Rousseau: dalla teoria alla pratica

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da MARILENA DE SOUZA CHAUI*

Prefazione al libro appena curato da Luiz Roberto Salinas Fortés

“Scrivere di Politica si colloca anche in uno spazio intermedio tra a Fazer e um stai zitto. O ancora: uno spazio delimitato da due figure retoriche distinte. O si tace perché si fa – la parola allora è superflua – o si tace perché non si può più fare niente – la parola allora è inutile. Tra il territorio dell'azione effettiva e quello dell'impossibilità dell'azione, il dominio di scrittura. Tra la figura del Principe o Legislatore di successo – Mosè, Licurgo – e la figura del politico impotente, si costituisce lo spazio dello scrittore politico”. (LR Salinas Fortes, Rousseau: dalla teoria alla pratica).

Dal tacito all'espresso: il posto dello scrittore politico

Il lettore di questo libro sarà spinto verso un'avventura che lo lascerà sempre in sospeso, poiché l'autore non si tira indietro né concede di fronte ai rischi dell'impresa intrapresa: polemizzare con il modo canonico di leggere l'opera di Rousseau come un'opera incoerente e, proprio per questo, irrilevante. Ad ogni passaggio, una insospettata difficoltà evidenziata trova una soluzione che, subito dopo, si trasfigura in una nuova e maggiore difficoltà che necessita di essere compresa e risolta. Ingaggiando una vera e propria battaglia con Rousseau ei suoi commentatori più illustri, Salinas indica il luogo d'origine delle questioni che calcano il suo cammino: il pensiero della politica.

Attaccando frontalmente la presunta incoerenza di Rousseau – incoerenza tra gli scritti del filosofo e la vita, incoerenza tra gli stessi scritti – Salinas inizia esaminando e scartando le varie soluzioni che gli interpreti hanno trovato per questa difficoltà. Una prima soluzione è tracciare la figura di un Rousseau-Proteo, nato dalla lacerazione dell'individuo vittima della civiltà, conducendolo alle ambigue risorse della dissimulazione e persino alla pura contraddizione con se stesso. E ciò comporterebbe l'impossibilità di totalizzare omogeneamente l'opera del filosofo. Un'altra soluzione offerta appare nella figura di un Rousseau mutilato.

Ora si cerca di recuperare la coerenza della vita con l'opera e di questa con se stessa, grazie ad una selettiva selezione di testi compatibile tra loro e che vengono raggruppate escludendo quelle ritenute incompatibili. La coerenza si ottiene grazie ad una paziente separazione del grano e della pula. Infine (come non poteva non accadere) la questione dell'incoerenza viene risolta condividendo equamente ciò che appartiene al Giovane Rousseau e ciò che è sotto la responsabilità del Vecchio Rousseau. La scissione è operata dal riconoscimento che c'è nel filosofo un passaggio dalla passione radicalizzante alla prudenza riformista. Rifiutando le diverse soluzioni presentate, Salinas afferma che non si tratta di indagare il dramma individuale dell'uomo dilaniato dalla civiltà, né di selezionare parti compatibili della sua opera, né, tanto meno, di pensare a una sorta di evoluzione dall'ardore rivoluzionario al conformismo riformista.

Salinas opera, allora, uno spostamento della questione per cogliere la genesi della presunta inconsistenza di Rousseau. Sulla base della distinzione operata dal filosofo tra il vedere e Guarda, che segna l'avvento della cultura, Salinas indica come questa dissociazione sia correlata a una scissione più originaria, di cui la prima sarebbe un effetto. È la scissione tra agir e parlare. E se questa è la scissione fondamentale, quale sarebbe il luogo privilegiato della sua manifestazione? Il discorso politico.

“Non è dunque il discorso politico il luogo più strategico – o, quanto meno, più didattico – da cui si potrà cominciare a comprendere il paradossi di questo 'homme à paradossi' e comprendere la concezione della scrittura che le è propria, così come la uso molteplice la fa?

