da PIERRE BOURDIEU*
Testo del libro postumo, recentemente pubblicato in Brasile
Epistemologia e sociologia della sociologia (1967)
Non intendevo in alcun modo parlare di un modello e, come Pierre Gréco, Avendo appena detto più o meno quello che avrei detto se avessi accettato di parlare dell'argomento, ribadisco la mia intenzione. Vorrei tentare di esporre, molto brevemente, non il problema epistemologico del modello in sociologia, ma, più precisamente, la questione sociologica delle condizioni in cui si pone la questione dei modelli in sociologia, per cercare di mostrare che la sociologia contiene internamente il potere di riflettere su se stessa e, in particolare, di riflettere sulla propria scientificità.
Lo faccio […] con molti secondi fini. Credo infatti che la situazione particolare della sociologia, e più precisamente la situazione della sociologia rispetto alle scienze naturali e ai metodi da esse proposti, sia tale che varie fantasmagorie dell'aspetto scientifico, alle quali si abbandonano certi sociologi, siano il prodotto del rapporto – vissuto nella malattia o nel disagio – che la sociologia e, […] più in generale, le scienze umane intrattengono con le scienze naturali.
Mi sembra che non possiamo, allo stato attuale delle cose, riflettere sui problemi specifici posti dall’epistemologia delle scienze umane senza riflettere sulle condizioni sociali in cui questi problemi epistemologici sorgono. E, al tempo stesso, vorrei cercare di mostrare, o meglio, indicare come un certo numero di riflessioni epistemologiche tradizionali, elaborate essenzialmente in relazione alle scienze naturali, possano essere valorizzate nella loro portata ed estensione, a condizione che il ritorno ad un contesto propriamente sociologico.
Ricorderò solo quello che ha detto Pierre Gréco all'inizio, quando ha descritto grosso modo le tre posizioni principali che i sociologi o gli psicologi assumono, più spesso implicitamente che esplicitamente, rispetto al problema della teoria; tali posizioni possono, come ha suggerito Gaston Bachelard, raggrupparsi in coppie di posizioni simmetriche rispetto ad una posizione epistemologica centrale, che si caratterizza prevalentemente per il superamento di tali opposizioni, il più delle volte fittizie.,
Allo stato attuale delle cose, la sociologia è spesso [divisa] in gruppi sociali che si organizzano attorno a divisioni epistemologiche. Ciò significa che le opposizioni tra formalismo e positivismo, o tra filosofia sociale e cieco iperempirismo, quelle che l’epistemologo può descrivere come coppie di posizioni complementari e opposte, sono, in realtà, sostenute da gruppi che occupano determinate posizioni in un campo intellettuale all’interno del quale essi diventare posizioni sociali.
Mi sembra, quindi, che sia in riferimento alla struttura di un certo campo epistemologico in un dato momento che le opposizioni […] (e lì troveremmo il problema dei modelli o, più precisamente, il problema del rapporto tra sociologi e modelli) assumono il loro reale significato.
Ad esempio, penso che, nell’attuale [congiuntura], sia impossibile comprendere la situazione epistemologica delle scienze umane senza vedere il ruolo che l’immagine, mutilata e mutilante allo stesso tempo, terrificante e affascinante, gioca nella pratica propriamente sociologica. delle scienze naturali. È stato giustamente detto in precedenza che i professionisti delle scienze umane trarrebbero grande beneficio dall'immergersi nello spirito delle procedure logiche o matematiche piuttosto che nelle tecniche più esterne e più meccaniche.
In effetti, i rapporti tra scienze umane e scienze naturali possono essere descritti secondo una logica che la sociologia dei contatti tra civiltà conosce molto bene: a causa della dualità di formazione menzionata da Marc Barbut, i sociologi, nella maggior parte dei casi, sono formati come letterati e percepiscono le scienze naturali in base a leggi di “prestito culturale”, cioè percepiscono la forma più che la funzione, i segni esterni delle operazioni più dello spirito che le compie, così che si riproducono meccanicamente il più meccanico nelle operazioni.
