il campo politico conservatore nell’attuale Brasile” viene rivisitata la questione dell’egemonia politica di una frazione specifica, ora limitata al periodo neoliberista dei governi guidati dal PSDB. Inizialmente, Décio Saes definisce la politica neoliberista come qualsiasi azione statale che contribuisce allo smantellamento dell’indipendenza economica nazionale, alla promozione del benessere sociale, alla piena occupazione e alla mediazione dei conflitti socioeconomici. Tuttavia, è difficile per i governi neoliberisti attuare pienamente un simile programma, poiché le condizioni storiche di ciascuna formazione sociale variano.

Nel caso brasiliano, il ritmo di attuazione di tali misure è stato più moderato di quanto previsto dal governo, incontrando resistenze anche da parte della sua base di sostegno. La grande borghesia industriale, le grandi banche nazionali e persino settori delle classi lavoratrici, come la classe media, non hanno aderito all’intero programma neoliberista, poiché alcuni aspetti di queste politiche danneggiano interessi particolari. Per Décio Saes, la resistenza al programma neoliberista è stata, quindi, uno degli elementi esplicativi della lentezza dell’attuazione del neoliberismo in Brasile.

Il capitolo finale del libro tratta dei legami tra il populismo e la fase neoliberista del capitalismo. In “Populismo e neoliberalismo”, il tema centrale è il riemergere del populismo – tipicamente usato per designare un processo, situato nella transizione al capitalismo, di sostituzione dell’organizzazione partitica politica delle classi lavoratrici con l’azione statale identificata in un leader – come forma di smantellare lo Stato e ripristinare la libertà del mercato.

Alla fine, Décio Saes suggerisce che la ragione del ritorno del populismo potrebbe risiedere nell’“effetto socialmente perverso” dell’interventismo nell’agire a beneficio della borghesia monopolistica privata, ma non nel difendere le masse lavoratrici.

Insomma, il libro contiene riflessioni significative per chi è impegnato a interpretare il capitalismo brasiliano e – cosa altrettanto importante – a trasformarlo. Data l’ampiezza del lavoro, ma consapevoli che la fortuna critica di Saes va oltre i nostri commenti, osiamo evidenziare alcuni aspetti rilevanti e utili di tre temi ricorrenti nel percorso di Saes: l’azione politica della classe media, l’azione della borghesia Stato e configurazione del regime politico e della cittadinanza nel processo politico.

In primo luogo, Décio Saes si distinse per essere uno dei pochi ricercatori marxisti con contributi teorici ed empirici sulle classi medie. Nella direzione opposta al rifiuto predominante del concetto di classe media in ambito marxista, la sua analisi contraddice il loro riduzionismo ed economicismo e mette in luce che le classi medie sono un attore politico storicamente fondamentale nel processo politico brasiliano. Presentando posizioni politiche diverse, le classi medie erano una base sociale di sostegno e agenti attivi di numerosi cambiamenti sociali e politici in Brasile. Ignorare completamente il ruolo e l’importanza di questo settore sociale, oltre a rappresentare un ostacolo ideologico, è un errore evidente.

In secondo luogo, il recente predominio di ricerche situate nell’ambito del post-strutturalismo o del post-modernismo, contrarie alle questioni macrostrutturali e spesso inclini all’individualismo neoliberista, ha rimosso lo Stato e le classi sociali dall’elenco degli oggetti teorici. In effetti, riprendere questi oggetti e recuperare la loro totalità è diventato un compito sempre più necessario per coloro che valutano che gli interessi dei settori sociali non sono così casuali come presuppone il volontarismo di queste prospettive. In questo senso, Décio Saes ha molto da offrire con un’analisi totalizzante del dominio di classe in un paese segnato da molteplici forme di disuguaglianza.

Terzo: in un contesto in cui la corrente dominante della scienza politica opta per l'analisi delle istituzioni scollegate dalla società e dall'economia, la ricerca di Saes sul regime politico ci aiuta a comprendere profondamente i dilemmi e i limiti delle istituzioni politiche brasiliane.

Attualmente, in un periodo in cui l'egemonia del capitale finanziario internazionale ci lascia con un progetto di cittadinanza limitata, i contributi teorici e pratici di Décio Saes sono essenziali per cambiare questo Stato e difendere diritti effettivi per i diversi segmenti delle classi lavoratrici. A chi si è trasferito prassi, lascia il messaggio che la lotta per espandere la cittadinanza deve essere costante e implicare la costruzione di progetti, intense lotte popolari e il confronto con gli interessi del blocco al potere.

Infine, ancora più essenziale, data l'attualità del tema, è l'utilità dei contributi di Décio Saes per esaminare l'emergere del neofascismo e dell'estrema destra contemporanea. Sullo sfondo del neoliberismo, tali fenomeni si rivelano profondamente connessi con gli interessi delle classi dominanti, con l’azione politica dei settori più conservatori degli strati intermedi e con impatti significativi sulle condizioni di vita delle classi popolari.

*Arturo Salomone è un dottorando in scienze politiche presso Unicamp.

Riferimento


Decio Saes. Repubblica del capitale: capitalismo e processo politico in Brasile. San Paolo, Boitempo, 2023, 304 pagine. [https://amzn.to/4cbVVSo]

Bibliografia


BERRINGER, Tatiana. La Scuola Campinas: analisi poulantziana della politica brasiliana. Critica marxista, NO. 51, pag. 37-56, 2020.

MARTUSCELLI, Danilo; NUCCI JR, Renato. Politica e classi sociali in Brasile: riflessioni sull'opera di Décio Saes. In: MACIEL, D; COSTA NETO, P; GONÇALVES, RJM (org). Intellettuali, politica e conflitti sociali. Goiânia: Editora Kelps, 2020.

POULANTZAS, Nicos. Potere politico e classi sociali. Campinas: Editora da Unicamp, 2019 [1968].


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