Ma questa direzione nasconde nuove difficoltà, poiché l'incoerenza sembra riapparire quando testi come il contratto sociale e come Pensieri sul governo della Polonia oppure Carte di montagna, perché ora la teoria (Il contratto sociale) sembra essere negato dai discorsi congiunturali. E la sensazione di dissimulazione diventa inevitabile nel lettore. Il passaggio dal generale al particolare, dalla teoria alla storia, sembra non compiersi e conduce alla contraddizione.

Risolvere questa difficoltà – passare dalla teoria alla pratica – è il compito che Salinas si assume. E per realizzarlo, il capitolo I dovrebbe essere responsabile della comprensione dello statuto del discorso teorico, una comprensione che conduce l'autore a un'analisi dettagliata del Saggio sull'origine delle lingue, dove la questione del linguaggio come frattura successiva di gesto e parola, di parola e scrittura, di scrittura persuasiva e scrittura convincente riscopre la frattura, posta nell'Introduzione, tra parlare e agire. In questo modo la teoria del linguaggio recupera il suo terreno originario, che è un terreno politico. In effetti, cosa significa cercare l'aiuto della parola? Lo stesso Rousseau solleva il paradosso: come può il critico delle scienze e delle arti essere uno scrittore? Come può il critico librario adempiere al suo compito critico scrivendo anche libri? La critica radicale ai mali della cultura (e quindi della scrittura), per essere coerenti, non dovrebbe essere la scelta del silenzio?

Uno dei maggiori interessi del capitolo I risiede nella critica che Salinas rivolge a Derrida, preoccupato di sbrogliare le radici metafisiche della critica di Rousseau alla scrittura come pericoloso supplemento alla parola e alla visione, molto più vicina all'Essere, una prossimità che la scrittura abolisce stabilendo una distanza irreparabile tra l'uomo e la natura. La prima critica rivolta a Derrida consiste nel mostrare che l'interprete non estrae dal proprio Test i principi che permetterebbero la lettura degli altri testi di Rousseau, cosicché, in fondo, la teoria del linguaggio così trovata appare inevitabilmente come un semplice supplemento al rapporto immediato con la natura e con la verità. Salinas seguirà una strada esattamente opposta a questa, cercando nella teoria del linguaggio di Rousseau i principi per leggere Rousseau. La seconda critica rileva una certa cecità del commentatore francese che non cerca mai di vedere se la distanza stabilita tra ciò che Rousseau dichiara, da un lato, e ciò che descrive, dall'altro, non sia una distanza richiesta dalla logica interna di Il discorso di Rousseau... Ciò che Salinas dimostra essere effettivamente il caso. Infine, una terza critica rivela che le premesse usate da Derrida per leggere il Test sono già date dal Test, in modo che l'interprete sarebbe vittima del potere del discorso che cerca di criticare.

Queste tre osservazioni preparano la vera critica. Come prima non si trattava di salvare Rousseau passando dalla passione alla prudenza, ora non si tratta di condannarlo per un'ambiguità nella critica della metafisica alla quale sarebbe ancora intrappolato. La scissione tra il parlare e l'agire rivela che il luogo della discussione è un altro. Cioè: quella di una lettura politica del Test che potrà chiarirlo e chiarirne la necessaria articolazione con le altre opere di Rousseau. Questo sarà il percorso intrapreso da Salinas. Si tratta, quindi, di svelare il rapporto tra Logos e Potere.

“La storia dopo questa frattura, (visione-discorso, gesto-discorso, discorso-scrittura), la nostra storia – che il Discorso descrive la genesi – sarà una storia di nuove fratture provocate dagli echi ritardati della prima esplosione e che si aggiungono alla prima crepa, finendo, a poco a poco, a consumare, con il culto del libro, la definitiva disconnessione di i due universi (natura e cultura; sensibile e intelligibile). Più di quello. Portando a un completo capovolgimento della situazione iniziale, poiché il libro finisce per sostituire il reale, risulta essere più reale del reale. Così, in modo tirannico ea favore dell'intelligibile, si ricostituiscono l'unicità dello sguardo e l'unità del campo visivo”.

La persuasione e la convinzione sono forme di discorso politico. Convincere è dominare lo spirito, la volontà, il sentimento dell'altro, è tiranneggiarlo. E il libro è una forma tirannica. È dunque in un contesto eminentemente politico che va esaminata la questione della scrittura. È il contesto della pratica umana nella fase in cui la Ragione coglie i messaggi della natura (precedentemente captati dalla sensibilità) che dovrebbe illuminare la questione del passaggio attraverso la scrittura e il significato del discorso teorico.