Potremmo prendere l’esempio della statistica, che [comprende] tutta un’epistemologia: basterebbe riflettere su cosa significhi effettuare un calcolo di errore o un test di significatività, ecc., per osservare che l’uso di queste tecniche, per quanto piccolo , presuppone una coscienza epistemologica estremamente acuta, una coscienza epistemologica che è, in qualche modo, assopita dalla logica del prestito. Gli etnologi hanno spesso descritto ciò che chiamano nativistico movimenti, cioè tipi di riti di rinascita, l'esempio più famoso dei quali è il "culto del carico"., Numerosi lavori di sociologi dal suono scientifico illustrano mirabilmente il paradigma del culto del carico.
Da tutto ciò deriva una conseguenza fondamentale: quando riflettiamo sullo stato attuale dello sviluppo delle scienze umane, quando ci chiediamo se la sociologia sia una scienza, ci riferiamo ad uno schema evolutivo estremamente semplicistico secondo il quale tutte le scienze passerebbero successivamente attraverso le stesse fasi, che porta all'idea della sociologia come scienza iniziale. Proposizione assurda per un semplice fatto: le scienze umane non hanno mai ripetuto la strada intrapresa dalle altre scienze, adducendo per questo la buona ragione di conoscere questa strada, in modo tale che la maggior parte dei loro errori avrebbero origine da una falsa immagine del percorso delle altre scienze.
Una categoria di professionisti della riflessione metodologica sviluppatasi tra i sociologi. Attraverso questi, l’immagine allo stesso tempo grandiosa e terrificante delle scienze naturali rischia di subire quello che un logico americano ha chiamato “effetto chiusura”: presentando un’immagine della scienza come un ideale che deve essere immediatamente realizzato, un’immagine che certi ambiti delle scienze naturali, cioè quelli più formalizzati, riescono a malapena a [realizzarsi], si corre il rischio di produrre qualcosa come un effetto di chiusura prematura o, al contrario, di provocare costruzioni fittizie che avranno solo l'aspetto esteriore più caricaturale. segni delle scienze della natura.
In questi termini, la sociologia non può dotarsi di strumenti che le consentano non tanto di rispondere alla questione della sua scientificità, ma, più concretamente, di aiutarsi in qualche modo ad avanzare verso il significato di scientificità? Se è vero che le posizioni epistemologiche sono legate a posizioni occupate in un dato campo intellettuale, penso che la sociologia della sociologia o, più precisamente, la sociologia delle condizioni sociali di produzione delle scienze sociologiche, sia una delle condizioni fondamentali per la progresso della conoscenza sociologica.
Un esempio di ciò sono i vari conflitti epistemologici che possono essere compresi analizzando le condizioni in cui vengono reclutati i ricercatori sociologici: finché i sociologi non riceveranno una formazione matematica sufficiente per proteggersi da certe fascinazioni, assisteremo ad un modello intuizionista e fantastico. la sociologia convive accanto a un formalismo non meno fantastico.
Sarebbe anche facile mostrare che un certo tipo di organizzazione sociale del lavoro intellettuale genera un certo tipo di epistemologia. Ad esempio, la divisione burocratica del lavoro, che [divide] l’équipe scientifica tra chi concepisce ipotesi e chi ricorre a classificazioni o legge tabelle, è legata a una divisione epistemologica tra formalismo e iperempirismo.
Penso che questi siano fatti su cui la sociologia si è basata affinché potessimo non solo spiegare un certo tipo di situazione di conflitto epistemologico, ma anche capire come l'analisi di tale situazione possa far avanzare, allo stesso tempo, sia la consapevolezza epistemologica dei ricercatori riguardo al rapporto che intrattengono con tutte le tecniche e, in particolare, con i modelli.