Ma la difficoltà non aspetta. Se la ragione, la teoria e la scrittura sono definite dalle esigenze presenti dell'attività umana, rappresentano tuttavia una caduta dallo stato originario dell'uomo nel cuore della natura. Se il libro è tirannico e se è tirannica la cultura che lo fa nascere, come può Rousseau usare l'oggetto stesso della critica come strumento critico? Nuova incoerenza? NO. La risposta a questa domanda emerge quando si circoscrive il campo in cui la scrittura e la teoria si offrono, almeno, come rimedio a un'umanità invecchiata e decaduta. Il discorso è medicina quando è discorso politico.

“Scrivere di Politica – dice Salinas – si situa anche in uno spazio intermedio tra a Fazer e um stai zitto. O ancora: uno spazio delimitato da due figure retoriche distinte. O si tace perché si fa – la parola allora è superflua – o si tace perché non si può più fare niente – la parola allora è inutile. Tra il territorio dell'azione effettiva e l'impossibilità dell'azione si estende il dominio della scrittura. Tra la figura del Principe o Legislatore di successo – Mosè, Licurgo – e la figura del politico impotente, si costituisce lo spazio dello scrittore politico. Se Rousseau, prima di entrare in materia, ritiene importante giustificarsi, lo fa non solo allo scopo di rassicurare eventuali lettori, ma piuttosto con l'intenzione di circoscrivere rigorosamente lo spazio del suo discorso. Questa preoccupazione pedagogica non è casuale; è un'espressione, sul piano politico, dell'atteggiamento costante di Rousseau nei confronti della scienza in generale o filosofia".

Tra il silenzio dell'azione riuscita e il silenzio dell'impotenza sociale e politica, si installa un discorso che mira a realizzare il primo ed eliminare il secondo: il discorso della teoria politica, che nasce quando tutte le condizioni oggettive sembrano annientare il suo significato. Il libro politico è quello scritto quando tutto sembra esigere silenzio. Ma, poiché è stato scritto quando la lingua, e la scrittura in particolare, è diventata inutile o serva del potere dominante, il libro assume un nuovo significato che è possibile svelare solo grazie alla critica della cultura che lo ha generato . Così, al posto della presunta incoerenza di Rousseau, si colloca un discorso che è una riflessione sulla propria origine e sulla propria destinazione sociale e storica.

Circoscritto tra due silenzi, l'atto dello scrivere punta in sé l'interrogativo che lo pone: il passaggio dalla teoria alla pratica, una volta compiuto il passaggio dal tacito all'espresso: “Il punto di vista teórico, costitutivo del discorso di scienza dell'uomo, si presenta, quindi, solo come un momento necessario all'interno di un eminentemente pratico. Tempo necessario perché la nostra condizione attuale lo richiede, essenzialmente discorsivo. ma momento subordinare, purché questo scienza è giustificato solo nell'orizzonte di a la pratica. […] Così come il principio di utilità funge da criterio per stabilire il programma didattico di Emilio, utilità per la pratica appare come un principio di delimitazione del campo del sapere: oltre il territorio compreso dal sapere utile a la pratica, si trova il dominio pericoloso in cui hanno luogo le delusioni della ragione ragionamento".

tre diversi record

Salinas esamina la costituzione del discorso teorico e il suo paesaggio per la pratica in tre diversi registri.

Il primo esame di questa costituzione e di questo passaggio è fatto alla luce della differenza nell'efficacia persuasiva dei discorsi. Il discorso teorico cerca di imporsi alla ragione dell'interlocutore; il suo valore: accuratezza; il suo compito: la spiegazione delle relazioni che costituiscono l'oggetto di cui parla; il suo presupposto: l'esistenza di un ordine razionale oggettivo in cui gli interlocutori si fronteggiano; il suo principio organizzativo: il principio del meglio. Il discorso teorico immediatamente focalizzato su una pratica specifica, invece, mira a un altro tipo di persuasione il cui presupposto non è la razionalità della realtà e dell'interlocutore, ma la convenienza o adeguatezza della proposta all'interlocutore che la richiede. Salinas, esaminando la differenza tra il Il contratto sociale e testi come Pensieri sul governo della Polonia e Carte di montagna, individua la distinzione dei discorsi in una differenza di pubblico. È dall'ascoltatore, quindi, che i discorsi politici di Rousseau troveranno la loro coerenza.

La teoria politica sviluppata nel Contratto si rivolge all'“ascoltatore trascendentale”. È una politica sviluppata in termini di universalità e di condizioni per la creazione del corpo politico in quanto tale. Il suo interlocutore: il Legislatore. La teoria politica risponde alla domanda sull'origine del corpo politico (origine non empirica, evidentemente) rispondendo alla domanda: che cos'è il diritto di legiferare? A loro volta, i testi congiunturali sono inseriti nel contesto di un corpo politico già esistente le cui esigenze sono immediatamente pratiche e sono inscritte negli avatar del mondo empirico. Il suo destinatario: l'“ascoltatore empirico”, governanti concreti e governati, membri di uno Stato particolare le cui peculiarità storiche, geografiche e morali devono essere considerate da chi scrive.

Ora il discorso risponde alla domanda: come e quando è possibile legiferare? Il passaggio dalla teoria alla pratica si offre così all'interno di una differenza di pubblico grazie alla quale la teoria passa in azione effettiva e opportuna, il trascendentale viene investito nella regione dell'empirico e l'universale penetra nel particolare attraverso il passaggio di un astratto tempo (quello di Contratto) al Kairós delle attuali politiche. Non c'è dunque incoerenza nel politologo Rousseau, ma, al contrario, c'è in lui un'estrema attenzione all'utilità, all'interesse e all'efficacia dell'azione del suo particolare ascoltatore, che lo porta a ritornare in modo sempre differenziato agli universali posti sul piano della purezza astratta richiesta dalla teoria come politica trascendentale. Ad ogni passo, Rousseau è attento al pubblico che chiede il suo discorso, e questo trova efficacia solo se sa accogliere la particolarità di chi lo ascolta, un'accoglienza che richiede una sorta di buon uso o uso tempestivo di ciò che è stato affrontato. all'ascoltatore trascendentale.

Forse ciò che fa pensare all'incoerenza di Rousseau, quando non si tiene conto della sua attenzione da parte del pubblico, è il fatto che gli interpreti non percepiscono che il filosofo rompe obliquamente con l'ideale classico della politica. L'ideale classico parte dal presupposto che esista a buona società stesso e che le società esistenti realizzano bene o male questo modello ideale, tendendo in genere a corromperlo. Ora, i temi della buona società e della corruzione si ritrovano anche in Rousseau, ma spostati dal contesto classico. La società buona, la società giovane, è la società in cui il Legislatore non è solo un ideale trascendentale, ma una figura concreta che costituisce il legittimo corpo politico. La cattiva società, la società vecchia e corrotta, non è quella che ha snaturato il modello ideale della buona società, ma quella che non riesce a trovare qualcuno che incarni la figura del Legislatore. Non c'è una cronologia della corruzione, ma una sorta di bontà essenziale o di male essenziale delle forme politiche originariamente buone o originariamente cattive. Questi ultimi hanno bisogno di rimedio. E la medicina è efficace solo se sa esattamente quale disturbo dovrebbe curare. Solo l'attenzione prestata all'“ascoltatore empirico” può dire allo scrittore politico come porre rimedio a questa malattia.

Il secondo momento dell'esame del passaggio dalla teoria alla pratica avviene grazie ad uno slittamento operato da Salinas nei criteri tradizionalmente utilizzati dai commentatori di Rousseau. Questi presuppongono, in generale, che il corpo politico nasca dal patto e che la politica sia pensata dal filosofo in termini giuridici. Salinas sposta la questione chiedendo: qual è il terreno della possibilità della politica, non dal patto, ma dalla coscienza collettiva. Il fondamento della politica non è né giuridico (il patto) né empirico (la concordia di tutte le volontà), ma la coscienza collettiva che si esprime come “volontà generale”.