La sociologia potrebbe andare ancora oltre, cercando di analizzare, ad esempio, l’affinità che può esistere tra una posizione epistemologica [e una posizione sociale]: [queste opinioni] sul problema del determinismo nelle scienze umane probabilmente non sono distribuite a caso, [ ma] secondo l'inserimento sociale dei ricercatori, secondo la loro provenienza sociale, ecc.
Per quanto riguarda il problema del modello (perché voglio parlarne ancora un po'), vorrei solo mostrare, a titolo esemplificativo, come una certa situazione dell'ambiente sociologico generi un rapporto infelice rispetto a tutte le forme di formalizzazione. I metodologi dalle mani pure – per quanto pure possano esserlo le mani – si accontentano dell’impeccabilità, o meglio, della colpa dell’impeccabilità.
Le condizioni sociali favoriscono un rapporto con i modelli; Questo rapporto è del tutto opposto a quello descritto da Pierre Gréco, in quanto porta i sociologi interessati a “fare scienza” ad essere attratti da tutti i metodi “fantasiosi”, come l’analisi componenziale o la teoria dei grafi. Per quanto gli strumenti di controllo logico, e in particolare il modello, siano – mi sembra – insostituibili come ausili alla vigilanza epistemologica, mi sembrano anche pericolosi in una situazione in cui la loro funzione è, quasi sempre, quella di mettere a confronto le questioni epistemologiche. vigilanza per dormire.
Se sono ancora d'accordo con Pierre Gréco nel respingere il problema della specificità delle scienze umane, credo che si debba insistere sulla specificità del rapporto che le scienze sociali intrattengono con le condizioni sociali in cui si esercitano. Il sociologo deve soprattutto [raddoppiare] la sua vigilanza per difendersi contro ogni persuasione clandestina, contro ogni forma di impregnazione, contro la sociologia spontanea che è l'ostacolo epistemologico per eccellenza per le scienze umane, e non vedo altra vera difesa, allo stato attuale affari, oltre la sociologia della sociologia.
Non che io pensi che la sociologia della sociologia, o la “socioanalisi”, che lo stesso ricercatore potrebbe praticare, sia sufficiente a tutelarlo definitivamente contro tutte le seduzioni della moda e della moda. stato d'animo intellettuali del suo tempo. Penso semplicemente che si debbano creare le condizioni per una socioanalisi collettiva, in cui ogni ricercatore possa realizzare solo, anche se in modo illusorio, la sociologia della propria sociologia e le condizioni sociali capaci di ispirare in essa i suoi assunti fondamentali. .
Per andare oltre una “auto-socioanalisi”, il cui rischio è che sia solo un altro modo di porsi in uno stato di impeccabilità per accontentarsi denunciando la colpa degli altri, occorre [costituire] un universo scientifico in cui si può instaurare uno scambio generalizzato di critiche. E, per usare una metafora “fantastica” del tipo che ho denunciato, direi che, nello scambio ristretto di critiche tra avversari complici – scambio che, come lo scambio ristretto delle donne, è debolmente integrativo – dovremmo sostituire con lo scambio: chi critica B chi critica C chi critica N chi critica A.
Rispetto al mondo che conosciamo bene, quello delle polemiche rituali tra grandi teorici, cosa totalmente opposta sarebbe una comunità scientifica sottoposta a critica diffusa, dotata di istituzioni in cui la critica è organizzata (società erudite, riviste, ecc.).
Così, per progredire con decisione, la sociologia deve forse trovare dentro di sé le armi del suo progresso, invece di cercarle a tutti i costi nelle scienze più avanzate che, in definitiva, non le offrono soluzioni vere ai suoi problemi reali. E finché non si realizzano le condizioni sociali per la pratica scientifica, qualsiasi “effetto dimostrativo” – per usare ancora il vocabolario degli etnologi – corre il rischio di finire in produzioni che mantengono un rapporto mimetico con i modelli che intendono imitare.