Questo spostamento renderà più difficile di prima il passaggio dalla teoria alla pratica, ma consentirà, d'altra parte, di disfare ancora una volta la presunta incoerenza di Rousseau. Si è infatti soliti additare come incongruenza il fatto che, essendo il patto il fondamento del corpo politico, come può il filosofo parlare di “morte del corpo politico” laddove il patto persiste ancora? Salinas ci mostra che, proprio perché il patto non è la base del politico, ma della Volontà Generale, il corpo politico sarà morto ogni volta che sarà morta la Volontà Generale, nonostante la certa inerzia del patto nella sua permanenza empirica. Salinas indica dunque il vero luogo della politica: il campo simbolico della Legge incarnata nella Volontà Generale e il cui effetto è un patto tra gli uomini.

La politica non è il campo della pura violenza e delle forze nude – quando queste si manifestano, la politica è già morta. Né la politica è il terreno dove si riconciliano le volontà di tutti in una pace perpetua che annulla e mistifica i movimenti antagonisti del corpo sociale. La politica si stabilisce con l'istituzione della regione del Diritto, potere che è il potere della Volontà Generale, emblema del sociale e delle sue articolazioni interne e necessarie. Salinas poté così dissipare una nuova incoerenza imputata a Rousseau. Se il patto è il fondamento del corpo politico, è consuetudine chiedersi come, allora, Rousseau discuta il problema della legittimità politica e perché attribuisca un ruolo inutile al Legislatore, dal momento che sarebbe incaricato di stabilire ciò che già esiste? Ora, come mostra Salinas, il patto non è il fondamento del corpo politico, ma il suo punto di arrivo come Volontà Generale. Il ruolo del Legislatore è il ruolo del fondatore politico, in quanto la sua azione stabilisce la Volontà Generale come Legge.

Come dice l'autore, il Legislatore si costituisce come avanguardia politica, creando le condizioni per l'effettivo esercizio della politica. Il passaggio dalla teoria alla pratica si esplicita, poi, nell'analisi delle azioni di chi dovrebbe fondare il politico. Nella logica dell'agire del Soggetto politico, il discorso trova il principio della propria conoscenza ei limiti di questa conoscenza, limiti impostigli dalla pratica dell'agente politico. “[…] né la sensibilità né la ragione poco sviluppata dei membri dell'associazione possono costituire guide per la conservazione del corpo politico. Lasciati a se stessi, i membri dell'associazione sarebbero incapaci di portare a termine con successo l'impresa che si prefiggono associandosi. Perché il bene comune diventi il ​​polo guida del loro comportamento, esso deve essere garantito e fissato, poiché nessuno può agire secondo il bene comune se non lo conosce e poiché né un'illuminazione insufficiente né una particolare sensibilità consentono ai membri dell'associazione un accesso spontaneo al bene comune. […] Se le leggi positive sono necessarie, non è solo perché bisogna guardarsi dal vizio della volontà, ma anche dall'errore di intendere degli individui. Il corpo politico deve assumere la forma di un ordinamento giuridico e la volontà generale deve essere esplicitata attraverso le leggi, perché l'uomo, in questa fase, è naturalmente incline all'errore e al vizio. […] UN invenzione della macchina artificiale dello Stato è opera del Legislatore. […] Perché, però, ricorrere a questo carattere provvidenziale? La stessa apparizione sulla scena di questa figura paternalistica non contraddice la sovranità del popolo precedentemente affermata? […] Il diritto di fare le leggi appartiene al popolo. Abbiamo già detto addio, però, al piano del diritto. Il popolo, infatti, non ha il potere effettivo per svolgere questo compito, dati i suoi limiti. Non c'è contraddizione, ma un cambio di programma: le persone di rose non è uguale alle persone ideale che partecipa al patto originario. Tra l'uno e l'altro, tra i polvere e folla cieca, c'è un baratro da colmare con l'intervento di un individuo eccezionale”.

Il Legislatore, ragione incarnata, è al di fuori della società mentre questa si configura come una folla cieca. È il veicolo attraverso il quale la ragione può penetrare nella storia umana. È l'occupante del luogo che appartiene alle persone che lui stesso deve creare. Così, il Legislatore non va confuso con le figure empiriche dei potenti e degli oppressi, mescolati nei conflitti della folla cieca. Il suo luogo è simbolico: è il luogo del Potere, potere che appartiene al popolo in quanto corpo politico, cioè vincolato dal bene comune al quale la moltitudine cieca deve inchinarsi in obbedienza alla Legge. Il Legislatore non è il Legislatore. È il Soggetto politico per eccellenza: fondatore e conservatore del corpo politico.

Da queste prime due posizioni si ricava il terzo record dell'esame del passaggio dalla teoria alla pratica. Salinas si sofferma, inizialmente, sulla distinzione tra due grandi momenti della costituzione del discorso teorico: il primo momento è l'analisi della costituzione del sociale,, e la questione del politico appare solo un momento successivo con la figura del Legislatore, destinato a costituire il corpo politico con l'insediamento della Volontà Generale. La distinzione tra questi due momenti metterà in gioco qualcosa che ha implicitamente sostenuto il viaggio di Salinas, e che ora si esplicita: la storia. Non è il sociale (come patto), ma il politico (come coscienza collettiva espressa nella Volontà Generale) che mette in moto la Storia. Ora il problema si concentra sulla modalità di articolazione tra il contratto sociale e Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini, cioè tra una teoria della buona forma politica e la genealogia del male, o, se si vuole, tra la buona società e la teodicea inversa.

In modo che la Contratto non essere letta come un'elaborazione astratta di Leggi, Salinas ritiene indispensabile leggerla tenendo presente la seconda Discorso. E perché non si veda incoerenza tra il testo logico (la politica trascendentale) e il testo genealogico (la storia della perversione della natura umana), è necessario mettere in luce l'articolazione tra politica e storia, cioè tra politica ed economia (l'avvento della proprietà privata, l'accumulazione della ricchezza, le disuguaglianze che si esprimono come dominio del debole sul forte, del povero sul ricco, il vizio dell'amor proprio e la vecchiaia sociale, la politica che va verso dispotismo). “La storia del progresso della disuguaglianza […] è la storia del continuo crollo della organi politici difetti costituiti dal vizio umano. […] Accanto a questa, c'è un'altra possibile vicenda, che necessita della collaborazione del Legislatore per avere effetto. Questa azione porta, quindi, ad adottare la strada opposta a quella che la seconda Discorso".

Prima commentavamo il modo di Rousseau di sbarazzarsi della politica classica della buona società e la storia della sua caduta. Ora questa affermazione diventa più chiara. Se la storia narrata dal secondo Discorso è la storia della caduta e della perversa snaturazione perché in essa il corpo politico nasce assuefatto, nasce dal discorso dei ricchi, dalla proposta di un'unione di forze contro un presunto nemico che va combattuto affinché ci è giustizia. Ora, se i deboli e i poveri sono suscettibili di essere persuasi da tali discorsi, è perché sono corrotti tanto quanto i forti e i ricchi. La genealogia è la genealogia del male perché il male è al centro di questa storia perversa.

Bene, se c'è, come dice Salinas, un'altra storia possibile, questa nuova storia è storia politica. Benché già intrisa della snaturazione dell'uomo, la politica è a buona denaturazione nella misura in cui, come proposto dall'art Contratto, l'azione dell'agente politico mira a trovare un principio politico opposto a quello manifestato nel secondo Discorso. O meglio, mira a trovare il posto del politico stesso. Così, invece di una contraddizione tra il Contratto E il secondo Discorso, troviamo una trasformazione radicale del problema, poiché i loro record non sono identici. Nella genealogia del male, uomini i corrotti vogliono avere il potere e lo esercitano con la violenza. Nella storia politica non ci sono gli uomini, c'è il Popolo e la Legge, il luogo del Potere e l'azione del Legislatore.