In definitiva, la sociologia deve raggiungere la sua autonomia intellettuale perché, più di ogni altra scienza, è esposta alle richieste esterne – richieste di coloro che richiedono indagini e che, attraverso pressioni finanziarie, ad esempio, possono guidare la ricerca; richieste dell’agenda ideologica atmosferica, sia nel caso di gruppi dominanti che di gruppi intellettuali più familiari – i più pericolosi dei quali non sono necessariamente quelli in cui comunemente crediamo.
Questa particolare vulnerabilità della sociologia richiede armi specifiche: per questo ho sentito rifiutarsi di parlare del problema dei modelli, non perché tale problema mi sembri del tutto privo di interesse, ma perché, allo stato attuale del dibattito scientifico e la scienza, dal punto di vista sociologico, potrebbe avere la funzione di nascondere quello che mi sembra il vero problema. Gaston Bachelard diceva che ogni discorso sul metodo è un discorso di circostanza.,
Un discorso epistemologico, quando si tratta di sociologia, non può essere un discorso atemporale: deve riferirsi a una certa situazione sociale per dare priorità alle emergenze, senza dimenticare che, in [tale] situazione sociale, gli ostacoli epistemologici hanno forze relative che non si derivano solo da una logica propriamente sociologica. Pertanto, per illustrare quest’ultima proposizione, potremmo semplicemente mostrare che, allo stato attuale delle cose, la sociologia deve affrontare due grandi ostacoli, allo stesso tempo opposti e complementari: il pericolo del formalismo, dove le discussioni sul modello minacciano di portarci, e il pericolo dell’empirismo cieco.
*Pierre Bourdieu (1930-2002), filosofo e sociologo, fu professore all'École de Sociologie du Collège de France. Autore, tra gli altri libri, di Dominazione maschile (Bertrando Brasile). [https://amzn.to/4gd4uNU]
Riferimento

Pierre Bourdieu. Ritorno alla riflessività. Struttura editoriale: Jérôme Bourdieu & Johan Heilbron. Traduzione: Thomaz Kawauche. San Paolo, Unesp, 2024, 104 pagine. [https://amzn.to/4jzNep8]
Bibliografia
BACHELARD, Gaston. Il nuovo spirito scientifico. Parigi: Félix Alcan, 1934. [Ed. porta.: Il nuovo spirito scientifico. Lisbona: Edições 70, 1986.]
______. Applicazione Le Rationalisme. Parigi: Presses Universitaires de France, 1949. [Ed. reggiseni.: Razionalismo applicato. Rio de Janeiro: Zahar, 1977.]
note:
[1] Pierre Greco (1927-1988), normali e aggregato di filosofia, fu assistente di Jean Piaget quando insegnò psicologia alla Sorbona tra il 1952 e il 1962. Partecipò alle ricerche del Centre International d'Épistémologie Génétique (1955-1985) di Piaget a Ginevra e si dedicò, dalla metà degli anni '1960, insegnamento nella sesta sezione del École Pratique des Hautes Études (EPHE). Lì era segretario della Enseignement Préparatoire a la Recherche Approfondie en Sciences Sociales (Eprass), al quale parteciparono Pierre Bourdieu e Jean-Claude Passeron, e costituì quindi il contesto principale per la stesura di Il mestiere del sociologo (1968).
[2] Bachelardo, Applicazione Le Rationalisme, pagg.4-11.
[3] Il “culto del carico” è un insieme di credenze e riti osservati per la prima volta dagli etnologi tra gli aborigeni melanesiani, e consiste nell’imitare gli operatori radio americani e giapponesi che ordinavano rifornimenti, nella speranza di ricevere anche carichi pieni di
beni occidentali.
[4] “Tutto il pensiero scientifico deve cambiare di fronte a una nuova esperienza; un discorso sul metodo scientifico sarà sempre un discorso di circostanza […]” (Bachelard, Il nuovo spirito scientifico, p.139).
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