Come articolare le due opere, ora che appaiono come discorsi invertiti, ma scritti in dimensioni diverse? Attraverso la mediazione del Legislatore che agisce sulla Volontà Generale e attraverso l'intensificarsi dei rapporti sociali ed economici, si circoscrive il campo pratico della politica e della storia, una circoscrizione che trova la sua teoria nella il contratto sociale. Il campo pratico della politica si rivela come un campo di forze in lotta e il cui maggior rischio è quello di degenerare nella violenza e nel dispotismo, cioè nel dominio totale di uno (o di pochi) su tutti. Se, in questa lotta, la vittoria spetta alla Volontà Generale, la pratica politica diventa possibile e un'altra storia può trovare la via della sua efficacia. Se, al contrario, la vittoria appartiene alla volontà individuale, la politica sarà impossibile, il dispotismo inevitabile, e la seconda Discorso, l'unica verità sugli uomini.

Questa articolazione dei due grandi discorsi di Rousseau consentirà a Salinas di svelare il sottosuolo della teoria politica di Rousseau. Non si tratta solo di una tipologia di forme di governo, come spesso si immagina, ma piuttosto di una tipologia di forme di azione politica. La teoria passerà alla pratica non appena si percepirà il suo vero oggetto: la logica dell'agire del Soggetto politico.

“Al termine iniziale, quando l'istituto dell'a corpo politico quasi perfetto è ancora possibile, corrisponde all'azione dello stesso Legislatore, di Licurgo, Mosè, Numa. L'azione del Pedagogo corrisponde al termine ultimo, quando non si può fare altro. L'azione si depoliticizza, non prende più di mira la città, ma un individuo isolato. Tra questi due estremi si potrebbero distinguere altri due tipi. Da un lato abbiamo la figura del Consigliere Legislatore, consigliere tecnico dei governanti. Sarebbe il caso dello stesso Rousseau, di fronte alla Polonia o alla Corsica. Dall'altro, il pubblicista o scrittore politico. Non si rivolge più ai governanti, ma al popolo in generale o al pubblico delle grandi società corrotte”.

Si tratta, allora, di sapere come e perché queste figure politiche nascono, poiché a ciascuna di queste azioni corrisponderà una forma di organizzazione, cioè un sistema di leggi diverse. Così, la tipologia delle azioni politiche e la tipologia delle forme di governo tracciano un'articolazione del tutto nuova tra le Contratto E il secondo Discorso. Nel caso del Legislatore, la questione ruota attorno alla possibilità di realizzare un ordinamento politico in cui la Volontà Generale sia sovrana, basato sulla fissazione di quattro variabili fondamentali: due variabili temporali - l'età di un popolo e il momento in cui sono in grado di essere legiferato – e due variabili spaziali – le dimensioni della città e le relazioni con il mondo esterno. Ciò detto, occorre chiedersi, esaminando la vita concreta dei popoli, come queste variabili si offrano storicamente, affinché possano essere colte opportunamente.

A quel punto, il file Contratto deve essere illuminato dal secondo Discorso, perché tutto dipenderà dal rapporto stabilito, in ogni momento, tra le leggi ei vizi degli uomini. La legislazione richiede che i vizi abbiano a forza minimo, sono quasi al loro grado zero. La pedagogia si installa proprio quando hanno raggiunto il massimo grado di intensità, che corrisponde, nel secondo Discorso al trionfo del dispotismo e al grado estremo delle disuguaglianze – il corpo politico, vecchio, è in punto di morte. La differenza politica tra la vecchiaia e la giovinezza è una differenza morale: i giovani sono il popolo dell'amor proprio e della benevolenza, attenti alla voce della coscienza, cioè alla presenza di sé all'altro; i vecchi sono coloro che sono diventati sordi alla voce della coscienza, perché in loro l'amor proprio è diventato amor proprio.

Il conflitto tra la forza delle leggi e la forza dei vizi decide sulla giovinezza e sulla vecchiaia del corpo politico, ma l'origine di questo conflitto va ricercata nella regione dove la morale e la politica sono possibili o impossibili, cioè in all'interno delle relazioni sociali. E ancora, ecco, il secondo Discorso offre la strada per comprendere questo movimento di progressiva perdita della morale e della politica. Ora, ciò che è fondamentale nell'interpretazione di Salinas è la collocazione del momento in cui la politica è possibile. Tra l'insediamento della proprietà, ma prima che la ricchezza sia diventata un valore dominante per tutto il popolo, nasce il campo politico. Cosa significa questa nascita? Quale verità porti? Prima della proprietà, la politica è superflua; dopo la ricchezza, la politica è impossibile.

Ciò significa che il campo politico può emergere solo quando il campo sociale è dilaniato da una divisione interna che può trasformarsi in un'inesorabile lotta per il dominio. È la divisione del sociale generata dalla proprietà, che richiede l'avvento delle leggi e del governo, poiché l'ordine sociale può prevalere solo se il movimento dispotico dell'amor proprio è contenuto e ostacolato. La politica nasce, dunque, dalla disuguaglianza come produttrice sociale, ma è politica solo se va controcorrente rispetto al movimento immanente alla disuguaglianza che porterebbe alla fine della politica. Insomma: tra l'isolamento prima della proprietà e il dominio collettivo, tra l'individualismo iniziale e il dispotismo finale, un'altra storia è possibile, se la politica è possibile, cioè se lo stato di guerra della società nascente può essere incanalato verso l'instaurazione della Volontà Generale . E, in ogni caso particolare, il campo politico così genericamente definito dovrà trovare una forma particolare e una pratica particolare. Ma, in tutti i casi possibili, l'azione politica efficace è definita dalla capacità di valutare il grado massimo di forza delle leggi e il grado minimo di forza dei vizi. A questo punto il Contratto E il secondo Discorso seguono strade esattamente opposte, ma il loro significato è lo stesso dal punto di vista politico.

Dall'essere al sembrare, dal parlare all'agire, dal diritto al fatto, dal trascendentale all'empirico, le dicotomie che dovrebbero suggerire le incongruenze del pensiero di Rousseau designano invece il senso della sua opera filosofica come circoscrizione del campo politico e discorso della politica. Dopo questo percorso, nella Conclusione, Salinas tornerà sulla questione posta dall'Introduzione: c'è o non c'è incoerenza tra i discorsi politici di Rousseau? Immediatamente la risposta sarà negativa, giustificata dalla comprensione dei principi politici esaminati nel corso del libro. Esiste però una seconda risposta, anch'essa negativa, ma ottenuta in un nuovo contesto, e che completa il senso della prima, poiché radicata nella problematica che il libro tematizza, cioè il passaggio dalla teoria alla pratica.

Salinas ora interpreta il Pensieri sul governo della Polonia. Esaminando il testo del Consigliere Legislatore, verificandone i punti di contatto e la distanza dal Contratto, dunque, al discorso del politologo, Salinas segnala i paradossi e le incongruenze che sembrano attraversare la totalità del Considerazioni, rafforzando la tradizionale interpretazione di Rousseau come ciarlatano e opportunista. Tuttavia, improvvisamente, il lettore è portato a rileggere il Considerazioni per capire finalmente che non si trova di fronte a semplici incongruenze, ma a vere e proprie contraddizioni. Tuttavia, ed è questo il punto essenziale, Salinas ci fa scoprire che tali contraddizioni non sono nel discorso di Rousseau, ma nella Polonia, oggetto del discorso.

È dunque l'oggetto politico ad essere contraddittorio e non il discorso che lo rivela. Si capisce allora perché Salinas rifiuti fin dall'inizio del libro la nozione di incoerenza, dal momento che questa non è una categoria politica e non può gettare la minima luce sugli scritti di Rousseau, homme à paradossi, cioè un pensatore che raggiunge l'universo della politica come universo governato da una logica paradossale – una logica della contraddizione. Se è possibile pensare al passaggio dalla teoria alla pratica in Rousseau, è perché la sua teoria è capace di abbracciare la realtà politica in ciò che la rende enigmatica ed esigente per la prassi, cioè nelle sue contraddizioni. Per questo dentro Considerazioni la questione della forma di governo è quasi secondaria rispetto a un'altra questione fondamentale: quella dell'azione politica che forma o trasforma il corpo politico.

*Marilena Chaui è professore emerito presso FFLCH presso USP. Autore, tra gli altri libri, di contro la servitù volontaria (Autentico).

Riferimento


Luiz Roberto Salinas Fortés. Rousseau: dalla teoria alla pratica. San Paolo, Discorso editoriale, 2021, 200 pagine.

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